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Autore: RubyChubb    29/07/2007    2 recensioni
Guardo l'ora sul cruscotto della macchina. Sono le zerozero:ventitrè, cioè mezzanotte e venticinque quasi. Mamma mia quanto abbiamo fatto tardi in quel ristorante, quando ce ne siamo andati il proprietario è venuto a salutarci in pantofole e cuffietta con il ponpon in testa....
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-UN VECCHIO PALLONE BUCATO-





Guardo l'ora sul cruscotto della macchina. Sono le zerozero:ventitrè, cioè mezzanotte e venticinque quasi. Mamma mia quanto abbiamo fatto tardi in quel ristorante, quando ce ne siamo andati il proprietario è venuto a salutarci in pantofole e cuffietta con il ponpon in testa. Comunque bel ventiduesimo compleanno, anche la nostra amica Gianna si è unita al club V.U.S, alias 'Ventiduenni Universitari Squattrinati'.
Ho bevuto troppo... il mio non si può definire bere: bicchiere pieno di acqua frizzante e un dito di vino bianco, ma dopo una quindicina di bicchieri non sono più tanto ragionevole. Comunque riesco benissimo a guidare, l'euforia mi è passata e un caffè lungo ha messo la ciliegina sulla torta della lucidità mentale parziale.
Mi metto alla guida, rassicurando i miei due accompagnatori, o meglio, le mie due accompagnatrici che sono in grado, anche se poco più lontano dal parcheggio campeggia la pubblicità progresso contro chi guida in stato di ebrezza... Non mi ricordo bene la strada, davanti a noi la nostra guida, mio fratello, anche lui al compleanno di Gianna come noi. Le strade buie, tra le campagne, incutono un certo timore in me: ogni tanto un gatto, una piccola volpe o un riccio ci tagliano la strada e rallentiamo accuratamente per evitare di danneggiare le loro simpatiche vite. Sono abituata a guidare di notte, ma cerco sempre di mantenere un certo controllo sulle mie emozioni, sono molto impressionabile e un semplice gatto che spunta tra le frasche accanto alla strada mi fa sempre sobbalzare dalla paura.
"Ma a quanto va quello scemo!", esclama Sara, la ragazza seduta accanto a me.
"Ora gli sfareggio un po', così capisce.", dico io.
Presto la strada su cui siamo si ricollega con una via che conosco molto bene.
"Chi sono questi?", mi chiede Rachele, la ragazza seduta sul sedile posteriore, riferendosi alla musica che usciva dalle casse dello stereo.
"Sono un gruppo americano, non penso che tu li conosca. Si chiamano Fall Out Boy, ma ho solo questa canzone."
"Ah, comunque la canzone mi piace.", risponde, "L'hai presa da internet?"
"Sì, mi piacerebbe anche prendere l'intero album, ma senza adsl sarà difficile.", faccio io.
"Già, non so come fate voi. Io non vivrei senza adsl!", dice Sara, che vive fortunatamente in un posto dove la linea veloce arriva senza problemi. Da me, invece, niente, ancora siamo all'età dei computer con il criceto che gira all'interno.
"Gli altri che erano al compleanno?", chiedo io.
"Devono essere molto più avanti di noi, comunque ci troviamo tutti a casa di Gianna e poi decidiamo dove andare.", mi risponde Rachele.
"A quest'ora?!? Ma è tardi per andare ovunque!", fa Sara, che già aveva sbadigliato almeno una decina di volte.
"Infatti, avremmo già dovuto essere al Portorico alle undici.", dico io, riferendomi al locale in cui volevamo concludere la serata fino a qualche ora prima, quando avevamo capito che la serata sarebbe andata per le lunghe.
Sento che il motore sta perdendo giri ma non ne sono sicura, con la musica accesa ho sempre problemi a capirlo, così di una rapida occhiata all contagiri e vedo che sono sotto i millecinquecento e scalo in quarta.
"L'hai visto anche tu Tea?", mi chiede Sara.
"Visto cosa?"
"Boh... non lo so, ma sembrava uno, in quella piazzola sterrata che abbiamo appena passato."
"Io non ho visto niente, stavo guardando il cellulare.", dice Rachele.
"E che c'era di strano?"
"Sembrava... non lo so..."
Al che vediamo che mio fratello, che ci distanziava di una ventina di metri, si ferma in uno spiazzio sulla destra. Metto la freccia e mi accodo a lui, vedendolo scendere di macchina.
"L'avete visto anche voi?", ci chiede, mentre abbassavo il finestrino.
"Io l'ho visto, ma loro no.", dice Sara, che iniziava ad essere nervosa.
"Ma cosa?", chiedo io.
"Uno... un signore... in quella piazzola.", fa mio fratello, tornando in macchina e facendo inversione in pochi secondi.
Io riesco ad immettermi sulla carreggiata opposta prima di lui. Sara sta iniziando a dire che aveva paura e mi chiede di inserire le sicure alle portiere. Cerco di tranquillizzarla meglio che posso. Alzo i fari.
Anche se era notte fonda, senza luna, i fari riescono ad illuminare una scena agghiacciante.

Un uomo, una corda. Si è impiccato al grosso albero che costeggiava la strada. Sotto di lui, una sedia rovesciata foderata di rosso. Un cappuccio sulla sua testa.

"Cristo santo!", grido io. Con la poca lucidità che mi rimane metto la freccia e mi accosto.
"Non scendere! Non scendere!", mi grida Sara.
"Cazzo! Oh mio Dio! Massimo sta scendendo di macchina!", mi urla Rachele dentro un orecchio.
"Massimo! Torna in macchina! Chiamiamo in carabiniere e l'ambulanza!", gli dico io, abbassando il finestrino.
"Ma può essere sempre vivo!", fa lui, che stava già attraversando la strada.
"Cazzo!", dico io, in piena crisi di panico. Afferro il cellulare di Sara e compongo il centotredici.
"Pronto intervento?", dice il carabiniere all'altro lato.
"Pronto? Sono a metà strada tra Serina e Montana, non so che via sia, comunque c'è...", cerco di dire, con voce tremante, "C'è un signore impiccato ad un albero!"
"Ne è sicura?", mi domanda lui.
"Certo che sì!", grido io, cercando comunque di mantenere la calma, "Mio... mio fratello sta cercando di avvicinarsi per vedere se è sempre vivo!"
Nel frattempo sento un urlo agghiacciante. Lascio perdere per un attimo il telefono e esco rapidamente di macchina.
"Massimo!", grido.
Lo vedo girare intorno al corpo dell'uomo. Con le lacrime agli occhi cerco di mettere a fuoco l'immagine.
"Tea, rimani lì!", mi dice.
"Tea!", mi gridano le mie amiche.

Sembra una vita quell'attimo trascorso attraversando di corsa la strada. Nel frattempo una macchina, che veniva alla mia sinistra, si accosta dietro alla mia.
"Cazzo!", esprimo ancora, di fronte al corpo appeso all'albero.
"E' finto... è un manichino...", mi dice mio fratello, mettendosi le mani nei capelli. Anche lui sta tremando.
"Che cazzo dici?"
"Guarda...", mi fa lui, indicando la testa, "C'è un pallone sotto il cappuccio."
Uno scherzo... era uno scherzo...
In un momento la mia crisi di panico si trasforma in una crisi isterica. Afferro la corda, legata sapientemente al tronco dell'albero e inizio a tirarla con tutte le mie forze, augurando a gran voce a quei disgraziati che avevano architettato quello scherzo di merda tutti i peggiori mali e sofferenze di questo mondo...

Nel frattempo, le mie amiche capiscono che è tutto uno scherzo, scendono di macchina e mi raggiungono per cercare di calmarmi. Altre macchine si erano fermate a vedere la situazione, anche loro attirate da quel corpo attaccato ad un filo. Ulteriori disgrazie furono indirizzate a chi ce lo aveva messo.



Si può fare uno scherzo del genere?
Evidentemente sì, perchè questo è una storia vera,
che ho vissuto io in prima persona e spero che nessuno nella vostre città faccia mai cose del genere. E' stato terribile.

E se ci fosse stata davvero una persona, sotto a quel cappuccio, invece che un vecchio pallone da calcio bucato?
   
 
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