Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: MaTiSsE    07/01/2013    4 recensioni
Londra, 1978.
Isabella Swan ha 17 anni. E' figlia di un diplomatico americano e di un' ex maestra d'asilo inglese, religiosa e moralista sino allo stremo. Frequenta con profitto una prestigiosa scuola privata ed i suoi amici fanno tutti parte di quella "Londra bene" che tanto piace a sua madre: eppure tollera poco l'etichetta dell'alta società cui appartiene e di nascosto ascolta i Sex Pistols.
La sua vita cambia il giorno in cui incontra Edward Cullen, un disadattato ragazzino della provincia inglese con un'unica passione: quella per la musica.
Perchè Edward, nonostante la vita burrascosa ed i mostri che si porta dietro, rappresenta tutto ciò che lei vorrebbe essere.
Rappresenta la ribellione, l'angoscia, quel desiderio di cambiare che si agita anche dentro di lei. E rappresenta quell'amore VERO che sta cercando da troppo tempo.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
[Riassunto puntate precedenti: Frank, il fratello di Marla, ha minacciato Edward di punirlo se non avesse lasciato Isabella per tornare con sua sorella. Edward lascia correre e non fa parola con nessuno dell’accaduto ma Frank, che lavora per il potente Royce King – con il quale Edward ha già un conto in sospeso – mantiene fede al suo proposito e aggredisce Isabella. Edward va a trovarla a casa e le promette che sistemerà le cose.
Buona lettura! ^^]





 
 
 

My Ugly Boy

 



 
 





Tanya era molto bella: aveva occhi grandi e scuri, le guance sempre sfumate di rosa  e i capelli erano biondi e boccolosi, lunghi fino alla vita. Lui amava carezzarglieli e lei lo lasciava fare, guardandolo di tanto in tanto e rivolgendogli un sorriso dolce. Un sorriso da sciogliere il cuore.

Tanya era una brava ragazza, una ragazza ricca che aveva deciso di amarlo nonostante tutto: si trattava di una specie di miracolo, era ovvio.

Frank si sentiva sempre molto fortunato quando pensava a lei perché chiunque altro, al posto di quella giovane così bella e delicata, l’avrebbe rifiutato e tenuto a distanza.
Lui era un ragazzo dell’East London, veniva da un quartiere degradato, era povero. Era un delinquente.
Eppure Tanya lo amava e l’aveva amato fino a quando… Fino a quando non era stata costretta a sposare un altro.
Perché era stata costretta, vero?
La sua famiglia prestigiosa aveva deciso per la sua vita affiancandogli un giovane altrettanto ricco, altrettanto elegante e perbene. Nulla a che vedere con lui, con Frank.
Com’era che si chiamava quel damerino? Ah sì, William Norweell.
Portava i capelli di un biondo rossiccio, spettinati e folti, aveva gli occhi chiari e grandi ed era alto e bello.
Tanya non s’era più fatta vedere da Frank dopo il matrimonio. Ma lo amava, lui lo sapeva, solo che era una ragazza troppo brava ed educata per venire meno all’impegno preso con quel damerino. Solo per questo era sparita dalla sua vita, ovvio.

Quanto gli mancava Tanya!

Più ci pensava oggi Frank, più si rendeva conto che Edward somigliava a quel tizio idiota che gli aveva portato via la ragazza e adesso era sua sorella Marla a soffrire, così come un tempo aveva sofferto lui.

Certo, gliel’avrebbe fatta pagare a Edward. L’avrebbe fatta pagare a tutti i bellocci come lui, quelli che credevano che fosse sufficiente avere un bel faccino per farsi perdonare tutto il male causato al prossimo.
Lui avrebbe punito Edward e avrebbe punito William, di riflesso; così, in una volta sola, avrebbe riscattato il proprio cuore tormentato e quello della sua povera sorella cui la vita non aveva mai sorriso abbastanza. Anche a causa delle sue bravate.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



POV EDWARD
 
 




 
“Che ore sono?”
“Sempre le quattro. Ed, me l’hai appena chiesto.”, rispose Jazz con voce monocorde. Sbuffai.
“Scusami.”
“Ehi, amico!”, esclamò allora Emmett, con quel suo vocione sempre allegro. “Stai tranquillo! E’ tutto okay, sul serio. Andiamo, gli spacchiamo la faccia a quel bastardo e poi ce ne andiamo a fare le prove. Andrà tutto alla grande, non stare in ansia.”

Io e Jazz ci scambiammo un’occhiata eloquente: Emmett non vedeva l’ora di fare a botte con Frank, questo era chiaro. Da che avevo raccontato loro tutta la verità sull’aggressione a Isabella, sulle minacce ricevute dal fratello di Marla e le relative conseguenze, Emm in particolare era partito in quarta, pronto a fargliela pagare sia direttamente all’uomo aveva cercato di rovinarmi la vita, che al suo lurido capo.
Certamente, Emmett ricordava ancora in modo molto vivido e reale quel che Royce King aveva fatto alla sua povera Rose appena qualche mese prima; adesso aveva di nuovo l’occasione per indurlo a pentirsi di un simile, reiterato atteggiamento, puntando sull’anello più debole della catena, ossia il suo scagnozzo – Frank.
Non se la sarebbe persa per nulla al mondo quest’occasione.

A onor del vero, anche Jasper era rimasto molto turbato dall’intera faccenda e inizialmente, quando gliel’avevo raccontata, mi aveva rimproverato per non averne fatto parola prima.
In effetti sì, ero stato uno stupido; vuoi per orgoglio, vuoi per superficialità (o forse per paura?) mi ero tenuto tutto dentro e questo era stato il risultato: Bella per poco non c’aveva rimesso la vita.
Non avrei mai più commesso un simile errore, lo sapevo io e doveva averlo capito anche Jasper che, dopo la ramanzina iniziale, mi aveva messo una mano sulla spalla e offerto il proprio aiuto per sistemare la faccenda con Frank, qualsiasi fosse stata la mia soluzione in proposito.
E la mia soluzione era, ovviamente, molto chiara: non avrei perso altro tempo. Frank avrebbe dovuto capire il prima possibile chi aveva sfidato e con chi aveva a che fare. Ero cresciuto a Brixton e le leggi della strada le conoscevo molto bene anche io. Probabilmente, aveva dimenticato questo dettaglio importante.

Ecco perché, alle quattro di quel pomeriggio, io, Emmett e Jasper viaggiavamo spediti verso casa di Marla.
Dovevo trovare Frank e se pure avessi dovuto aspettarlo per ore l’avrei fatto pazientemente. Tutto, pur di spaccargli la faccia e farlo pentire di quel che aveva osato fare.



Giunto a destinazione, bussai al campanello di casa di Marla almeno quattro volte; nessuno che si degnasse di venire ad aprire. Erano forse tutti troppo impegnati?
Aspettammo dieci minuti là fuori, prima di vedere la porta d’ingresso girare sui propri cardini. La mamma di Marlene comparve davanti a noi in vestaglia, sfatta, con la faccia assonnata mentre cercava di trascinare verso di sé David, il figlio di Roxanne. Quando il bambino scorse la mia figura, comunque, si calmò subito. Mi corse incontro ridendo:

“Ehi, Ed! Sei tornato! Così zia Marla smetterà di fare sempre quel muso! Sarai di nuovo mio zio?”

Me lo strinsi al petto, pieno di sensi di colpa.

“Ciao David…”
“Allora? Sarai mio zio di nuovo?”, ripeté ignorando il mio saluto.

Guardai Jazz ed Emmett; mi restituirono un’occhiata addolorata. Scossi la testa.

“No, David. Però ti voglio bene e te ne vorrò per sempre. E tu dovrai diventare un bravo ometto e un bravo giocatore di calcio, come avevamo già deciso. Lo farai per me. Okay?”
David sbuffò.
“Okay. Però che palle, chi la sente adesso la zia?” domandò scivolando dalla mia presa per rientrare in casa.

Per fortuna, a volte, i bambini dimenticano in fretta.

Quando alzai la testa, la madre di Marlene mi stava fissando con uno sguardo pieno di risentimento e diffidenza.

“Che cosa vuoi, Edward?”
“Salve signora. Cerco suo figlio Frank. È in casa?”

La donna s’irrigidì. Cercavo Frank, non Marlene, e lo cercavo in compagnia di due amici, uno dei quali – Emmett – aveva le dimensioni di un armadio. Era ovvio che la mia visita non lasciasse presagire a nulla di buono.

“Frank? Non vedo mio figlio da anni, Edward, e tu lo cerchi in questa casa? Prova a Manchester o chissà quale altra città dov’è andato a nascondersi. E adesso scusami, ma ho due pesti a cui badare.”

La donna si affrettò a chiudere la porta; la bloccai con un piede, prima che potesse sbattercela in faccia senza possibilità di replica.
Non mi andava di comportarmi in quel modo: non ero andato da Marla per montarci dentro una tragedia o far casino davanti ai bambini. Certo, neppure avevo intenzioni molto diplomatiche, ma ero deciso a chiarire ogni cosa al di fuori di quelle quattro mura; non sarei stato mai così bastardo da scazzottarmi con Frank avendo Marlene, sua madre e i bambini come spettatori.

Tuttavia, non mi andava di essere preso in giro anche da quella donna. Al danno si aggiungeva la beffa? Lo sapevo benissimo che Frank era in città, lo sapeva anche la mia ragazza, se era per questo. Me ne strafregava se la signora voleva proteggere quel coglione di figlio che si ritrovava: io avevo altre intenzioni e nessuno mi avrebbe fermato.
Forse Frank non si era reso conto che anche io ero un ragazzo di Brixton, un ragazzo di strada? Non l’avrebbe passata liscia con me.

“Signora…” commentai allora, mentre la donna mi guardava improvvisamente spaventata. “Abbia pazienza, ma il tipo che è venuto a minacciarmi nel locale dove mi esibivo e quello che ha aggredito la mia fidanzata in casa sua non era il fantasma di suo figlio, né una sua proiezione mentale. Frank è in città, lo so io e lo sa lei. Però, forse, lei non è a conoscenza del fatto che suo figlio mi sta davvero dando parecchio fastidio e forse è arrivato il momento che lo intenda e la smetta.”
“E come dovrebbe intenderlo, fammi capire? Perché ti sei portato loro due? E poi, di cosa vai parlando? Perché Frank dovrebbe minacciarti?”
“Per quanto strano possa suonare, Frank mi minaccia per convincermi a tornare con Marlene, signora.”
“Stai dicendo una cazzata.”
“No, signora” intervenne Jasper, infastidito da quell’atteggiamento “Abbiamo le prove di quel che diciamo. Isabella Swan, la ragazza di Edward, è a casa, sotto choc, a causa dell’aggressione subita da Frank e dai suoi amici.”
“Avete le prove di ciò che state dicendo?”
“Sì: le minacce che ho subito. Coincide tutto.”

La donna mi guardò assottigliando gli occhi.

“Ah sì? Beh, ti dirò una cosa: non me ne frega niente. A dirla tutta, se le cose sono andate come dici, Frank ha fatto pure bene. Questa Isabella Swan sarà una puttanella d’alto borgo venuta a rubare il ragazzo di mia figlia. C’è riuscita e non vedo che rispetto dovrebbe meritare una del genere!”
 
Roteai gli occhi, infastidito: stava dicendo sul serio?

Jasper sospirò pesantemente alle mie spalle, probabilmente nella vaga intenzione di riprendere controllo di sé, e poi strinse il mio braccio con forza. Captai immediatamente il suo messaggio: va tutto bene amico, puoi farcela. Non arrabbiarti.

“D’accordo signora. Quel che lei pensa della mia ragazza non m’interessa, considerando che si tratta di stronzate. Isabella è una ragazza splendida e certamente non è la causa della rottura tra me e Marla, poiché le cose tra noi non andavano bene già da molto prima…”
“Sì, ma prima di questa Isabella tu non hai lasciato la mia bambina. Stavate insieme, vi amavate.”
“Fingevamo di amarci! O, forse, fingevo solo io. Non stavamo insieme, sopravvivevamo insieme cercando forza nelle nostre comuni sventure. Ma davvero, sto spendendo anche troppo tempo a dare spiegazioni che non devo a lei, così come non sono tenuto a convincerla che Bella sia una persona speciale. Non le interessa e non interessa a me farle cambiare idea. Mi dica solo dov’è Frank e saremo tutti felici e contenti.”
“Ma vaffanculo, idiota di un Cullen!”

Sarei rimasto al minimo basito da una tale, raffinatissima risposta pronunciata per bocca della mamma di Marla, se la voce della stessa Marlene non mi avesse scosso da un tale sconcerto e riportato alla realtà.
Certo che la finezza non era di casa in quella famiglia, eh?

“Mamma? Con chi stai parlando? Frank dice se puoi preparargli delle uova perché ha fame! Vuoi che lo faccia io?”
“Sarebbe meglio…” grugnì la donna.

Mi rivolse un’occhiata mista di mortificazione e rabbia: il suo piano per tenere al riparo l’adorato primogenito era saltato miseramente per aria per causa – non voluta – di Marlene.

Quando Marla scorse il mio viso, sotto la porta d’ingresso di casa, s’immobilizzò nel bel mezzo della cucina; era pallida come un cencio e avrei potuto giurare di vederla tremare. Trovarla in quello stato non era un bello spettacolo e non mi rendeva felice; mi dispiaceva che, a causa degli eventi degli ultimi tempi, apparisse tanto prostrata e addolorata.
Tuttavia, non potevo cambiare il corso delle cose: amavo Isabella. Come avrei potuto comandare al mio cuore per non far soffrire Marlene? Era una brava ragazza e non se lo meritava. Speravo che avrebbe trovato presto qualcuno più degno di me di occuparsi di lei.


“E – Edward? Che fai qui?”

Una lucina di speranza brillò nei suoi occhi; anche Jasper dovette notarla poiché subito si voltò a guardarmi, dispiaciuto. Annuii.

“Cerca tuo fratello, Marla. Non darti pena, non è qui per te.” Rispose prontamente sua madre, con grande tatto.

“Frankie? Perché lo cerchi?”

Si allarmò immediatamente.

“Ho da mettere delle cose in chiaro con lui, Marla.”
“Cose di che genere?”

Marlene si avvicinò alla porta, superando l’ansia di venire a stretto contatto con me. Non ci vedevamo ormai da molto tempo.

“Del genere “minaccia e intimidazione”, Marla”, chiarì Emmett.
“Stronzate…” bofonchiò sua madre. Marla la guardò sbigottita e poi tornò a voltarsi verso di noi.
“Di cosa diavolo andate blaterando? Quali minacce? Quali intimidazioni? Che c’entra mio fratello? Edward?”

Piantò i suoi begli occhi azzurri nei miei. Mi si strinse il cuore.
Era una bambina piena di speranze cui non si era mai avverato alcun sogno. Aveva un solo eroe nella sua vita e quell’eroe portava di nome di Frank; adesso, stavo per toglierle anche quello.

“Tuo fratello lavora per Royce King, Marla. Conosci Royce King?”

Lo conosceva. A riprova di ciò, guardò istintivamente Emmett: ricordava molto bene cos’avesse fatto Royce King alla povera Rosalie, un po’ di tempo prima.

“N-non capisco…”
“E’ uno scagnozzo di Royce e ha usato questa sua presunta posizione di prestigio per aggredire Isabella. Non sai nulla di tutto questo, vero? Tuo fratello mi ha minacciato. Vuole che lasci Bella per tornare con te. Mi aveva detto che se non gli avessi dato ascolto me l’avrebbe fatta pagare, io non ho badato alle sue intimidazioni e Bella per poco non ci lasciava la pelle.”
“Non ti credo!”

Da pallido com’era, il volto di Marla divenne rosso come un pomodoro, forse per l’agitazione, forse per l’imbarazzo e la vergogna. Aveva quasi urlato quell’ultima frase e stringeva le mani in un pugno, come a proteggersi da qualsiasi altro attacco verbale avrei mai potuto muovere contro quel fratello adorato.
Ancora una volta, mi si strinse il cuore. Non avrei voluto mai arrivare a quello.

“E’ proprio così, Marla. Ci dispiace”, commentò allora Jazz, guardando alla mia ex con la medesima tenerezza che percepivo io adesso. Lei non rispose, ma sua madre si dimostrò decisamente più pronta:

“Mi avete stancato! State raccontando soltanto un mucchio di stronzate! Ma cosa volete ancora dalla mia bambina? Non vedete in che condizioni si trova? Edward, la stai guardando? Con quale coraggio vieni a raccontarle certe cose? Siete un branco di bugiardi, via da casa mia!”
“Mamma…”

La donna agguantò Marlene per un braccio, la spinse via dalla porta cercando, allo stesso tempo, di chiuderci fuori. Marlene la guardò scioccata, ma di nuovo la chiamò a voce più alta.

“Mamma! Che…”
“Sta’ zitta ed entra!”
“Marla!” urlai.
“Ma che diavolo sta succedendo?! Dove sono le mie uova?”

Una voce nota. Fastidiosa, irritante, disgustosa. Avrebbe potuto anche recitare una preghiera o cantare una canzoncina per bambini e l’avrei sempre trovata rivoltante come quella sera in cui aveva minacciato me e la mia ragazza.
La voce di Frank.

Quando mi avvistò al di là della porta d’ingresso, di primo acchito sbiancò: di certo, non si aspettava di vedermi così, all’improvviso, fuori casa sua. Dopodiché, il suo viso divenne così rosso che per un attimo temetti – o forse era meglio dire che mi augurai – gli potesse venire un infarto. C’impiegò diversi istanti prima di riprendersi, ingoiare una buona quantità di saliva e aprire quella boccaccia lurida che si ritrovava, il tutto nel silenzio generale di noialtri che attendevamo impazienti gli eventi futuri.
Marla era così bianca in viso che fui certo fosse sul punto di svenire.

“Porca putt… Che cazzo ci fate voi qui?!”

Un sorriso di soddisfazione aleggiò sulle labbra di Emmett: le parole pronunciate da Frank, l’impercettibile agitazione che esse nascondevano, la sorpresa che di certo doveva avergli procurato la nostra visita inaspettata lo inorgoglivano. Lo facevano sentire forte perché sapeva che, anche se non l’avesse mai ammesso, Frank era spaventato e lo era a causa nostra.

“Davvero non t’immagini nulla, amico?”, domandò Jasper, poggiandosi allo stipite della porta. La madre di Marla lo guardò male.

“Frankie!”, urlò allora la ragazza, agitata. Tremava. La vidi indietreggiare e poggiarsi a una delle sedie della cucina. Traballò: davvero, Marlene non riusciva a contenersi.

“Che c’è, Marly?”
“Dicono che tu abbia minacciato Isabella Swan. Che tu l’abbia aggredita!”
“Marla, andiamo…”
“Dicono che tu…”, continuò lei senza badare all’interruzione del fratello “…Abbia minacciato Edward per convincerlo a tornare con me. È vero?”
“Ma ti pare?!”
“E ti pare che loro siano qui senza un motivo valido?!”, urlò allora Marlene, in modo del tutto inaspettato. Io stesso sobbalzai. Emmett e Jazz si guardarono quasi increduli, ma compiaciuti da tanta foga. Marla era dalla nostra, nonostante tutto. Almeno stando ai fatti.

“Non voglio la pietà di nessuno, neanche la tua Frankie! Edward deve stare con chi ama…” la voce le s’incrinò pesantemente. “Se non mi ama, non posso costringerlo. C’ho messo un pezzo per capirlo, ma finalmente ci sono arrivata e poi… Sono costretta a sentire cose come questa! È ridicolo!”
“Sorellina, posso spiegarti tutto…”
“No, non puoi. Dimmi cosa ti è saltato in mente, dannazione!”

Urlò di nuovo, le lacrime agli occhi.
Se la conoscevo bene come credevo ancora, le bruciava l’idea che Frank avesse dovuto agire con violenza per cercare di riportarmi da lei, come se io fossi stato una bambola e lei una bimbetta nelle mani di quel fratello più grande e quasi sconosciuto. Si sentiva mortificata, ferita nell’orgoglio e in quella dignità che aveva già perso in diverse occasioni nel vano tentativo di riportarmi da lei. Marlene non aveva bisogno di tutto questo, nessuno ne avrebbe avuto bisogno; se Frank credeva davvero di mostrarle il suo affetto in questo modo, aveva decisamente sbagliato tattica.
Preso da un istinto di protezione nei suoi confronti che non avrei mai potuto cancellare, per quanto l’avessi desiderato, forzai allora la resistenza che sua madre opponeva alla porta d’ingresso, entrai in cucina e mi avvicinai a Marla, chiamandola.

“Marlene? Calmati, per favore…”

Mi restituì un’occhiata sorpresa e allucinata, come se  non si aspettasse quel mio gesto e, in generale, trovasse sconvolgente la situazione che si era venuta a creare.
Frank, viceversa, trovava soltanto sconvolgente la mia presenza accanto a sua sorella.

“Non ti azzardare ad avvicinarti, pezzo di merda!”
Mi spinse per la spalla.

“Non eri tu quello che voleva tornassi con lei? Adesso mi scacci? Strano, eppure hai aggredito Isabella per vedermi di nuovo in questa casa con Marla, cosa ti ha fatto cambiare idea?” lo provocai.
“In questa casa ci torni alle nostre condizioni, non portandoti i tuoi scagnozzi dietro!”, urlò.
“Io ho i miei scagnozzi, tu invece sei il leccapiedi di un riccone, uno stronzo che va in giro a violentare ragazzine innocenti. Sei una feccia, così come lo è Royce King, coglioni senza spina dorsale!”

Le parole vennero fuori come un fiume in piena. Avevo giurato a me stesso che nulla sarebbe accaduto in casa di Marla, ma davanti alle provocazioni di Frank non ero riuscito a trattenermi. Tuttavia, quando David – ricomparso improvvisamente in cucina – urlò a propria volta, ascoltando lo zio che perdeva il controllo, un senso di colpa mi prese tramutandosi in un vuoto alla bocca dello stomaco.

“Non davanti ai bambini Edward, dannazione!”, pensai mortificato.

Marla corse subito verso il nipote, consolandolo. Il bambino sembrava scioccato, seppur non fosse mai stato un tipo particolarmente impressionabile per la sua età. Immaginai che il fatto che Frank fosse ancora un estraneo per lui, unito a quegli scatti d’ira che gli erano sconosciuti, fosse la causa di una simile reazione.

“Non è niente David, è tutto a posto. Dov’è tua sorella?”
“Perché lui grida?”, domandò il bambino ad alta voce, indicando Frank. Il suddetto ignorò che il ragazzino non lo chiamasse zio e neppure conoscesse il suo nome, e si voltò nella mia direzione.

“Hai spaventato David, razza d’idiota!”
“Io dico che l’hai spaventato tu.”
“Io dico che mi avete scocciato, tutti quanti!”, urlò la madre di Marla a quel punto, esasperata. “Fuori di casa mia!”
“D’accordo, è giusto. Ma devo risolvere questa faccenda con te, Frank, e lo farò oggi. Fuori di qui io ci vado, ma tu verrai con me.”

Guardai prima Jazz ed Emmett, che annuirono. Poi mi voltai verso Frank; lo vidi serrare le mani in due pugni e aggrottare le sopracciglia, nervoso. Marla, alle nostre spalle, non fiatava.

“Tu non porterai Frank proprio da nessuna parte, razza d’imbecille! Tornatene da dove sei venuto e non procurarci più guai!”
“E’ suo figlio che mi provoca dei guai, signora!”
“Sei veramente un farabutto, Edward Cul…”
“BASTA!”

Marla urlò, Frank pure. Nello stesso istante.

Si guardarono per qualche istante, un dialogo infinito tra loro due che nessuno avrebbe mai potuto decifrare. Poi Frank sbuffò, Marlene calò il capo. Solo per una frazione di secondo spostò lo sguardo su di me; vi lessi mortificazione, dispiacere, delusione, vergogna e ancora troppo amore. Poi non aggiunse altro: afferrò David per la mano e lo trascinò via, verso una di quelle squallide stanze che si nascondevano oltre la tendina di separazione della cucina.

A quel punto, fu la voce di Frank a risuonare nella stanza. Persino sua madre tremò, probabilmente immaginando le conseguenze.

“D’accordo Cullen, ti darò quello che vuoi. Fuori di qui, hai detto. E fuori di qui sarà. Risolveremo i nostri problemi, con o senza i tuoi amichetti.”

Jazz ed Emmett si guardarono; Emm ridacchiò.
Frank, tutto sommato, sembrava pronto a ricevere la sua giusta punizione.


 



 
 





 
ISABELLA POV
 





“Signorina, non posso lasciarla da sola.”

Alzai gli occhi al cielo: in quale altro modo avrei potuto convincere Steve – il tipo della sicurezza che mi aveva appioppato mio padre – a lasciarmi in pace per un paio d’ore almeno?
Per carità, era un brav’uomo e svolgeva onestamente il proprio lavoro, ma io avevo bisogno di vedermi con Edward e di certo non avrei potuto farlo portandomelo dietro. Non credevo che Ed avrebbe gradito molto un’uscita con tanto di accompagnatore.

Da quando ero stata aggredita vivevamo in uno stato di perenne agitazione, mio padre più di tutti: l’idea che qualcuno avesse potuto farmi del male, in casa nostra soprattutto, l’aveva quasi fatto impazzire. Io apprezzavo molto quello che stava facendo per me e, a onor del vero, l’idea che mi avesse affiancato delle vere guardie del corpo, inizialmente, mi aveva procurato un enorme sollievo perché non mi sentivo più al sicuro da nessuna parte, quand’ero da sola. Tuttavia, col passare dei giorni, l’ansia era andata scemando e sapere chi fosse l’artefice di quell’aggressione, per quanto mi sembrasse una follia, rendeva il tutto meno nebuloso e quindi spaventoso: avevo ancora paura, ma sapevo chi era il colpevole, sapevo con chi prendermela e l’idea mi appariva più sopportabile. Edward avrebbe sistemato tutto; non sapevo in quale modo – un po’ lo temevo, dovevo essere sincera – ma sapevo che avrebbe lottato per la mia salvaguardia. Di conseguenza, non c’era più bisogno di tutte quelle attenzioni o che mio padre schierasse mezza polizia di Londra alle mie spalle: ormai, consideravo passato il pericolo.

Quel pomeriggio, tra l’altro, avrei dovuto incontrarmi proprio con Edward per discutere della “soluzione” da lui adottata al fine di convincere Frank a lasciarci in pace. Quel maledetto ragazzo doveva tornarsene al proprio posto; non avrebbe mai più dovuto azzardarsi a toccare me o Edward, né causarci altri problemi proprio adesso che stavamo vivendo la nostra storia d’amore appieno – seppur con tutte le complicazioni dovute alla prolungata assenza del mio fidanzato a causa della musica. In ogni caso, speravo che Edward avrebbe potuto, se non l’aveva già fatto, risolvere la situazione in maniera civile, senza ricorrere alle mani: per quanto Frank se lo meritasse, non volevo che ripiegasse sulla violenza per sistemare la faccenda. Desideravo che si tenesse al riparo da certi squallidi meccanismi di potere “da strada” e, soprattutto, non volevo che corresse dei pericoli, così come non lo volevo per Jasper o Emmett. Dopotutto Frank lavorava per Royce King e il rischio che potessero innescarsi delle ritorsioni o vendette a catene era molto alto.

A conti fatti, quella situazione mi agitava. Mi agitava terribilmente. Edward e io dovevamo parlarne e se lui non avesse ancora messo in chiaro le cose con Frank, dovevo convincerlo a tutti i costi ad agire diplomaticamente per il bene di noi tutti.
 
Davvero, non vedevo l’ora di poterne discutere con lui in santa pace – ed Edward doveva essere dello stesso avviso, giacché aveva inviato Alice come messaggera, a scuola, per chiedermi un incontro – ma prima dovevo liberarmi di Steve.
Di certo non potevo portarmelo dietro come un cagnolino.


Mi voltai a guardare l’uomo che fumava, al mio fianco, senza alcuna intenzione di mollarmi e sbuffai: questa sì che era una seccatura!


“Steve? Andiamo, ho delle spese da fare con delle mie amiche!”
“Signorina Swan, potrà fare shopping tranquillamente e le assicuro che non le recherò alcun fastidio.  Ma non mi chieda di lasciarla da sola, non potrei mai venire meno a un incarico affidatomi da suo padre. Il signor Swan si fida di me e non tradirò questa fiducia.”
“Ci parlerò io con mio padre, sia gentile! Vedrà che capirà.”

L’uomo scosse la testa.

“No. Nulla da fare. Starò con lei per tutto il tempo che sarà necessario, fino a quando non tornerà a casa sua.”

Sospirai affranta: combattere con Steve Michelle era un’impresa decisamente più dura di quanto mi aspettassi. Per fortuna, un angelo sceso direttamente dal cielo venne a offrirmi il proprio aiuto in quest’impresa, proprio quando avevo perso ogni speranza.
Ovviamente, il mio angelo aveva un nome solo: Odette.

Chi altri, se non lei?
 
“Isabella! Tesoro! Speravo proprio di vederti!”

Quando sentii chiamare il mio nome, mi voltai immediatamente in direzione di quella voce così dolce e familiare e così la vidi: la mia splendida Odette, fasciata in un tailleur verde smeraldo – decisamente inusuale per i suoi standard – con i capelli raccolti in uno chignon morbido e il viso disteso in un’espressione di beatitudine. Era molto più bella del solito.
Mi salutava agitando la mano dall’altro lato della strada, tenendo ben stretta sotto braccio la sua pochette da passeggio. Alla sua vista mi si illuminarono gli occhi e, dall’alto della scalinata d’ingresso della Queen Elizabeth School, anche io agitai la mano per salutarla.

“Odette!”

I suoi tacchi risuonarono ritmicamente sui gradini mentre mi raggiungeva. Quando mi voltai verso Steve per chiarire che quella donna era la mia governante, lo trovai imbambolato: diamine se la mia Odette faceva ancora effetto sugli uomini!

“Steve?”
“Mh?”
“Tutto bene?”
“B-benissimo signorina, grazie.”

“Bella!” Odette mi lanciò le braccia al collo, entusiasta.
“Ehi! Quanto siamo belle e felici questa mattina! Qual buon vento, Odette cara?”
“Oh!” ridacchiò, arrossendo “Nulla in particolare. Sono stata assunta in una casa nuova…”
“Oh, un nuovo lavoro! Ne sono felice.”
“Grazie, cara.”
“Odette, posso presentarti la mia… guardia del corpo? Il signor Steve Michelle.”

Steve a malapena riuscì ad allungare la sua mano tremolante verso Odette. Era sinceramente intimidito da lei.
Mi venne da ridere.

“Steve, la signora Odette Headon. È stata la mia governante e un’amica fidata, di cui mia madre si fida ciecamente…”
 
Ciecamente?
Avevo detto proprio così?
Una lucina si accese allora nella mia testa: Odette poteva aiutarmi.


“Bella, tutto bene?”

Odette mi guardò preoccupata: avevo smesso di parlare di colpo.
“Tutto benissimo Odette, solo che avevo tanto piacere di poter trascorrere un pomeriggio da sole, noi due, come avevamo concordato…”

Le strizzai l’occhio, chiedendo complicità; Odette mi guardò perplessa appena per un istante, prima di comprendere che c’era in atto un piano e avevo bisogno del suo aiuto per realizzarlo.

“E qual è il problema, Bella?”
“Il signor Steve non vuole lasciarmi da sola con te. Dice che papà non lo permetterebbe e lui non vuole contraddirlo. Sai, per quel che è successo…”

“Signor Michelle…”

Odette si voltò a guardarlo, un’espressione risentita dipinta sul volto tanto realistica da farmi pensare che nella sua vita avesse di certo studiato recitazione.

“Lei non vuole lasciare Bella. Da sola. Con me…?”

Il viso di Steve assunse un colorito indecifrabile, a metà tra il porpora e il violaceo. Era decisamente a disagio e Odette non faceva nulla per farlo sentire meglio. Era una scena molto divertente da osservare.

“Oh no, beh, ecco, io… E’ complicato…”, bofonchiò.
“Cosa c’è di complicato, signor Steve?”
“Beh, il signor Swan mi ha incaricato di non lasciare mai la signora Isabella da sola, neppure per un attimo…”
“Lei non la lascerebbe da sola. Isabella sta con me, è sempre stata con me. L’ho educata, mi sono presa cura di lei per un’intera estate e i signori Swan hanno la massima fiducia in me. Potrei ritenermi offesa da questo suo comportamento, lo sa?”
“L-la prego, non è mia intenzione offenderla!”, la supplicò ad alta voce.

Trattenni una risata.
Odette era davvero convincente.
Approfittai immediatamente della situazione.

“Allora mi lascerà andare a far spese con Odette, signor Steve? La prego, ho davvero bisogno di stare un po’ in sua compagnia!”
“Ecco, io…”
“Signor Steve?”, incalzò la mia governante.

Il povero ometto sembrava profondamente combattuto; non desiderava venir meno agli impegni presi con mio padre ma, al contempo, non voleva mettere in discussione il ruolo di quella che era stata la mia governante, una donna di cui mia madre si fidava ciecamente e da cui lui stesso sembrava particolarmente affascinato. Se avesse saputo che tutta quella storia non era altro che una messinscena architettata da me in maniera del tutto estemporanea, col pronto appoggio di Odette, probabilmente si sarebbe arrabbiato molto e avrebbe fatto rapporto a mio padre.
Ma, a conti fatti, nessuno gli avrebbe mai detto la verità e forse potevo nutrire ancora qualche speranza di potermi liberare al più presto dalla sua rigida sorveglianza.
 
“D’accordo signorina Swan! Ma soltanto perché è con Miss Headon e solo per un’ora!” sbottò dunque, all’improvviso.

Mi sentii una vera miracolata.

“Due ore!”, ribattei comunque.
Mi guardò rassegnato.

“Alle cinque qui, fuori scuola! Non un minuto in più, non uno in meno. E la prego, Miss Headon, riaccompagni personalmente la signorina Isabella. Io mi farò trovare in questo punto esatto e riporterò a casa come d’accordo, va bene?”, concluse infine con cipiglio severo. In realtà, ancora stentava a guardare Odette in faccia: doveva essere troppo bella o elegante per lui. O forse, molto più semplicemente, doveva intimidirlo parecchio.

“Va bene, signor Michelle. Grazie.”

Lui non rispose, ma fece un cenno col capo prima di allontanarsi lungo le scale della Queen Elizabeth School, sparire in auto e dileguarsi nel traffico di Londra.

Sbattei le palpebre più volte: non mi sembrava vero che Steve non mi girasse più attorno. Odette era stata provvidenziale, ancora una volta.
Le gettai le braccia al collo di nuovo, al colmo della felicità.

“Odette, dimmi chi ti ha mandato nella mia vita… Corro a ringraziarlo!”
“Attenzione signorina Swan, così mi soffochi!”, mi canzonò ridendo. “E comunque, è sempre un piacere per me rendere una cortesia a un’amica.”

Le sorrisi.

“Devi vederti con Edward?”
“Già. Ma da quando sono stata aggredita è diventato tutto più complicato. Mio padre ha schierato la metà della polizia di Londra per seguirmi passo passo e io non ho più alcun tipo di privacy. Non posso incontrarmi con Angela, andare alle prove dei White Riot, uscire per fare spese, andare al cinema. Se consideri che la vita di Edward è super impegnata e vederci da soli è già piuttosto complicato, capirai che con quest’ulteriore problema la faccenda è diventata ancora più seria. Non abbiamo più tempo per noi due.”
“Ah, questa cosa l’ho già sentita… Poveri i miei ragazzi, ne fate di salti mortali per passare un po’ di tempo assieme, vero?”
“Sì, esatto.”
“Beh, allora adesso che aspetti? Corri, che il poliziotto più temibile di Londra alle cinque ti aspetta per riportarti a casa! Dove hai appuntamento?”
“Alla metro di Victoria.”
“E allora sbrigati, altrimenti starete pochissimo assieme.”
“D’accordo, vado! Ody, mi spiace… Avrei voluto stare un altro po’ con te. Mi racconterai presto del nuovo lavoro?”
“Il prima possibile.”
“Bene.” Annuii sorridendo. “Allora adesso scappo…”
“Perfetto, tesoro. Vai!”
“Grazie ancora!”

Le schioccai un grosso bacio sulla guancia e voltai poi le spalle, pronta a correre in strada il prima possibile, verso Edward. A onor del vero, mi sentivo un tantino ingrata e anche indelicata a mollare Odette di punto in bianco dopo l’enorme favore che mi aveva appena fatto, ancora una volta, ma non avevo altra scelta. Il tempo per vedere Edward era seriamente ridotto.
Tuttavia, una domanda premeva per uscire dalla mia bocca, perché di natura sono una gran curiosona; cosicché ritornai sui miei passi, per salutare un’ultima volta Odette, e decisi di sottoporle quell’interrogativo.
Trovai la mia governante piuttosto distratta: guardava altrove. Sembrava avesse già dimenticato di trovarsi fuori la mia scuola, con me ancora nelle vicinanze.

“Odette?”
“Mh?”
“E’ tutto a posto?”
“Benissimo. Vuoi dirmi qualcosa, tesoro?”
“Beh, sì… volevo chiederti… Che ci fai qui? Eri passata di scuola per dirmi qualcosa?”
“Ah no, no.” Rispose con un gesto rapido della mano “Mi passavo a trovare di qui per caso.”

“Ah beh! La persona giusta al momento giusto, direi”, le sorrisi di nuovo. Mi sorrise a sua volta, ma continuava a sembrarmi distratta. Decisi che forse aveva altro a cui pensare – forse era troppo presa, in senso positivo, dall’idea del lavoro appena conquistato – e allora preferii non disturbarla ulteriormente, considerando che ero piuttosto di fretta anche io. La salutai per l’ennesima volta e mi affrettai a e discendere nuovamente per la lunga scalinata della Queen Elizabeth School.
Fu allora, nel voltarmi, che individuai un viso conosciuto che mi fissava insistente dal portone d’ingresso della scuola.
Si trattava di Oliver.

Ultimamente quasi non ci rivolgevamo più la parola; al di là del fatto che era spesso assente, quando poi si presentava a scuola tendeva a starmi lontano. Anche dopo l’aggressione che avevo subito e di cui Angela l’aveva messo al corrente, non mi aveva dimostrato grande solidarietà; probabilmente, immaginava che Edward fosse implicato in tutto questo e non approvava la nostra relazione a maggior ragione, come d’altronde non l’aveva mai fatto prima. A volte mi chiedevo se la sua fosse mera gelosia o un semplice senso di protezione nei miei confronti che faticavo a comprendere.

Fatto sta che, anche quel pomeriggio, Oliver non mi guardava con uno sguardo meno riprovevole del solito: con ogni probabilità, immaginava dove e verso chi potessi fuggire senza la mia guardia alle calcagna. Non m’importavano comunque né le sue ramanzine, né quelle di chiunque altro, cosicché distolsi prontamente lo sguardo da lui pur di non dover sopportare un ulteriore occhiata disgustata da parte sua.
Quello che non compresi fu il perché, viceversa, Odette continuasse a sua volta a fissare in direzione del mio compagno di scuola senza distrarsi, come se guardarlo o guardare chiunque altro si trovasse in quel determinato raggio di azione, fosse di fondamentale importanza.

Annotai mentalmente quel particolare, mentre andavo via: appena ne avessi avuto la possibilità, avrei chiesto a Odette il perché di quel suo enigmatico atteggiamento.
 
 




***
 




 
“Amore!”

La prima cosa che feci, quando riconobbi il viso di Edward tra la gente che affollava l’ingresso della Victoria Station, fu quello di gettargli le braccia al collo. Per un momento soltanto riuscii a dimenticare Frank, Royce King, la Noyse Records, mia madre, Oliver e tutta la serie di piccoli, infiniti problemi che rendevano complicata la nostra storia.
Chissà se un giorno avremmo potuto vivere tranquillamente la nostra quotidianità. Non avevo mai avuto la presunzione di vivere un amore facile: ero stata consapevole sin dal principio che le cose che avrebbero potuto dividerci avrebbero anche potuto superare quelle che ci univano; tuttavia avevo accettato di correre questo pericolo. Nonostante tutto il contorno, io amavo Edward, l’avevo amato sin dal primo istante come nei più tradizionali dei colpi di fulmine, e niente mi avrebbe separato da lui.
Però… Così era davvero troppo. In fondo, cosa c’era di male nel chiedere solo un po’ di tranquillità per noi due?
 
“Tesoro mio, Bella!”

Edward mi strinse in un abbraccio così forte da togliermi il fiato e, subito dopo, mi baciò con impeto, come se non mi vedesse da secoli. In effetti, era da tanto che non riuscivamo a stare un po’ da soli, anche se in mezzo a una strada affollata di Londra nel bel mezzo del pomeriggio. L’ultimo nostro incontro risaliva alla sera dell’aggressione quando Edward, assieme con Alice e molto coraggiosamente, avrei osato dire, si presentò a casa mia ignorando lo sguardo minaccioso di mia madre.

“Come stai?”
“Bene, bene. Tu? Sei riuscita a liberarti dall’orango, vedo.”

“L’orango”, era la mia guardia del corpo, Steve Michelle. Mi venne da ridere al pensiero che, in realtà, fosse un ometto basso e dalla testa tonda, per quanto forzuto. Mi dava idea di tutto, tranne che di un orango.

“Sì, anche se con mezz’ora di ritardo! Mi spiace.”
“Non è un problema. L’importante è che tu sia qui, adesso.”

Annuii.

“Indovina Ed? Mi ha aiutata Odette a raggiungerti. Passava per caso di scuola e mi ha dato una mano a svincolarmi da Steve.”
“Quella donna è un angelo. Dovremo erigerle una statua d’oro, sul serio. In mezzo a Trafalgar Square.”

Risi con lui, sinceramente divertita. Edward sapeva rendermi spensierata anche nei momenti peggiori.
Tuttavia, uno strano luccichio brillava nei suoi occhi, come qualcuno che abbia vissuto un’esperienza molto intensa e abbia una scarica di adrenalina che gli scorre in corpo. Le pupille erano dilatate, lo sguardo a metà tra l’euforia e lo spavento.
Un dubbio s’insinuò nella mia mente.

“Edward, amore?”
“Dimmi.”
“Che hai?”
“Io? Nulla. Cosa dovrei avere?”
“Hai già parlato con Frank? Avete risolto, com’è andata? Mica… Mica avete litigato? Dimmi di no, ti prego!”
“Bella…”
“Edward? Avete litigato? Vi siete… picchiati?”

Guardai Edward a bocca spalancata, in cerca di una risposta. Mi restituì un’occhiata intensa, apparentemente preoccupata.
Alla fine scoppiò a ridere e io non riuscii a trattenere lo sconcerto.


“Edward?!”
“Oddio Isabella, hai finito di girare film nella tua testa? È tutto okay, io sto bene, stiamo tutti bene e le cose vanno alla grande! Rilassati!”

“Edward! Potresti smetterla di prendermi in giro? Scusami tanto se mi preoccupo per te, eh!”
“Ma non devi scusarti, piccolina. E non voglio prenderti in giro, perdonami…”
Si piegò per darmi un bacio tra i capelli. Era sempre troppo alto per me.

Mi persi in quel gesto di affetto e dimenticai per un attimo l’offesa subita.
 
“…Solo che sei così divertente quando ti preoccupi a quel modo!”

Ridacchiò ed io tirai fuori la lingua, imbarazzata. Poi però l’abbracciai e così allacciata a lui prendemmo a muoverci lungo la strada trafficata.

“Vuoi dirmi che è tutto a posto, allora?”
“Alla grande”, rispose guardando lungo la strada.
“Hai parlato con Frank?”

Annuì.

“Siamo andati a casa sua, l’abbiamo smascherato davanti a sua madre e a Marla. Credo che per lui non possa esserci punizione peggiore di questa. Era rosso di rabbia e vergogna.”
“Abbiamo?” ripetei. “Quindi non eri da solo?”
“No. C’erano Jasper ed Emmett con me.”

Annuii, ancora un tantino perplessa. Mi sembrava tutto troppo semplice.

“Ha funzionato Ed? Sei sicuro che sia bastato così poco? E poi, come hai fatto a mantenere la calma e non passare alle maniere forti con Frank? Quando sei andato via da casa mia, l’altro giorno, sembravi così arrabbiato!”

“Lo ero infatti. Ma ho preferito far sbollire la rabbia e il nervosismo e credo di aver fatto bene. Le cose sono andate più lisce di come ci aspettavamo. Tranquilla, è tutto okay, posso assicurartelo. Marla gli ha fatto una bella ramanzina e Frank non ha aperto bocca. Credo che abbia capito.”
“Marlene era dalla vostra parte, Ed? E come è possibile questo?”
“Chiunque ci avrebbe appoggiati, amore mio. Il comportamento di Frank non è giustificabile. E neanche a Marlene ha fatto piacere sapere che suo fratello mi abbia minacciato: non è una bambola, non lo sono io. Frank deve comprendere che due persone devono stare insieme per amore, non per paura. Spero che gli sia chiaro, adesso.”

Annuii di nuovo e sospirai, mentre passeggiavamo lentamente sul corso. A un tratto mi sentii sorprendentemente sollevata: non riuscivo a credere che la faccenda fosse stata risolta davvero così facilmente.
Era troppo bello per essere vero, in effetti.

“Ed, è finita allora?”
“E’ finita, amore mio. Puoi stare tranquilla, Frank non ci darà più fastidio.”

“Oh, Edward!”

Sorrisi, felice.
Lo strinsi ancora di più a me. Un passante ci guardò curioso e poi ridacchiò, di fronte a tanto amore.

“E’ una notizia meravigliosa!”
“Già. E vuoi sentirne un’altra? Sabato sera abbiamo la prima serata ufficiale come band della Noyse Records! Ci esibiremo come gruppo spalla per un festival rock, ad Hyde Park… Sperando che non ci sia troppo freddo o troppa pioggia. Insomma, è una grande occasione per farci conoscere, ormai siamo una band sotto contratto, tutto ciò che dobbiamo fare è sfondare il muro, mia cara!”
“E lo farete Ed, lo farete! Sono così felice per te!”

Ci scambiammo un bacio lungo e intenso.
Ero frastornata da tutte quelle emozioni impreviste ma ugualmente bene accette: prima Frank, che aveva ormai rinunciato a torturarci e appariva come un problema accantonato; poi Edward che finalmente cominciava a raccogliere i frutti del suo lavoro e dei propri sacrifici… Non mi sembrava vero. Finalmente ci stavamo lasciando alle spalle tutti i nostri problemi?
Sul serio?
Ero davvero felice.


“Allora era per questo che mi sembravi così strano, prima… E io che pensavo c’entrasse Frank!”
“Te l’ho detto che sei una sciocchina che si fa un sacco di problemi! Semplicemente, grandi cose bollono in pentola… Sono euforico per tutto questo!”
“Lo sono anche io.”
“Lo so. Grazie amore.”

Ricambiai quel ringraziamento con uno sguardo colmo d’amore. A guardarci dall’esterno, me e Edward, dovevamo proprio causare il diabete. Ne ero consapevole.

“Quanto tempo hai ancora per stare con me?”
“Alle cinque devo trovarmi fuori scuola, Steve mi aspetta.”
“Bene. Facciamo una passeggiata allora, ho voglia di stare all’aria aperta con te.”

“Annuii. Ero serena, spensierata.

“Ti va un tè?”
“Alla solita caffetteria sul Tamigi? Daremo spettacolo di nuovo?”

Ridacchiai, pensando a quando mi ero seduta sulle ginocchia di Edward, in quella sala per il tè così distinta di Westminster, e tutte le brave signore della Londra bene si erano scandalizzate a causa del nostro comportamento – a loro dire – vergognoso.
Edward rise con me, ricordando l’episodio.

“Ma sì, andiamoci… Mi piace far prendere infarti alle vecchie amiche di sua maestà la regina!”

Gli sorrisi, tendendogli la mano; Edward l’afferrò prontamente e fu allora che, carezzandogli il dorso, mi resi conto che la sua pelle, al mio tocco, appariva screpolata, quasi lacerata. Ferita.
Anche Edward impallidì: forse per il dolore?


Sollevai subito la sua mano per osservarla e comprendere quale fosse il problema, ma Edward, istintivamente, la ritrasse. Tutto ciò che riuscii a focalizzare fu una specie di grosso taglio all’altezza delle nocche.

“Edward, che ti è successo alla mano?!”

Mi parve quasi imbarazzato dall’accaduto, frastornato. Di certo, non mi sembrava che la mia scoperta gli fosse gradita. Non rispose subito; piuttosto, si grattò la nuca per qualche istante.

“Mi sono fatto male.”
“Me ne sono accorta. Ma come?”
“Beh, se te lo dicessi potresti prendermi in giro per il resto della vita.”
“Tu dimmelo e vedremo.”
“Mi sono ferito con il basso. M’è quasi cascato addosso.”
“Cascato addosso?”

Ero perplessa.

“Sì, mi si è staccata la tracolla all’improvviso, mentre suonavo, e per evitare che cascasse per terra ho fatto una mossa sbagliata e mi sono ferito nell’afferrarlo. Sai, le corde sono d’acciaio e il basso pesa parecchio…”
“Ma dici sul serio, Ed?”

Mi sembrava una dinamica un po’ pasticciata e confusa, eppure Edward appariva sicuro mentre lo descriva, al massimo soltanto un po’ impacciato all’idea di dover raccontare un episodio così buffo.

“Certo che dico sul serio, Bella. Vedi perché non volevo raccontartelo? E’ davvero una pessima figura. Un bassista che si ferisce col suo strumento!”
“Beh, non ci sarebbe nulla di male. Ma dovresti curarti, mi sembrava una bella ferita.” Osservai.
“Naaahh, passa da sola amore mio! Devi smetterla di preoccuparti sempre di tutto quello che mi riguarda, sul serio. Questa poi, proprio una sciocchezza! Adesso vogliamo andare?”


Edward sembrava tranquillo. Mi sorrise, rivolgendomi quell’ultima domanda.
Guardai l’orologio alle sue spalle: mancavano poco meno di venti minuti alle quattro e per le cinque avrei dovuto essere di ritorno a scuola.
Per quanto fossi preoccupata per la sua mano e un po’ titubante a causa del suo racconto stravagante, volevo davvero sprecare quel tempo che ci era concesso per discutere sul modo in cui si era ferito?
No, non davvero.
Eppure… Eppure non mi sentivo sicura. Non che dubitassi di Edward, non mi aveva mai mentito, per carità. Però… Aveva quell’aria strana, era così agitato e sembrava non gl’interessasse altro che distrarmi, farmi pensare ad altro. A tutto ciò che fosse al di fuori di Frank, Marla e dei nostri problemi. Forse voleva soltanto proteggermi e permettermi di stare tranquilla, finalmente? Oppure c’era sotto qualcosa di più?
Perché avevo la cattiva impressione che Edward non mi stesse dicendo tutta la verità?

Sospirai.
Non avrei potuto saperlo, in effetti. Almeno che non avessi forzato la mano, non avessi fatto altre domande. Ma sapevo come sarebbe finita poi: magari avremmo discusso e addio pomeriggio di relax e amore tra noi due.
Forse, come diceva Edward, mi stavo facendo solo un sacco di paranoie?
Non lo sapevo.
Decisi di non voler approfondire.

“D’accordo, andiamo”, risposi infine, seppure riluttante..

Edward allora sorrise e così ci incamminammo lungo la via. Ma stavolta, per passeggiare, non mi diede più la mano. Piuttosto, decise di offrirmi il braccio e di nuovo la mia testa ricominciò a formulare cattivi pensieri.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Avevano deciso di punirlo.
Bene.
Per lui andava bene.
Del resto, una sana scazzottata – tre contro uno – era decisamente più interessante e avventurosa di una lunga e inutile chiacchierata.


Quando si era allontanato con Edward e i suoi compari, a Frank, neppure per un attimo era passato per la testa di conversare civilmente con loro e giungere a una soluzione.

Sì, lui aveva aggredito Isabella Swan. Sì, lui voleva punire Edward per il male che aveva recato alla sua sorellina. Sì, era tutto vero e si sarebbe assunto le proprie responsabilità.
Una chiacchierata amichevole non era sufficiente come chiarimento per nessuno di loro quattro; Edward voleva vedere il suo sangue per sentirsi meglio e illudersi di aver sistemato le cose? Okay, perfetto. Lui gli avrebbe regalato quell’illusione.
Tanto il meglio doveva ancora venire.

E allora, una volta rimasto da solo con quei tre, aveva preso a provocarli. Prima l’uno, poi l’altro. Ava deciso di farsi beffe di loro, commentando ogni gesto e parola in modo sarcastico e fastidioso. I tre, inizialmente, cercarono di mantenere la calma – soprattutto Edward, che era diventato un bravo ragazzino della middle class, adesso, e sembrava meno propeso a lasciarsi andare alle vecchie maniere di strada che ben conosceva – ma alla lunga non erano riusciti più a controllarsi.
Una parola di troppo, una spinta di troppo. Quando aveva nominato Rosalie, il più grosso fra i tre non c’aveva visto più. Sapeva che era quello l’anello debole, quello che avrebbe ceduto con maggiore facilità poiché, di natura, amava già molto fare a botte, certamente più degli altri.
Non si era sbagliato.
Avevano preso a scazzottarsi quasi subito, con una violenza inaudita. Di primo acchito Jasper e Edward erano rimasti nell’ombra, perplessi da quell’esplosione di rabbia senza preavviso. Poi avevano cercato di separarli, proprio come delle femminucce, mentre lui – Frank –  voleva coinvolgerli nella rissi. Voleva picchiarli. Voleva sentire i loro muscoli cedere sotto la potenza dei propri pugni, voleva sfogare la propria rabbia a tutti i costi, anche se ciò avesse significato restarci secco a sua volta.

Alla fine aveva tirato Jasper per i capelli, lui s’era visto costretto a reagire. Aveva detto una parola fuori posto su Isabella e così anche Edward non c’aveva visto più. Alla fine, la rissa si era trasformata in una gara a chi lo colpiva per prima fra tutti e tre.
Forse era stato proprio Edward a conciarlo maggiormente per le feste, ma non gl’importava.

Alla fine, avevano vinto loro quel round.

Mentre perdeva sangue, riverso sul marciapiede sporco di una stradina squallida di Brixton, Frank sorrideva.
Davvero non gl’importava. Il dolore, i muscoli intorpiditi, il naso rotto, gli ematomi, quella presunta sconfitta non rappresentavano nulla per cui valesse la pena disperarsi.

Aveva altro a cui pensare, francamente; qualcosa di bello, che gli riempiva l’anima e il cuore di soddisfazione, che gli permetteva di piegare ancora all’insù gli angoli delle labbra in un sorriso distorto: il pensiero che ancora poteva vendicarsi della sua sorellina. E il pensiero che ancora potesse punire quel biondino stolto che gli aveva portato via Tanya senza alcun rimorso.

La sua vendetta non si era ancora consumata, il bello doveva ancora arrivare: ecco cosa lo rendeva tanto felice.


E così felice si addormentò, sul marciapiede sporco di una stradina squallida di Brixton, lì dove quei tre bravi ragazzi l’avevano lasciato a sanguinare, anche loro senza alcun senso di colpa.
 
 
 
 
 
 
 
 





____
 
Ragazze, bentrovate!
Anzitutto, buon anno e buone feste fatte a tutte voi <3
Spero che il 2013 sia un anno strepitoso e vi porti tanta serenità, soddisfazioni, amore e soldini, che non guastano mai! ;)

Mi scuso come sempre per i tempi biblici dell’aggiornamento, ma, come già ribadito negli ultimi capitoli, purtroppo non riesco a fare meglio di così. L’ispirazione è ballerina e non posso domarla, perché se mi costringessi a scrivere senza voglia state certe che verrebbe fuori qualcosa di disgustoso.
:S
In più, il mio tempo libero si è notevolmente ridotto. Quindi faccio quel che posso, fermo restando che MUB continua e avrà la sua fine, come promesso ;)

Da quel che avete potuto leggere, in questo capitolo vi ho dato qualche altro indizio che “giustifica” (anche se non è il termine più adatto), la follia di Frank. Era innamorato di una ragazza, Tanya, che ha sposato un giovane somigliante a Edward. Punendo adesso Edward – che oltretutto sta facendo soffrire la sua sorellina – quel pazzo pensa di punire anche chi gli ha rubato la fidanzata.
Sì, lo so, è folle! :-p
Edward, tra l’altro, torna a sbagliare perché, nel tentativo nobile di non far preoccupare la nostra Isabella, le nasconde di aver fatto a pugni con Frank, di aver innescato una rissa.
Voi come lo giudicate? Lo perdonate, lo comprendete o pensate abbia sbagliato di brutto?
A voi la parola!

Ci vediamo al prossimo aggiornamento.
Un bacio forte
Matisse.

PS: risponderò il prima possibile alle vostre recensioni. Grazie! 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: MaTiSsE