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Autore: Claire Piece    10/01/2013    5 recensioni
Nell’oscurità della mia camera non me ne ero accorta, ma erano di un colore diverso da quello che avevo visto ore prima.
Ora era un vero colore, naturale.
Erano iridi rosse.
Fui capace di non spaventarmene e improvvisamente capii che nel fondo del pozzo non ci avrei trovato elementi naturali comuni, ma ci avrei trovato del sangue.
Lo vidi spostarsi lento, parlò ancora vicino e mormorando “ Ti spaventano vero?”
“No…” bisbigliai “Li trovo orrendamente pieni di verità.”
Mi riaccostai per cercare un nuovo bacio ma lui sorridendo sghembo si allontanò appena e sussurrò “ In parte hai colto nel segno. Ma tu non puoi minimamente immaginare quante verità vedano.” Mi fissò per molto, serio.
I capelli corvini e la maglia altrettanto nera, fecero risaltare come una luce quel cremisi dei suoi occhi. Li vidi iniettarsi di sangue mentre mi guardava, sembrò volermi divorare, ma forse non è questa la sensazione più giusta per dire cosa provasse e cosa volesse realmente fare in quel momento Beyond .
Continuò a fissarmi e io non abbassai lo sguardo, non avrei mai perso nemmeno un attimo di quegli occhi.
Tornò poi a parlare piano e con sofferenza tentava di trattenere un impulso irrefrenabile che lo voleva spingere a fare qualcosa, ma non capivo bene cosa. Disse sotto voce solo poche parole prima di andarsene “Povera cappuccetto rosso è finita dritta, dritta nella bocca del lupo.”

Nella vita di una ragazza senza problemi, se non quelli della sua età, appare un'improvvisa ombra che oscurerà il sole che rendeva la sua vita serena e con una positiva monotonia.
L'apparizione di un misterioso personaggio le farà cambiare idea.
Salve a tutti.
Questa è diciamo una fan fiction sperimentale.
Vorrei divertirmi ad approfondire il personaggio di Beyond Birthday e ci proverò scrivendo questa storia.
Da subito ringrazio chi leggerà e spero sia di vostro gradimento.
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beyond Birthday, L, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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                                                                                                           Autore illustrazione Victor Nizovtsev
                                                    



 

           Il Re Nero, la Regina e il Re Bianco

 

 

Ero talmente distratta  e scossa per via di quel fastidioso imprevisto e dall’esigenza incontrollata di voler vedere B, che mi soffermai ed accorsi solo per un attimo, che stavo osservando mio padre entrare dalla porta di casa, ma non lo mettevo realmente a fuoco, era una componente indesiderata nell'ambiente in cui mi trovavo, che si muoveva e che iniziava a parlare, ma io non gli davo la minima importanza. Contornava il mio campo visivo, era qualcosa a cui mi limitavo ad annuire con lo sguardo apparentemente sorpreso dalla sua improvvisa comparsa.

“Oh, scusate ragazze, ma ho dimenticato il mio telefono cellulare. Oggi devo avere la testa altrove…” mio padre con un sorriso smagliante si diresse con fare tranquillo verso la cucina, mentre io e Weddy lo seguivamo con gli occhi ad ogni passo che compiva. “Se lo lascio qui, dubito che potrò contattarvi.” Dietro di noi arrivò  la risata divertita di mio padre ed io mi voltai verso la bionda donna davanti a me, guardandola nervosamente, mi morsi il labbro inferiore e strinsi forte con le mani sulle due metà del libro spalancato sulle mie gambe.

“Già! Sarebbe stato un bel problema. Avrei dovuto chiamare in centrale per farglielo venire a riprendere.” Weddy guardando prima verso la cucina e poi pian piano dirigendosi su di me, parlò recitando la parte della brava poliziotta.

Papà uscì dalla stanza mentre addentava una ciambella avanzata dalla colazione e se la tolse di bocca, per rispondere in maniera colpita e interessata a Weddy. “Lei è un agente davvero responsabile, Wilson. Credo proprio che oggi Leonor sia in ottime mani.”

“Grazie, Signore.” Weddy rispose gentilmente, scoprendo un sorriso che a me parve immediatamente artificioso, ma così ben aperto e verosimilmente spontaneo, che se non l’avessi conosciuta le avrei creduto anche ad occhi chiusi; proprio come fece mio padre, che soddisfatto di ciò che aveva visto, contento e salutando svelto, prese, aprì la porta e scappò via senza fare tante domande, senza insospettirsi minimamente. Per lui il problema era in parte risolto. In effetti pover uomo era ignaro del fatto che la questione era più fresca che mai, come una mano di vernice colorata data su tutte e quattro le pareti di una stanza appena tinteggiata, in qualunque parte si fosse sbadatamente poggiato prima o poi si sarebbe macchiato e si sarebbe scoperto deluso , arrabbiato con sé stesso.

Che strana sensazione provai in quell'istante, avevo salito un gradino più alto rispetto a quello delle altre persone coinvolte in quel caso e in quella storia. Regina, su quella scacchiera, al di sotto di me tutti erano ignari dei segreti della mia vita a e della mia corte che si muoveva nell'ombra. Le ombre di B e L che venivano proiettate dalla mia falsa luce. Sì, ma ero bianca o nera? Avrei attuato la mossa finale di L o di B?

Probabilmente il mio combattimento interiore non sarebbe cessato finché gli occhi di Beyond non avessero incrociato i miei.

Sbattendo rumorosamente i lati del libro, lo chiusi e bottai fuori tutta l’aria che avevo nei polmoni, mi sembrò di aver vissuto quella breve apparizione di mio padre nella più totale apnea, ma i rimasugli del lavoro di B si fecero sentire portandomi tossire un po’.

“Bene, dobbiamo aspettare che vada via davvero questa volta…Weddy, la torre di L, iniziò ad alzarsi, ma io mettendomi su veloce la fermai poggiandole la mano sulla spalla.

“Darò io un’occhiata fuori.” Dissi iniziando a prendere sicurezza e confidenza a quella condizione. Arrivai alla finestra, sollevai la tenda per frappormi tra lei e il vetro, stando a guardare l’evoluzione della situazione esterna.

Abel era rimasto nella sua postazione, con la testa incappucciata di blu e  piegata giù verso le sue braccia conserte al petto, immobile davanti la lavanderia, mentre mio padre dall’altra parte del marcia piede si accingeva a salire nella sua auto.

Weddy, nel frattempo mi parlò continuando a rimanere seduta in attesa di sapere cosa stesse accadendo fuori. “Però! Avevo notato che eri abile nel controllarti, ma non credevo che fossi così pronta. Con quell'aria da ragazzina pulita e assennata non daresti l'idea di riuscire ad adattarti a certi stati d’animo o situazioni, ma riesci a camuffarti alla perfezione. Sei davvero brava. Ti ribadisco che avresti un gran futuro nello spionaggio.”

Tu sei molto brava. Prima non so come ho fatto a resistere o rispondere con un altro sorriso a quella smorfia d’alta recitazione.”

“Oh, beh! Ci vuole molto allenamento per riuscire a convincere e manipolare le persone. Mia cara Leonor, devi riuscire ad entrare nella tua testa prima di entrare nelle loro. E’ come un riflesso allo specchio, solo che sulla superficie ogni volta trovi un individuo diverso.” I movimenti dell'alzarsi di Weddy arrivarono al mio orecchio, venne verso di me per attendere qualcosa che sapeva stesse avvenendo come da copione sia fuori, che in me e che venne sbloccato dal suo. “Sei pronta?”

Mi pervase un insolito coraggio, le parole di Weddy mi avevano scosso nella maniera in cui aveva voluto lei. Dentro, una massa informe di me stessa, non ancora definita, che non credevo esistesse, iniziò a plasmarsi in modo concreto.

Come sempre sono le circostanze meno ordinarie a far scoprire parti di sé stessi che nemmeno immaginiamo d’avere.

E  mentre mio padre alzò lo sguardo per guardare verso di me, mentre lo vedevo sorridermi tranquillizzato, mentre lo risalutai alzando innocentemente la mano e poggiandola sul vetro fresco, mentre risposi al suo sorriso con uno più simile ad una smorfia, a causa dei raggi solari che mi fecero chiudere gli occhi in una fessura e mentre sentii il peso delle mie responsabilità che si faceva sempre meno gravoso, lasciai uscire netta la mia risposta. “Sono pronta. Devo raggiungerlo.”

 

Il mio uscire di casa con Weddy somigliò molto ad una specie di cerimonia lineare e composta, che difficilmente si attua nella vita comune. Era molto simile al prepararsi per andare ad un funerale di un affetto davvero stretto; sai che dovrai mantenere un contegno, sai che dovrai resistere alla tentazione di laciar scorrere le lacrime, anche se sei conscio che sarà la tua unica liberazione, ma non lo farai per mantenere quella fierezza e contegno che solo in quelle circostanze si deve possedere.

I nostri passi risunavano nella tromba delle scale, non volli prendere l'ascensore, perché volevo scendere prima di risalire grazie alla mia torre, volevo sentire l'appoggio dei miei piedi sui gradini, volevo che quell'azione mi rendesse vera, che il mio incedere lento rendesse reale ciò che stavo andando a fare.

Arrivate  alla scura auto di Weddy, trovammo Abel lì davanti ad attenderci.

Weddy ed io osservammo il ragazzo e lui  fece lo stesso alzando lo sguardo dal marciapiede,  togliendosi le mani dalle tasche dei suoi chiarissimi jeans shots che gli arrivavano fino le ginocchia.

"Puoi venire con noi, ma rimarrai seduto dietro. Ok?" Weddy parlò severa e senza staccare gli occhi da Abel. Lei aveva inteso benissimo del coinvolgimento emotivo del ragazzo in tutta quella sanguinosa vicenda e voleva evitare il più possibile che con qualche comportamento fuori programma, rovinasse tutto il piano; come d'altronde anche io rischiavo di mettere costantemente a repentaglio con le mie scelte istintive.

Abel era il pedone più scomodo.

Il ragazzo fece cenno di assenso facendo muovere le estremità del suo cappuccio che gli ricadevano morbide sulle spalle. Weddy montò alla guida del veicolo ed io e Abel ci apprestammo a fare lo stesso dal nostro lato. Mentre stavo alzando il sedile per permettere al ragazzo di salire, mi prese per il braccio e  mormorò a denti stretti nel mio orecchio "Promettimi che non ti lascerai far fare del male da lui."

Prima abbassai gli occhi sulla vernice nera della vettura e poi li rivolsi ad Abel con aria nervosa " Non devi preoccuparti, oggi ci sarà Weddy con noi e qualsiasi cosa accada, andrà bene, vedrai." Sorrisi con poca convinzione, quel tanto che bastò a farmi spingere ancora più vicina ad Abel e che rafforzò la sua presa sul mio braccio.

"No, non hai capito Leonor. Se tu cedi, questa volta sarà la fine." Sibilò torvo in volto tanto che non lo riconobbi. Ricambiai quel suo atteggiamento con sguardo minaccioso.

"Allora? Dobbiamo andare, siamo già in ritardo mostruoso." Weddy dall'interno dell'auto ci sollecitò a salire.

Abel stizzito lasciò la presa dal mio braccio, con fare irritato salì buttandosi di peso sui sedili posteriori e serrò le labbra guardando subito nella direzione opposta alla mia postazione. Innervosita mi accomodai sul mio sedile, contrassi la mascella strigendola forte e chiusi lo sportello dell'auto furiosa.

"Ehi! Guarda che questo è un modello unico, può prendere in pieno un carro armato, ma non vuol dire che tu debba demolirmelo, Leonor." Weddy perplessa mi sgridò.

"Scusami, non so cosa mi abbia preso. Andiamo ti prego." Desolata e stranita supplicai alla donna accanto a me.

"Lo so io cosa ti è preso..." Weddy guardò lo specchietto retrovisore per osservare Abel che era ancora impegnato ad osservare fuori. Weddy, poggiò le mani guantate sul volante e si voltò appena per rivolgersi al passeggero dietro di noi "Senti ragazzo, non è che non capisca la tua preoccupazione. Ma se questa cosa va male, andrà molto peggio anche per la ragazza. Lo capisci? Rimani al tuo posto, questa è una questione più grossa di quanto tu possa immaginare. Il fatto che Leonor ci sia invischiata è un dato di fatto che non possiamo sottovalutare, non possiamo farci niente. Quindi calmati e presta il tuo aiuto come puoi."

Il ragazzo ascoltate le parole mordaci di Weddy, si affossò nel sedile con una leggera vergogna ed aggiunse " Scusatemi." Non disse altro, si lasciò andare al silenzio.

La torre mise al suo posto il pedone.

Weddy girandosi mise in moto e mentre si immetteva sulla strada, prese il suo cellulare e compose velocemente  un numero.

"Siamo partiti adesso." Disse la donna secca e proseguì altrettanto diretta "Perfetto, va a nostro vantaggio. La donna è già lì con lui? Ok, quindi agiremo prima che lei capisca. Bene." Weddy chiuse la chiamata, lasciò il cellulare sulla sporgenza del cruscotto rimanendo intenta nella guida fluida e spedita.

"Che succede?" Chiesi incuriosita, sapevo che aveva contattato L e che si erano scambiati informazioni che mi erano ignote.

"Niente di grave, a quanto pare anche dall'altra parte abbiamo ritardi." la donna si lasciò andare ad una leggera risata, come a far intendere che quell'imprevisto era un ottimo modo per avvantagiarci sulla tabella di marcia.

Abel, anch'esso incuriosito dalla conversazione di Weddy al telefono, si sollevò dal sedile per porre una domanda, ma Weddy prontamente lo precedette, togliendo la mano dal volante e alzando l'indice in aria. "Ah-Ah! Niente domande."

Io sorrisi sommessamente sapendo cosa c'era sotto e volsi il mio sguardo dritto verso di me. La sensazione nervosa di pochi istati prima e innescata da Abel, si era smorzata e buttando lo sguardo di tanto in tanto sul ragazzo, potei notare che anche lui iniziò a sentirsi meno teso. Ad ogni modo il senso d'agitazione di rivedere B, era sempre in aguato e fortissimo, mi metteva a soqquadro lo stomaco, tagliente attraversava il petto e  il ventre.

Il viaggio fu tranquillo, strideva in maniera evidente con le emozioni irrequiete che nutrivamo in macchina tutti e tre, che eravamo più pronti ad affrontare una guerra, che un viaggio per arrivare al luogo dell'appuntamento.

Avevo così tanta adrenalina in corpo, che non feci minimamente caso a che tipo di percosso avessimo fatto. Pensavo, pensavo e pensavo ancora.

Che cosa ne sarà di me e di queste due persone, di tutte quelle che conosco e mi sono vicine, se fallisco? Perché ho questa forte sensazione che oggi avrò le risposte che non ho mai avuto? Perché proprio oggi? Perché B, Beyond Birthday , ha scelto questo momento? Sarò in grado di riflettermi sull'immagine di B?

Oh, Abel, mi dispiace così tanto, hai tutto il diritto di arrabbiarti, hai tutto il diritto di affezionarti a me, hai tutto il diritto di volerlo morto o volerci morti entrambi, per quello che ti è stato fatto.

Compassionevole mi voltai con espressione intenerita verso Abel, che mi guardò prestando attenzione a qualcosa che non avrei mai proferito, per lo meno non in quel momento.

Tornai svelta a mirare davanti, ebbi un colpo al cuore quando vidi balenare davanti ai miei occhi il cartello che indicava l’uscita per Pasadena, poi abbassai il capo prendendo a giocherellare concitatamente con le mie mani e polsi puliti, senza  anelli o bracciali, sono qualcosa che non ho mai sopportato; soprattutto nei giorni più caldi, non amo indossare gioie, mi sento molto più libera nel non sentirmeli addosso. E mentre ero intenta a farmi distrarre da me stessa, sollevai la testa con leggerezza e mi accorsi che la nostra auto si era arresta. In quel viaggio di soli trenta minuti a me parve di aver percorso ore ed ore di strada.

Che sciocca! Eppure ero cosciente che Pasadena da Beverly Hill distava mezz’ora esatta, cosa diavolo mi fece pensare che fosse diversamente?

Probabilmente il timore di viverlo, vederlo, sentirlo parlare, respirare. Sì, probabilmente tutto questo mi fece peccare di quel pensiero infantile, in cui la meta  seppur vicina, la si vive come qualcosa di lontanissimo.

Sporgendomi appena guardai all'esterno dal mio finestrino di poco abbassato.  Weddy fermò la nostra vettura dal lato opposto all’enorme complesso condominiale, non molto nuovo e che si ergeva alla nostra destra. Era così lineare, le pareti erano composte da mattoncini rossicci, si divideva in molti piani, le finestre erano bordate di bianco, il tetto era piatto, dritto e tutto rimandava ad un concetto di sterilità pura… già, mia madre lo avrebbe definito così, aggiungendo sarcasticamente che avrebbero potuto recuperare in estetica aggiungendo un’aiuola. Sorrisi impercettibilmente a quel pensiero, poi il chiamarmi di Weddy mi risvegliò da quelle mie continue mancanze d’attenzione a ciò che stavo per andare a fare.

“Ehi, tutto ok?” Mi disse seria la donna. Annuii con la testa e continuai a guardarla per sentire cos’altro aveva da dirmi. “Coraggio, ora ti accompagno.” Calma la torre mi prese per una spalla e mi scosse appena.

Slacciai la cintura di sicurezza e feci scattare la serratura dell’auto per uscire, ma ancora incerta mi voltai verso Weddy “ Lui mi ha detto che... noi riuscirò mai a capirlo... tu credi che vedrò nel suo riflesso?”

La donna si fece attenta e portò i suoi occhi coperti dalle lenti scure, davanti a sé. Accennò un secco saluto a qualcuno fuori e mi feci distrarre dalla sua azione. Constatai che aveva appena salutato un uomo alto, con  capelli biondissimi quanto i suoi, tirati in dietro, li portava di una lunghezza media che arrivava a toccare appena la base del collo. Aveva degli ammalianti e chiarissimi occhi azzurri, vestiva una semplice camicia a maniche corte in cotone di color panna e dei pantaloni sul marrone, larghi e leggerissimi dato il caldo afoso fuori. Era molto pratico, ma elegante al tempo stesso e mi ricordò immediatamente  Believe. Iniziai a risentire dell’amaro in bocca rivedendomi piombare addosso quel ricordo, per poi pensare alle foto in cui lo avevo visto riverso a terra, coperti di tagli e sangue.

Ebbi un fremito e scacciai quella squallida sensazione, cominciando a  dedurre che quel uomo là fuori, poggiato sulla  fiancata di una lussuosa Audi blu scuro, fosse la seconda torre o forse L stesso. Chiunque avrebbe potuto scambiarlo per il solito riccone di Los Angeles, ma il suo comportamento, anche se ben mimetizzato, era diverso, era guardingo, attento e sembrava in attesa di un qualche segnale da un momento all’altro. Ma forse ero solo io a percepirolo così, perché Abel non se ne insospettì affatto.

“Quel signore là ci terrà d’occhio mentre entreremo. Ci guarderà le spalle…Weddy sempre guardando dritto verso l’uomo mi diede le coordinate e continuò aprendo il suo sportello "Ad ogni modo, non conosco molto di questa storia. Lui mi ha dato, anzi ci ha dato, piccoli elementi utili ad aiutarti e ad aiutare un’altra collaboratrice. Ma sì, credo che tu possa riuscire a capirlo…  poi determinata si volse di poco verso di me “Leonor, quest’individuo ha scelto te.”

Un sospiro mi prese alla sprovvista e mi fece sobbalzare, raccogliendo forza uscii dall’auto con Weddy e Abel al mio seguito. Il ragazzo dovette rimanere, suo mal grado, con l’uomo che si presentò a me con il nome di Aiber, mentre io e Weddy attraversammo la strada per trovarci poi a passare l'ingresso del complesso condominiale. Alzando la testa vidi che sopra di noi un'apertura enorme formava un canale di cielo che divideva un palazzo dall’altro ed era l’unica forma di luce in quel solco fatto di mura, portoni e finestre.

“Eccolo è questo il numero d’approvazione 061550 e il nostro appartamento è al quarto piano.” Weddy pigiando il dito indice su una targhetta argentea, sottolineo l’evidenza dell’arrivo al nostro obiettivo e fu  così facile arrivarci. Non so cosa mi fece pensare che qualche barriera architettonica ci avrebbe reso difficili le cose.

"Io ti aspetterò sul nostro piano, ma ti raggiungerò più tardi. Non posso farmi vedere o notare. L, mi ha dato precise istruzioni di lasciarti sola con lui. Niente cimici, niente video. Sei completamente spoglia. Sii il più naturale possibile, entra nell'appartamento come fosse casa tua."  Weddy aprendo  il portone del condominio e  alzando il mento in avanti mi fece cenno di entrare.

Col capo annuii ferma e mi addentrai all'interno.

Non mi guardai alle spalle in cerca di sicurezza da parte di Weddy, mi precipitai all'ascensore, premetti con agitazione il tasto di chiamata dell'elevatore, che si aprì immediatamente, ci entrai tenendo gli occhi chiusi, permuti per non guardare, finché  non percepii il suono delle porte che  mi si richiusero davanti.

Nella salita mi scorreva davanti l'incedere lento della luce giallina dei piani raggiunti e passati, fin quando  al quarto, l'ascensore si bloccò seccamente.

Ero arrivata.

Calpestai il pavimento sentendomi vicina a qualcosa che mi elettrizzava, eccitava ed era vicino. Ero un mix della me ragazzina impaurita di soli diciotto anni e un'altra decisamente calcolatrice, audace, presa dall'esaltazione. Non mi ero sentita mai meglio in vita mia e mi ci sentivo stando sul bordo di un burrone. Istintivamente mi incamminai verso destra per il lungo corridoio, per mia fortuna, desolato e notai che le porte dovevano essere state ridipinte, perché sotto il rosso vivissimo che vi era stato sovrapposto, appariva una sfumatura marrone. Quanto mi apparve così familiare quel colore, mi era mancato. Avrei dovuto rabbrividire, ma non ne ero mai stata capace e forse mai  sarei stata in grado di farlo.

I miei passi risuonarono leggeri passando di porta, in porta.

400, 401, 402, 403... 404.

Sussultai alla vista di quel numero, fu come se avessi ritrovato la mia cifra di riconoscimento. Inspirai ed espirai, poggiai calma la mia mano sulla maniglia della porta, che notai subito fosse stata lasciata aperta di proposito.

Varcai l'entrata silenziosamente, ovviamente non chiesi il permesso di entrare, chiusi svelta e mi limitai a studiare superficialmente quel modesto appartamento, composto solo da un soggiorno con una cucina attaccata e un corridoio che portava a tre camere.

Percorsi il tratto che portava alle stanze come avrebbe fatto un gatto, lentamente ,  talmente guardinga che sembrava stessi annusando l'atmosfera circostante, così sconosciuta, così estranea.

Non appena attraversai la porta spalancata, della seconda stanza da letto, mi bloccai. Credetti di aver visto un fantasma. Voltandomi vidi una sagoma di fronte la finestra e di spalle, ricoperta di luce solare, vestita come l'avevo sempre conosciuta e in una posa nostalgica, fiera e ben eretta.

Era il mio re nero.

Entrai nella camera dove il letto dava proprio davanti alla porta, la finestra, su cui lui guardava, era vicinissima al fianco sinistro del materasso. Non vidi altro, il resto degli altri particolari della stanza mi apparvero irrilevanti, normali, a parte un solo dettaglio; una bambola di paglia chiodata sul muro proprio di fronte a me.

"Finalmente sei arrivata." La figura dinanzi a me e ancora di spalle, parlò mesta.

Io distolsi il mio sguardo dalla piccola bambola di paglia e lo rivolsi alla sagoma.

"Avevi paura che non  sarei venuta?" Domandai incerta e camminando di poco, dritta verso di lui.

"Sai, dopo quello che ti ho fatto, non nego che ne ho dubitato." Beyond, si voltò mostrando appena il suo profilo regolare, ma ancora poco chiaro perché reciso della luce.

"E' questa la fiducia che nutri per me? La fiducia che nutri per la mia inconcludente passione per te?" Lo guardai seccata e cominciai a sentire un’improvvisa rabbia nei suoi confronti.

"Amore. Lo definirei più amore, anche se combatti con te stessa so che mi ami... e ora riconosco che probabilmente nutrivo anche per lei dell'amore." Lo vidi girarsi completamente e poggiarsi con le mani sul davanzale della finestra " Non so se è più forte lei o tu. Sicuramente con te è più malato, impaziente, appassionato ed è diventato reale. Vero, quant’è concreto il contatto delle miei mani su di te."

"Lei... immagino sia.." B mi fermò prima che dicessi quel 'nome '.

"A..." sospirò abbassando il capo desolato "Sì." e tutto finì in un soffio ancora più triste.

"Quindi io sono venuta fin qui per sentirmi dire che ami qualcun altro più di me e poi cos'altro?" Sentivo salirmi ancora più collera e le lacrime la seguivano; cercando di mantenere la calma e trattenendomi continuai  "Cos'è? Vuoi farmi vedere che sei normale, che sei rinsavito? Strano, effettivamente oggi sei preso da un'insolita serietà mista all'infelicità. Qualcosa non va come vorresti? Perché se devo dire la mia, a mio parere, per me, non va come vorrei..." Buttai via l'aria piano, facendola passare nello spiraglio che si aprì tra le mie labbra, proprio come si fa prima di iniziare una corsa velocissima, solo che io rimasi lì a continuare "Se andasse come vorrei io, tu non avresti fatto quello che hai fatto e mi ameresti abbastanza per non fare ciò che hai fatto, mi ameresti abbastanza da dimenticare L, A e tutto il resto di quello che non conosco." Mi esposi schietta, diretta e desiderosa di ottenere ciò che volevo e che mi apparteneva; B e la verità.

Vidi alzare il capo di B di scatto, mi aspettavo da un momento all'altro una reazione violenta, brutale, ma ciò non avvenne. Il suo volto assunse un'aria addolorata, indulgente, causata dalle parole che avevo appena proferito e molto probabilmente anche dalla mia espressione, che ignoravo quale fosse concentrata com'ero  solo sul mio dispiacere.

Venne verso di me allungando le braccia, ma io di riflesso mi scansai, scattante e cauta, facendolo bloccare nel movimento che poi proseguì lentamente. Poggiò le sue mani sulle mie spalle, arrivò al mio collo e sfilò, con insolita e inaspettata delicatezza, il triangolo di stoffa che lo avvolgeva.

Finalmente lo avevo vicino e mi apparve inoffensivo, più logico, sembrava sano, mi parve di sognare, mi sembrò di aver ottenuto quello che avevo espresso poco prima.

"Tu lo sai che sta succedendo. E' nei tuoi e nei suoi piani, riguarda voi in maniera profonda, ma tu sai anche che per me c'entra dell’altro." Dissi in un sussurro addolcito dalla sua vicinanza.

"Sì, lo so..." Disse sussurrando e abbassando la testa per sentirlo poi baciami sul collo, lo stesso che aveva stretto con forza giorni prima e che ora carezzava, baciava con leggerezza e cura, riuscendo a non farmi sentire dolore alla pressione delle sue labbra sulla mia pelle livida.

"Mi era mancato questo, mi è mancato di quando facevi così. Di quando arresti la follia, torni qualcosa che non conosco e vorrei conoscere." Mormorai immersa nelle mie emozioni, mentre mi aggrappavo incerta sul bianco tessuto della sua t-shirt. "Sto distruggendo ogni cosa, B. In tuo nome sto facendo e ho fatto cose terribili. Aiutami. Non ce la faccio più." Chiudendomi con la testa nel suo chinarsi e baciami, mi lasciai prendere per i fianchi e avvicinare nel suo abbraccio. In quell’istante sentii un unione essenziale, semplice, automatica e che mi legava a lui, molto più del fare l'amore; il mio riflesso cominciava a combaciare col suo e stavamo diventando un solo corpo e una sola mente.

"Leo..." Di nuovo bisbigliò, poi si scostò per guardarmi "Devi prima vedermi bene e cosa sono stato. Ti offrirò quello che avresti voluto sentirti dire da sempre. Altrimenti rimarremo bloccati qui, così per sempre." Rimase incredibilmente serio, il suo sguardo era intenso ed i suoi capelli neri sembravano tende di velluto scurissimo che ammantavano i rubini rossi dei suoi occhi, contornati da  finte occhiaie; guardandoli attratta, annuii dipendente e curiosa di scoprire quel qualcosa che avrei voluto sentirmi dire sin dall'inizio.

Ascoltai rapita ogni sua singola parola.

 

 

 

Due anni fa, non vivevo liberamente, ero sempre controllato, monitorato; praticamente non avevo una vita. Lo scopo primario del mio esistere era l'obiettivo, il back up, la copia esatta.

La copia esatta di L.

Ad ogni modo dove vivevo, non tutto era negativo o programmato; c'erano le componenti distensive della vita, le cose semplici e belle, ma duravano poco, come i battiti cardiaci di un topo. Sembrerà strano dirlo, ma erano i miei fratelli orfani della casa in cui vivevo che mi davano questa pace, che davano serenità alla Wammy's House; ma più di chiunque altro era lei a darmi la quiete di cui avevo bisogno, teneva a bada i miei impulsi malati, quelli che invece io ti ho sempre mostrato Leonor, ma che a quei tempi non erano maturati a dovere.

Posso ancora vederla davanti ai miei occhi, quando alle volte, nel sonno, smettono di farmi vedere troppo e rosso. Eccola... Il viso tondeggiate, le guance sempre rosse, il suo minuto naso all’in su contornato di lentiggini, gli occhi vivaci e verdi come l'acqua marina, le labbra rosee e carnose ed i capelli sembravano raso; lisci gli finivano pari a metà schiena ed erano rame lucidissimo. Era piccola di statura, ma aveva un'energia ed una atleticità impressionanti; adorava giocare a baseball. Odiava le coercizioni, era indipendente. Mi riesce difficile non sorridere al pensarla nel suo aspetto solare e positivo, che pian piano si spense come una candela consumata. A è stata schiacciata e sacrificata perché lei era la prima.

Nella mia stanza alla Wammy's House volli tutto, libri di ogni genere, volli un mio computer, volli  tutto quello che sapevo L avesse e quello che non avesse. Sapevo che i miei capricci sarebbero stati assecondati, perché ero la futura copia, ero un suo successore. In quel periodo non nutrivo odio per Lui, lo rincorrevo come gli altri e riusciva a stimolare in me una sfrenata voglia di mettermi in competizione con Lui; probabilmente per via del suo aspetto e modo di fare che non ho mai compreso a pieno.

L'unica che non lo rincorreva era A.

Nonostante sapesse di essere la prima in quella successione, se ne curava come di un qualcosa di poco importante, sembrava, nei suoi atteggiamenti, che non le importasse proprio e di fatti era così.

In una giornata soleggiata dell'Aprile del duemila, mentre ero intento a risolvere problemi su problemi ed esaminando simulazioni di casi o studiando quelli scartati da L, sedevo sulla scrivania che dava davanti alla mia finestra spalancata, mentre l'aria tiepida mi passava sulla fronte, lieve.

Improvvisamente A mi distrasse entrando nella mia stanza  di soppiatto, poggiandosi poi esasperata sulla porta appena chiusa, mentre il vicedirettore dell'istituto, Roger, la chiamava ininterrottamente dai corridoi.

"Dio ti ringrazio. Meno male che ero nei paraggi della tua camera, Beyond." A, ancora attaccata alla superficie di legno mi parlò sollevata e iniziò a ridere cercando di contenere le risate.

"Ti diverte così tanto farli disperare tutti? Anche il signor Wammy che è così buono e generoso con noi?" Seduto alla scrivania ruotai sulla sedia per parlare di fronte ad A.

La ragazza abbassando il capo si diede una leggera spinta per staccarsi dalla porta, venne verso la mia postazione e iniziò a giocherellare con una pagina dei tanti libri che tenevo ammucchiati sul ripiano di studio.

"Lo sai che voglio un gran bene a Wammy e anche a Roger. Non parlare come se non me ne importasse niente, B." Alzando i suoi occhi verdi su di me accennò un sorriso che poi venne contenuto nervosamente. "A te...a te non dà fastidio vivere così? Sempre sotto pressione, mai qualcosa di normale come gli altri orfani meno dotati, sempre a pensare ad L. 'Voglio diventare come L' , 'Che figo sarebbe essere L.' oppure 'Chissà com'è essere L?.'. Mai che nessuno, come noi qui, che si chieda com'è essere sé stessi. Io sono io e sono A." Poi portando l'indice sulla sua tempia indicò "Questa è la testa e l'intelligenza di A, non di L." Sospirando si buttò sulla vicina sedia in legno accanto alla mia scrivania e lasciò cadere le braccia penzoloni.

"La penso un po' nel tuo stesso modo, ma non la vedo poi così tragica."Ddissi rimettendo gli occhi sulle pagine abbandonate poco prima.

"Parli bene tu, sei il secondo. Io sono la prima, B..." Guardandomi dritto negli occhi, A inasprì il suo tono "Non avrò mai una vita come quella degli altri. Agiata, sì,  ma non libera. E poi se devo dirla tutta non è mio interesse prodigarmi per risolvere i casi criminali..." Chinò il capo un po' imbronciata e proseguì "A Lui piacciono queste cose, a me no. E la cosa che mi va ancora meno giù, è il fatto che tu non possa chiamarmi per nome, per via di una sicurezza estremizzata."

Alzando il capo delle scartoffie la guardai perplesso "Che intendi dire?"

"Niente, niente. Niente d'importante che il mio migliore amico non possa capire." Un sorriso imbarazzato le illuminò il viso. Era indescrivibile quanto quella sua timidezza mi risvegliasse un improvviso senso di possessività e aggressività. Era qualcosa di istintivo e animale, ma lo controllavo per paura di apparirgli schifoso o mostruoso.

"I tuoi occhi. Come vanno?" Di scatto A si alzò dalla sedia e si voltò per andare a torturare un rompicapo che tenevo poggiato su una mensola.

"Come sempre, vedo sempre in rosso e quei disgustosi numeri, che sai già a cosa si riferiscano." Nervoso picchiettai la punta della penna sul foglio davanti ai miei occhi.

"L'hai vista la mia? Intendo, hai visto la data di quando morirò?" Ancora di spalle, A, mi pose quella domanda scomoda, anzi orrenda, non poteva chiedermi cosa peggiore.

"A, ma cosa ti salta in mente! Trovi che per me sia esaltante vedere la fine delle persone, figurati la tua! Non riesco ancora a capacitarmi del fatto che io sia nato con questi! Non dirmi certe cose, non sono un vegente! Io quelle vite non posso salvarle. " Alzando di poco la voce balzai in piedi.

A si girò desolata e mi guardò profondamente rattristata, sembrava stesse per iniziare a piangere. "Perdonami B..." si portò le piccole e aggraziate mani agli occhi, poi svelta le tolse tornando a guardarmi "Guarda, sono fin troppo emotiva per essere Lui. Ti invidio perfino, perché tu riesci a prendere tutta questa storia in maniera così rilassata, lucida e se solo tu volessi, se lo desiderassi con tutto te stesso potresti abbandonare tutto. Tu potresti scappare di qui. Io sono sbagliata Beyond, non sono quella giusta. Avrò anche un buon cervello, ma come si può chiedere una cosa del genere a me." Concluse dura.

Era indifesa, ferita, voleva una soluzione e  l'unica cosa che potei fare fu abbracciarla, sentirla più piccola di quello che era nel mio stringerla e sentire l'odore mielato dei suoi capelli penetrarmi nelle narici. Ebbi una sensazione di pace nel sentirla così su di me e mi sembrò di avvertirla risollevarsi dopo che fino a poco prima era stata così amareggiata.

In completo silenzio si sciolse dal mio abbraccio e andò alla porta, ma quella semplice azione mi fece soffrire, fu come se mi fosse stato strappato un lembo di pelle.

"Vado a consegnarmi..." Disse ridendo tra sé e sé, per poi voltarsi e vedermi rispondere con un sorriso altrettanto divertito. Alla porta, con la mano sulla maniglia e ancora rivolgendosi a me, continuò a parlare con ritrovata contentezza "Allora, dopo l'incontro con L, sabato prossimo facciamo una  partittina a baseball giù in giardino?"

"Ok, ma lo sai che sono una schiappa." Dissi con fare canzonatorio nei miei confronti.

"Per questo te lo chiedo." Detto questo uscendo mi lasciò con una melodiosa risata che risuonò appena accennata, prima nella mia stanza e poi sparì ovattata fuori nel corridoio.

Passò quella dannata settimana, lo incontrammo come era avvenuto altre volte, ma quella fu fatale. Quel sabato arrivò e la pioggia primaverile impedì a me e A di giocare a baseball come avevamo programmato. Quindi decisi di andare nella sua stanza per tirarle su il morale, sapendo quanto sperava in quel nostro passa tempo, in quel giorno e sopratutto dopo averlo incontrato.

Bussai sull'uscio della sua camera, ma non ricevetti risposta. Entrai comunque credendo che o si fosse addormentata o che, se uscita, sarebbe tornata e mi avrebbe trovato lì. Gironzolai un po' per la stanza, presi e sfogliai velocemente i suoi romanzi; mentre facevo quel mio giochetto invadente in uno dei suoi tanti libri, vidi sfuggire pesante, giù a terra un foglio. Pensai fosse un qualche appunto, adorava prenderne, a lei ogni particolare e osservazione piacevano, così li appuntava dove capitava; forse questa era l'unica nota che la rendeva simile ad L, l'osservazione, di qualsiasi cosa, persone, animali, qualunque cosa.

Raccolsi il foglio e ancora piegato a terra lo aprii cominciando a leggere.

Piano di fuga dalla Wammy's House.

Sgranai gli occhi.

A, in un misero foglietto aveva annotato anni di pianificazione e lo aveva nascosto tra le pagine di Ragione e Sentimento. Pensai a quanto fosse stata folle nello scrivere certe cose e nasconderle in quella maniera, perfino a me; ma non mi sentii tradito, qualunque cosa avesse deciso di fare io l'avrei seguita. Quello che mi preoccupava era il fatto che chiunque, da Wammy a Roger, chiunque, se avesse scoperto quello che voleva fare, glielo avrebbe impedito categoricamente. Ce lo dissero  chiaramente il giorno che venimmo convocati per comunicarci che eravamo stati scelti come eredi diretti di L; non avremmo potuto abbandonare a metà strada, una volta che si diceva di sì, era per sempre, si era condannati. Salvo complicazioni avremmo dovuto seguire quella strada, punto. Eravamo stati messi come Adamo ed Eva nell’Eden con leggi ancora più ferree di quelle che Dio aveva sottoposto alle sue prime creature.

D'un tratto udii un rumore fluirmi nelle orecchie, mi parve molto, ma molto lontano, simile allo scorrere dell'acqua e provenire dal vicino bagno in camera. Voltandomi mi alzai, abbandonai il biglietto su un tavolo vicino alla libreria e misi l'orecchio sulla superficie dura della porta. Sentii ancora lo sgorgare dell'acqua, improvvisamente mi accorsi che percepivo del bagnato sulle mie scarpe da tennis grigie. Guardai in basso e vidi propagarsi pian, piano il liquido trasparente da sotto la porta.

"A..." La mia voce venne incrinata da una pessima sensazione e peggiorò quando non ebbi risposta. Iniziai a smuovere la porta dalla maniglia constatando che era chiusa a chiave."A! Maledizione! Apri!" Smuovevo il rettangolo di legno sempre più energicamente. "A!" Esclamai ritrovandomi a sbattere violentemente la spalla contro la porta per sfondarla di forza, cosa che avvenne subito dopo le prime tre spinte.

Entrando mi si gelò il sangue nelle vene, non mi sentivo più, accusai del freddo, mi iniziarono a fischiare le orecchie, sentii il timore di poter cadere a terra da un momento all'altro e caddi atterrando pesante sulle mie ginocchia e continuai a guardare. Sbigottito mi avvicinai  a gattoni alla vasca  ricolma d'acqua, che grondava a cascata, giù sul pavimento e guardandola con i miei occhi era ancora più scura di quel che avrebbe dovuto essere ad occhi puliti, ad occhi umani.

La ragazza era adagiata nuda nella vasca, per sentirsi completamente libera aveva deciso di infilarcisi disadorna di ogni cosa. Potevo vedere i suoi seni pieni emergere in superficie insieme alle sue esili ginocchia. Bianca, era così bianca che il contrasto di colore con il rosso del sangue e dei suoi capelli, la rendeva bella; percepii il cuore battere veloce, la desiderai, in modo insano e non me ne vergognai. Le mani che impugnavano schegge di uno specchio rutto grandi quanto una lama di coltello, rimanevano appena immerse nell’acqua. Le sue braccia e polsi poggiavano comodamente sui  bordi di ceramica anch'essa candida e lasciavano calare rigoli di fluido ancora più vermiglio di quello diluito in acqua. Le sue labbra piene erano violacee, pensai immediatamente che si fosse tagliata i polsi addirittura prima che la vasca si riempisse completamente, aveva perso ogni singola goccia di sangue, era svuotata, non c'era più la mia A. E fu un sollievo poter finalmente non vedere più la durata della sua esistenza su questo mondo. Fui felice, perché per la prima volta i miei occhi avevano fallito. In quell’occasione ebbi la visione pulita della sua persona, ma che senso avrebbe avuto se ora non potevo più toccarla, stringerla, averla.

Comparve qualcosa dentro di me, di davvero sadico, che da prima mi spaventò, ma un attimo dopo mi ci avvinghiai. Rimasi colpito di come analizzai quella situazione in maniera scientifica, deducendo come si fosse uccisa. A, aveva ragione, io avevo di Lui quella capacità fredda e che odiai immediatamente, appena la sentii venirmi fuori. Ed è qui che la strana sensazione malata mi diede forza, mi ritrovai a provare piacere, amore per la mia A,  nel vederla così perfetta in tutto quel rosso, amai quel colore che mi condanna da ben diciannove anni; ma io volevo A, viva per me, non morta... non morta come morivano tutti gli altri esseri umani. La rivolevo come nell'abbraccio della settimana prima, la rivolevo viva mentre mi sollecitava ad abbandonare L e tutto quello che ne conseguiva. Così, insieme a quella semplicissima rivalità che avevo nei confronti di L,  nacque anche l'odio per Lui.

Dovevo odiarlo, dovevo farlo anche per A.

Lo odiai! Oh, e lo odio allo stesso modo, con la stessa intensità e rabbia anche adesso.

Se Lui e tutta quella massa di persone senz'anima avevano fatto quella cosa ad A, allora io avrei fatto qualcosa di più grande e potente che avrebbe fatto diventare me, me e non Lui, non una banale copia. Io sono la perfezione, A era la perfezione, Lui è solo una bugia ben elaborata e nascosta; nascosto dietro un vecchio che lo ha considerato fin da subito come suo figlio, al di sopra di tutti i suoi figli alla Wammy’s House! Senza sentimento alcuno, senza emozioni che lo sferzino da quella superiorità e apatia che dà il volta stomaco. Avrei fatto e dato qualsiasi cosa per vedere Lui in quella vasca a morire, umiliato, verme strisciante che non è altro.

In lacrime e rabbiosamente agitato, chiusi tremante i rubinetti e invocai a gran voce il nome e l'aiuto degli stessi carnefici che l’avevano indotta a fare quella cosa.

<< Se solo tu volessi, se lo desiderassi con tutto te stesso, potresti abbandonare tutto. Tu potresti scappare di qui.>> Le parole di A, rimbombarono nella mia testa al ritmo alterato e accelerato del mio cuore.

Ancora inginocchiato, bagnato di sangue ed acqua le parlai tremante “Sì, Anne.. lo farò... lo farò.”

Vennero finalmente a prestare aiuto, Wammy e Roger mi scansarono alzandomi in piedi per le braccia, per tornare poi al corpo spento di A. E mentre il vociare lontano dei curiosi iniziava a farsi sentire fuori dalla stanza di Anne, io mi allontanai da loro indietreggiando, tornando alla vicina libreria per portare via con me quel foglio che poggiai superficialmente  sul tavolo e che da quel momento diventò le memorie della mia A. Dopo che le diedero un soccorso inutile e d'apparenza, le fecero un funerale silenzioso, da persona libera da qualunque legame come  un qualsiasi orfano, ebbe l'estrema unzione di una persona svincolata dalla lettera L e ne fui estremamente felice. E mentre la terra fredda, pesante e  umida di Winchester cadeva sul feretro di Anne, io mi dileguai, sparì come si dissolse Anne; per quel che ne potevano sapere, da quel momento all’orfanotrofio, io potevo essere stato inghiottito nell'oscurità di un caldo Maggio, ma non sarei rimasto per sempre nelle tenebre e posso affermare di aver scoperto che hanno uno straordinario potere curativo, ti aiutano a pensare meglio e ti trasformano.

Bisogna ricordasi sempre che anche i morti tornano a prendersi qualcosa ai vivi ed L lo avrebbe capito,  lo capirà a sue spese.

 

 

 

 

Ciao, ciao a tutti.

Sono contentissima di rifarmi viva.

Il Natale con tutte le sue vacanze è stato pienissimo di cose da fare ed è stato difficile controllarsi dal mangiare. Spero che sia stato un buon Natale anche per voi.

Fortunatamente ho avuto anche un po' di tempo per scrivere questo capitolo.

Ad ogni modo spero non vi sia risultato pesante o noioso, il fatto è che sto portando avanti la mia idea di questa storia, forse anche stravolgendo certi particolari della trama originale ( ma d’altronde questa è una fan fic quindi non c’è da stupirsene XD), di B, di L, di Leonor, adesso pure quella di A e di tutti gli eventi, etc... quindi spero comprendiate, mi piace molto sperimentare e giocare, soprattutto spero non vi stufi questa cosa.

Mi congedo ringraziandovi tantissimo, a voi solo lettori, a chi recensisce, a chi mi segue, a chi mi ricorda, a chi mi preferisce e a chi mi inserisce tra i suoi autori preferiti.

Grazie mille.

Spero di aggiornare il prima possibile, salvo imprevisti dovuti al lavoro, che a volte mi capita tra capo a collo, ma non lamentiamoci. Questi sono periodi difficili e spero di allietarli anche a voi, come la scrittura li allieta a me.

Quindi vi mando un bell’ abbraccio e alla prossima.

 

Baci baci KiaraAma

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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