Autore illustrazione Victor Nizovtsev
Il
Re Nero, la Regina e il Re Bianco
Ero
talmente distratta e scossa per via di
quel fastidioso imprevisto e dall’esigenza incontrollata di voler vedere B, che mi soffermai ed accorsi
solo per un attimo, che stavo osservando mio padre entrare dalla porta di casa,
ma non lo mettevo realmente a fuoco, era una componente indesiderata
nell'ambiente in cui mi trovavo, che si muoveva e che iniziava a parlare, ma io
non gli davo la minima importanza. Contornava il mio campo visivo, era qualcosa
a cui mi limitavo ad annuire con lo sguardo apparentemente sorpreso dalla sua
improvvisa comparsa.
“Oh, scusate ragazze, ma ho dimenticato il mio
telefono cellulare. Oggi devo avere la testa altrove…”
mio padre con un sorriso smagliante si diresse con fare tranquillo verso la
cucina, mentre io e Weddy lo seguivamo con gli occhi
ad ogni passo che compiva. “Se lo lascio qui, dubito che potrò contattarvi.”
Dietro di noi arrivò la risata divertita
di mio padre ed io mi voltai verso la bionda donna davanti a me, guardandola
nervosamente, mi morsi il labbro inferiore e strinsi forte con le mani sulle
due metà del libro spalancato sulle mie gambe.
“Già! Sarebbe stato un bel problema. Avrei dovuto
chiamare in centrale per farglielo venire a riprendere.” Weddy
guardando prima verso la cucina e poi pian piano dirigendosi su di me, parlò
recitando la parte della brava poliziotta.
Papà uscì dalla stanza mentre addentava una
ciambella avanzata dalla colazione e se la tolse di bocca, per rispondere in
maniera colpita e interessata a Weddy. “Lei è un
agente davvero responsabile, Wilson. Credo proprio che oggi Leonor
sia in ottime mani.”
“Grazie, Signore.” Weddy
rispose gentilmente, scoprendo un sorriso che a me parve immediatamente
artificioso, ma così ben aperto e verosimilmente spontaneo, che se non l’avessi
conosciuta le avrei creduto anche ad occhi chiusi; proprio come fece mio padre,
che soddisfatto di ciò che aveva visto, contento e salutando svelto, prese,
aprì la porta e scappò via senza fare tante domande, senza insospettirsi
minimamente. Per lui il problema era in parte risolto. In effetti pover uomo era ignaro del fatto che la questione era più
fresca che mai, come una mano di vernice colorata data su tutte e quattro le
pareti di una stanza appena tinteggiata, in qualunque parte si fosse
sbadatamente poggiato prima o poi si sarebbe macchiato e si sarebbe scoperto
deluso , arrabbiato con sé stesso.
Che strana sensazione provai in quell'istante,
avevo salito un gradino più alto rispetto a quello delle altre persone
coinvolte in quel caso e in quella storia. Regina, su quella scacchiera, al di
sotto di me tutti erano ignari dei segreti della mia vita a e della mia corte
che si muoveva nell'ombra. Le ombre di B e L che venivano proiettate dalla mia
falsa luce. Sì, ma ero bianca o nera? Avrei attuato la mossa finale di L o di
B?
Probabilmente il mio combattimento interiore non
sarebbe cessato finché gli occhi di Beyond non
avessero incrociato i miei.
Sbattendo rumorosamente i lati del libro, lo
chiusi e bottai fuori tutta l’aria che avevo nei polmoni, mi sembrò di aver
vissuto quella breve apparizione di mio padre nella più totale apnea, ma i
rimasugli del lavoro di B si fecero sentire portandomi tossire un po’.
“Bene, dobbiamo aspettare che vada via davvero
questa volta…” Weddy, la
torre di L, iniziò ad alzarsi, ma io mettendomi su veloce la fermai poggiandole
la mano sulla spalla.
“Darò io un’occhiata fuori.” Dissi iniziando a
prendere sicurezza e confidenza a quella condizione. Arrivai alla finestra,
sollevai la tenda per frappormi tra lei e il vetro, stando a guardare
l’evoluzione della situazione esterna.
Abel era rimasto nella sua postazione, con la
testa incappucciata di blu e piegata giù
verso le sue braccia conserte al petto, immobile davanti la lavanderia, mentre
mio padre dall’altra parte del marcia piede si accingeva a salire nella sua
auto.
Weddy, nel frattempo mi parlò continuando a rimanere
seduta in attesa di sapere cosa stesse accadendo fuori. “Però! Avevo notato che
eri abile nel controllarti, ma non credevo che fossi così pronta. Con
quell'aria da ragazzina pulita e assennata non daresti l'idea di riuscire ad
adattarti a certi stati d’animo o situazioni, ma riesci a camuffarti alla
perfezione. Sei davvero brava. Ti ribadisco che avresti un gran futuro nello
spionaggio.”
“Tu sei molto brava. Prima non so come ho
fatto a resistere o rispondere con un altro sorriso a quella smorfia d’alta
recitazione.”
“Oh, beh! Ci vuole molto allenamento per riuscire
a convincere e manipolare le persone. Mia cara Leonor,
devi riuscire ad entrare nella tua testa prima di entrare nelle loro. E’ come
un riflesso allo specchio, solo che sulla superficie ogni volta trovi un
individuo diverso.” I movimenti dell'alzarsi di Weddy
arrivarono al mio orecchio, venne verso di me per attendere qualcosa che sapeva
stesse avvenendo come da copione sia fuori, che in me e che venne sbloccato dal
suo. “Sei pronta?”
Mi pervase un insolito
coraggio, le parole di Weddy mi avevano scosso nella
maniera in cui aveva voluto lei. Dentro, una massa informe di me stessa, non
ancora definita, che non credevo esistesse, iniziò a plasmarsi in modo
concreto.
Come sempre sono le circostanze meno ordinarie a
far scoprire parti di sé stessi che nemmeno immaginiamo d’avere.
E mentre
mio padre alzò lo sguardo per guardare verso di me, mentre lo vedevo sorridermi
tranquillizzato, mentre lo risalutai alzando innocentemente la mano e
poggiandola sul vetro fresco, mentre risposi al suo sorriso con uno più simile
ad una smorfia, a causa dei raggi solari che mi fecero chiudere gli occhi in
una fessura e mentre sentii il peso delle mie responsabilità che si faceva
sempre meno gravoso, lasciai uscire netta la mia risposta. “Sono pronta. Devo
raggiungerlo.”
Il mio uscire di casa con Weddy
somigliò molto ad una specie di cerimonia lineare e composta, che difficilmente
si attua nella vita comune. Era molto simile al prepararsi per andare ad un
funerale di un affetto davvero stretto; sai che dovrai mantenere un contegno,
sai che dovrai resistere alla tentazione di laciar
scorrere le lacrime, anche se sei conscio che sarà la tua unica liberazione, ma
non lo farai per mantenere quella fierezza e contegno che solo in quelle
circostanze si deve possedere.
I nostri passi risunavano
nella tromba delle scale, non volli prendere l'ascensore, perché volevo
scendere prima di risalire grazie alla mia torre, volevo sentire l'appoggio dei
miei piedi sui gradini, volevo che quell'azione mi rendesse vera, che il mio
incedere lento rendesse reale ciò che stavo andando a fare.
Arrivate
alla scura auto di Weddy, trovammo Abel lì
davanti ad attenderci.
Weddy ed io osservammo il ragazzo e lui fece lo stesso alzando lo sguardo dal
marciapiede, togliendosi le mani dalle
tasche dei suoi chiarissimi jeans shots che gli
arrivavano fino le ginocchia.
"Puoi venire con noi, ma rimarrai seduto
dietro. Ok?" Weddy parlò severa e senza staccare
gli occhi da Abel. Lei aveva inteso benissimo del coinvolgimento emotivo del
ragazzo in tutta quella sanguinosa vicenda e voleva evitare il più possibile
che con qualche comportamento fuori programma, rovinasse tutto il piano; come
d'altronde anche io rischiavo di mettere costantemente a repentaglio con le mie
scelte istintive.
Abel era il pedone più scomodo.
Il ragazzo fece cenno di assenso facendo muovere
le estremità del suo cappuccio che gli ricadevano morbide sulle spalle. Weddy montò alla guida del veicolo ed io e Abel ci
apprestammo a fare lo stesso dal nostro lato. Mentre stavo alzando il sedile
per permettere al ragazzo di salire, mi prese per il braccio e mormorò a denti stretti nel mio orecchio
"Promettimi che non ti lascerai far fare del male da lui."
Prima abbassai gli occhi sulla vernice nera della
vettura e poi li rivolsi ad Abel con aria nervosa " Non devi preoccuparti,
oggi ci sarà Weddy con noi e qualsiasi cosa accada,
andrà bene, vedrai." Sorrisi con poca convinzione, quel tanto che bastò a
farmi spingere ancora più vicina ad Abel e che rafforzò la sua presa sul mio
braccio.
"No, non hai capito Leonor.
Se tu cedi, questa volta sarà la fine." Sibilò torvo in volto tanto che
non lo riconobbi. Ricambiai quel suo atteggiamento con sguardo minaccioso.
"Allora? Dobbiamo andare, siamo già in
ritardo mostruoso." Weddy dall'interno dell'auto
ci sollecitò a salire.
Abel stizzito lasciò la presa dal mio braccio, con
fare irritato salì buttandosi di peso sui sedili posteriori e serrò le labbra
guardando subito nella direzione opposta alla mia postazione. Innervosita mi
accomodai sul mio sedile, contrassi la mascella strigendola
forte e chiusi lo sportello dell'auto furiosa.
"Ehi! Guarda che questo è un modello unico,
può prendere in pieno un carro armato, ma non vuol dire che tu debba
demolirmelo, Leonor." Weddy
perplessa mi sgridò.
"Scusami, non so cosa mi abbia preso. Andiamo
ti prego." Desolata e stranita supplicai alla donna accanto a me.
"Lo so io cosa ti è preso..." Weddy guardò lo specchietto retrovisore per osservare Abel
che era ancora impegnato ad osservare fuori. Weddy,
poggiò le mani guantate sul volante e si voltò appena
per rivolgersi al passeggero dietro di noi "Senti ragazzo, non è che non
capisca la tua preoccupazione. Ma se questa cosa va male, andrà molto peggio
anche per la ragazza. Lo capisci? Rimani al tuo posto, questa è una questione
più grossa di quanto tu possa immaginare. Il fatto che Leonor
ci sia invischiata è un dato di fatto che non possiamo sottovalutare, non
possiamo farci niente. Quindi calmati e presta il tuo aiuto come puoi."
Il ragazzo ascoltate le parole mordaci di Weddy, si affossò nel sedile con una leggera vergogna ed
aggiunse " Scusatemi." Non disse altro, si lasciò andare al silenzio.
La torre mise al suo posto il pedone.
Weddy girandosi mise in moto e mentre si immetteva
sulla strada, prese il suo cellulare e compose velocemente un numero.
"Siamo partiti adesso." Disse la donna
secca e proseguì altrettanto diretta "Perfetto, va a nostro vantaggio. La
donna è già lì con lui? Ok, quindi agiremo prima che lei capisca. Bene." Weddy chiuse la chiamata, lasciò il cellulare sulla
sporgenza del cruscotto rimanendo intenta nella guida fluida e spedita.
"Che succede?" Chiesi incuriosita,
sapevo che aveva contattato L e che si erano scambiati informazioni che mi
erano ignote.
"Niente di grave, a quanto pare anche
dall'altra parte abbiamo ritardi." la donna si lasciò andare ad una leggera
risata, come a far intendere che quell'imprevisto era un ottimo modo per avvantagiarci sulla tabella di marcia.
Abel, anch'esso incuriosito dalla conversazione di
Weddy al telefono, si sollevò dal sedile per porre
una domanda, ma Weddy prontamente lo precedette,
togliendo la mano dal volante e alzando l'indice in aria. "Ah-Ah! Niente
domande."
Io sorrisi sommessamente sapendo cosa c'era sotto
e volsi il mio sguardo dritto verso di me. La sensazione nervosa di pochi istati prima e innescata da Abel, si era smorzata e
buttando lo sguardo di tanto in tanto sul ragazzo, potei notare che anche lui
iniziò a sentirsi meno teso. Ad ogni modo il senso d'agitazione di rivedere B,
era sempre in aguato e fortissimo, mi metteva a
soqquadro lo stomaco, tagliente attraversava il petto e il ventre.
Il viaggio fu tranquillo, strideva in maniera
evidente con le emozioni irrequiete che nutrivamo in macchina tutti e tre, che
eravamo più pronti ad affrontare una guerra, che un viaggio per arrivare al
luogo dell'appuntamento.
Avevo così tanta adrenalina in corpo, che non feci
minimamente caso a che tipo di percosso avessimo fatto. Pensavo, pensavo e
pensavo ancora.
Che cosa ne sarà di me
e di queste due persone, di tutte quelle che conosco e mi sono vicine, se
fallisco? Perché ho questa forte sensazione che oggi avrò le risposte che non
ho mai avuto? Perché proprio oggi? Perché B, Beyond
Birthday , ha scelto questo momento? Sarò in grado di riflettermi sull'immagine
di B?
Oh, Abel, mi dispiace così tanto, hai tutto il diritto di arrabbiarti,
hai tutto il diritto di affezionarti a me, hai tutto il diritto di volerlo
morto o volerci morti entrambi, per quello che ti è stato fatto.
Compassionevole
mi voltai con espressione intenerita verso Abel, che mi guardò prestando
attenzione a qualcosa che non avrei mai proferito, per lo meno non in quel
momento.
Tornai
svelta a mirare davanti, ebbi un colpo al cuore quando vidi balenare davanti ai
miei occhi il cartello che indicava l’uscita per Pasadena, poi abbassai il capo
prendendo a giocherellare concitatamente con le mie mani e polsi puliti,
senza anelli o bracciali, sono qualcosa
che non ho mai sopportato; soprattutto nei giorni più caldi, non amo indossare
gioie, mi sento molto più libera nel non sentirmeli addosso. E mentre ero
intenta a farmi distrarre da me stessa, sollevai la testa con leggerezza e mi
accorsi che la nostra auto si era arresta. In quel viaggio di soli trenta
minuti a me parve di aver percorso ore ed ore di strada.
Che
sciocca! Eppure ero cosciente che Pasadena da Beverly Hill distava mezz’ora
esatta, cosa diavolo mi fece pensare che fosse diversamente?
Probabilmente
il timore di viverlo, vederlo, sentirlo parlare, respirare. Sì, probabilmente
tutto questo mi fece peccare di quel pensiero infantile, in cui la meta seppur vicina, la si vive come qualcosa di
lontanissimo.
Sporgendomi
appena guardai all'esterno dal mio finestrino di poco abbassato. Weddy fermò la
nostra vettura dal lato opposto all’enorme complesso condominiale, non molto
nuovo e che si ergeva alla nostra destra. Era così lineare, le pareti erano
composte da mattoncini rossicci, si divideva in molti piani, le finestre erano
bordate di bianco, il tetto era piatto, dritto e tutto rimandava ad un concetto
di sterilità pura… già, mia madre lo avrebbe definito
così, aggiungendo sarcasticamente che avrebbero potuto recuperare in estetica
aggiungendo un’aiuola. Sorrisi impercettibilmente a quel pensiero, poi il
chiamarmi di Weddy mi risvegliò da quelle mie
continue mancanze d’attenzione a ciò che stavo per andare a fare.
“Ehi,
tutto ok?” Mi disse seria la donna. Annuii con la testa e continuai a guardarla
per sentire cos’altro aveva da dirmi. “Coraggio, ora ti accompagno.” Calma la
torre mi prese per una spalla e mi scosse appena.
Slacciai
la cintura di sicurezza e feci scattare la serratura dell’auto per uscire, ma
ancora incerta mi voltai verso Weddy “ Lui mi ha
detto che... noi riuscirò mai a capirlo... tu credi che vedrò nel suo
riflesso?”
La
donna si fece attenta e portò i suoi occhi coperti dalle lenti scure, davanti a
sé. Accennò un secco saluto a qualcuno fuori e mi feci distrarre dalla sua
azione. Constatai che aveva appena salutato un uomo alto, con capelli biondissimi quanto i suoi, tirati in
dietro, li portava di una lunghezza media che arrivava a toccare appena la base
del collo. Aveva degli ammalianti e chiarissimi occhi azzurri, vestiva una
semplice camicia a maniche corte in cotone di color panna e dei pantaloni sul
marrone, larghi e leggerissimi dato il caldo afoso fuori. Era molto pratico, ma
elegante al tempo stesso e mi ricordò immediatamente Believe. Iniziai a
risentire dell’amaro in bocca rivedendomi piombare addosso quel ricordo, per
poi pensare alle foto in cui lo avevo visto riverso a terra, coperti di tagli e
sangue.
Ebbi
un fremito e scacciai quella squallida sensazione, cominciando a dedurre che quel uomo là fuori, poggiato
sulla fiancata di una lussuosa Audi blu
scuro, fosse la seconda torre o forse L stesso. Chiunque avrebbe potuto
scambiarlo per il solito riccone di Los Angeles, ma il suo comportamento, anche
se ben mimetizzato, era diverso, era guardingo, attento e sembrava in attesa di
un qualche segnale da un momento all’altro. Ma forse ero solo io a percepirolo così, perché Abel non se ne insospettì affatto.
“Quel
signore là ci terrà d’occhio mentre entreremo. Ci guarderà le spalle…” Weddy sempre guardando
dritto verso l’uomo mi diede le coordinate e continuò aprendo il suo sportello
"Ad ogni modo, non conosco molto di questa storia. Lui mi ha dato, anzi ci
ha dato, piccoli elementi utili ad aiutarti e ad aiutare un’altra
collaboratrice. Ma sì, credo che tu possa riuscire a capirlo…” poi determinata si volse di poco verso di me
“Leonor, quest’individuo ha scelto te.”
Un
sospiro mi prese alla sprovvista e mi fece sobbalzare, raccogliendo forza uscii
dall’auto con Weddy e Abel al mio seguito. Il ragazzo
dovette rimanere, suo mal grado, con l’uomo che si presentò a me con il nome di
Aiber, mentre io e Weddy
attraversammo la strada per trovarci poi a passare l'ingresso del complesso
condominiale. Alzando la testa vidi che sopra di noi un'apertura enorme formava
un canale di cielo che divideva un palazzo dall’altro ed era l’unica forma di
luce in quel solco fatto di mura, portoni e finestre.
“Eccolo
è questo il numero d’approvazione 061550 e il nostro appartamento è al quarto
piano.” Weddy pigiando il dito indice su una
targhetta argentea, sottolineo l’evidenza dell’arrivo al nostro obiettivo e
fu così facile arrivarci. Non so cosa mi
fece pensare che qualche barriera architettonica ci avrebbe reso difficili le
cose.
"Io
ti aspetterò sul nostro piano, ma ti raggiungerò più tardi. Non posso farmi
vedere o notare. L, mi ha dato precise istruzioni di lasciarti sola con lui.
Niente cimici, niente video. Sei completamente spoglia. Sii il più naturale
possibile, entra nell'appartamento come fosse casa tua." Weddy aprendo il portone del condominio e alzando il mento in avanti mi fece cenno di
entrare.
Col
capo annuii ferma e mi addentrai all'interno.
Non
mi guardai alle spalle in cerca di sicurezza da parte di Weddy,
mi precipitai all'ascensore, premetti con agitazione il tasto di chiamata
dell'elevatore, che si aprì immediatamente, ci entrai tenendo gli occhi chiusi,
permuti per non guardare, finché non
percepii il suono delle porte che mi si
richiusero davanti.
Nella
salita mi scorreva davanti l'incedere lento della luce giallina dei piani
raggiunti e passati, fin quando al
quarto, l'ascensore si bloccò seccamente.
Ero
arrivata.
Calpestai
il pavimento sentendomi vicina a qualcosa che mi elettrizzava, eccitava ed era
vicino. Ero un mix della me ragazzina impaurita di soli diciotto anni e
un'altra decisamente calcolatrice, audace, presa dall'esaltazione. Non mi ero
sentita mai meglio in vita mia e mi ci sentivo stando sul bordo di un burrone.
Istintivamente mi incamminai verso destra per il lungo corridoio, per mia
fortuna, desolato e notai che le porte dovevano essere state ridipinte, perché
sotto il rosso vivissimo che vi era stato sovrapposto, appariva una sfumatura
marrone. Quanto mi apparve così familiare quel colore, mi era mancato. Avrei
dovuto rabbrividire, ma non ne ero mai stata capace e forse mai sarei stata in grado di farlo.
I
miei passi risuonarono leggeri passando di porta, in porta.
400,
401, 402, 403... 404.
Sussultai
alla vista di quel numero, fu come se avessi ritrovato la mia cifra di
riconoscimento. Inspirai ed espirai, poggiai calma la mia mano sulla maniglia
della porta, che notai subito fosse stata lasciata aperta di proposito.
Varcai
l'entrata silenziosamente, ovviamente non chiesi il permesso di entrare, chiusi
svelta e mi limitai a studiare superficialmente quel modesto appartamento,
composto solo da un soggiorno con una cucina attaccata e un corridoio che
portava a tre camere.
Percorsi
il tratto che portava alle stanze come avrebbe fatto un gatto, lentamente
, talmente guardinga che sembrava stessi
annusando l'atmosfera circostante, così sconosciuta, così estranea.
Non
appena attraversai la porta spalancata, della seconda stanza da letto, mi
bloccai. Credetti di aver visto un fantasma.
Voltandomi vidi una sagoma di fronte la finestra e di spalle, ricoperta di luce
solare, vestita come l'avevo sempre conosciuta e in una posa nostalgica, fiera
e ben eretta.
Era
il mio re nero.
Entrai
nella camera dove il letto dava proprio davanti alla porta, la finestra, su cui
lui guardava, era vicinissima al fianco sinistro del materasso. Non vidi altro,
il resto degli altri particolari della stanza mi apparvero irrilevanti,
normali, a parte un solo dettaglio; una bambola di paglia chiodata sul muro proprio
di fronte a me.
"Finalmente
sei arrivata." La figura dinanzi a me e ancora di spalle, parlò mesta.
Io
distolsi il mio sguardo dalla piccola bambola di paglia e lo rivolsi alla
sagoma.
"Avevi
paura che non sarei venuta?"
Domandai incerta e camminando di poco, dritta verso di lui.
"Sai,
dopo quello che ti ho fatto, non nego che ne ho dubitato." Beyond, si voltò mostrando appena il suo profilo regolare,
ma ancora poco chiaro perché reciso della luce.
"E'
questa la fiducia che nutri per me? La fiducia che nutri per la mia
inconcludente passione per te?" Lo guardai seccata e cominciai a sentire
un’improvvisa rabbia nei suoi confronti.
"Amore.
Lo definirei più amore, anche se combatti con te stessa so che mi ami... e ora
riconosco che probabilmente nutrivo anche per lei dell'amore." Lo vidi
girarsi completamente e poggiarsi con le mani sul davanzale della finestra
" Non so se è più forte lei o tu. Sicuramente con te è più malato,
impaziente, appassionato ed è diventato reale. Vero, quant’è concreto il contatto
delle miei mani su di te."
"Lei...
immagino sia.." B mi fermò prima che dicessi quel 'nome '.
"A..."
sospirò abbassando il capo desolato "Sì." e tutto finì in un soffio
ancora più triste.
"Quindi
io sono venuta fin qui per sentirmi dire che ami qualcun altro più di me e poi
cos'altro?" Sentivo salirmi ancora più collera e le lacrime la seguivano;
cercando di mantenere la calma e trattenendomi continuai "Cos'è? Vuoi farmi vedere che sei
normale, che sei rinsavito? Strano, effettivamente oggi sei preso da
un'insolita serietà mista all'infelicità. Qualcosa non va come vorresti? Perché
se devo dire la mia, a mio parere, per me, non va come vorrei..." Buttai
via l'aria piano, facendola passare nello spiraglio che si aprì tra le mie
labbra, proprio come si fa prima di iniziare una corsa velocissima, solo che io
rimasi lì a continuare "Se andasse come vorrei io, tu non avresti fatto
quello che hai fatto e mi ameresti abbastanza per non fare ciò che hai fatto,
mi ameresti abbastanza da dimenticare L, A e tutto il resto di quello che non
conosco." Mi esposi schietta, diretta e desiderosa di ottenere ciò che
volevo e che mi apparteneva; B e la verità.
Vidi
alzare il capo di B di scatto, mi aspettavo da un momento all'altro una
reazione violenta, brutale, ma ciò non avvenne. Il suo volto assunse un'aria
addolorata, indulgente, causata dalle parole che avevo appena proferito e molto
probabilmente anche dalla mia espressione, che ignoravo quale fosse concentrata
com'ero solo sul mio dispiacere.
Venne
verso di me allungando le braccia, ma io di riflesso mi scansai, scattante e
cauta, facendolo bloccare nel movimento che poi proseguì lentamente. Poggiò le
sue mani sulle mie spalle, arrivò al mio collo e sfilò, con insolita e
inaspettata delicatezza, il triangolo di stoffa che lo avvolgeva.
Finalmente
lo avevo vicino e mi apparve inoffensivo, più logico, sembrava sano, mi parve
di sognare, mi sembrò di aver ottenuto quello che avevo espresso poco prima.
"Tu
lo sai che sta succedendo. E' nei tuoi e nei suoi piani, riguarda voi in
maniera profonda, ma tu sai anche che per me c'entra dell’altro." Dissi in
un sussurro addolcito dalla sua vicinanza.
"Sì,
lo so..." Disse sussurrando e abbassando la testa per sentirlo poi baciami
sul collo, lo stesso che aveva stretto con forza giorni prima e che ora
carezzava, baciava con leggerezza e cura, riuscendo a non farmi sentire dolore
alla pressione delle sue labbra sulla mia pelle livida.
"Mi
era mancato questo, mi è mancato di quando facevi così. Di quando arresti la
follia, torni qualcosa che non conosco e vorrei conoscere." Mormorai
immersa nelle mie emozioni, mentre mi aggrappavo incerta sul bianco tessuto
della sua t-shirt. "Sto distruggendo ogni cosa, B. In tuo nome sto facendo
e ho fatto cose terribili. Aiutami. Non ce la faccio più." Chiudendomi con
la testa nel suo chinarsi e baciami, mi lasciai prendere per i fianchi e
avvicinare nel suo abbraccio. In quell’istante sentii un unione essenziale,
semplice, automatica e che mi legava a lui, molto più del fare l'amore; il mio
riflesso cominciava a combaciare col suo e stavamo diventando un solo corpo e
una sola mente.
"Leo..."
Di nuovo bisbigliò, poi si scostò per guardarmi "Devi prima vedermi bene e
cosa sono stato. Ti offrirò quello che avresti voluto sentirti dire da sempre.
Altrimenti rimarremo bloccati qui, così per sempre." Rimase
incredibilmente serio, il suo sguardo era intenso ed i suoi capelli neri
sembravano tende di velluto scurissimo che ammantavano i rubini rossi dei suoi
occhi, contornati da finte occhiaie;
guardandoli attratta, annuii dipendente e curiosa di scoprire quel qualcosa che
avrei voluto sentirmi dire sin dall'inizio.
Ascoltai
rapita ogni sua singola parola.
Due anni fa, non vivevo liberamente,
ero sempre controllato, monitorato; praticamente non avevo una vita. Lo scopo
primario del mio esistere era l'obiettivo, il back up, la copia esatta.
La copia esatta di L.
Ad ogni modo dove vivevo, non tutto era
negativo o programmato; c'erano le componenti distensive della vita, le cose
semplici e belle, ma duravano poco, come i battiti cardiaci di un topo.
Sembrerà strano dirlo, ma erano i miei fratelli orfani della casa in cui vivevo
che mi davano questa pace, che davano serenità alla Wammy's
House; ma più di chiunque altro era lei a darmi la quiete di cui avevo bisogno,
teneva a bada i miei impulsi malati, quelli che invece io ti ho sempre mostrato
Leonor, ma che a quei tempi non erano maturati a
dovere.
Posso ancora vederla davanti ai miei
occhi, quando alle volte, nel sonno, smettono di farmi vedere troppo e rosso.
Eccola... Il viso tondeggiate, le guance sempre rosse, il suo minuto naso
all’in su contornato di lentiggini, gli occhi vivaci e verdi come l'acqua
marina, le labbra rosee e carnose ed i capelli sembravano raso; lisci gli
finivano pari a metà schiena ed erano rame lucidissimo. Era piccola di statura,
ma aveva un'energia ed una atleticità impressionanti;
adorava giocare a baseball. Odiava le coercizioni, era indipendente. Mi riesce
difficile non sorridere al pensarla nel suo aspetto solare e positivo, che pian
piano si spense come una candela consumata. A è stata schiacciata e sacrificata
perché lei era la prima.
Nella mia stanza alla Wammy's House volli tutto, libri di ogni genere, volli un
mio computer, volli tutto quello che
sapevo L avesse e quello che non avesse. Sapevo che i miei capricci sarebbero
stati assecondati, perché ero la futura copia, ero un suo successore. In quel
periodo non nutrivo odio per Lui, lo rincorrevo come gli altri e riusciva a
stimolare in me una sfrenata voglia di mettermi in competizione con Lui;
probabilmente per via del suo aspetto e modo di fare che non ho mai compreso a
pieno.
L'unica che non lo rincorreva era A.
Nonostante sapesse di essere la prima
in quella successione, se ne curava come di un qualcosa di poco importante,
sembrava, nei suoi atteggiamenti, che non le importasse proprio e di fatti era
così.
In una giornata soleggiata dell'Aprile
del duemila, mentre ero intento a risolvere problemi su problemi ed esaminando
simulazioni di casi o studiando quelli scartati da L, sedevo sulla scrivania
che dava davanti alla mia finestra spalancata, mentre l'aria tiepida mi passava
sulla fronte, lieve.
Improvvisamente A mi distrasse entrando
nella mia stanza di soppiatto,
poggiandosi poi esasperata sulla porta appena chiusa, mentre il vicedirettore
dell'istituto, Roger, la chiamava ininterrottamente dai corridoi.
"Dio ti ringrazio. Meno male che
ero nei paraggi della tua camera, Beyond." A,
ancora attaccata alla superficie di legno mi parlò sollevata e iniziò a ridere
cercando di contenere le risate.
"Ti diverte così tanto farli
disperare tutti? Anche il signor Wammy che è così
buono e generoso con noi?" Seduto alla scrivania ruotai sulla sedia per
parlare di fronte ad A.
La ragazza abbassando il capo si diede
una leggera spinta per staccarsi dalla porta, venne verso la mia postazione e
iniziò a giocherellare con una pagina dei tanti libri che tenevo ammucchiati
sul ripiano di studio.
"Lo sai che voglio un gran bene a Wammy e anche a Roger. Non parlare come se non me ne importasse
niente, B." Alzando i suoi occhi verdi su di me accennò un sorriso che poi
venne contenuto nervosamente. "A te...a te non dà fastidio vivere così?
Sempre sotto pressione, mai qualcosa di normale come gli altri orfani meno
dotati, sempre a pensare ad L. 'Voglio diventare come L' , 'Che figo sarebbe essere L.' oppure 'Chissà com'è essere
L?.'. Mai che nessuno, come noi qui, che si chieda com'è essere sé stessi.
Io sono io e sono A." Poi portando l'indice sulla sua tempia indicò
"Questa è la testa e l'intelligenza di A, non di L." Sospirando si
buttò sulla vicina sedia in legno accanto alla mia scrivania e lasciò cadere le
braccia penzoloni.
"La penso un po' nel tuo stesso
modo, ma non la vedo poi così tragica."Ddissi
rimettendo gli occhi sulle pagine abbandonate poco prima.
"Parli bene tu, sei il secondo. Io
sono la prima, B..." Guardandomi dritto negli occhi, A inasprì il suo tono
"Non avrò mai una vita come quella degli altri. Agiata, sì, ma non libera. E poi se devo dirla tutta non
è mio interesse prodigarmi per risolvere i casi criminali..." Chinò il
capo un po' imbronciata e proseguì "A Lui piacciono queste cose, a me no.
E la cosa che mi va ancora meno giù, è il fatto che tu non possa chiamarmi per
nome, per via di una sicurezza estremizzata."
Alzando il capo delle scartoffie la
guardai perplesso "Che intendi dire?"
"Niente, niente. Niente
d'importante che il mio migliore amico non possa capire." Un sorriso
imbarazzato le illuminò il viso. Era indescrivibile quanto quella sua timidezza
mi risvegliasse un improvviso senso di possessività e aggressività. Era
qualcosa di istintivo e animale, ma lo controllavo per paura di apparirgli
schifoso o mostruoso.
"I tuoi occhi. Come vanno?"
Di scatto A si alzò dalla sedia e si voltò per andare a torturare un rompicapo
che tenevo poggiato su una mensola.
"Come sempre, vedo sempre in rosso
e quei disgustosi numeri, che sai già a cosa si riferiscano." Nervoso
picchiettai la punta della penna sul foglio davanti ai miei occhi.
"L'hai vista la mia? Intendo, hai
visto la data di quando morirò?" Ancora di spalle, A, mi pose quella
domanda scomoda, anzi orrenda, non poteva chiedermi cosa peggiore.
"A, ma cosa ti salta in mente!
Trovi che per me sia esaltante vedere la fine delle persone, figurati la tua!
Non riesco ancora a capacitarmi del fatto che io sia nato con questi! Non dirmi
certe cose, non sono un vegente! Io quelle vite non
posso salvarle. " Alzando di poco la voce balzai in piedi.
A si girò desolata e mi guardò
profondamente rattristata, sembrava stesse per iniziare a piangere.
"Perdonami B..." si portò le piccole e aggraziate mani agli occhi,
poi svelta le tolse tornando a guardarmi "Guarda, sono fin troppo emotiva
per essere Lui. Ti invidio perfino, perché tu riesci a prendere tutta questa
storia in maniera così rilassata, lucida e se solo tu volessi, se lo
desiderassi con tutto te stesso potresti abbandonare tutto. Tu potresti
scappare di qui. Io sono sbagliata Beyond, non sono
quella giusta. Avrò anche un buon cervello, ma come si può chiedere una cosa
del genere a me." Concluse dura.
Era indifesa, ferita, voleva una
soluzione e l'unica cosa che potei fare
fu abbracciarla, sentirla più piccola di quello che era nel mio stringerla e
sentire l'odore mielato dei suoi capelli penetrarmi nelle narici. Ebbi una
sensazione di pace nel sentirla così su di me e mi sembrò di avvertirla
risollevarsi dopo che fino a poco prima era stata così amareggiata.
In completo silenzio si sciolse dal mio
abbraccio e andò alla porta, ma quella semplice azione mi fece soffrire, fu
come se mi fosse stato strappato un lembo di pelle.
"Vado a consegnarmi..." Disse
ridendo tra sé e sé, per poi voltarsi e vedermi rispondere con un sorriso
altrettanto divertito. Alla porta, con la mano sulla maniglia e ancora
rivolgendosi a me, continuò a parlare con ritrovata contentezza "Allora,
dopo l'incontro con L, sabato prossimo facciamo una partittina a
baseball giù in giardino?"
"Ok, ma lo sai che sono una
schiappa." Dissi con fare canzonatorio nei miei confronti.
"Per questo te lo chiedo."
Detto questo uscendo mi lasciò con una melodiosa risata che risuonò appena
accennata, prima nella mia stanza e poi sparì ovattata fuori nel corridoio.
Passò quella dannata settimana, lo
incontrammo come era avvenuto altre volte, ma quella fu fatale. Quel sabato
arrivò e la pioggia primaverile impedì a me e A di giocare a baseball come
avevamo programmato. Quindi decisi di andare nella sua stanza per tirarle su il
morale, sapendo quanto sperava in quel nostro passa tempo, in quel giorno e
sopratutto dopo averlo incontrato.
Bussai sull'uscio della sua camera, ma
non ricevetti risposta. Entrai comunque credendo che o si fosse addormentata o
che, se uscita, sarebbe tornata e mi avrebbe trovato lì. Gironzolai un po' per
la stanza, presi e sfogliai velocemente i suoi romanzi; mentre facevo quel mio
giochetto invadente in uno dei suoi tanti libri, vidi sfuggire pesante, giù a
terra un foglio. Pensai fosse un qualche appunto, adorava prenderne, a lei ogni
particolare e osservazione piacevano, così li appuntava dove capitava; forse
questa era l'unica nota che la rendeva simile ad L, l'osservazione, di
qualsiasi cosa, persone, animali, qualunque cosa.
Raccolsi il foglio e ancora piegato a
terra lo aprii cominciando a leggere.
Piano di fuga dalla Wammy's House.
Sgranai gli occhi.
A, in un misero foglietto aveva
annotato anni di pianificazione e lo aveva nascosto tra le pagine di Ragione e
Sentimento. Pensai a quanto fosse stata folle nello scrivere certe cose e
nasconderle in quella maniera, perfino a me; ma non mi sentii tradito, qualunque
cosa avesse deciso di fare io l'avrei seguita. Quello che mi preoccupava era il
fatto che chiunque, da Wammy a Roger, chiunque, se
avesse scoperto quello che voleva fare, glielo avrebbe impedito
categoricamente. Ce lo dissero
chiaramente il giorno che venimmo convocati per comunicarci che eravamo
stati scelti come eredi diretti di L; non avremmo potuto abbandonare a metà
strada, una volta che si diceva di sì, era per sempre, si era condannati. Salvo
complicazioni avremmo dovuto seguire quella strada, punto. Eravamo stati messi
come Adamo ed Eva nell’Eden con leggi ancora più ferree di quelle che Dio aveva
sottoposto alle sue prime creature.
D'un tratto udii un rumore fluirmi
nelle orecchie, mi parve molto, ma molto lontano, simile allo scorrere dell'acqua
e provenire dal vicino bagno in camera. Voltandomi mi alzai, abbandonai il
biglietto su un tavolo vicino alla libreria e misi l'orecchio sulla superficie
dura della porta. Sentii ancora lo sgorgare dell'acqua, improvvisamente mi
accorsi che percepivo del bagnato sulle mie scarpe da tennis grigie. Guardai in
basso e vidi propagarsi pian, piano il liquido trasparente da sotto la porta.
"A..." La mia voce venne
incrinata da una pessima sensazione e peggiorò quando non ebbi risposta.
Iniziai a smuovere la porta dalla maniglia constatando che era chiusa a
chiave."A! Maledizione! Apri!" Smuovevo il rettangolo di legno sempre
più energicamente. "A!" Esclamai ritrovandomi a sbattere
violentemente la spalla contro la porta per sfondarla di forza, cosa che avvenne
subito dopo le prime tre spinte.
Entrando mi si gelò il sangue nelle
vene, non mi sentivo più, accusai del freddo, mi iniziarono a fischiare le
orecchie, sentii il timore di poter cadere a terra da un momento all'altro e
caddi atterrando pesante sulle mie ginocchia e continuai a guardare. Sbigottito
mi avvicinai a gattoni alla vasca ricolma d'acqua, che grondava a cascata, giù
sul pavimento e guardandola con i miei occhi era ancora più scura di quel che
avrebbe dovuto essere ad occhi puliti, ad occhi umani.
La ragazza era adagiata nuda nella
vasca, per sentirsi completamente libera aveva deciso di infilarcisi
disadorna di ogni cosa. Potevo vedere i suoi seni pieni emergere in superficie
insieme alle sue esili ginocchia. Bianca, era così bianca che il contrasto di
colore con il rosso del sangue e dei suoi capelli, la rendeva bella; percepii
il cuore battere veloce, la desiderai, in modo insano e non me ne vergognai. Le
mani che impugnavano schegge di uno specchio rutto grandi quanto una lama di
coltello, rimanevano appena immerse nell’acqua. Le sue braccia e polsi
poggiavano comodamente sui bordi di
ceramica anch'essa candida e lasciavano calare rigoli
di fluido ancora più vermiglio di quello diluito in acqua. Le sue labbra piene
erano violacee, pensai immediatamente che si fosse tagliata i polsi addirittura
prima che la vasca si riempisse completamente, aveva perso ogni singola goccia
di sangue, era svuotata, non c'era più la mia A. E fu un sollievo poter
finalmente non vedere più la durata della sua esistenza su questo mondo. Fui
felice, perché per la prima volta i miei occhi avevano fallito. In
quell’occasione ebbi la visione pulita della sua persona, ma che senso avrebbe
avuto se ora non potevo più toccarla, stringerla, averla.
Comparve qualcosa dentro di me, di
davvero sadico, che da prima mi spaventò, ma un attimo dopo mi ci avvinghiai.
Rimasi colpito di come analizzai quella situazione in maniera scientifica,
deducendo come si fosse uccisa. A, aveva ragione, io avevo di Lui quella
capacità fredda e che odiai immediatamente, appena la sentii venirmi fuori. Ed
è qui che la strana sensazione malata mi diede forza, mi ritrovai a provare
piacere, amore per la mia A, nel vederla
così perfetta in tutto quel rosso, amai quel colore che mi condanna da ben diciannove
anni; ma io volevo A, viva per me, non morta... non morta come morivano tutti
gli altri esseri umani. La rivolevo come nell'abbraccio della settimana prima,
la rivolevo viva mentre mi sollecitava ad abbandonare L e tutto quello che ne
conseguiva. Così, insieme a quella semplicissima rivalità che avevo nei
confronti di L, nacque anche l'odio per
Lui.
Dovevo odiarlo, dovevo farlo anche per
A.
Lo odiai! Oh, e lo odio allo stesso
modo, con la stessa intensità e rabbia anche adesso.
Se Lui e tutta quella massa di persone
senz'anima avevano fatto quella cosa ad A, allora io avrei fatto qualcosa di
più grande e potente che avrebbe fatto diventare me, me e non Lui, non una
banale copia. Io sono la perfezione, A era la perfezione, Lui è solo una bugia
ben elaborata e nascosta; nascosto dietro un vecchio che lo ha considerato fin
da subito come suo figlio, al di sopra di tutti i suoi figli alla Wammy’s House! Senza sentimento alcuno, senza emozioni che
lo sferzino da quella superiorità e apatia che dà il volta stomaco. Avrei fatto
e dato qualsiasi cosa per vedere Lui in quella vasca a morire, umiliato, verme
strisciante che non è altro.
In lacrime e rabbiosamente agitato,
chiusi tremante i rubinetti e invocai a gran voce il nome e l'aiuto degli
stessi carnefici che l’avevano indotta a fare quella cosa.
<< Se solo tu volessi, se lo desiderassi con tutto te
stesso, potresti abbandonare tutto. Tu potresti scappare di qui.>> Le parole di A, rimbombarono nella mia
testa al ritmo alterato e accelerato del mio cuore.
Ancora inginocchiato, bagnato di sangue
ed acqua le parlai tremante “Sì, Anne.. lo farò... lo farò.”
Vennero finalmente a prestare aiuto, Wammy e Roger mi scansarono alzandomi in piedi per le
braccia, per tornare poi al corpo spento di A. E mentre il vociare lontano dei
curiosi iniziava a farsi sentire fuori dalla stanza di Anne, io mi allontanai
da loro indietreggiando, tornando alla vicina libreria per portare via con me
quel foglio che poggiai superficialmente
sul tavolo e che da quel momento diventò le memorie della mia A. Dopo
che le diedero un soccorso inutile e d'apparenza, le fecero un funerale
silenzioso, da persona libera da qualunque legame come un qualsiasi orfano, ebbe l'estrema unzione
di una persona svincolata dalla lettera L e ne fui estremamente felice. E
mentre la terra fredda, pesante e umida
di Winchester cadeva sul feretro di Anne, io mi dileguai, sparì come si
dissolse Anne; per quel che ne potevano sapere, da quel momento
all’orfanotrofio, io potevo essere stato inghiottito nell'oscurità di un caldo
Maggio, ma non sarei rimasto per sempre nelle tenebre e posso affermare di aver
scoperto che hanno uno straordinario potere curativo, ti aiutano a pensare
meglio e ti trasformano.
Bisogna ricordasi sempre che anche i
morti tornano a prendersi qualcosa ai vivi ed L lo avrebbe capito, lo capirà a sue spese.
Ciao,
ciao a tutti.
Sono
contentissima di rifarmi viva.
Il
Natale con tutte le sue vacanze è stato pienissimo di cose da fare ed è stato
difficile controllarsi dal mangiare. Spero che sia stato un buon Natale anche
per voi.
Fortunatamente
ho avuto anche un po' di tempo per scrivere questo capitolo.
Ad
ogni modo spero non vi sia risultato pesante o noioso, il fatto è che sto
portando avanti la mia idea di questa storia, forse anche stravolgendo certi
particolari della trama originale ( ma d’altronde questa è una fan fic quindi non c’è da stupirsene XD), di B, di L, di Leonor, adesso pure quella di A e di tutti gli eventi, etc... quindi spero comprendiate, mi piace molto
sperimentare e giocare, soprattutto spero non vi stufi questa cosa.
Mi
congedo ringraziandovi tantissimo, a voi solo lettori, a chi recensisce, a chi
mi segue, a chi mi ricorda, a chi mi preferisce e a chi mi inserisce tra i suoi
autori preferiti.
Grazie
mille.
Spero
di aggiornare il prima possibile, salvo imprevisti dovuti al lavoro, che a
volte mi capita tra capo a collo, ma non lamentiamoci. Questi sono periodi
difficili e spero di allietarli anche a voi, come la scrittura li allieta a me.
Quindi
vi mando un bell’ abbraccio e alla prossima.
Baci
baci KiaraAma