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Autore: DeepBlueMirror    10/01/2013    7 recensioni
-Ok. Una fan ti ha consigliato di leggere una di quelle storie inquietanti che girano sul web- riepilogo brevemente, accavallando una gamba e lisciando distrattamente pieghe inesistenti sul materasso. -E tu l'hai letta, immagino.
Cosa accadrebbe se Matt mettesse le mani su una fanfiction tormentata e discussa come "Wires"?
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Hello, Adelaide!
(sì, mi piaccione le citazioni MUSoniche :D fate caso ai ritmi di batteria inseriti nella storia: cosa vi ricordano? ;) )

Nuova di questa sezione, essì... e anche un po' spaventata!
Questa luuuuuunga shot NON contiene Belldom. Ci saranno altre occasioni per esplorare questo pairing, sono più che decisa a scrivere qualcosa a riguardo... ma in questi giorni ho preferito seguire un'altra idea che si muove sui binari di una profondissima amicizia, molto fisica, affettuosa, ma Amicizia.

L'idea in questione è: e se Matt scoprisse Wires?
Sì, Wires, una storia  senza zucchero e fronzoli, bellissima, ma inquietante. Non perdona. Lascia il segno. 

Vi lascio il link 
http://museslash.livejournal.com/1095026.html : se non l'avete letta vi consiglio di abbandonare Wireless e di riprenderla una volta letta. I passi citati sono traduzioni mie.

Un abbraccio, resto in attesa delle vostre impressioni!

Deep








Tum-tum-p-t-tum-tum-p-t.
 


-È in ritardo.
 

Mi concedo ancora qualche istante per giocherellare con le bacchette prima di posarle sul rullante con un sospiro, passandomi poi distrattamente la mano destra sul viso.

Un'occhiata veloce tra le dita al quadrante dell'orologio stretto al polso sinistro: nove e quarantuno del mattino.
 
Seduto a pochi metri da me, Chris ammazza il tempo accordando il basso per la quarta o quinta volta: movimenti forzatamente lenti e misurati, occhi fissi ora sullo strumento, ora su di me.
Mi stringo nelle spalle, seguendo con gli occhi le sue dita scorrere lungo il manico, dalle corde alle chiavi, dalle chiavi al corde, ancora e ancora, sino ad 
abbandonare l'operazione ormai inutile per limitarsi a sfiorare le corde con delicatezza, facendole vibrare quel poco che basta a riempire questo silenzio.
-È in ritardo- ripete Chris senza scomporsi, ma con una punta di preoccupazione in più rispetto a quindici secondi fa, quando ha commentato l'evento con fare perplesso.
-È...
-Sì, Chris, è in ritardo.
-No, intendevo dire "È strano che sia in ritardo". Non è da lui.
-Strano, sì.
 
Conversazione affascinante.
Riprendo in mano una delle bacchette, facendola girare distrattamente tra le dita: Chris torna a strimpellare qualche nota.
 
L'aprirsi silenzioso della porta produce uno spostamento d'aria che attira la nostra attenzione.
-Diamine- sbotto -finalmente ti sei deciso a tirare giù il culo dal... oh.
 
Tom.
Morgan. 
E nessun frontman all'orizzonte.
 
-Buongiorno, Chris!- esclama Tom con entusiasmo, varcando allegramente la soglia con le braccia cariche di oggetti non ben identificabili. Dopo una serie di contorsioni complicate per evitare svolazzamenti di fogli e suicidi di iPhone, Tom riesce finalmente ad allungare a Chris una busta di carta marrone: un profumo dolce e tiepido giunge fino alle mie narici.
-E buongiorno a te, Dominique, la sindrome premestruale ha colpito ancora?- aggiunge, per poi lanciarmi una busta gemella in piena faccia; Morgan si limita a sorridere in silenzio, palesemente in preda alla tipica stanchezza da lunedì, per poi posare un ultimo sacchetto su una delle tastiere: ricambio il sorriso, esibendo il mio dito medio in direzione di Tom.
Questo in tutta risposta mi lancia un bacetto, per poi scaricare il gigantesco plico di foglio battuti a computer su un amplificatore: -Colazione per tutti... e scartoffie varie per il nuovo tour- spiega, estraendo dal sacchetto un muffin al cioccolato e accingendosi a divorarlo tutto in una volta. -Ci ffiamo pefsi Maff?- aggiunge a bocca piena, piegando la testa in direzione di una custodia per chitarra poggiata contro il muro, ancora chiusa.
-A quanto sembra- mugugna Chris, sbirciando nella busta di carta ed estraendone un muffin gemello su cui decide di scaricare la tensione accumulata.
Addento il mio dolce, gettando l'ennesima occhiata all'orologio.
 
Buonissimo, ancora caldo.
 
Quaranta minuti di ritardo. 
 
-Sarà il pupo- afferma Tom, iPhone sfoderato e pronto all'uso, il numero di Matt già sullo schermo. -Sta mettendo i denti, so che ultimamente tiene svegli mamma e papà fino all'alba. Avrà avuto qualche difficoltà a "tirare giù il culo dal letto"- aggiunge, offrendo una buffa imitazione del mio exploit di poco fa. 
Sorrido distrattamente, ascoltando i beep cadenzati prodotti dalla chiamata in attesa di risposta.

Alcuni istanti di silenzio, poi uno sbuffo accompagna l'allontanarsi dell'apparecchio dall'orecchio di Tom:- Non risponde. Fantastico. Assurdo. Sa che non lo cerco mai per stronzate. E ha il sonno leggero, non può non aver sentito la suoneria. O la vibrazione- afferma, occhi meravigliati fissi sullo schermo -Cazzo, riesce a sentire la vibrazione del mio telefono a distanza di metri. Metri. Tipo che lui è sul balcone, il cellulare in una tasca di una giacca mezza sepolta sotto al letto nella mia camera, dall'altra parte dell'appartamento, magari c'è pure traffico in strada. E puntualmente eccolo lì, "Tom, il telefono"... sempre. Capito? Tutte le dannate volte. E ora invece...
-Tom, rilassati- lo interrompe Chris con una pacca sulla spalla, posando il basso su una sedia e voltandosi verso di me. -...Dom?- domanda semplicemente, mentre la logorrea del nostro amico si riduce a un borbottio sommesso.
Tom sembra approvare, mi rivolge uno sguardo speranzoso, in attesa di un qualche illuminante responso.
Getto un'occhiata disperata a Morgan in cerca di qualche idea sensata, ottenendo in risposta uno sconcertato allargarsi di braccia.
 
Un tempo questa sarebbe stata la norma.
La scomparsa improvvisa di Matt era routine, ci si ritrovava spesso a degli orari assurdi a frugare in qualche bosco poco distante dal parcheggio del bus, o ad arrampicarsi sul tetto di qualche albergo, trovandolo regolarmente intento a fissare il vuoto con aria concentrata.
Chi si occupava di tutto ciò? 
Il sottoscritto.
Bastava un "Manca Matt" o un "Abbiamo un disperso" di Tom prima di qualche intervista o soundcheck a farmi abbandonare con un sospiro qualunque cosa stessi facendo e scomparire a mia volta, tornando vincitore una decina di minuti dopo.
Erano anni che non accadeva e la cosa sembra rendere nervosi un po' tutti.
 
La mia risposta, comunque, rimane esattamente la stessa di allora.
 
-Vado.
 
 
 





 
 
 
-Oh, sei tu Dominic. Buongiorno.
 
È tempo di fare buon uso dei trentadue denti meravigliosamente bianchi e dritti in dotazione, Howard.
 
-Buongiorno, Kate, stavo...
-Dammi solo un secondo- mi interrompe subito lei, voltandosi con aria esasperata verso il lungo corridoio alle sue spalle. -Ryder! È la settima volta che te lo chiedo, piantala immediatamente! 
Sento una serie di tonfi morbidi, cadenzati, che prima non avevo notato.
-Ma mamma! Guarda come rimbalza!
La risposta del ragazzino e i gridolini di gioia di Bing riescono a strapparmi un sorriso sincero: non riesco a farmi piacere Kate, ma i suoi figli sono tutta un'altra storia.
Gli occhi di lei tornano a posarsi su di me con aria rassegnata:- Lo lancia sul materasso e lo riprende al volo. È tutta la mattina che vanno avanti così, non riesco a farli smettere... stavi cercando Matt? Credevo che oggi non dovesse lavorare, non è ancora uscito dalla... sua stanza.
 
Il mio cervello registra il "sua" e fa una capriola.
 
Stanze separate?
 
Kate sospira, spostando una ciocca di capelli dietro un orecchio sproporzionato quasi quanto il mio:-Sì, vedi... è da ieri che OH, PER L'AMOR DEL CIELO, RYDER!
Un tonfo sordo ha interrotto la nostra conversazione, trasformando il viso di Kate in una maschera d'orrore.
-Non si è fatto niente, mamma! Ride come un matto! - è la risposta, seguita da una serie di gridolini eccitati.
Rido di cuore, mentre Kate sfreccia lungo il corridoio gridandomi qualcosa sulla necessità di intervenire per sventare un fratricidio.
 
 
 
 
-Ultimamente è sempre su internet... a leggere. 
Sorseggio il mio caffè senza distogliere lo sguardo da lei: continua a scostare ciocche di capelli dal viso, preferendo ignorare lo stato di decadenza in cui versa il suo chignon disordinato; ogni ciocca finisce dietro un orecchio, per poi ricadere in avanti pochi istanti dopo.
Capelli biondi, orecchie gigantesche, possibile futuro esaurimento nervoso causa eccessiva esposizione alle immotivate crisi esistenziali di Matthew James Bellamy.
 
Abbiamo più cose in comune di quanto mi piaccia pensare.
 
-Con cosa si è fissato questa volta? Articoli scientifici? Saggi di economia e politica? Esoterismo?- domando comprensivo. -Nuove teorie del complotto?
Kate tace per qualche istante, passando ripetutamente un dito sul bordo del suo bicchiere di spremuta:-Storie scritte da fans.
 
Annuisco: ne ho sentito parlare. Non credevo Matt potesse interessarsene.
 
-Storie su di voi.
 
Attendo in silenzio.
 
-Storie su... relazioni. Tra di voi.
 
Aggrotto le sopracciglia, perplesso.
 
Kate annuisce pensosamente:-Sì, nulla di realistico, fantasie. Sul genere "Matthew è una sorta di gangster in affari con Christopher e nel tempo libero è 
 
impegnato a tentare di sedurre Dominic in modi poco ortodossi". Tanto per citarne una.
 
Mi sfugge un sorriso:-Un gangster?
 
-E tu, un prete.
 
Il sorriso scompare rapido come è venuto.
 
Prete.
Sedotto.
Io.
 
Ugh.
 
-Matt lo trovava divertente. Comunque...- riprende, dopo aver bevuto un sorso di succo.
Finisco lentamente il mio caffè, senza smettere di fissarla.
 
Sembra nervosa.
 
-... sì, ieri sera stava leggendo una di queste storie. Poi, all'improvviso, è impallidito. Ha letto ancora per qualche minuto, aveva gli occhi sbarrati e sembrava sull'orlo di una crisi di nervi. Poi se ne è scappato di sopra, si è chiuso nella vecchia stanza di Ryder e non è più uscito. Ho provato a bussare, a parlargli, gli ho telefonato una ventina di volte. So solo che è lì dentro e che ha con sè l'Iphone. Ho sentito il rumore della vibrazione quando l'ho chiamato.
Non posso fare a meno di sobbalzare quando una sua mano si posa senza alcun preavviso sulla mia destra posata sul tavolo, stringendola lievemente:-Cosa ne pensi, Dominic?
 
Serro le labbra per un istante, corrugando la fronte e notando il lieve tremito della sua mano.
 
-Proverò a parlargli, Kate. Proverò a parlargli.
 
 







 
 
Provo ad abbassare delicatamente la maniglia.
 
Inutile.
 
Sospiro, bussando piano, un colpo solo.
 
Nessuna risposta.
 
Due colpi.
 
Nulla.
 
Ci riprovo, battendo un ritmo ben preciso con le nocche: tum-tumtum-tum-tumtumtum.
 
Le mie labbra si incurvano in un lieve sorriso all'udire una tremolante risata in falsetto: il ridacchiare proveniente da dietro la porta è decisamente incoraggiante.
-Ehi- provo, appoggiando il palmo della mano sul legno lucido. -Sei ancora vivo?
 
L'unico suono udibile è un tirare su col naso.
 
-Chris è preoccupato, sai?   
 
Attendo qualche istante, senza ottenere alcuna risposta.
 
-Anche Tom.
 
Silenzio.
 
-E Morgan.
 
Tutto tace.
 
-E anch'io.
 
Il fruscio di una coperta, lo scricchiolare di un materasso, lo stesso tirare su col naso di poco fa.
 
-Prima o poi dovrai uscire per ricaricare l'Iphone. O per andare in bagno- affermo con sicurezza, scivolando a sedere davanti alla porta -E non ho intenzione di muovermi di qui fino ad allora. 
 
Nessuna reazione udibile.
 
Fisso l'orologio.
Cinque minuti.
Dieci minuti.
Quindici.
Venti.
 
Al ventitreesimo avverto lo scattare della serratura a pochi centimetri da me.
 
Levo lo sguardo verso lo spiraglio di porta apertosi silenziosamente; un occhio azzurro sbircia verso di me attraverso di essa.
-Ho l'alimentatore con me.
Sorrido, poggiando il mento sul palmo della mano:-Ma devi usare la toilette.
-Il cesso.
-Come preferisci.
-Tualet è...- ridacchia Matt, storpiando orribilmente la pronuncia dolce della parola e fingendo come al solito di fermarsi a riflettere sul termine migliore da usare.
 
Che in questi casi è sempre, sempre, sempre lo stesso.
 
-Toilette. È francese, Matt. Francese. Non gay- lo ammonisco, lanciandogli un'occhiataccia che non sortisce alcun effetto.
-...nah. È piuttosto gay.
-Come tutto ciò che indosso, cucino, tocco, dico e faccio. E ora su, corri al tuo amato cesso, cazzone che non sei altro.
Matt schizza fuori dalla stanza e il fantasma di una delle sue risate idiote, un pelo sottotono, aleggia nel corridoio per alcuni istanti.
Scuoto la testa, rialzandomi dal pavimento e entrando cautamente nella stanza.
 
L'odore di chiuso è insopportabile.
 
Storcendo il naso mi avvicino all'unica finestra della stanza, spalancandola.
Soddisfatto, lascio alle mie spalle la finestra per abbracciare l'intera stanza con lo sguardo.
 
Mobilio colorato per bambini.
Un plaid abbandonato su un letto azzurro privo di coperte, lenzuola e cuscini.
Un Iphone collegato a un alimentatore e posato sul letto.
 
Mi avvicino cautamente, nella speranza di scoprire qualche dettaglio illuminante, ma scopro con un certo disappunto che la solita password non è più valida.
Sfioro il contorno della custodia, posando gli occhi ora sull'immagine della Union Jack, ora sulla porta.
 
Quanto diamine ci mette.
 
Siedo sul letto, prendendo a osservare il muro davanti a me: qualcuno lo ha decorato con immagini di animali.
Union Jack.
 
Porta.
Cavallo.
Union Jack.
 
Porta.
Anatra.
Union Jack.
 
Porta.
 
-Dammelo. Subito.
 
Matt.
 
-Hai cambiato password, no?- rispondo con un'alzata di spalle, riuscendo finalmente a dare un'occhiata come si deve al suo viso.
 
Pallido.
Occhi fuori dalle orbite.
Labbra mordicchiate a sangue.
 
-Hai un aspetto orribile.
Matt fa una smorfia indefinita, avvicinandosi al materasso e sedendo il più lontano possibile da me.
-Puoi ridarmelo, per favore?- risponde, tendendo debolmente una lunga mano ossuta verso la mia, nello stesso istante in cui io ritraggo la mia.
Il suo sguardo schizza dall'iPhone stretto tra le mie dita al mio volto, due, tre volte, per poi incantarsi nel vuoto.
-Cos'è successo?- domando, posando il telefono sul materasso accanto a me, fuori però dalla sua portata.
-Ho... sbagliato- mormora lentamente, strofinando le mani sugli occhi.
 
La cosa andrà per le lunghe.
Parecchio per le lunghe.
 
-Cosa, Matt.
-Ho sbagliato.
-Ok.
-Ho... letto una cosa.
-Una cosa?
-Sì, una...una cosa.
-E...?
-Non avrei dovuto. Ho sbagliato.
Piego la testa di lato, stordito dall'eccesso di anafore e dalla tortuosità del "discorso":-Perchè non avresti dovuto?- domando, sinceramente perplesso.
-Io...è...una storia. Triste. Una storia triste.
-Oh.
 
Per alcuni istanti torna a regnare il silenzio.
 
Matt sembra intenzionato a cacciarsi il bulbo oculare destro nel cranio a furia di sfregarci sopra la mano.
Gli scosto con delicatezza la mano dalla faccia e la porto vicino all'altra, abbandonata sul ginocchio, nella speranza che lì faccia meno danni:-Puoi 
raccontarmela?- aggiungo, ottenendo in risposta un grugnito indecifrabile.
-È un no?
Stavolta Matthew non mi degna nemmeno di una risposta semiverbale; scuote con decisione la testa, facendo per riportare la mano destra agli occhi. 
Glielo impedisco, afferrandogli il polso e riportandolo contro il suo ginocchio:- Perchè no?
-Mi rideresti in faccia.
-Oh?- replico, sollevando un sopracciglio e seguendo con lo sguardo il tragitto compiuto distrattamente delle sue dita lungo le pieghe dei suoi pantaloni. -Perchè dovrei ridere di qualcosa che sembra turbarti?
L'espressione di Matt è sempre meno rassicurante. Apre bocca un paio di volte, senza emettere suono, poi alla terza vi è il successo:-Non sono turbato.
-No, Matt. Sei chiaramente nel pieno della tua serenità mentale- replico stancamente, fermando nuovamente l'avanzata della sua mano verso il volto. -Smettila- affermo, afferrando con decisione i suoi polsi e immobilizzandoli all'altezza del suo ombelico; prendo a massaggiare con un lento movimento circolare il reticolo di vene, rispolverando un gesto un tempo familiare, abituale, spesso accompagnato da qualche battuta sull'operazione di ripasso con pennarello nero eseguita quasi giornalmente da Matthew. 
-Non importa quale pensi possa essere la mia reazione, voglio sapere cosa diamine ti ha tenuto chiuso in una stanza da ieri sera ad adesso e ti ha ridotto a un balbettio incoerente e piagnucolante. Di cosa parlava quella storia?

Stessa reazione di prima.

Boccheggia un paio di volte, replica un "Non sono un balbettio incoerente e piagnucolante", piuttosto offeso, per poi borbottare qualcosa di incomprensibile.
-Ripetimelo, per favore.
Matt tiene gli occhi fissi sui suoi polsi, sulle mie dita:-Non è colpa mia- mormora.
Piego nuovamente la testa di lato, allentando appena la stretta sui suoi polsi per massaggiare la cute con maggiore delicatezza:-Colpa tua?
-No. Anzi, sì. Forse. Io...io...  sì. Sì, sì, è così. Sì, sai... mi conosci.
Faccio fatica a star dietro al torrente di sillabe che fugge a rotta di collo dalla sua bocca. 
-Ti conosco, sì, ma non riesco a seguirti- rispondo con gentilezza, interrompendo il suo borbottio nuovamente incomprensibile.
Matt mi fissa, stordito, come fa sempre quando, cercando di spiegarsi, perde il suo interlocutore per strada e riceve una disperata richiesta di chiarimenti.
-Oh. Uh ... sì, Twitter- tenta di spiegare, col risultato di confondermi ancora di più le idee. -Sì, sai. Un tweet. Da una fan. Per me. Mi ha incuriosito. Mi conosci - aggiunge, speranzoso. -Mi ha incuriosito. Mi conosci, sai cosa succede quando qualcosa mi incuriosisce. 
-Cosa diceva questo tweet di tanto sconvolgente?- domando, felice di essere finalmente quasi giunti al punto.
-"Dovresti assolutamente leggere Wires !"- risponde, producendo una vocina femminile a dir poco inquietante.
-Wires? La... uh, storia triste?
Matt serra le labbra, annuendo freneticamente; gli permetto di liberarsi della mia stretta, rimanendo a osservarlo mentre intreccia le dita sullo stomaco, posando gli occhi sul muro colorato.

Gli concedo qualche istante di silenzio, sperando che smetta di fissare intensamente quella dannata gallina dipinta 
accanto alla finestra.
Accolgo la sua improvvisa afasia con un sospiro: immagino di dovergli cavare fuori le parole di bocca ancora per un po'.

-Ok. Una fan ti ha consigliato di leggere una di quelle storie inquietanti che girano sul web- riepilogo brevemente, accavallando una gamba e lisciando 
distrattamente pieghe inesistenti sul materasso. -E tu l'hai letta, immagino.
-Mi ha incuriosito- borbotta per l'ennesima volta, simile a un disco rotto.
-Matt- dico gentilmente, sfiorandogli amichevolmente un braccio. -Abbiamo un tour da preparare e un milione di altre cose da fare... e pochissimo tempo. Non so come aiutarti se non riesci a darmi qualche informazione in più.

Fisso gli occhi sul suo viso, attendendo pazientemente che i suoi lineamenti spigolosi prendano posizione.
I denti scavano nuovi solchi sul labbro inferiore.
Occhi bassi, poi levati verso di me, poi verso il muro.
-Informazione- ripete con voce neutra, grattandosi distrattamente una guancia.
 
L'ennesimo silenzio meditabondo.
 
-Ok. Informazioni- afferma lui, appoggiando la schiena al muro e incrociando le gambe sul materasso, mani nuovamente intrecciate in grembo.
-Uh?- replico, spiazzato dalla sua reazione improvvisa.
-Wires. È una storia. Fanficton. Scritta da fan. Per altri fan. Su di me. Su di te. Chris. Kelly e Tom. I miei genitori. 

La sua voce rimbalza sui muri della stanza spoglia con leggerezza, quasi stesse elencando le definizioni di un cruciverba.

-Parla... di...
 
Tutta la sua determinazione iniziale sembra sciogliersi in un istante, mentre la sua espressione torna smarrita e le sue spalle si incurvano tristemente in avanti.
 
-Dammi un secondo. Dieci secondi- balbetta, agitando una mano per aria per impedirmi di parlare. Rispetto la sua volontà, attendendo lo scadere dei dieci secondi con una certa inquietudine.
 
È una storia inventata.
Una fantasia.
Magari inquietante, magari malata, ma resta una semplice fantasia: cosa diavolo può contenere di così sconvolgente?
 
-Ok. Ci sono- afferma convinto, un sorriso di scusa si stiracchia sulla sua faccia per una frazione di secondo. -La storia, dicevo. Parla di me. Di un me 
ipotetico. Che... che...
Poso una mano sul groviglio di dita che gli si agita in grembo, stringendole insieme per attenuarne il tremito:-Ehi- mormoro tranquillo, ricevendo in risposta un'occhiata ansiosa.-Respira.

Esegue senza replicare, inspirando ed espirando per un paio di volte.

-È uno schifo- dice con aria cupa -Non avrei dovuto leggere nemmeno la trama di quella... cosa. Come... come può venire in mente a qualcuno di scrivere storie del genere, davvero non me lo spiego.
-Matt, ti prego, di cosa...?
 
Gli permetto di districarsi dalla mia presa, osservandolo mentre si sporge oltre il mio gomito, tastando alla cieca fino a riappropriarsi dell'iPhone. Seguo il 
picchiettare febbrile dei polpastrelli, sporgendomi verso di lui per poter sbirciare lo schermo.
-Leggi. Qui. Leggi qui- mormora, avvicinando ai miei occhi la pagina web appena caricata.
 
"Wires
Autore: fishofpwoper".
 
Salto un paio di righe.
 
 
"Trama: Matt ha l'AIDS. Dom riflette sulla situazione".
 
 
Afferro il telefono, costringendomi a mettere a fuoco le lettere una seconda volta.
Non posso aver letto veramente quello che il mio cervello vuole farmi credere abbia letto.
 
Matt-ha-l'AIDS.
È scritto lì.
Per quanto strizzi gli occhi, cambi angolazione, rilegga più e più volte i caratteri neri in arial font, la scritta resta uguale.
 
Incontro il suo sguardo duro, angosciato.
-Matt...
-No, no, no- si affretta ad aggiungere. -Io sto bene, Dom, bene, sul serio. Ma vedere scritta una cosa del genere fa il suo dannato effetto.
-AIDS- scandisco, rileggendo la trama della storia per la settima volta; la mia mano libera torna a posarsi sulle sue. 
-Sette capitoli su di un me ipotetico, rinchiuso in un ospedale in attesa di morire. Con tutte le descrizioni di collassi, nausee, lesioni, annessi e connessi. Tutto. Fino al decesso- specifica lui, tornando a guardare il mucchietto di mani mie e sue tristemente abbandonate sul suo addome.
 
Il mio cervello sembra essersi irrimediabilmente inceppato.

-L'hai letta...tutta? 
Una tremula alzata di spalle:-È ben scritta- sussurra, una nota amara nella voce. -Fottuttamente ben scritta, Dom. Una volta iniziata, l'ho dovuta finire. E il finale...- aggiunge, interrompendosi con aria cupa. -Il finale- ripete tra sè e sè.
 
Il finale in una storia del genere non può essere lieto, nessun dubbio a riguardo.
 
Sospiro, decisamente scosso, facendo scorrere un'ultima volta il testo di introduzione, rifiutandomi di leggere la storia vera e propria.
-Cosa sarebbe un Belldom?- domando, aggrottando le sopracciglia e posando nuovamente l'iPhone sul letto.

La risata soffocata alla mia sinistra mi lascia decisamente interdetto.

-Ehi, chi era che poco fa borbottava "Mi rideresti dietro, non te ne parlo"?- protesto, tirandogli una spallata scherzosa.

Se non altro l'atmosfera cupa sembra essersi un pelo alleggerita.

-Ho scordato un'informazione importante, sì- risponde lui, ridacchiando. -La storia è raccontata dal tuo punto di vista.
-Dal mio... punto di vista- ripeto piano, in attesa della notizia che giustifichi l'espressione ilare di Matt.
-Sì. Io sono alle prese con una sindrome letale, tu racconti il decorso della malattia... le dinamiche tra me, te, Chris e il resto del mondo.
-Oh- commento, posando distrattamente gli occhi sulle sue mani, ora strette attorno alla mia. 
-E nella seconda parte della storia- aggiunge, abbassando la voce, guardandomi con occhi sorridenti, -L'autrice ci fa sbaciucchiare amabilmente fino al mio ultimo respiro.
 
Oh.
Belldom.
Certo.
 
-Ok. Belldom. Bellamy e Dom. Ci sono- rispondo, scuotendo la testa incredulo. -Quindi la malattia...
-...è una mezza scusa per farci gettare l'uno nelle braccia dell'altro?- mi precede lui, alzando le spalle con aria pensierosa. -Non saprei. Perchè alla fine... alla fine non...mmmh. Beh, io muoio- risponde, distogliendo lo sguardo e assumendo un'espressione che arriverei a definire sofferente.
-Matt- chiamo, liberando la mia mano dalle sue per posarla assieme all'altra sulle sue spalle, -Tu non muori. È una storia. Solo una storia.
-No, no, no- scuote la testa lui, nuovamente esasperato. -È questo il punto! Non è solo una storia! È... è... quando la leggi. È realistica. Funziona- replica con voce alterata.
-Puoi sentirtela addosso, la malattia. La debolezza. La frustrazione. Il-il dolore, Dom!- strepita, tornando ad afferrare quel dannato telefono e a scorrere febbrilmente il testo. -Fino all'ultimo capitolo è uno schifo, segui l'evolversi della situazione, che è una merda, ma non sei realmente consapevole del fatto che c'è una fine. Che non c'è rimedio. Non c'è nulla a cui aggrapparsi. Nulla. Poi arrivi alla fine, all'ultimo capitolo, e la cosa ti piomba tra capo e collo, senza lasciarti il tempo di capire cosa sia successo. E ti senti andare in frantumi, anche leggendolo con gli occhi di chi non vive questa realtà. E mi sento... mi sento stupido. Un coglione. Perchè sto qui a chiedermi cosa spinga la gente a spendere ore della sua giornata inventandosi un-una mia malattia, come possa far dire ai personaggi delle cose che suonano mie, che potrei dire io, o tu! O Chris! Perchè mi ritrovo a piangere lacrime vere su una cazzo di storia malata, messa lì, così, senza pensare a-a come io... ecco, ascolta.
Il torrente di parole viene interrotto per lasciare spazio alla lettura di quella che presumo essere la fine del racconto.
 
-È… è solo che io… sono stanco, e voglio… dire questo. Prima di addormentarmi . Voglio ringraziarvi, per… per essere…” prendi un respiro che suona 
esausto, rotto, strizzando gli occhi e cacciando fuori lacrime amare, “per essere… per… noi. Voglio ringraziarvi per noi. Battaglia delle Band e tour e incisioni e tutte quelle piccole stronzate che non significano nulla.” Ti sporgi oltre la mia spalla, verso Tom, che tira su col naso e si mette a sedere sul letto, accanto a Chris. “E lo stesso vale per te” aggiungi. “Perchè saremmo stati una merda senza di te".
 
Matt è riuscito a leggere a patto di scandire ogni parola con lentezza estrema.
La sua lettura mi ha scosso, devo ammetterlo: chi ha scritto sembra veramente capace di scegliere parole che non suonerebbero fuori luogo nel vero Matt. Che potresti aspettarti da un Matt in punto di morte. 
 
Il vero Matt, quello appallottolato su se stesso davanti ai miei occhi, tenta di proseguire senza successo la sua opera.
Ogni volta che tenta di riprendere dal capoverso successivo gli sfugge un respiro pesante, affannato, nessuna parola, nemmeno una sillaba.
 
Vorrei dare fuoco a quel dannato aggeggio e prendere Matt a testate fino a quando non sarà più in grado di ricordare nemmeno il titolo di questa roba.
"Wires". Fili.
Azzeccatissimo.
Senza quasi accorgersene ci si ritrova avvinti da una rete che impedisce ogni via di fuga e che lascia solchi profondi sulla carne.
 
Vorrei fare tutto questo, ma come al solito la necessità di prendermi cura del mio isterico, iperattivo, fragile amico ha la meglio su tutto.
La precedenza assoluta su tutto.
 
Afferro il suo polso con delicatezza, attirandolo a me in modo da avere lo schermo nuovamente davanti agli occhi. 
Matt sussulta, sorpreso, rafforzando la presa sul telefono.
 
-Tu sorridi assonnato, avvicinandoti a me finchè non ci ritroviamo a fissarci l'un l'altro, i nasi che si toccano, e lo vedo nei tuoi occhi, Matt- sussurro con voce calma, mentre un corpo assai meno spigoloso di quello che anni fa mi concedeva lunghi abbracci affettuosi prima di andare a dormire, o per consolarmi di qualcosa, si stringe al mio. Le dita della sua mano abbandonano il retro dell'iPhone per posarsi con cautela sul mio braccio. Riprendo il filo, ogni parola costa un po' più di fatica.

-Starai bene. Perché questa situazione non avrà la meglio su di te, né ora, né mai. Non importa cosa dicono i dottori o chiunque altro, perché tu puoi 
sconfiggerla, puoi e lo farai. Non ti porterà via da me. Starai bene. Ti farò stare bene, dovesse volerci una vita. Ti rimetterò in piedi.
 
I miei occhi scorgono le parole successive e sono costretto a fermarmi per deglutire.
Perchè ciò che ho appena letto è una fedele riproduzione di ciò che penserei in una situazione del genere.

Crederei in lui.
Lo sosterrei.
Gli urlerei addosso le peggio parole e lo consolerei e lo farei sorridere, qualunque cosa purchè lui si faccia forza e resti.
Resti qui.

Con noi.

Con me.
 
Come ora, del resto.
Il Matthew che ora respira a pochi centimetri dalla mia carotide non è malato di AIDS, grazie al cielo.
Ma questa lettura spericolata in cui si è imbarcato sembra averlo indebolito.
Ha bisogno di aiuto.
E non importa quante righe di questo finale straziante dovrò leggere, non importa quanta fatica mi costerà leggere quel "Ti amo" che sottointende qualcosa di molto diverso da quello che è il nostro rapporto reale.
Lo rimetterò in piedi.
 
Apro bocca, deciso a proseguire.
-No.
 
Matt posa nuovamente la mano sul telefono, questa volta a coprire lo schermo con il palmo.
-Fermiamoci qui- suggerisce, volto e voce rilassati, sicuri.

Sollevo un sopracciglio, sorpreso dal suo radicale cambiamento di espressione e di voce.

-Quel finale... ho capito sai. Non è il mio. Non sono io. Non è il mio finale, Dom- afferma con un sorriso sollevato. -Ci ho messo un po' ad arrivarci. Mi 
dispiace. Forse avevo bisogno di sentirmelo dire da qualcuno che mi è sempre rimasto accanto.
Lo osservo, piegando la testa di lato:-Perchè non hai chiesto l'aiuto di Kate?- domando.
 
È una donna in gamba, sa come prendersi cura di lui.
Lo so bene.
E credo sia uno dei pochi motivi che me la fanno apprezzare sinceramente.

-Kate è la donna che amo. Tu sei la mia ombra, Dom. Persino in una storia scritta da uno sconosciuto. Eri lì, con il Matt malato. E sei stato qui, con quello isterico. E sei qui. Sei qui.
Resto in silenzio, 
-Ci speravo. Non sapevo se mi sarei sentito meglio o peggio con te qui. Ma rileggere quella parte che mi aveva mandato fuori di testa, con te accanto, e la tua voce, quella vera... faceva meno effetto. È stato bello.
-Ah, è così?- ribatto, simulando un'espressione offesa e parlando con voce lamentosa, -Prima mi dici che ti sono sempre appiccicato, ora che il mio modo di leggere è poco d'effetto...
-È una cosa... sono cose positive! Giuro, Dom, non sto scherzando, mai stato più serio, Dom, davvero, credimi, sì?- si affretta ad aggiungere, invadendo con decisione il mio spazio personale per soffocarmi in un abbraccio apprensivo, uno di quelli ormai rari, che una volta erano routine, che sapevano di ore di viaggio strizzati in un bus e di pennarelli neri consumati per tracciare piste di vene sugli avambracci.
 
Scrollo la testa, sorridendo nella sua spalla e godendomi il calore della sua stretta.
 
Lo rimetterò in piedi, sempre, a qualunque costo.
 
 
-Sì, Matt. Sì.
 
 
  
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