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Autore: Portuguese_D_Ace    05/01/2013    3 recensioni
Secondo voi, due vite possono completamente essere sconvolte? Ribaltate come se niente fosse, mentre la vita degli altri continua ad essere sempre la stessa, mentre il tempo scandisce minuti e secondi che non possono mai essere sprecati?
Lily e Luke, due normali sedicenni che vivono a San Diego, California, impareranno cosa vuol dire cercare e cercare senza sosta, senza trovare qualcosa, a volte.
Ma non tutte le ricerche sono inutili. E impareranno anche questo.
Se vi ho incuriosito, leggete questa storia.
Genere: Comico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7

Lily

Quinto piano. Santissimo ascensore! Cosa farei senza di te? Mi trovo nel palazzo dove vive Luke e chiedendo ad una signora che ho incontrato a piano terra, sono riuscita a venire a sapere anche il suo piano d’abitazione. Eppure, non posso fare a meno di chiedermi cosa dovrei dire a Luke. Sicuramente in casa ci sarà qualcuno della sua famiglia, come un fratello rompi-scatole o sua madre o suo padre. Come farò a spiegargli il tutto per bene? E se Luke non è in casa e viene ad aprirmi sua madre che s’insospettisce, mi fa entrare dicendomi che lui sta arrivando e, intanto, mi tortura con quaranta mila domande? Forse è meglio tornare indietro…no! Dopo tutta questa fatica non posso mollare! E poi, farei davvero di tutto per quella medaglietta. Le porte dell’ascensore si spalancano e io cerco con lo sguardo qualunque cosa possa farmi capire che quello è l’appartamento di Luke, ma purtroppo non trovo niente. Esco definitivamente dal piccolo ascensore e comincio a leggere le targhette dietro le porte. Non c’è il cognome “Bennett”. Bene, davvero bene! La fortuna è sempre dalla mia parte, no? Alzo lo sguardo al soffitto e sospirando rassegnata, sbatto in un segno di rassegnazione le mani sulle mie gambe. Solo quando abbasso lo sguardo, noto che su una porta non vi è nessuna targhetta. Possibile che sia quello l’appartamento di Luke? Proviamo, tanto con la fortuna che ho, faccio una delle mie bellissime figure. Una in più o una in meno ormai non fa differenza. Suono il campanello e attendo. Niente di niente. Adesso, invece, sento dei passi, distinti e abbastanza forti da sembrare che ci fosse qualcuno dietro di me. D’istinto mi giro, ma sono con piacere e inquietudine al tempo stesso, di essere da sola. Riporto la mia attenzione alla porta, mentre quei passi, veloci e leggeri continuano a farsi sentire. Ad un tratto di fermano e il silenzio torna a regnare dentro di me. Come volevasi dimostrare, nessuno viene ad aprirmi. Eppure una flebile vocina rimbomba nella mia testa e mi induce a rimanere lì, ferma come una cretina, davanti a quella porta. Non ho ancora capito da dove provenivano quei passi e tanto meno a chi appartenevano e la cosa mi fa riflettere parecchio, almeno fin quando non sento la serratura scattare. Finalmente, la porta si apre e due pozzi verde intenso si fissano nei miei azzurro scuro.
E’ Luke. Rimaniamo così, a fissarci, come se niente fosse, come se già il fatto che io abbia trovato casa sua non fosse abbastanza strano. Lui distoglie improvvisamente lo sguardo, facendomi sentire intontita e riportandomi alla mente il vero motivo per cui sono qui in questo momento.
Adesso si che mi sente.

 

Luke

Lily. Lily. Lily Gray.Questo dice la vocina fastidiosa che talvolta mi ronza in mente. Lily Gray è davanti alla porta di casa mia, del mio appartamento, nonostante nessuno a scuola sappia dove abito. Mi ha seguito? Non penso. Questo si che è inquietante. Siamo qui, l’uno di fronte all’altra, con lei che mi rivolge uno sguardo carico di rabbia e di odio. Quando ha suonato il campanello, non mi sono neanche degnato di alzarmi dalla comoda poltrona sulla quale ero seduto. Nessuno mi fa mai visita, solo il mio insegnante di pianoforte, che qualche volta, s’interessa della mia vita, all’infuori delle lezioni di musica. Dopo un po’, però, ho deciso di andare a vedere chi era, perché percepivo una strana presenza dall’altra parte della porta, come se la persona che aveva precedentemente suonato il campanello, fosse rimasta ad attendere pazientemente. E, strano ma vero, avevo ragione. Ho guardato dallo spioncino per riuscire a comprendere l’identità della persona che aveva suonato il campanello e quando ho visto una ragazza dai capelli rossi e mossi, ho capito subito che era Lily, anche perché dentro di me avevo una strana sensazione di familiarità, di stare attendendo che lei venisse, che lei venisse da me. Dopo un attimo di esitazione, le ho aperto la porta, consapevole che non si sarebbe mossa da lì così facilmente. Presto i nostri sguardi si sono incatenati, come attirati da una qualche strana forza, come se cercassero qualcosa l’uno nell’altro. E adesso siamo qui; nessuno dei due si azzarda a rompere il silenzio instauratosi.
<< Posso entrare? >>  Annuisco e mi sposto di lato, facendola entrare nel mio appartamento e chiudendomi la porta alle spalle. La guido verso il “salone” ovvero una stanza con un comodo divano marrone di pelle pieno di morbidi cuscini e un televisore di media grandezza. Quando entro nella suddetta stanza, mi accorgo che è molto più disordinata di quello che ricordavo. La Play-Station regna silenziosamente accanto al televisore, come sempre e le custodie dei videogiochi sono disordinatamente sparpagliate sul tappeto chiaro. Sul tavolino ancora il cartone della pizza che ho ordinato ieri sera e una lattina di coca cola con una cannuccia di plastica mangiucchiata infilata dentro. Vi sono anche dei tovaglioli appallottolati e qualche briciola ancora sulla superficie vetrata del mobile. Ok, devo fare ordine. Osservo Lily che però non sembra affatto sorpresa e devo dire, che questo mi stupisce parecchio. Di solito alle ragazze non fa schifo la “tana” disordinata di un maschio. O è strana o è abituata al disordine. Mi schiarisco la gola.
<< Allora. >> Sembra risvegliarsi da un sogno ad occhi aperti, lo noto dal suo sguardo adesso un po’ più nitido. << Posso sapere il motivo della tua visita? E poi, come fai a sapere dove vivo? >>
Ghigna leggermente e si appoggia con disinvoltura al bracciolo del divano.
<< Ti cercavo. >> I suoi occhi sono di un grigio scuro e profondo. << E ti ho trovato. >>
<< E si può sapere perché mi cercavi? >> Continua a ghignare, con un’espressione in volto non tipica di lei. E’ stranamente cupa, disinvolta e tagliente.
<< Perché hai qualcosa che non è tuo. E che non ti saresti dovuto azzardare a toccare. >> Accentua e scandisce bene quell’azzardare e mi osserva severa. Ha capito tutto. Cerco di rimanere impassibile.
<< Tutto quello che vi è in questa casa è mio. Non ho nulla che non sia di mia proprietà. >> Cerco di essere il più convincente possibile e lo sono anche, eppure sento che lei non crederà mai e poi mai a questa mia affermazione. E’ come se riuscisse a leggermi l’anima e non so se sia una cosa negativa o positiva.
<< No, Luke. >> Si stacca dal bracciolo del divano in pelle e mi si avvicina lentamente. << Sbagliato. Tu non hai semplicemente qualcosa che non ti appartiene, tu hai qualcosa dimio. >> Il suo sguardo è freddo e distaccato. << Avanti, restituiscimi quello che devi. >>
<< Io non devo assolutamente restituirti niente. >> Non voglio che mi scopra; al massimo domani metto il ciondolo nel suo zaino senza farmi notare.
<< Ah davvero? >> Il suo tono di voce, che fino a poco fa era cauto e spiazzante, adesso lascia trasparire le sue emozioni. Irritazione, rabbia, fastidio e ironia. << Tu pensi di potermi ingannare? Ti sbagli e anche di grosso. Non sono stupida, non sono una delle oche senza cervello che ti vanno dietro. Io ce l’ho un’intelligenza e forse è anche troppo acuta per avere a che fare con uno come te. >> E’ furiosa e non la biasimo; avrei dovuto essere sincero con lei.
<< Lily, io… >>
<< “Lily, io” un corno! Io ti odio! Non avrei mai dovuto conoscerti, non avrei mai dovuto darti confidenza, ti avrei dovuto semplicemente lasciare stare, fare l’indifferente! Però, in questo modo, il tuo ego si sarebbe gonfiato il triplo di quello che già non sia. Sei un’egoista e lo sai anche tu! >> Sta praticamente urlando, non con una voce acutissima e fastidiosissima, però. Con la sua voce, più alta di “qualche” ottava. Apro la bocca per parlare, ma mi blocca nuovamente.
<< Usi una persona finché ti serve, finché può aiutarti a raggiungere i tuoi scopi. Tu non sei mai stato preoccupato per me, volevi semplicemente infliggermi una nuova ferita, una nuova preoccupazione, perché non sei mai stanco di far soffrire le persone, non è vero Luke? Puoi farmi di tutto: insultarmi e anche tirarmi uno schiaffo se vuoi; io mi so difendere e tu lo sai. Ma non puoi assolutamente toccare quella medaglietta! >> Fa un bel respiro e io capisco che la sfuriata è terminata. Sento un grande vuoto dentro, come se qualcuno mi avesse appena fatto un buco nel cuore. E’ forse dolore? E’ la stessa sensazione che ho provato a dieci anni quando i miei genitori mi rivelarono che ero stato adottato e che, di conseguenza, non ero sangue del loro sangue. Non avevo mai più provato una sensazione del genere, sono sempre rimasto indifferente agli insulti, ai pensieri e ai pregiudizi della gente. Con lei, invece, è diverso. Perché deve esserlo? Perché non posso ignorare anche le sue idee? Devo spiegarle il perché ho preso il suo ciondolo; devo dirle la verità.
<< Lily, sei una stupida. >> Faccio un passo indietro, allontanandomi ulteriormente da lei. << Io non so perché, davvero, non chiedermelo, ma mi preoccupo seriamente per te. Quando sei svenuta, non provavo compassione a vederti inerme a terra; provavo ansia, preoccupazione e un’incredibile voglia che ti svegliassi e che aprissi gli occhi. Non voglio niente da te. Non sono io che voglio provare queste sensazioni; le provo e basta. >> Sgrana gli occhi. Evidentemente, non si aspettava una simile risposta.
<< Sarei stupida se credessi a queste frasi. >> Stringe la mano in un pugno. << Ora, passiamo al dunque. Dov’è la mia collana? >> Sospiro e mi avvicino alla libreria, quella dove tengo il mio album fotografico con dentro il certificato di nascita. Ho nascosto la medaglietta lì. Sfilo l’album e prendo la medaglietta. Ritorno di fronte a Lily e gliela porgo. Lei me la prende malamente dalla mano e se la stringe prontamente al petto, chiudendo gli occhi e sospirando sollevata. Almeno è contenta. Adesso devo solo spiegarle che ho una medaglietta uguale alla sua.
<< Lily? >> Apre improvvisamente gli occhi, osservandomi con sguardo assassino. Andiamo bene…
Si avvicina con uno strano sorrisetto e quando è vicinissima a me si ferma. Ha ancora quello sguardo e quel sorrisetto, il che mi fa pensare ancora una volta al suo carattere contrastante. Alza di poco il braccio destro e prima che possa rendermi conto di cosa voglia fare, mi arriva un bello schiaffo vicino alla spalla. Devo ammettere che è forte e non è la prima volta che me ne rendo conto. Me lo sono meritato, ma…cavolo! Fa male!
<< Sei cretina?! >> Sbotto io mettendomi una mano nel punto dove mi sono stato colpito. Sorride e si allontana.
<< No, sono intelligente. Per questo ti ho dato questo schiaffo, mio caro Luke. >> Faccio una smorfia; non è il momento di mettersi a litigare, ho ben altro da dirle.
<< Senti, Lily. Devo dirti una cosa, abbastanza importante. >> Sospira rumorosamente.
<< E se io non volessi ascoltarti? >> La ammonisco con lo sguardo, severo.
<< Non fare la bambina, Lily. >> Sta zitta, forse riuscendo a comprendere che le devo veramente dire qualcosa d’importante. Porto entrambe le mani dietro il mio collo, nel prodigioso tentativo di sganciare la collanina. Questi gancetti sono degli aggeggi infernali. Per mia fortuna, si sgancia e adagio la medaglietta con tanto di catenina sul palmo della mano destra. Gliel’avvicino lentamente. Lei fa una faccia confusa e io mi affretto a parlare.
<< Guarda. È’ identica alla tua. >> Me la prende delicatamente dalle mani e quando la sua pelle sfiora il metallo della medaglietta io avverto una scossa dentro di me. La osserva attentamente e dopo un po’ borbotta un: “Non è possibile…”
<< Si, che lo è. >> Fissa nei miei occhi i suoi un po’ più chiari di prima.
<< Come…hai fatto? >> Sussurra lievemente.
<< Quando sei svenuta…>> Incomincio io. << La dottoressa ti ha sfilato la collanina, per paura che potesse darti fastidio. Quando se n’è andata io l’ho guardata e non ho potuto fare a meno di notare che era identica alla mia. L’ho presa e l’ho portata con me. Non sapevo che ci fossi così affezionata. >>
<< Andiamo, finiscila. >>
<< Che cosa? >> Sbotto io guardandola scettico.
<< Finiscila d’inventare tutte             queste scuse! Provi divertimento a farmi arrabbiare? A farmi scherzi di cattivo gusto? >> Si avvicina al tavolino e vi sbatte sopra la mano, lasciando lì la mia adorata medaglietta. E pensare che non l’ho mai fatta toccare a nessuno, tranne alla mia mamma adottiva quando me l’ha data. << Io me ne vado. >> E parte in quarta, camminando velocemente verso la porta d’ingresso. Stringo il pugno: ecco perché non mi apro completamente mai con nessuno. Quando senti di poterti fidare di qualcuno, quel qualcuno ti si rivolterà sempre contro e il tuo bel regno andrà a pezzi. Ho sempre preferito osservare il mondo per quello che è, con i nudi occhi della verità. Stavolta, evidentemente, la mia vista si era offuscata; avevo pensato di poter scoprire qualcosa sulle mie origini e che magari l’unica ragazza della scuola che mi odia avesse potuto aiutarmi, sostenermi, diventare mia amica, la mia migliore amica. E, invece, quella stessa persona alla quale stavo per dire anche troppo di me, se ne sta appena andando, senza aver nemmeno tentato di fidarsi di me, non pensando alla delusione che sto provando in questo momento. Però io mi sono sempre comportato male con lei; la verità? Che me lo merito, che mi merito tutto quello che mi è successo e tutto quello che mi succederà, merito di essere deluso. Perché io sono cattivo, perché io faccio soffrire le persone. Sento la porta aprirsi. Stringo talmente tanto il pungo che sento le unghie conficcarmisi nella pelle. Chiudo gli occhi. E’ fatta: ho perso la questa possibilità. Sto pochi secondi in questa posizione, con gli occhi chiusi e il respiro affannato senza un apparente motivo logico, eppure non sento la porta chiudersi e qualcosa rinasce in me. Io non posso sprecare quest’occasione! Sono combattivo, non mi arrenderò. Apro gli occhi e proprio quando spalanco la bocca per urlare il nome di Lily, la porta si chiude con un tonfo. Dannazione! Con uno scatto, comincio a correre e sblocco in fretta la serratura della porta d’entrata. Esco nel pianerottolo e noto che lei non c’è già più. Come può essere? Non mi risulta che sia flash…scendo in fretta le scale, notando che non ha preso l’ascensore e quando arrivo al terzo piano, scorgo una testolina rossa a distanza di due rampe di scale. Mi affretto a raggiungerla e quando sto per chiamarla, m’interrompe dicendo: << Cosa vuoi ancora? >> Sospiro; almeno sono riuscita a fermarla. << Lasciami Luke. Finiamola qui, non dobbiamo per forza parlarci. >> La sua voce stanca e quasi supplichevole mi induce a lasciarla andare, ma fortunatamente riesco nuovamente a focalizzare l’obiettivo e a non rinunciare. Non ci sarà un’altra occasione.
<< Lily ti prego, fammi spiegare. >> La guardo negli occhi e lei guarda me. Scuote il braccio, come per dirmi di lasciarmi andare, poi sbuffa.
<< Dai, saliamo a casa tua e sentiamo quello che hai da dirmi. >> Sorrido, niente ghigni. Un sorriso vero, solo per lei che, nonostante l’antipatia che prova verso di me, sta per ascoltarmi. Cerca di restare impassibile, però dopo un po’, non può fare a meno di rivolgermi anche lei un timido sorriso. Salgo gli scalini e sento, con grande sollievo, i suoi passi dietro di me. Entriamo in casa, la cui porta è restata bellamente aperta, a causa della mia immensa fretta nel raggiungere Lily. Ritorniamo nel salone e io prendo l’album fotografico lasciato sul tavolino, dove sono custoditi il mio certificato di nascita e alcune mie foto da piccolo. Prendo il certificato e glielo porgo. Lo prende, scettica, legge quello che c’è scritto e dopo un po’ alza lo sguardo dicendo: << E allora? >>
<< Quello è il mio certificato di nascita. >>
<< Lo vedo. >> Sospiro, un po’ scocciato dalla sua poca perspicacia.
<< Lily, non noti che in questa casa oltre a me non c’è nessuno? >> Si guarda intorno.
<< Hai ragione! I tuoi genitori sono a lavoro? >> Sorrido tristemente; magari fosse così.
<< No, io abito da solo. >> Fa una faccia sorpresa, ma resta in silenzio. << Ti ho dato il mio certificato di nascita per un preciso motivo. Sai che io credevo di essere nato il 22 dicembre? >>
<< Che significa? >> Da di nuovo un’occhiata al certificato di nascita.
<< Io sono stato adottato, non vivo con i miei genitori. >> Resta muta e immobile; sono consapevole del fatto che non si aspettasse una simile reazione. Nonostante ciò, decido di continuare a parlare. << Io non ho passato l’infanzia qui a San Diego. Ho sempre vissuto a Chicago. Quando ebbi compiuto dieci anni, i miei genitori mi rivelarono che non ero loro figlio naturale, che mi avevano adottato. Una rivelazione scioccante per un piccolo e allegro bambino, non credi? >> Annuisce shoccata. << Tempo dopo, la mia madre adottiva mi diede questa medaglietta. >> La prendo tra le mie mani. << Mi disse che gliel’aveva data la mia vera madre, la quale l’aveva pregata di darmela, un giorno. >> Mi siedo sul divano. << Capisci perché quando ho visto la tua medaglietta, sono rimasto così colpito? >> Si avvicina a me e anche lei si siede sul divano di pelle.
<< Stai dicendo la verità, giusto? >>
<< Si! >> Dico alterato io. << Perché pensi che ti stia mentendo? Non ho mai detto a nessuno questa cosa. Non ti sei chiesta perché nemmeno Miles sa dove abito. Almeno, immagino che tu sia andata da lui. >>
<< Si… >> Sorride impercettibilmente. E’ andata da lui.
<< Lo so che ti piace Miles. >> Sobbalza lievemente e la sento innervosirsi.
<< Sei fissato allora! Non mi piace Miles! >>
Ridacchio. << Peccato, Miles ne sarebbe molto content… >> Non faccio tempo a finire la frase che mi dà una cuscinata in faccia. << No, dico…ma sei pazza? >>
<< Ti conviene star zitto se non vuoi che ti soffochi con questo cuscino. >> Rabbrividisco pensando che sarebbe capace e scuoto la testa sorridendo. Incredibile come con  lei stia così bene. E poi, è vero che Miles sarebbe contento. E’ praticamente cotto di lei.
<< Chi ti ha detto dove abito? >> Mi sistemo malamente i capelli stravolti dalla forte cuscinata.
<< Ho convinto quel tuo amico. Aspetta, come si chiama? Ah, si, Cole. >> Fa una smorfia, il che mi fa pensare che estorcergli questa informazione non sia stato tanto facile. Cole è un ragazzo serio e discreto; sa della mia situazione, perché mi permette di studiare pianoforte lì al negozio dei suoi genitori. Già, Cole è il figlio dei proprietari e, poiché non è uno scansafatiche, lavora anche lui lì.
<< Abile la ragazza. >> Mi slaccio la catenina. << Slacciala anche tu; ti faccio vedere che sono praticamente identiche. >> Annuisce e se la slaccia, prendendola in mano. Le avvicino la mia mano: adesso le medagliette sono l’una accanto all’altra.
<< E’ pazzesco. >> Mormora. << Sono uguali. Luke, girala. >> Faccio come mi ha detto, probabilmente anche lei ha sempre trovato strana quell’incisione sul retro del ciondolo. Vedo i suoi occhi scorrere, per leggere quella strana parola. Riporta l’attenzione alla sua medaglietta e gira anche quella. << Questa, però… >> Indica l’incisione. << …è diversa. >> Le poggia sul tavolino e mi guarda dolcemente. Aspetta, dolcemente? Non è da Lily.
<< Mi dispiace. >>
<< E per cosa? >> Scuoto leggermente la testa. Non può provare pietà per me, non è quello che voglio. Sarà proprio per questo che non racconto la verità a nessuno. Quegli sguardi carichi di compassione…non li sopporto proprio. Secondo me, non vi è motivo di provare pietà, tristezza nei miei confronti. Dopotutto sono stato solo adottato, non maltrattato. Il rapporto con i miei “genitori” non è nemmeno stato così cattivo. I problemi, i distacchi, la paura sono sentimenti che si sono battuti dentro di me dopo la rivelazione, o forse, solo dopo aver aperto gli occhi ed essere maturato abbastanza per capire la verità. E’ come lasciare un filo al quale è attaccata la tua vita, come sentirsi versare un secchio d’acqua ghiacciata addosso, come cadere nel vuoto mentre si sta dormendo.
<< Perché… >> Si interrompe. Sospira. << Perché ti sei trasferito qui? >> Sorrido amaramente.
<< Perché l’affetto che la gente prova per te non è sempre così profondo come sembra. >>
<< Non potevano non volerti bene, ti hanno cresciuto dopotutto! >> E’ decisa e mi osserva in attesa di una risposta.
<< E’…complicato. >> 
<< Niente è così complicato come sembra. >> Mi dice con voce apprensiva.
<< Questo lo è. >> Rispondo altrettanto gentilmente. << Il tuo comportamento nei miei confronti non deve cambiare, non ti ho detto tutto questo per farti pena. >> Cerco di mantenere un tono duro e distaccato. << Ma io tengo parecchio a questa collana, ho sempre pensato che in qualche mondo avrei potuto ritrovare i miei genitori, parlare con la donna che mi ha messo al mondo e discutere di sport con il mio vero padre. E se sta succedendo tutto questo, ci deve essere un perché, dannazione. E io voglio scoprirlo questo perché, voglio sapere cosa c’è sotto. Per farlo, però, ho bisogno di un aiuto, del tuo aiuto. >> La guardo negli occhi, quasi supplicante. << Adesso la vera domanda è: mi aiuterai? >> Rimane in silenzio, a riflettere probabilmente. Abbassa lo sguardo e si guarda le mani. Chiaro segno di indecisione. Sono uno stronzo e lo so, però voglio rimediare. Forse sono anche un po’ egoista; non credo che avrei cercato di aggiustare le cose con lei se niente di tutto ciò fosse accaduto. Lei avrebbe continuato ad odiarmi (non che adesso non lo faccia) e io avrei continuato a farle i dispetti. Semplici e stupidi adolescenti. Io non voglio più che continui così; mi preoccupo per lei e non è normale: io non mi preoccupo mai per nessuno. Sembrerò insensibile, ma non posso farci niente. Qualcuno potrà pensare che sono un pezzo di marmo, freddo e duro e io gli potrò anche dare ragione. Se gli altri non si preoccupano per me, perché mai io dovrei preoccuparmi per loro? Eppure, con lei è diverso. E’ qualcosa d’incondizionato.
Improvvisamente, sento un rumore, un rumore di metallo che striscia su un’altra superficie. Osservo ciò che c’è intorno a me, ma non vi è niente di nuovo. Poi sento che la mano di Lily stinge il mio braccio all’altezza del gomito e mi giro di scatto. Lei mi indica sconvolta le nostre medagliette.


Non è possibile.      




 

Lo stupido angolo di una stupida e vergognata autrice
 

Ok, sono mesi che non aggiorno questa storia.
Ok, forse non ve la ricorderete nemmeno.
Ok, forse non lascerete nemmeno una recensione.
Ok, sono una ritardataria cronica.
Ok, Luke è fantastico.
Ok, il punto precedente non c'entrava niente.
Ok, mi dispiace.
Ok, basta con questi ok.
Ehilà! Vengo in pace auhhuahuahuahua 
seriamente, non è che non ho voluto continuare questa storia,
è che il blocco dello scrittore mi ha travolta, nel vero senso della 
parola. Ho inziato due nuove storie (probabilmente per 
sfogare il nervosismo giornaliero), ma non riuscivo mai a continuare questa.
Adesso sono lieta di annnciarvi che il blocco dello scrittore sembra avermi
abbandonata e io non posso che sfruttare questo fantastico periodo.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, come al solito, 
ringrazio chi segue questa storia e chi solo la visualizza.
Sono rimasta scioccata da quante visualizzazioni ha continuato a
"collezionare" nonostante io non aggiornassi. 
Pubblicherò presto il prossimo capitolo
Vi saluto! 
P.S. auguri a tutti:)

 
   
 
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