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Autore: rainbowdasharp    08/01/2013    2 recensioni
Un piccolo spaccato sugli ultimi giorni di scuola di Saruhiko e Misaki.
«Hai deciso a che scuola andare, Saru?»
Saruhiko sollevò lentamente lo sguardo: davanti a lui, invadente come sempre, c’era Misaki Yata, suo unico amico da quando poteva serbare memoria; sedeva al contrario sulla sua sedia, voltato verso di lui, mentre giocherellava con le bacchette tra le mani.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fushimi Saruhiko, Misaki Yata
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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F U T U R E



Classe III-C, ultimo banco della fila che costeggiava la finestra.
Un cliché niente male, considerando quanto fosse paradossalmente atipica la persona che vi sedeva.
«Hai deciso a che scuola andare, Saru?»
Saruhiko sollevò lentamente lo sguardo: davanti a lui, invadente come sempre, c’era Misaki Yata, suo unico amico da quando poteva serbare memoria; sedeva al contrario sulla sua sedia, voltato verso di lui, mentre giocherellava con le bacchette tra le mani.  
Era l’ora di pranzo e, dato che sul tetto della scuola faceva troppo freddo, ormai, avevano preso  l’abitudine di adattarsi a mangiare in classe, insieme agli altri compagni. La fine dell’anno era alle porte e, per la prima volta da aprile, Misaki gli rivolgeva quella domanda, così, all’improvviso.
Per un attimo, si chiese per quale motivo gli fosse venuto in mente proprio in quel momento.
«Non ho intenzione di proseguire gli studi» disse semplicemente, prendendo a mangiare con tranquillità. Il rosso, al contrario, accolse quella risposta con la sua caratteristica esagerazione: sgranò gli occhi, sconvolto.
«EEEH?! Scherzi?!» esclamò infatti, poggiando le mani sul banco e balzando letteralmente in piedi. Inutile dire che i pochi che erano rimasti in classe caddero in un imbarazzante silenzio, troppo presi a lanciare loro occhiate strane, come sempre. Aveva la strana impressione che i loro compagni di classe li considerassero ancora peggio di quanto lui facesse con loro, con quella sottospecie di massa senza cervello.
Idioti.
Saruhiko sospirò. «Sono serissimo. Non mi pareva di essere famoso per il mio senso dell’umorismo». Misaki mugugnò qualcosa in risposta, come faceva sempre quando non sapeva bene come replicare senza, però, dargliela vinta.
«Ma perché, scusa? Voglio dire, sei… Mh, ecco, sei…»
«Intelligente?» concluse la frase per lui.
«Non proprio» mugugnò l’altro, in fretta – perché non poteva certo fargli un complimento, nossignore. «Ma sveglio sì! Cioè, se non fosse stato per te, io--».
«Saresti bocciato ripetutamente per tutti gli anni delle medie?»
«NON SONO COSI’ STUPIDO» si scaldò subito il più basso, quasi rovesciando il banco dalla rabbia. Saruhiko gli gettò un’occhiata scettica. «V-Va bene, forse non sarò un genio, ma neanche così cretino!»
«Sono sconvolto dalla notizia».
«TI AMMAZZO» ringhiò, rosso in faccia.
Saruhiko accennò un sorriso fugace, per poi tornare alla sua solita espressione neutra. Misaki gli diede immediatamente le spalle, incrociando le braccia e borbottando per conto suo per almeno cinque minuti. Fushimi, per tutta risposta, poggiò il volto sul palmo della mano e lasciò che il suo sguardo si perdesse al di fuori della vetrata. Era una stupida e banale mattina di inizio inverno, uguale a tante altre che erano passate, uguale ad altre che ancora sarebbero giunte in futuro.
Eppure… Quello era, in effetti, uno degli ultimi giorni che passava nella stessa classe con il piccoletto che adesso si ostinava a tenergli il broncio. Di certo sarebbero rimasti insieme, ma non così. Non a scuola.
Quel pensiero lo colpì con una violenza tale che, per un attimo, si sentì confuso. Non aveva mai considerato la possibilità che quei giorni potessero finire e, adesso, era ad un passo dalla loro conclusione.
Fu solo per una frazione di secondo, ma il futuro lo terrorizzò.
«… Non capisco davvero, Saruhiko» riprese all’improvviso Misaki, ancora ostinato abbastanza da dargli le spalle. Il moro lo guardò con la coda dell’occhio, schioccando la lingua, finalmente libero dai suoi pensieri.
Se gli avesse detto la vera motivazione per cui non intendeva proseguire gli studi, quello si sarebbe montato la testa, sicuramente. E non era neanche sicuro che avrebbe potuto capirlo.
«Non mi va e basta. La scuola è una rottura» rispose.
“Tu mi lasceresti indietro” pensò, scocciato, tornando a guardare il monotono paesaggio che li circondava.
«Quindi… Che cosa farai?» chiese, esitante. «Entrerai nell’Homra anche tu?» Si era voltato. Lo stava guardando, pieno di speranza, con quegli occhi dorati così vivi, espressivi, animati da un vero e proprio fuoco di gioia. Un ardore che raramente aveva visto nei suoi occhi, nonostante fossero sempre così accesi.
Già, l’Homra. A dir la verità l’idea non gli andava molto a genio, ma pareva che per Misaki quella storia fosse divenuta una vera e propria ossessione.
Era iniziato tutto per una coincidenza, per una stupida bottiglia lanciata per aria. Da quando avevano incontrato quei tizi – che sembravano una gang di teppisti, a dirla tutta – per puro caso, sembrava che qualcosa, in lui, fosse cambiato. Inizialmente, non aveva prestato loro troppa attenzione; ne avevano parlato qualche volta e Saruhiko aveva notato come, al solito, Misaki facesse finta che non gli importasse di quella storia, che quelli erano solo palloni gonfiati, che sicuramente non avevano proprio un bel niente da offrire.
Lentamente, però, prima che Saruhiko potesse rendersene conto, quella curiosità era divampata come un fuoco che viene alimentato dal vento: sempre più spesso, Misaki insisteva con il passare da lì, voleva sbirciare – “Secondo te come sarà dentro?”, “Ma è davvero un bar… ?” – e, senza accorgersene neanche, avevano cominciato a conoscere i membri di quella strana banda di perditempo.
Forse un po’ meglio dei loro compagni di classe, ma niente di speciale.
Così, invece della solita sala giochi, del marciapiede, di uno dei loro appartamenti, avevano cominciato a rifugiarsi lì e, in Misaki, l’idea di entrare a far parte di quella che sembrava a tutti gli effetti un’assurda famiglia allargata, si era fatta sempre più probabile. Saruhiko, ormai, passava i pomeriggi seduto al suo fianco, senza avere il minimo interesse a proferir parola – perché non c’era il suo amico a costringerlo a parlare; adesso aveva altra gente, con cui avere a che fare.
Quello che lì sembrava il vero capo, Kusanagi – che era, a tutti gli effetti, un barista – li aveva avvertiti che, per entrare ufficialmente a far parte di quel gruppo, avrebbero dovuto almeno concludere l’anno scolastico. “Il re non si prende responsabilità sui mocciosi”, aveva detto.
Già, il re. Suoh Mikoto, in tutta la sua fama – Saruhiko non l’aveva mai visto usare il suo potere ma tutti, all’interno di quello strano bar, sembravano provare un rispetto quasi riverenziale nei suoi confronti. E lui, più di tutti, sembrava aver interessato Misaki che, non appena entrava nel locale, chiedeva dove fosse Mikoto-san.
Non poteva permettergli di andare là da solo – l’avrebbe perso sicuramente, in quel modo. Quindi al diavolo gli studi, la scuola, la sua decantata intelligenza che, in quei momenti, non gli serviva a nulla.
«Mh» si limitò a dire, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.
Perché, si chiese, lui non gli bastava più?
«Lo sapevo!» esclamò felice Misaki, balzando in piedi, in una sorta di strampalata esultanza. Saruhiko sospirò, mentre il resto della classe tornava a guardarli con una certa diffidenza. Difficilmente gli altri si avvicinavano a lui e, dal secondo anno, avevano cominciato ad evitare anche Misaki – ma lui non sembrava risentirne particolarmente: in primis, aveva grossi problemi a dialogare con le ragazze; per il resto, riusciva ad andare d’accordo più o meno con tutti, quando lui non era nei paraggi.
Forse, per tutto quel tempo che era stato costretto a rimanere al suo fianco, Misaki aveva cominciato a soffrire la mancanza degli altri… ?
«Non vedo l’ora» Aggiunse il rosso, entusiasta, stringendo il pugno e tendendolo verso di lui. Il suo sorriso era così splendente e fiducioso che, per un attimo, Saruhiko temette di poterne essere accecato: Misaki brillava di luce propria. Misaki era luce. «Sarà un nuovo inizio, per noi, eh?».
Saruhiko ricambiò debolmente, senza troppa convinzione, quella sorta di saluto amichevole. Sembrava che stessero quasi suggellando un patto, quello di rimanere insieme. Almeno, quella era l’unica cosa di cui poteva essere certo.
Sorrise appena. «Sicuro».
 
«Fushimi». La voce del tenente Awashima era sempre il metodo peggiore per risvegliarlo sul lavoro.
Il ragazzo mormorò qualcosa a bassa voce, scocciato, sistemandosi gli occhiali sul naso e sollevando lo sguardo verso l’unica donna degli Scepter 4. «Non dovresti star ultimando i rapporti sull’attività degli Strain individuati negli ultimi due mesi?».
«Dovrei» replicò riluttante Saruhiko, sbadigliando. Lo sguardo appannato dal sonno tornò ad incrociare la schermata luminosa del computer, piena di scritte che, al momento, faticava a mettere a fuoco.
«Fallo, allora» lo rimproverò sbrigativa la donna, allontanandosi dalla sua scrivania.
Il moro schioccò la lingua, chiaramente in disappunto, cercando di riprendersi da quella dormita fuori programma. Odiava gli straordinari per un motivo, dopotutto.
«Stai studiando per il diploma, Fushimi?» Ci mancavano solo i sottoposti ficcanaso…
«Non ne ho bisogno, lo prenderò» mugugnò, tornando a scrivere velocemente sulla tastiera.
In fondo, lui, era un tipo sveglio.



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Cosa dire al riguardo se non... Boh? L'ho scritta di getto, quindi suppongo non sia granché-- Insomma, spero piaccia, almeno a qualcuno. *cries.
Finalmente ho scritto qualcosa dal punto di vista di Saruhiko. E' abbastanza  ilare il fatto che ci abbia messo così tanto...
Vabbè. LOL. Hope you like iiiit~
   
 
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