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Autore: BlueSkied    09/01/2013    1 recensioni
La notte dell'Epifania del 1537 Alessandro de'Medici, detestato duca di Firenze viene assassinato dall'amico e congiunto Lorenzaccio de'Medici.
Tocca allora a Cosimo de'Medici, figlio del capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere ed erede del ramo popolare della famiglia, prendere il potere.
Tra raffinato mecenatismo artistico, nuove politiche e disgrazie familiari, condurrà la Toscana verso il Granducato, con la cauta inesorabilità del suo motto.
Note: mi sto documentando il più possibile, per rendere la storia verosimile, ma qualcosa potrebbe sfuggirmi, anche perché spesso le fonti si contraddicono.
Per finalità di trama, alcuni passaggi potrebbero essere violenti.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Rinascimento
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Comincio questa storia con la speranza di riuscire a concluderla con successo, visto che si prefigura come un qualcosa di particolarmente impegnativo. Cercherò in ogni modo di evitare gli strafalcioni e gli errori storici in ogni modo.
Grazie a chiunque leggerà e magari lascerà una piccola recensione.
BlueSkied

 




1.





Durante la notte dell’Epifania la città era in festa. Benché fosse da un pezzo passata la mezzanotte, dai vicoli e dai palazzi arrivavano ancora sporadici suoni di baldoria: musica, qualche risata, tintinnio di calici, ma le strade erano deserte. Troppo freddo per stare fuori. 
Nessuno notò i tre uomini che cavalcavano verso la Porta San Gallo. Il primo dei tre stringeva sotto il mantello il lasciapassare appena ottenuto dal vescovo Marzi.
Il vecchio non aveva fatto domande, né si era stupito di vedere Lorenzino de’Medici a quell’ora. Come tutti, a Firenze, conosceva la fama del giovane. Lo aveva squadrato alla luce della candela, e gli era parso pallido, ansioso. Gettò uno sguardo ai due che lo accompagnavano, ma firmò i lasciapassare, senza commenti di sorta. Naturalmente, non poteva sapere di aver lasciato fuggire un assassino, ma lo scoprì assai presto.
Le guardie ducali arrivarono a mattina inoltrata. 
Il vescovo dormiva, e gli ci volle qualche minuto per comprendere il motivo di tutto quel trambusto. 
Un ufficiale pretese l’elenco di coloro che erano usciti dalla città quella notte, così in vestaglia e ancora assonnato, il vescovo consegnò gli unici tre nomi che aveva. Qualcosa, nell’espressione dell’ufficiale gli fece comprendere che c’erano grossi problemi in vista per tutti.


Albeggiava, quando l’Ungaro, guardia personale del Duca, si decise ad andare dal suo signore. 
I suoi ordini erano stati chiari: starsene alla larga, ma a tiro di voce, finché lui non avesse sbrigato quel suo affare, un affare sposato e dagli occhi che avrebbero reso dolce la bile. Sbadigliò e si stiracchiò, ancora leggermente confuso dal vino, e diede un colpo sulla spalla del suo compare:
- Avanti, muoviamoci. Ormai il Moro si sarà divertito abbastanza – disse, infilandosi il pugnale nel cinturone. L’altro annuì e guardò fuori dalla finestra: la caligine del mattino già offuscava la strada. Fece una smorfia:
- Farà un freddo dannato. Accidenti a te e a lui- imprecò – Doveva essere fuori ore fa. Che la donzella l’abbia avvelenato?- ridacchiò, ma l’altro non era divertito, anzi si preoccupò:
- Dì, sei pazzo? Ma che l’Inferno mi inghiotta se non hai ragione. Deve essere successo qualcosa – concluse, con sguardo arcigno rivolto al non lontano palazzo- Sbrigati, questa faccenda non mi piace- esortò il suo compare, che si calcò in testa il berretto, e insieme uscirono in fretta. Dovevano solo attraversare la strada. Trovarono solo i servi svegli a quell’ora. 
L’Ungaro fermò una donna che passava con un braciere di ceneri fredde:
-Dì, donna, il Duca s’è già svegliato? È uscito? – le chiese, con veemenza. Quella mise un’espressione spenta, perplessa:
- Non è uscito nessuno…- mormorò, confusa, guardando un’altra che si strinse nelle spalle e intervenne:
- è salito su con Ser Lorenzino, ma non s’è ancora visto- raccontò. 
I due uomini si fecero indicare la stanza e corsero a controllare.La stanza aveva le imposte chiuse, il camino era spento da ore, non si vedeva niente. L’Ungaro entrò a tentoni, cercando il letto, e ordinò all’altro di aprire la finestra. 
Quando tirò i corteggi distinse una figura, ma poteva essere addormentata. Con uno schiocco di cardini, le imposte furono aperte e la luce debole e biancastra cadde sul materasso.
Alessandro de’Medici era chiamato dai fiorentini “il Moro” per via del suo incarnato scuro. C’era chi diceva che sua madre fosse una schiava nera, ma in quel momento il pallore cereo della morte vanificava qualunque soprannome. 
Il Duca era riverso tra le lenzuola con le spalle alla porta, un drappo buttato a caso sul suo corpo, forse un tentativo degli assassini di celarne le spoglie. Un tentativo piuttosto idiota, pensò l’Ungaro, visto che il sangue imbrattava il letto, parte del pavimento, e una spada corta era infitta nel petto del Duca di Firenze, dritta come una freccia nel corpo di un fagiano. Le due guardie del corpo si precipitarono a chiamare i magistrati, la guardia cittadina. Proprio un bel giorno di festa, quel sei di Gennaio del 1537 per  Firenze.
 
 
  
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