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Autore: Alexandra e Mac    06/01/2013    8 recensioni
Chi è realmente Lady Sarah? E perché ha abbandonato l'unico uomo che le aveva fatto conoscere l'amore?
Come procede la storia tra Harm e Mac?
Per chi ha seguito con passione Giochi del Destino regaliamo (da brave STREGHE - o BEFANE!!!) il seguito della storia...
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Clayton Webb, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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 Il marchio JAG e tutti i suoi personaggi appartengono alla BELLISARIO PRODUCTION. In questo racconto sono stati usati senza alcuno scopo di lucro.
Qualunque riferimento a fatti o persone, che non siano avvenimenti o personaggi storici, e’ del tutto casuale.
I contenuti del racconto sono tutelati ai sensi della legge 633/1941 (legge sul diritto d’autore). Tutti i diritti riservati.

Capitolo I

Un nuovo inizio


Appartamento del Capitano Harmon Rabb
Hyde Park, Londra

Marzo 2005


La sveglia suonò trillando allegra e lo squillo si diffuse per l’appartamento semibuio. Fuori, la city aveva già cominciato la sua frenetica giornata e la gente affollava le strade, i bus e i metrò.

Harm mise un braccio fuori dalle coperte e assestò un colpo deciso all’odiato aggeggio che smise di suonare. Aprì gli occhi e scrutò la penombra della camera da letto. Udiva il rumore attutito del traffico cittadino che gli ricordava dove si trovava: Londra.

In cucina rumore di piatti e padelle che sbattevano e armadietti che venivano prima aperti e poi chiusi. Si alzò e s’infilò una T-shirt sopra i boxer; scostò i pesanti tendaggi che oscuravano la camera e guardò fuori arricciando il naso in una smorfia di disgusto.

“Pioggia” disse a mezza voce sbuffando, “ma lo sanno cos’è la primavera o no?” Aprì la finestra per arieggiare la stanza.

Dalla cucina arrivava profumo di pane tostato, bacon e uova. Arricciò il naso ancora una volta.

“Ma questi inglesi lo conoscono il caffè?” si chiese dirigendosi verso la cucina.

“Ciao!” lo salutò allegra Belinda e gli andò incontro baciandolo sulla guancia ancora ispida.

“Ciao” la salutò lui con affetto.

Lei tornò ad occuparsi della teiera che cominciava a fischiare. La pancetta friggeva e le uova strapazzate erano pronte. Sulla tavola facevano bella mostra di sé toast fumanti, marmellata di arance amare e succo d’arancia appena spremuto.

Si sedette un po’ frastornato. Non era ancora abituato alla tipica british breakfast, al massimo, quando era negli States, si concedeva una tazza di caffè al volo prima di uscire di casa.

Ma ora non era più a Washington e la sua vita era completamente cambiata.

Guardò Belinda che si muoveva con sicurezza come se quella fosse stata da sempre la sua cucina e la sua casa.

L’aveva conosciuta un paio di mesi prima ad una delle solite riunioni con lo staff del Ministero degli Esteri. Era una civile, la segretaria di un qualche ministro di cui al momento gli sfuggiva il nome. Lì per lì non l’aveva colpito molto: non tanto alta, rossa di capelli e con un mare di lentiggini sul viso, assomigliava vagamente alla ex moglie del principe Andrea.

Tuttavia si erano incontrati nuovamente ad un’altra riunione e durante una pausa avevano incominciato a chiacchierare e tra una chiacchiera e l’altra lui le aveva detto di essere in cerca di un’automobile inglese d’epoca da acquistare. Belinda l’aveva notevolmente sorpreso sfoggiando una cultura in fatto di macchine, inglesi e non, davvero notevole. Discretamente e con molta prudenza, l’aveva invitata per un drink (“Si dice un the” l’aveva corretto lei) quella sera stessa per continuare la conversazione. Poi dal the era passato ad una cena, fino quando, appuntamento dopo appuntamento avevano finito col fare coppia fissa.

Belinda gli piaceva, era socievole, cortese e dotata di un sense of humour tipicamente inglese. Non solo, era anche intelligente e, cosa più importante, non aveva insistito per ritagliarsi uno spazio nella sua vita. Quando accadeva che si fermasse per la notte, e ultimamente stava accadendo molto spesso –tanto che lei aveva trasferito parte delle sue cose nell’appartamento di lui-, non gli dispiaceva ritrovarla al mattino addormentata accanto a sé oppure impegnata in cucina a preparargli la colazione.

Stava bene con lei, era un rapporto franco e sincero e senza troppe complicazioni.

Le si sedette di fronte e guardò sospettoso la tazza piena di the fumante, annusandone l’aroma.

“Guarda che è solo the, Harmon” gli disse Belinda con aria canzonatoria. “Non ho intenzione di avvelenarti. È solo un sano e buon Prince of Wales tea.”

“Voi inglesi siete strani, come facciate a bere questa brodaglia a colazione, pranzo e cena ancora lo devo capire.”

“Noi inglesi non siamo strani, siete voi americani quelli fissati col caffè a tutte le ore!” ribattè divertita.

Risero e terminarono la colazione.

Dopotutto quella nuova vita non era poi così male, si disse mentre la baciava prima di uscire.

Magari potrei anche impegnarmi in qualcosa di più serio con lei, pensò chiudendo la porta di casa.

Quel nuovo inizio non gli dispiaceva davvero.

 

 

 

 


Palazzo di Lord e Lady Belhaven
Londra

Marzo 1858

Molte teste si voltarono all’ingresso della donna in sgargiante abito rosso.

Il ricevimento che quella sera, nel palazzo di Lord Belhaven, inaugurava la stagione londinese, era diverso dai soliti cui l’aristocrazia inglese era abituata.

Si trattava, infatti, di un ballo in maschera, voluto dalla stessa Lady Belhaven per  sfoggiare l’abito che aveva acquistato in Italia poco più di un mese prima, durante il Carnevale di Venezia.

Lady Amanda Belhaven si era invaghita di quella mise mascherata fin dal primo momento in cui l’aveva vista nel negozio di Piazza S. Marco e aveva convinto il riluttante marito a comperargliela. Lord Belhaven non ne vedeva la necessità: dopotutto, per la festa di Carnevale cui erano stati invitati, era sufficiente fare come tutti gli altri ospiti ed affittare un abito adatto all’occasione in una delle varie sartorie che da tempo avevano intrapreso quell’usanza. Del resto era più che comprensibile che gli aristocratici italiani preferissero affittare ogni anno un abito diverso, pur pagandolo una discreta somma, piuttosto che spendere cifre da capogiro per costumi favolosi che avrebbero usato una sola volta. In quel modo potevano devolvere la stessa cifra per toilettes che avrebbero potuto sfoggiare per lo meno due volte nel corso della medesima stagione.

Lord Anthony aveva tentato inutilmente di convincere sua moglie ad evitare quell’inutile acquisto, ma lei, pur di soddisfare il proprio capriccio, lo aveva abilmente convinto che l’abito avrebbe potuto usarlo almeno un’altra volta. Lord Belhaven, nel domandare ingenuamente dove e quando l’abito avrebbe fatto bella mostra di sé, mai avrebbe immaginato che “dove” sarebbe stato in casa propria e “quando” avrebbe significato “a breve”, ossia ad appena due settimane dal loro rientro in Inghilterra!

Rassegnato all’inevitabile, aveva acquistato l’abito per la moglie, evitando di dirle quanto le conferisse un’aria ancora più imponente di quella che già aveva, altrimenti era certo che i soldi sarebbero stati buttati al vento. Lady Amanda, tutta felice, aveva sfoggiato l’abito alla festa del carnevale veneziano e quindi, rientrata in patria, aveva organizzato un ricevimento in maschera appositamente per farsi ammirare dalle sue amiche.

Nonostante la reale motivazione che aveva dato origine all’idea del ballo in maschera, Lord Belhaven doveva riconoscere che la pensata di sua moglie era stata davvero astuta e, soprattutto, accolta con entusiasmo dall’alta società londinese, sempre alla ricerca di occasioni più o meno valide per indire o per partecipare ad un serata mondana.

Quella sera, nella loro sala da ballo, oltre duecento invitati facevano sfoggio con allegria di abiti in maschera: erano soprattutto le signore ad avere le creazioni più stravaganti, come ovvio; ma egli aveva notato anche diversi uomini in costume, segno che l’idea era davvero piaciuta e aveva soprattutto divertito. Dal canto suo si era limitato ad indossare una maschera che gli celava ben poco il volto, lasciando i riflettori puntati sulla sua esuberante consorte.

Seguendo lo sguardo ammirato di parecchi uomini, nonché quello incuriosito e indagatore di molte signore, Lord Belhaven si voltò verso l’entrata del salone e per un attimo si fermò anch’egli ad ammirare la giovane donna che aveva appena fatto il suo ingresso.

La dama in questione era davvero molto bella: indossava un abito provocante, che scopriva ampiamente le spalle e metteva in risalto il seno generoso, molto più di quanto la moda pudica di quegli anni avrebbe permesso.

L’esile collo era evidenziato dall’acconciatura raccolta, dalla quale sfuggivano piccole ciocche di capelli neri. Lunghi guanti rosso fuoco, dello stesso colore dell’abito, coprivano le braccia, facendo risaltare maggiormente la pelle delle spalle e del decolleté. Non un gioiello adornava la donna, ma non ce n’era bisogno: era talmente seducente con quell’abito che nessun gioiello avrebbe potuto renderla più affascinante.

Una mascherina in velluto nero le copriva gli occhi, mentre un velo in pizzo, anch’esso nero, le velava il volto, conferendole un’aria misteriosa e intrigante che attirava ancora di più gli sguardi dei signori e l’invidia delle signore.

Lord Anthony avrebbe voluto poter esprimere a sua moglie il suo pensiero di quel momento, ma sapeva che, se lo avesse fatto, la sua serata sarebbe stata irrimediabilmente rovinata: Lady Amanda si sarebbe offesa per il suo commento ed egli avrebbe dovuto dire addio alla pace in famiglia come minimo per una settimana. Tuttavia, osservando l’affascinante sconosciuta, non poteva fare a meno di pensare che, nonostante gli sforzi intrapresi dalle altre signore (alcune delle quali molto graziose) per trovare un costume originale o particolarmente appariscente, nessuna di loro, neppure sua moglie che indossava il costoso abito veneziano, era stata in grado di suscitare tanta ammirazione com’era riuscita a fare la bellissima donna appena arrivata semplicemente con un abito rosso fuoco ed una mascherina nera.

Si domandò chi fosse la nuova invitata e decise che avrebbe trascorso la serata ad osservarla fare strage di cuori maschili. Si divertiva parecchio durante i ricevimenti mondani ad osservare come gli uomini, spesso annoiati dai tentativi di parecchie signorine di attirare l’attenzione di un buon partito, diventassero istantaneamente interessati al ballo e al corteggiamento quando all’orizzonte si profilava una dama particolarmente bella.

E la signora in rosso era davvero molto bella ma, soprattutto, molto intrigante.

Lord Anthony sorrise tra sé e si disse compiaciuto che la serata sarebbe stata più divertente di quanto avrebbe mai osato sperare.

Dopo aver consegnato l’invito al maggiordomo dei Belhaven, Lady Sarah Jane Montagu si fermò per un attimo ad osservare lo spettacolo che aveva davanti agli occhi prima di entrare nel vivo della festa, senza rendersi conto che, proprio fermandosi, non faceva altro che attirare maggiormente gli sguardi su di sé.

Alla fine era contenta di aver deciso di prender parte al ricevimento: l’ultimo anno era stato davvero difficile e aveva bisogno di godersi una serata in allegria. Il ballo in maschera di Lady Belhaven era l’occasione adatta per rilassarsi, senza dover essere costretta a rispondere a domande fastidiose o a sentirsi fare nuovamente le condoglianze per il lutto che l’aveva recentemente colpita. L’anonimato della maschera le garantiva la privacy che le serviva per divertirsi, evitando di sopportare le noie della vita di società che a volte detestava cordialmente.

Si guardò attorno: il salone risplendeva di luci e colori; le signore facevano sfoggio di costumi davvero appariscenti, nonché originali, ed erano adornate di gioielli e in alcuni casi anche parrucche, per rendere i travestimenti più credibili.

Vi erano principesse egizie, con tuniche e tiare dorate e nobildonne in abito settecentesco, che volevano ricordare la regina Maria Antonietta; affascinanti corsare e seducenti gitane, principesse orientali e domini colorati… era impressionante osservare come la fantasia delle nobildonne inglesi si era lasciata trascinare dall’entusiasmo, scordando persino il pudore vittoriano che caratterizzava quegli anni,  pur di agghindarsi per una serata in maschera.

Gli uomini erano più sobri, ma non mancavano anche alcuni costumi maschili davvero originali. Nonostante il travestimento riconobbe facilmente alcuni degli invitati, mentre per altri l’impresa fu più ardua, tanto le loro toilettes erano molto convincenti.

Per se stessa aveva volutamente puntato sul mistero: nessun costume particolare per attirare l’attenzione, soltanto una maschera che le avrebbe permesso di nascondere la sua identità e passare inosservata.

Quello sarebbe stato il suo intento, ma non aveva tenuto conto di un particolare: l’effetto che faceva il suo fisico strepitoso inguainato nel provocante abito rosso.

Non appena si decise ad entrare nel salone, immediatamente fu attorniata da alcuni signori, più o meno giovani, che si prenotarono per un ballo.

Dopo pochi minuti il suo carnet era pieno e stava già volteggiando tra le braccia del suo primo cavaliere, travestito da capitano della Marina britannica (o lo era davvero?).

Decise di godersi la festa e le attenzioni degli uomini sui quali, evidentemente, aveva fatto colpo. Per un breve istante la sua mente ritornò ad un altro uomo, col quale molto tempo prima e in un luogo lontano aveva danzato, ma immediatamente s’impose di scacciare quel ricordo dalla mente, prima che l’umore peggiorasse e si ritrovasse con gli occhi pieni di lacrime.


Uffici del JAG
Falls Church, Virginia

Marzo 2005

“Colonnello” la salutò Vukotic incontrandola nell’atrio del JAG al piano terra.

“Tenente” rispose un po’ freddamente Mac.

Presero l’ascensore e salirono al piano senza dirsi una parola. A Mac Vukotic non piaceva, lo considerava troppo spavaldo e superficiale nella gestione del lavoro, ed era per questo motivo che, in più di un’occasione, non l’aveva voluto come partner nella conduzione di questa o quella indagine, preferendogli sempre più spesso Bud.

Quando aveva espresso le sue perplessità all’Ammiraglio, questi le aveva risposto che il giovane Tenente gli ricordava un po’ Rabb agli inizi della carriera.

Mac aveva replicato che “Harm era spavaldo e cow boy, ma sapeva darsi un freno”, Vukotic no. Si impicciava troppo di affari che non erano suoi nel tentativo di ingraziarsela.

Dentro di sé, ma questo all’Ammiraglio non l’aveva detto, pensava che il tenente non avrebbe mai raggiunto il livello di bravura del suo predecessore.

Le porte dell’ascensore si aprirono e Mac si diresse verso la sua stanza senza nemmeno prendere un caffè. Ma ormai l’abitudine del caffè l’aveva persa da quando Harm non c’era più.

Com’era difficile abituarsi alla sua assenza! Ancora adesso, dopo quasi quattro mesi, quando aveva un dubbio su un caso e desiderava un consiglio, oppure quando aveva voglia di discutere di un qualcosa, si alzava e solo quando arrivava alla porta dell’ufficio si ricordava che la stanza attigua era occupata da Sturgis.

Tuttavia si era adattata abbastanza bene a questa nuova vita cercando di vederne il lato positivo: senza Harm le cose erano infinitamente più semplici. Sotto ogni punto di vista.

E poi c’era Clay. In tutto quel tempo le era sempre stato accanto facendole una corte abbastanza serrata, ma non insistente o noiosa: cene nei più eleganti ristoranti di Washington, prime teatrali, viaggi e week-end in posti sempre diversi e bellissimi. E tutto questo senza forzarle la mano a prendere una decisione. Sembrava che volesse solo starle accanto ed amarla.

All’inizio si era sentita in imbarazzo, ma poi, con il passare dei mesi, aveva incominciato ad apprezzare tutto quello che lui le offriva. Sapeva che era un tentativo di chiederle scusa per la loro storia passata dopo il Paraguay, e Mac era più che disposta ad accettare quelle scuse. Clay era un uomo buono e dolce, bastava grattare sotto la scorza della spia, e alla fine si era convinta che la felicità con lui era possibile. Le offriva una vita agiata senza pretendere che rinunciasse alla carriera, l’amava, la voleva e glielo dimostrava. Cosa desiderare di più?

E la sera prima, a casa di lei, dopo una cena molto romantica aveva ceduto a lui, gli si era donata e aveva fatto l’amore con Clay con tutto il trasporto di cui era capace.

“Perché no?” si disse mettendo finalmente mano al lavoro. “Perché negarsi la felicità inseguendo una chimera?”

Per troppo tempo si era cullata con l’idea di trovare l’uomo perfetto, per troppo tempo aveva sperato in Harm, poiché in lui vedeva la realizzazione di ogni suo ideale. Ma ora era tempo di voltare pagina. Harmon Rabb jr le aveva fatto perdere di vista la concretezza e il lume della ragione. Certo il rapporto che c’era stato fra di loro era stato un qualcosa di unico che non avrebbe mai avuto eguali, ma questo non significava necessariamente che non avrebbe potuto vivere qualcosa di altrettanto bello e diverso con un’altra persona. Clayton Webb, per esempio.

Un nuovo inizio, pensò sorridendo alla fotografia di quello che ormai era diventato il suo compagno.

 

 

 

 

Ufficio di Clayton Webb
Langley, Virginia

Marzo 2005

 

Clayton Webb fissò il panorama che si distendeva sotto i suoi occhi dalla vetrata del nuovo ufficio che occupava.

Direttore Generale delle operazioni in Medioriente: ecco il suo incarico. Un posto di responsabilità che avrebbe comportato una sensibile diminuzione delle missioni sotto copertura, e, come conseguenza, più tempo da dedicare a Sarah.

“Sarah” mormorò mentre un sorriso impercettibile piegava gli angoli della bocca. Ne era innamorato da sempre, sin da quando l’aveva conosciuta, ma lei non aveva fatto altro che spasimare per quell’arrogante presuntuoso di Rabb, rovinandosi la vita per attirare la sua attenzione.

Ma adesso lui era fuori gioco, lontano migliaia di miglia e Sarah era tornata da lui. Finalmente.

Non aveva voluto forzarla, la decisione era totalmente dipesa da lei, anche se questo gli era costato un notevole sforzo. Più di una volta aveva dovuto trattenersi, ma quell’attesa snervante alla fine aveva dato i suoi frutti e la sera prima aveva potuto fare l’amore con lei nuovamente.

Che soddisfazione poterla avere fra le braccia mentre la baciava e lei rispondeva con ardore e passione alle sue carezze e ai suoi baci! Quasi quasi avrebbe voluto scrivere due righe a Rabb per informarlo dell’accaduto, ma poi ci aveva ripensato.

C’erano altri modi per vincere. Invitarlo a nozze, per esempio.

Perché lui Sarah Mackenzie l’avrebbe sposata, anche se lei ancora non lo sapeva.

“Un nuovo bellissimo inizio” si disse soddisfatto voltandosi e chiamando la segretaria.

 


Palazzo di Lord e Lady Belhaven
Londra

Marzo 1858

Appoggiato ad una colonna la osservava affascinato volteggiare leggera tra le braccia di un ridicolo Lord Gladstone travestito da principe egiziano. Neppure l’attempato e notoriamente misogino Conte di Mondevale era stato in grado di resistere al fascino della seducente dama in rosso.

Da quando era arrivata era stata travolta da inviti di quasi ogni uomo presente in sala. Alcuni avevano persino sopportato gli sguardi irritati delle rispettive mogli, ben consapevoli che vi sarebbe stato più tardi anche un seguito a quelle occhiate, pur di poter ballare almeno una volta con lei. E lei danzava civettuola con ognuno dei suoi cavalieri, ma non concedeva mai a nessuno un secondo ballo.

Era davvero molto bella: quell’abito rosso fuoco le stava d’incanto e la maschera che le velava il volto la rendeva più intrigante di qualunque altra dama presente quella sera.

L’uomo sorrise pigramente al pensiero di avere tra le braccia quella bellissima donna, ma decise che non avrebbe danzato con lei in quel salone, sotto gli sguardi di tutti. Avrebbe atteso quando certamente si sarebbe appartata un momento in giardino e poi l’avrebbe invitata a danzare con lui alla luce soffusa della luna.

Quella sera di metà marzo, insolitamente tiepida per il clima inglese, sembrava fare al caso suo: Lady Belhaven, approfittando dell’insperata concessione del tempo, aveva fatto aprire il giardino e molte signore ne avevano già approfittato per prendere una boccata d’aria fresca, accompagnate dai gentiluomini che si erano concessi volentieri un sigaro.

Quasi gli avesse letto nel pensiero, la vide congedarsi da Lord Gladstone, rifiutare l’invito del visconte di Kesington ad accompagnarla, e dirigersi verso una  portafinestra.  Aveva pensato di attendere qualche minuto prima di raggiungerla, ma l’impazienza di esserle accanto ebbe la meglio su di lui: uscì sul terrazzo, giusto in tempo per scorgerla scendere i gradini che conducevano al giardino.

Rapidamente la seguì.

Mentre dalla sala da ballo le giungevano le note dell’orchestra, Lady Sarah passeggiò lentamente tra le aiuole abilmente sistemate dai giardinieri di Palazzo Belhaven, cercando di restare nella parte di giardino dove erano state sistemate gaie luminarie. Sapeva bene che non tutti i sentieri erano illuminati e non voleva incontrare coppie che stavano cercando un po’ d’intimità nel buio della notte. Non si era fermata sulla terrazza solo per evitare di essere costretta ad intrattenersi con qualcuno, soprattutto quando aveva riconosciuto Lord e Lady Lyttelton che stavano parlando con Lord Palmerston. Lady Lyttelton era nota come una delle peggiori chiacchierone di Londra e lei non aveva alcuna intenzione di essere intrattenuta dalla anziana nobildonna.

Aveva appena aggirato un’alta siepe di bosso quando, all’improvviso, si trovò di fronte un uomo in costume da pirata.

Lo sconosciuto, molto alto e di corporatura atletica, la stava osservando con insistenza. Indossava pantaloni neri aderenti e una camicia candida, ampia e parzialmente aperta sul torace muscoloso. Una benda nera all’occhio destro e un fazzoletto, anche questo nero e legato sul capo alla maniera dei pirati, gli conferivano un aspetto un po’ pericoloso.

Lady Sarah ricambiò lo sguardo e all’improvviso pensò di avere una specie di deja-vu: se non fosse stato per la folta barba scura che ricopriva totalmente il volto del “pirata”, avrebbe quasi potuto scambiarlo per…

No. Ma che andava a pensare? Non poteva essere lui.

Doveva smetterla di vederlo in ogni uomo alto e bruno che le capitava di scorgere, anche solo da lontano.

Mentre lo osservava, egli si accese un sigaro, chinando la testa da un lato e riparando con le mani la fiamma; poi tornò a guardarla, mentre lentamente aspirava la prima boccata.

Con un breve cenno del capo lei fece per andarsene, ma la voce dello sconosciuto la fermò.

“Siete bellissima…”

Turbata da quella frase, si voltò bruscamente verso di lui, con il cuore in gola: erano le stesse parole che, in un’altra vita, un altro uomo le aveva sussurrato mentre la prendeva tra le braccia per ballare.

Il “pirata” la stava osservando intensamente, quasi a volersi imprimere nella mente la sua immagine. Anche quello sguardo la turbò.

“Desidererei moltissimo danzare con voi, Milady…” aggiunse lui, porgendole il braccio.

Lady Sarah rimase immobile, ancora sconvolta dai ricordi che lo sconosciuto aveva risvegliato in lei: la voce era diversa, il timbro più basso, addirittura un po’ cavernoso… e poi mancava dell’accento francese che tanto l’aveva intrigata. L’uomo che aveva di fronte in quel momento parlava in perfetto inglese, privo d’inflessioni di sorta, come si conviene ad un nobile ben istruito.

Ma quelle parole… e quel “Milady”…

Era pazza, lo sapeva! Come si aspettava che le si rivolgesse un gentiluomo inglese se non come “Milady”, non sapendo chi lei fosse?

Eppure… eppure era bastato quell’appellativo, lo stesso con cui le si rivolgeva prima che l’intimità tra loro gli facesse mormorare il suo nome con quel tono di voce sussurrato e appassionato che le faceva venire i brividi… era bastato quell’appellativo per farle salire le lacrime agli occhi.

Soffocando a stento i singhiozzi, si voltò di scatto e prese a correre verso il palazzo, per sfuggire allo sconosciuto che le aveva sconvolto la serata con una semplice e innocua frase.

Per quanto tempo ancora il suo cuore si sarebbe spezzato al solo ricordo di André François D’Harmòn?

 

  
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