Volevo solo scrivere una fic che avesse come titolo quella parola, che poi si
è svelata una parola perfetta per un tema appropriato. Fic iniziata una cosa come…
un anno fa? Finita ora. Il destino di tutte le mie fic
(apparte la parte in cui vengono finite).
Non ha senso sotto
più punti di vista. Stile, italiano, senso canon,
pathos, profondità intellettuale, dove siete andate?
C’ho messo secoli a
decidere quando ambientare questa fic. Ero davvero
indecisa perché Allen tecnicamente ha uno spirito che è una montagna,
quindiii mi serviva un periodo di tempo in cui ancora
non sapesse cosa voleva dalla sua vita. E questo periodo era ambientato per i
miei gusti troppo presto perché Lavi fosse già innamorato :I
PERCIO’ da Laven è passata a LAVEN
PRESLASH, e il risultato è che avviene la notte prima della
partenza della nave di Anita, quando è passato già tanto
tempo da quando si conoscono, sono successe molte cose (nella mia testa ne sono
successe anche di più), e fate finta che siano amici superconsolidati.
Disclaimer:
[s.m., raro. Vedere anche: ‘grande desiderio irrealizzabile’]
.floccinaucinihilipilification
».
and then, the thing you care most about is out of the
grasp of your hand, never to return
( should have done something while you could )
I tuoi amici
ti dicono che, a modo tuo, sei prevedibile. ‘L’impresa più
pericolosa, e ti ci butterai; la sfida più ardua, e tu ne uscirai
vincitore’. Ma la tua vita, quella è imprevedibile. Le persone che
ti circondano lo sono anche di più.
“Quello
che so, è che tu non tieni sufficientemente alla tua vita.”
Il libro non
è poi così interessante. Lo posi aperto sulle cosce e lo ignori.
Lavi ti
osserva. Non fa altro che osservarti, ormai, e parlare. E parlare. E schivare i
tuoi pugni. E dire cose sempre più insensate ogni giorno che passa.
“Non
ho tendenze suicide, Lavi,” e davvero, sinceramente pensi che sia la
verità.
Lavi ti
osserva. Sbuffa, si lecca le labbra, se le asciuga con il dorso delle dita, si
massaggia il mento. Il suo occhio scorre sul tavolo, i mobili della camera da
letto, sul soffitto, su di te. Di nuovo su di te, sempre su di te.
“Consciamente,
forse no,” concorda, sbrigativo, e la sua risposta non ti piace.
“Ma il
fatto è,” continua, “che il tuo combattere ogni tanto
è come correre nudi verso mille lance sollevate. Non pensi a te stesso,
Allen.”
La camera
non ti piace più. È troppo silenziosa, troppo polverosa, non
c’è niente da guardare; nessuna distrazione, nessuna interruzione
tra una parola e l’altra per riprendere il respiro, sarebbe bello se Lavi
smettesse di parlare. Sarebbe bello se se ne andasse. Eppure Lavi non è
mai nel posto giusto al momento giusto. Tu lo sei, è una di quelle cose
per cui sei prevedibile. Lavi no. Lui rappresenta l’apoteosi
dell’imprevedibilità.
Guardi
dappertutto, eppure non c’è più nulla intorno a te; non
c’è mai stato nulla, perché i tuoi muri per Lavi sono solo
vetro trasparente. Non può toccare, ma può vedere. Ti chiedi se
arriverà mai il giorno in cui quei muri sublimeranno davanti a
quell’occhio imperscrutabile. E ti rispondi. La risposta è spero
non oggi.
“Non
è divertente, Lavi,” ti difendi. Non c’è
l’ombra di un sorriso nella stanza.
“Allen…” Sembra diverso. Sembra stressato, ed
è una novità. Ma non ti importa, anzi, forse se riesci a
stressarlo ancora di più smetterà di insistere sull’argomento.
“Non ci sono solo vite altrui da salvare, c’è anche la tua
da conservare.”
Un’imminente
emicrania preme contro la tua fronte.
“Non
dire idiozie, Lavi, per favore. Se fosse vero, con tutte le battaglie che ho
combattuto sarei morto da un pezzo.”
La voce di Lenalee riecheggia nella tua memoria, il suo sguardo
infuriato, le sue guance livide. Grida qualcosa, le parole si perdono. Continua
a urlarti contro.
“Questo
solo perché tu sei una creatura fuori dall’ordinario, Allen.
Immagina un’impresa ritenuta impossibile per chiunque, e con tutta
probabilità tu vincerai dove tutti gli altri prima di te hanno fallito.
È ciò che sei, ed è ciò che ti rende così
difficile da sconfiggere.”
Non ti piace
il modo in cui continua a ripetere il tuo nome ad ogni frase. Vuoi chiedergli
di smettere di pronunciarlo, ma temi che non sia su questo che puoi permetterti
di concentrarti nel mezzo di questa discussione. Inizi anche tu a tastarti i
capelli alla ricerca di insetti invisibili e a grattare il bracciolo della
poltrona. Poi ti fermi, e con calma stringi le mani insieme. Odi quando diventi
irrequieto. Ti domandi perché ti sei agitato in primo luogo, e non sai
darti una risposta soddisfacente.
“Forse,”
dice Lavi, “sei solo troppo forte perché ti si possa
sconfiggere.”
Per un
momento, contempli la possibilità di scoppiargli a ridere in faccia, e con
antitetica serietà valuti anche quanto a lungo tu debba tirare avanti
l’eventuale risata perché esprima al meglio il tuo parere in
proposito.
Ma Lavi
è così serio che gli angoli della bocca ti si piegano
all’ingiù senza che tu possa fare niente per risollevarli e darti la
desiderata parvenza di leggerezza.
“Quello
che non so, Allen, è come
farti capire che non sei autorizzato a buttare la tua vita come desideri… tu devi
sopravvivere.”
“Lavi,
quello che dici non ha alcun senso,” sospiri con tutta la pesantezza che
i tuoi polmoni ti concedono. “Non so cosa ti ha dato l’idea che io
non mi stia impegnando a sopravvivere in questa guerra, ma hai torto. Non ho
intenzione di morire.”
Lavi non
risponde. Distoglie lo sguardo, si stropiccia nervosamente l’occhio, e si
tortura il labbro inferiore.
“Tu…” Lavi si interrompe. “Tu. Tu cerchi
di salvare chiunque. Qualunque cosa. Salveresti anche un cespuglio. Il
problema,” Lavi arranca, incespica nelle sue parole e sembra di secondo
in secondo più afflitto. Più stanco.
È la
conversazione più stentata che abbiate mai condiviso.
“È
che devi imparare ad arrenderti. Che non puoi sempre salvare tutti. Che ogni
tanto non c’è più speranza di salvare qualcuno. Devi… valutare
quando è possibile fare qualcosa o meno. In quei casi…
dovresti semplicemente imparare a tirarti indietro. Perché sennò
sprecherai la vita in qualche tentativo inutile di riparare qualcosa che non
è destinato ad esserlo.”
Ti accigli.
Speri di non aver capito quello che Lavi sta cercando di dirti, perché
in tal caso vorrebbe dire che non ha capito nulla, nulla, di te, della tua vita, della tua guerra.
“Mi
stai chiedendo di smettere di salvare la gente a meno che non sia sicuro al
cento per cento di poterlo fare? Mi stai dicendo che devo smettere di rischiare la pelle per salvare la gente perché
la mia vita è più importante?”
“Sì—
no!” Lavi grugnisce in
frustrazione, strizza l’occhio, scrolla la testa. Sta perdendo la
pazienza, ti concedi di sperare che si alzi e se ne vada.
Ma Lavi non
se ne va, anzi, si alza dalla sua poltrona e si avvicina alla tua. È
arrabbiato, le sue sopracciglia sono talmente aggrottate che quasi si toccano,
e il verde smeraldo del suo occhio
vibra di emozioni in cui non desideri rimanere coinvolto.
“Qualche
giorno fa hai soccorso una bambina che era stata colpita da un proiettile akuma. Lo sapevi
che era senza speranza, l’hai visto, eppure al secondo colpo ti sei
buttato su di lei per difenderla. E ieri sei quasi morto ammazzato tentando di
salvare un akuma che stava per essere distrutto da un
altro akuma! Devo continuare? Ho la lista memorizzata
nella mia testa, una fotografia di ogni tua azione insensata! Quindi la
questione è: sei pazzo o solo stupido?!”
All’improvviso
ti senti le guance in fiamme, e le tue mani prudono per qualcosa da stringere e
rompere, ma con un estremo atto di volontà, le tieni saldamente ancorate
ai braccioli della tua poltrona. Le tue unghie lasciano smagliature indelebili
nella fine stoffa ricamata.
“Non
puoi sapere,” sibili tra i denti stretti, “tu non puoi vederle, le
anime. Non sai cosa vuol dire vederle marcire tra le catene, sentirle urlare
per il dolore, chiedere perdono per la loro debolezza…
non lo sai.”
“No,
non lo so,” sussurra Lavi, fermandosi nella sua marcia irruenta, e la sua
espressione è qualcosa di pietoso, nella sua esasperazione. Ma non ti
lasci abbindolare, e le tue dita non mollano la presa sull’unica tua
fonte di distrazione fisica. “Non lo so, Allen. Ma noi combattiamo ogni
giorno per loro, contro di loro, e in una guerra la morte è inevitabile.
Non puoi salvare tutti.”
“Non
lo posso sapere se non ci provo,” mormori velenoso, e ci metti meno di un
secondo a capire che è la cosa sbagliata da dire.
Lavi si
passa una mano sul volto nuovamente arcigno. “È almeno quello
l’ unico motivo per cui sei così? Il tuo unico problema è
davvero essere così dannatamente altruista? Perché a me non
sembra realistico! Ho girato il mondo, Allen, e non è umano essere
così spudoratamente altruista.”
“Forse
è quello che tu hai visto a non essere umano,” suggerisci con
rabbia mal repressa.
“Hah, forse
è questo, no?” Lavi sorride beffardo al soffitto, e non riesci neanche
a capire se sta schernendo te o se stesso,
perché Lavi sa essere complicato così. Ma l’unica cosa che
vorresti fare ora è alzarti e spingerlo contro il muro, allontanarlo,
fargli del male—forse in questo modo non ti sentiresti così messo
all’angolo. Non sai neanche perché
ti senti messo all’angolo.
Ma come
tutto il resto, alla fine non fai neanche questo. Più perché Lavi
ti batte sul tempo che per mancanza di volontà. Perché in un
battito di ciglia Lavi avanza e poggia le mani sui braccioli della tua
poltrona, le vostre facce così vicine da poter sentire i furenti respiri
reciproci.
“Vuoi
sapere cosa penso io, Allen?” sibila Lavi, e la sua iride è un
fuoco smeraldino di rabbia e frustrazione, così vivido che ne senti il
calore sulla tua pelle, sulle tue labbra, nei tuoi stessi occhi. “Penso
che tu sia stanco. Sia stanco di combattere, di soffrire, di trascinarti in
questa guerra senza fine in cui possiamo solo aspettare e affrontare le cose
man mano che ci vengono buttate addosso, senza poter prendere
l’iniziativa, senza poter dire ‘oggi è il giorno in cui la
facciamo finita’. Penso che tu sia stanco di rischiare la vita ogni
giorno e agire nell’ombra, non ricevere niente in cambio, nessuna
soddisfazione, nessuna felicità, neanche la speranza che il domani sia
migliore di oggi, perché non è mai migliore. Continua a diventare peggio, e peggio, e noi siamo
bloccati in questo circolo senza fine, senza possibilità di decidere per
noi stessi, e la gente ti parla di Innocence e
destino e doveri verso l’umanità e tu pensi ‘non l’ho
voluto io, non l’ho chiesto io questo potere’. Ed è normale,
tutti si sentirebbero così. Ma tu… tu
sei troppo forte per lasciarti andare, no?”
Lavi
prorompe in un sorriso malsano che vuoi solo strappargli dalla faccia, e
stringe quasi convulsamente le sue dita intorno alla poltrona, le sue nocche
bianche e minacciose che chiedono pace mentre il suo occhio scruta alla ricerca
di una reazione, oltre alla rabbia, che tu non vuoi concedergli.
“‘Continua
a camminare’, è il tuo motto, no? Perciò…
se non puoi abbandonare tutto questo, almeno puoi tentare di dedicarti
così intensamente alla tua missione che finirai morto in men che non si dica, potendo dire ‘ho dato il mio
meglio’. Morirai con un’ulteriore vita salvata sulla coscienza, o
nel tentativo di salvarla, e chi potrà biasimarti se non lotterai per
restare in questo mondo? È risaputo che fa schifo. Le persone non sono
fatte per sopportare certi dolori. Alla fine, tutti si spezzano.”
Ti limiti a
guardarlo, respirando appena. Vorresti dire qualcosa, vorresti controbattere,
opporti, gridare ‘no! No! Non è così!’ ma le parole
non ti escono, sanno di fumo sulla tua lingua. Apri la tua bocca, e la
richiudi, e per la prima volta in quell’ora speri che Lavi dica qualcosa,
qualsiasi cosa, che allontani il silenzio e quel che il silenzio potrebbe
significare.
Lavi
respira, finalmente più calmo, e c’è qualcosa nel modo in cui
il suo sguardo e le sue spalle cadono davanti a te che ti schiaccia il cuore in
una morsa inaspettata quanto dolorosa.
“Ogni
tanto, Allen, mi sembra che tu brilli,” Lavi mormora, ora con una voce
così flebile che se non fosse così vicino a te, forse non
riusciresti a sentirlo. “E ho la sensazione che un giorno arriverai a
brillare così intensamente che sparirai nella tua stessa luce, davanti
ai miei occhi, e io non potrò fare—e per il mondo sarà come
se non ci fossi mai stato, perché il mondo è così, ti
accoglie e subito ti mastica, ti sputa fuori, e poi ti inghiotte, tu non ci sei
più e tutto rimane come prima. Ma per il mondo, non per noi. Non per Lenalee, non per l’Ordine, non per Crowley, per Miranda, neanche per Kanda.
Per nessuna delle persone che ti conosce.”
Le tue dita
si rilassano contro la superficie ora sgualcita della poltrona, e tu con loro,
all’improvviso ti senti molle, debole, un corpo senza ossa adagiato in
una prigione di velluti sotto lo scrutinio di una persona che ti guarda e ti vede.
“Non
so neanche se vergognarmi ad ammetterlo, ma se fosse qualcun altro, non mi
importerebbe. Per quello che sono non deve
importarmene, ed è così. È sempre stato così. Ma
tu, Allen… tu sei un virus. Tu t’infiltri
in ogni fessura lasciata scoperta, travalichi ogni difesa che la gente alza
contro di te e penetri sempre più in profondità, e prima che le
persone se ne accorgano, sei lì, nella loro testa, nel loro cuore, e per
quanto si sforzino e si dicano che non vale la pena affezionarsi, perché
finirà tutto prima o poi, e di ogni cosa rimarrà solo il nome in
inchiostro su un vecchio libro, non riescono a cacciarti fuori.”
Cerchi di
distogliere lo sguardo, ma non ci riesci, ad un tratto lui è come un
magnete, catalizza tutte le tue emozioni, le tue forze, i tuoi pensieri, in
quel singolo punto, tutto si fonda su quello sguardo, e ti senti come se fossi
sul punto di afferrare qualcosa che ti era sempre sfuggito, un tassello elusivo
di un puzzle che tenti di comporre da anni.
“Perciò
Allen, ti chiedo un favore, perché so
che sei più forte di così. La prossima volta che ti troverai in
una situazione in cui ne va della tua vita…
pensa a loro. Pensa a Lenalee, pensa a Crowley, pensa ai tuoi amici, a tutti quelli che hanno
bisogno non solo del tuo braccio, della tua Innocence,
ma di te, di te. Se sei davvero così
altruista, pensa di dovere tornare a
casa, pensa a lei.”
E con
ciò Lavi scivola via da te, lasciandoti addosso un pesante senso di
rivelazione. Si passa la mano sugli occhi ancora una volta, ma questa volta con
essa ricade fuori la rabbia, e l’unica cosa che vi rimane è
un’insondabile spossatezza. Abbassi gli occhi, il pavimento accoglie il
tuo sguardo senza giudicarti e decidi che vi tratterrai l’attenzione per
un po’, per quanto basta a Lavi per andarsene, e magari qualche minuto in
più.
Ma quando
scorgi i piedi dell’altro sulla soglia, e Lavi ti sorprende
un’altra e ultima volta—“Lo so di essere egoista, ma… non ti devi permettere di lasciarci indietro, non
puoi.”— solo allora il
tuo nodo alla gola si scioglie, e non sai se è perché senti che
questo è il momento giusto per parlare, o semplicemente il tono di Lavi
mentre ti impone di vivere ti ha infranto qualcosa dentro che aspettava solo di
essere liberato.
“Io non…” inizi, ed è il dubbio che Lavi non
sia capace di crederti a fermarti in quell’istante. “Non voglio
morire.”
È
appena un sussurro quello che esce dalle tue labbra socchiuse, ma Lavi ti sente
comunque.
“Allora
dimostramelo.”
...
..
.
.
..
...
E
così la tua tomba è una solitaria e cupa foresta di bambù,
l’unica testimone delle tue ultime gesta una luna immensa e pallida che
ti ammicca dal profondo di un perfetto cielo notturno.
Senti il
sangue che sgorga dal piccolo foro che è dentro di te, dentro il tuo
cuore. Sgorga con sempre maggior vigore, incurante della vita che sta
trascinando con sé, nel tuo petto, e allaga il tuo torace, affoga i tuoi
polmoni in un oceano rosso vivo, e il dolore è così intenso che
ti impedisce di muovere una sola parte del tuo corpo senza forze, di respirare,
di pensare, di chiederti ‘e ora, cosa succederà?’
Il buco si
strappa e si allarga, e con esso la tua coscienza si stira, si indebolisce, le
tue braccia e le tue gambe paiono immobili blocchi di ghiaccio, e la luna si fa
sempre più vicina, un’argentea e rotonda luminescenza che in pochi
secondi diventa l’unica cosa che riesci a scorgere oltre le tue palpebre
cadenti.
E infine
ella è accanto a te, davanti a te, sei sicuro che non ci siano
nient’altro intorno se non lei, perciò con uno sforzo immane che
ti costa un altro fiotto di sangue fuori dalle labbra violacee, alzi la mano
dal suolo, per toccarla.
C’era
la luna piena anche la notte in cui Mana morì. Mana ha visto la luna
prima di morire, inizi a chiederti, è la luna che ti porta via? Che
raccoglie quel che resta di te oltre gli atomi del tuo corpo infranto e ti
porta in quell’altro posto?
E quindi
ora, mentre perdi sensibilità e il dolore si offusca e si mischia con il
nulla, te lo chiedi, che cosa succederà. Ho combattuto così
tanto, Mana, e sono così stanco. Voglio riposare da così tanto tempo… Ho cercato di salvare tutti, ho davvero tentato… Quello che vuoi ora è chiudere gli
occhi, e non sentire più nulla.
Non è
ancora abbastanza vicina, pensi, le tue dita non sfiorano nulla se non sbuffi
di aria gelida, ma sei convinto che basti ancora qualche secondo perché… perché…
pensa a loro
Per un
attimo, la luna sembra fermarsi nel suo tragitto, mentre tu la scruti,
implorandole di venire da te. E quando ella riprende a muoversi, lenta e
inesorabile, la tua mente ti disobbedisce e inizia a domandarsi
pensa a Lenalee…
pensa ai tuoi amici… sono egoista…
non ti devi permettere
Hai davvero
fatto tutto quello che potevi? Hai cercato di salvare Suman
fino all’ultimo, come ti ha chiesto Lenalee…
hai fatto la scelta giusta? È stato tutto inutile? La tua morte
sarà inutile?
pensa di dovere tornare a casa
Forse aveva
ragione. Forse ha sempre avuto ragione, lui, Lenalee,
tutti, forse ti conoscevano meglio di quanto tu conosca te stesso. Forse stavi
aspettando questo momento da anni.
‘Come sei grande…
non avvicinarti…’ pensi, indistintamente,
ma la luna non ti ascolta, non sente le voci che senti tu rimbombare nella
testa.
E forse, c’è
davvero qualcuno che sa che puoi essere più forte di così.
quando chiudi gli occhi e pensi
al mondo, cosa vedi
‘Non voglio…’
realizzi, e i tuoi occhi si aprono da soli con una violenza che credi per un
attimo di essere solo degli occhi.. Cerchi di muovere le labbra, ma non riesci
più a distinguerle, non riesci a capire se senti troppo o troppo poco,
il dolore, il nulla, la luna, niente sembra più reale, immerso in una
foschia onirica, l’unica cosa che rimane sei tu, e l’assurda
certezza che sei ancora vivo. ‘Non voglio! Io non sono ancora…
Ancora…!
Non voglio morire!’
‘E non morirai, Allen Walker,’
la voce ti sussurra.
In definitiva penso che il
progetto di fare apparire Lavi come quello che ha ragione sia un po’
fallito, che sia Lavi quello tremendamente egoista che un po’ tiene
troppo ad Allen e un po’ si sente una merda in confronto
all’umanità che Allen dimostra nei confronti del mondo
(perché lui in confronto non è esattamente ‘umano’ e
ricco di pietas :I ) e Allen sia solo lo stupido altruista che mette in secondo
piano la propria vita HAHA maaa a voi la scelta.
Tanto questa fic non ha senso comunque. Però
mi dà grande soddisfazione, in qualche modo, riuscire a ritirare fuori
una fic dagli oscuri antri del mio computer e
portarla a termine, a prescindere dal risultato finale. Poi la maggior parte
delle mie fic le rileggo mille volte e le cambio
sempre qua e là, quindi magari mbooh col tempo
potrebbe migliorare. Ora volevo solo pubblicarla HAH. Revius
ar lòv :)
PS. A proposito della parte
con Suman, ora che ci penso…
Lenalee l’ha menata tanto con il fatto che
Allen si sia quasi ucciso per salvare gli akuma di
Road dall’autodistruzione (e a ragione, direi), eppure quando compare Suman, prega Allen in ginocchio di salvarlo, mandando
così sia Allen in uno stato di debolezza assurda per un tentativo pseudononriuscito, e poi ovviamente in uno stato di quasimorte, come sappiamo tutti. Lenalee,
ma dio santo… (sono certa che Lavi ce
l’avesse un po’ con lei per avergli chiesto una cosa del genere.)