Storie originali > Generale
Segui la storia  |      
Autore: Annaton    07/01/2013    0 recensioni
"Scrivi quello che vorresti leggere" questa è la mia massima.
Pensare questa storia è stato un grande divertimento, spero che sia altrettanto bello leggerla.
Pubblicherò i vari capitoli man mano che verranno ticchettati dalla mia tastiera.
Mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate ;)
Genere: Avventura, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
<> aveva detto Zambiasi, portandosi alle labbra la sua inseparabile sigaretta per un tiro di quelli potenti. Lì, immerso nel buio, stravaccato su un masso melmoso in riva al fiume col costume gocciolante, sfiatava fumo dalle narici vibranti di rabbia, come faceva la ciminiera della Balli. * La Balli era un’industria chimica di Cernusco, in realtà l’unica industria, chimica o meno, che ci fosse a Cernusco. Era uno stabilimento bello grosso, dava lavoro a un bel po’ di gente, ed era in mano a una coppia di stronzi che più stronzi non si può: i fratelli Balli. Zambiasi lo sapeva bene, suo padre ci lavorava là dentro. E in casa si lamentava a gran voce che quei bastardi trattavano tutti come zerbini, non avevano rispetto di nessuno, se ne fregavano se faticavi come una bestia. Le ferie te le potevi scordare e, se volevi tenerti il posto, dovevi darti da fare con un po’ di straordinari; che tanto di sicuro facevano alla svelta a trovare qualcun’altro da assumere, se queste condizioni non ti andavano a genio e avevi in mente di rompere i coglioni con qualche sindacato del cazzo. Ma non finiva mica qua. Quella coppia malefica concedeva all’ambiente lo stesso trattamento che riservava ai suoi operai: la torre malefica in questione sputava fuori fumo nero come se respirasse, e il tubo di scarico andava a vomitare tutta la merda che si produceva là dentro dritta dritta nel Naviglio. I pesci venivano a galla morti, il fiume era coperto di alghe strane e  di sicuro i carabinieri lo sapevano meglio di chiunque altro, ma preferivano starsene zitti, perché i Balli avevano soldi a palate e conoscenze importanti.
Un nuovo arrivato in caserma che veniva da fuori si era accorto della faccenda e aveva provato a farsi valere. I Balli l’avevano mandato a quel paese, ma lui non si era dato per vinto, aveva iniziato a mobilitare le autorità. Poco dopo però nessuno l’aveva più visto in giro, quel ragazzo. Dicevano che fosse stato trasferito.
Quindi farsi il bagno nel Naviglio non doveva certo essere un toccasana, ma nelle giornate più calde di agosto c’era un’afa che ti soffocava e, se non entravi a darti una rinfrescata, saresti comunque schiattato di lì a breve. I ragazzi, poi, si dicevano che, se in India la gente stava sempre a mollo nel Gange, che doveva essere certo ancora più schifoso, dato che ci mettevano le ceneri dei morti e rischiavi di prenderti la lebbra, allora non saresti certo morto a farti una nuotata nel Naviglio, che in confronto doveva essere un torrente d’alta montagna.
*
Zambiasi attendeva un decreto da Gino, che se ne stava lì accanto a lui, illuminato appena dal fioco bagliore del falò che scoppiettava sulla spiaggia.
Attorno, tutti ridevano con la bocca piena di wurstel, tranne la Maccalli, che se ne stava in disparte con la schiena appiccicata al tronco di un albero come un insetto spaventato. Dopo un paio di minuti, Gino Calzi si era azzardato  a rispondere alla proposta dell’amico con un: <>
Questa non se l’aspettava. Gino lo seguiva sempre come un cagnolino fedele, assecondandolo in tutto e per tutto, non apriva mai il becco; Zambiasi non pensava neanche che il suo amico avesse un cervello in grado di ragionare autonomamente, piuttosto lo percepiva come un prolungamento del suo corpo: un altro paio di gambe e di braccia, ma che si muovevano esattamente come voleva lui. Inutile dirlo, Zambiasi e Calzi non erano fatti della stessa pasta: Alessandro era perennemente incazzato col mondo, Gino era placido e innocuo, l’unica cosa che potesse smuovere la sua apatica quiete era un perentorio ordine del suo socio. Non era ben chiaro, tra l’altro, come i due potessero essere amici: come Gino accettasse di farsi comandare a bacchetta e farsi mettere i piedi in testa, come riuscisse a frequentare una persona così diversa da lui e come mai lo Zamba non si cercasse un compare più cattivo per compiere le sue malefatte. Certo, c’era sempre bisogno di smuovere un po’ la sua titubanza, quando si decideva di prendere di mira qualcuno; ma alla fine lo Zamba, col suo fare menefreghista e il suo atteggiamento da vero duro, riusciva sempre a fargli fare tutto quello che voleva, senza troppa fatica.
Perché allora si metteva a prendere le parti di quella sfigata? Senza palesare il suo disappunto, ed essendosi ormai rotto le palle di perpetuare nella sua opera di convinzione, Zambiasi si rizzò sulle sue gambe atletiche, prese un ultimo tiro e buttò via il mozzicone. Scese dalla roccia con un balzo e zompò sulla spiaggetta. Si guardò intorno.
 Eccola, la Maccalli. Sola. Nessuno se la cagava, ovvio. Con uno sguardo spaventato che quasi t’impietosiva, fissava un punto indefinito. Trasudava sfiga da tutti i pori della pelle. Brutta come poche: piatta come un’asse, niente culo, niente di niente. In costume, poi. Cosa ti denudi che mi fai salire dei conati di vomito? Pallida come un morto, anche d’estate. In faccia aveva quegli occhietti piccoli e ravvicinati e di un verde rancido da far schifo, un nasone storto, due labbra sottili che incorniciavano quei dentini perfetti aggiustati dall’apparecchio pagato da paparino. Per fortuna quella cascata bionda di capelli la camuffava un po’. Che cesso. Se ne stava lì a far niente, indifferente, moscia. Come se tutto potesse scivolarle addosso. Zambiasi cercò lo sguardo complice di Gino, in attesa di un cenno di consenso. Niente. ‘Affanculo, coglione. Non aveva certo bisogno di lui per far capire alla Maccalli di non scassare più il cazzo. Zampettò fino alle salsicce abbrustolite dalla graticola lì accanto, ne prese una al volo e sgusciò via, nascondendosi tra gli alberi. Il momento della vendetta era arrivato. Vendetta di cosa, di preciso, non sarebbe riuscito a dirlo; la Maccalli, povera Crista, non gli aveva fatto proprio niente. È quel muso che c’ha, si giustificò. Che mi fa venire prurito alle mani solo a guardarla, ma non poteva picchiarla, peccato, perché era una femmina. Quel ghigno da saputella, da so-tutto-io, da sono-sola-come-un-cane-ma-in-fondo-non-faccio-male-a-nessuno-quindi-vi-prego-lasciatemi-stare. La odiava. Ed era arrivato il momento di divertirsi.
*
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Annaton