Immortali
e segrete esistenze.
Sopravvissuto.
La creatura
respirava
affannosamente, come se facesse fatica a trovare aria. Disteso sulla
roccia
dura e fredda della grotta, le gambe ancora completamente immerse
nell’acqua.
Si rannicchiò su un fianco, con le ultime forze, e rimase così per
quelle che
gli sembrarono ore, ogni muscolo dolorante, il respiro che si
indeboliva, la
vista che gli si offuscava.
La sua mente
precipitò in
un limbo creato da ricordi e sogni, e prima che lui potesse
accorgersene, si
era già allontanata dalla realtà.
Delle grida di
terrore e
rabbia gli fecero pulsare le tempie, sostituendo il rumore del vento o
lo
scroscio delle onde che si infrangevano sugli scogli. Le grida del suo
popolo.
Poi si trasformarono in canti, i loro canti.
La creatura
teneva i suoi
enormi occhi spalancati, ma era capace di vedere solo dei colori, delle
ombre,
a volte delle immagini del suo passato, della sua gente, della sua
casa.
L’unica sensazione a trattenere la sua mente in quella grotta che
avrebbe
preferito non dover conoscere mai, era il dolore. Un dolore che partiva
dal
fianco e si propagava in tutto il corpo. Sentiva freddo. E non gli era
capitato
quasi mai in vita sua.
Con le orecchie
ancora
vibranti di quei canti ovattati e armoniosi e di quelle grida, la
creatura si accorse
appena di un rumore secco che riempiva con il suo eco tutta la grotta. Passi. Passi umani.
Si
avvicinavano, prima
lentamente, poi sempre più velocemente. La creatura si abbandonò
all’incoscienza, che sembrava chiamarlo, porgergli la mano. In un
ultimo
pensiero, pregò mentalmente il figlio degli homines di mettere fine
alla sua
vita da sopravvissuto. L’ultima cosa che vide prima di svenire, furono
due
occhi grigio ghiaccio posarsi su di lui.
Il
figlio degli homines
<< Chi
sei? >>
chiese la creatura, in una lingua usata dagli homines di cui però non
conosceva
il nome, la voce vibrante di stanchezza e sorpresa.
<< Mi
chiamo Niccolò
Machiavelli >> rispose l’umano, nella stessa lingua.
L’uomo alto e
canuto tese
la mano con un sorriso divertito, come se sapesse già che la creatura
non
avrebbe compreso il significato di quel gesto. E non si sbagliava.
la creatura
allontanò il
suo palmo aperto con uno schiaffo, che produsse uno schiocco secco e
che lasciò
un po’ bagnata la pelle del figlio degli homines.
La breve risata
di Machiavelli
riempì la sala. Quella fu la prima volta in cui la creatura credette
fermamente
che l’italiano fosse pazzo. In futuro, avrebbe avuto questa impressione
per
questioni ben più serie, perché si sarebbe rivelato un homines pieno di
idee e di
stratagemmi fuori dal comune. Ma molto presto la creatura si accorse,
inevitabilmente, che la linea che separava pazzia da genialità era
davvero
molto sottile.
Nome
<< Se
davvero vuoi
restare al mio fianco, allora dovrei come minimo sapere il tuo nome
>>
constatò Niccolò Machiavelli, seduto su uno scranno in legno, i gomiti
appoggiati sulle ginocchia.
La creatura gli
rivolse uno
sguardo confuso.
<< Tra la
mia gente
non è così importante avere un… nome. >>
Non era
così importante, si corresse, ingoiando a fatica la rabbia e
forse anche un fiotto di tristezza. L’immortale
parve intuire almeno in parte ciò
che gli passava per la testa, perché riprese a parlare subito dopo, con
l’intento di allontanarlo dai pensieri cupi che gli offuscavano la
mente.
<< Temo
che dovrai
scegliertene uno . Sai, l’eternità è lunga, e a quanto ho capito
nessuno dei
due ha intenzione di lasciare questo mondo tanto presto.
Dovrò pur chiamarti in qualche modo. >>
La creatura
rimase in
silenzio per qualche attimo, abbassando il capo, pensando che solo due
giorni
prima non sapeva nemmeno cosa volesse dire, avere un nome. Non aveva
mai
prestato attenzione a come veniva chiamato. Nessuno della sua specie
l’aveva
mai fatto, perché, in fondo, la sua razza era stata in grado di capirsi
anche
con una totale assenza di suoni.
<< Dagon.
>>
Quell’unica
parola fece
alzare la testa a Machiavelli, e gli strappò un sorriso. La creatura
ricambiò
il suo sguardo.
Dagon. Era una
parola della
sua lingua natale, una parola che voleva dire più di quello che
lasciava
intuire dal suo suono quasi troppo semplice.
Una parola che,
nell’unica
lingua degli homines che la creatura conosceva, si traduceva in più di
un
suono. Il suo significato, Dagon lo tenne sempre per se, forse per
orgoglio, e
Machiavelli non lo seppe mai.
In un altro
Regno d’Ombra,
nelle profondità delle sue acque, quello
che era diventato il nuovo nome della creatura veniva pronunciato di
rado,
forse nelle favole, ma sempre con vivo interesse.
Dagon, o anche
Da Ghi on, salvato da un uomo.
Machiavelli
avrebbe per
sempre ricordato alla creatura, anche se involontariamente, il debito
di
riconoscenza che essa aveva nei suoi confronti, ogni qual volta
l’avesse
chiamato per nome. E se c’era una certezza che Dagon aveva in quel
momento, era
proprio il fatto di sentirsi grato nei confronti di quel figlio degli
homines.
In tutta la sua vita, non si era mai sentito così. E avrebbe ricambiato
il
favore, anche se l’italiano non gli avesse mai chiesto niente.
<<
Allora, piacere di
aver fatto la tua conoscenza… Dagon. >>
Domande
Dagon, nel
tempo, pensò che
Machiavelli potesse essere molte cose. Un mago, uno scrittore, un
truffatore,
un grande comunicatore. Quando pensavi
di essere riuscito a carpire tutti i suoi segreti, ecco che avevi
sempre la
netta sensazione che qualcosa ti fosse sfuggito.
Machiavelli era
una mente
brillante, sopra le righe. I suoi sorrisi sembravano più
dei ghigni divertiti, come se il mondo
avesse preso a girare al contrario e lui fosse l’unico ad essersene
accorto.
Dagon non
poteva evitare di
provare una qualche ammirazione per quell’uomo che con la sua
intelligenza
manipolava le persone come fossero burattini nelle sue mani. Conosceva bene l’animo umano, questo non era
difficile capirlo, lo comprendeva a fondo, lo studiava con attenzione,
per
riuscire ad imprigionarlo in un dei suoi innumerevoli inganni. Eppure,
delle
volte i suoi occhi si velavano di compassione, di umanità. E
l’immortale non
sembrava vergognarsene per niente.
Astuto,
talvolta spietato, ed
estremamente curioso. La curiosità era
una caratteristica che proprio Dagon non riusciva a capire, forse
perché non
gli era mai appartenuta. E poteva leggere molte domande negli occhi
grigi di
Machiavelli, domande nascoste, che l’italiano fortunatamente teneva per
se.
Che
cosa è successo al tuo mondo?
Perché
vuoi l’Ombra morta?
Da
quale Regno d’Ombra provieni?
Dagon era
sollevato dal non
dover dare risposta, ma sapeva che Niccolò Machiavelli non avrebbe
avuto
bisogno delle sue parole per immaginarsi ciò che era accaduto.
Il
canto delle balene
Era la prima
volta che
Dagon visitava un acquario, ma aveva già capito di odiarli. Perché
mentre gli
umani sgranavano gli occhi e i bambini indicavano saltellando le
vasche, lui
ricordava tempi antichi, rammentava ciò che aveva provato a dimenticare
in
tutta una vita, anzi, in diverse vite. Quella sete di vendetta che non
era
ancora riuscito ad assopire. E che voleva far scatenare contro l’Ombra,
in
tutta la sua potenza.
Machiavelli
aveva insistito
molto per andare da solo, ma Dagon, senza sprecare parole, gli aveva
aperto la
portiera della macchina, facendogli cenno di salire a bordo, con uno
sguardo
che non ammetteva repliche. L’immortale si era dovuto arrendere, alla
fine.
Dagon sapeva che Niccolò aveva molti nemici, nonostante rimanere dietro
le
quinte gli riuscisse benissimo, e quando la creatura aveva scelto cosa
fare
della sua vita da sopravvissuto, non aveva giurato solo di uccidere
l’Ombra, ma
anche di proteggere colui che lo aveva salvato. E fino a quando il
figlio degli
homines non fosse stato del tutto fuori dai guai, cosa quasi
impossibile, Dagon
lo avrebbe seguito.
La creatura si
sistemò i
grandi occhiali da sole sul naso e si abbassò il cappello, nervoso,
mentre
intorno a lui la gente gli rivolgeva fugaci sguardi perplessi.
Machiavelli, con
la consueta curiosità, si avvicinò alla parete opposta.
Guardandolo,
Dagon si disse
che non era stata una cattiva idea quella di accompagnarlo. Machiavelli
non si
poteva certo definire una persona prevedibile, e la sua guardia del
corpo non
avrebbe potuto permettere che, in un attimo di follia, l’immortale
avesse
improvvisamente deciso di prendere il volante .
Si sarebbe ammazzato contro il primo semaforo, se fosse riuscito
a
partire, si intende. Una morte misera, che di certo non rendeva
giustizia alla
sua persona.
<< Dagon!
>>
La creatura si
riscosse
bruscamente dai suoi pensieri, volgendo lo sguardo verso Machiavelli.
L’immortale
aveva indossato delle cuffie grigie e le teneva premute con due dita
sopra le
orecchie, senza curarsi, per una volta, di celare la sorpresa e
l’ammirazione.
Alzò gli occhi su Dagon, si tolse velocemente le cuffie, con un sorriso
malizioso.
<< Senti,
Dagon!
>> abbassò la voce, sapendo che
anche sussurrando la creatura lo avrebbe sentito.
<<
Somiglia
moltissimo al tuo canto. >> detto
questo, alzò le braccia e gli fece indossare le cuffie.
Dagon rimase
incantato.
Sentì appena Machiavelli borbottare tra se qualcosa come “ Ma come ha
fatto a
sfuggirmi questa scoperta? “, mentre si riempiva la testa di quei suoni
armoniosi, così simili alla sua voce.
Gli acquari non
erano poi
così male, e gli occhi di Niccolò Machiavelli sembravano dirgli la
stessa cosa.
<< Il
canto delle
balene >> lesse l’immortale, sul
cartello lì a fianco, con un ghigno ammirato.
Niccolò,
tu lo sai. Lo sapevi da molto prima che
Dagon si togliesse gli occhiali e le scarpe per inseguire la vendetta
che
desiderava ardentemente da secoli. Non c’è niente che non abbia un
epilogo, nel
mondo. In qualsiasi mondo, un odio così profondo non può che portare
alla
distruzione.
Ascolti
con un orecchio solo John Dee, che ti chiede
se davvero Dagon ha qualche possibilità.
<<
Ne sono sicuro. >>
Menti,
Machiavelli. Tu menti sempre.
Ma
forse è meglio così.
Hai
fatto una promessa.
Di
amici ne hai già persi tanti, e altrettanti non
li hai mai considerati tali. Avresti potuto, non l’hai fatto. Non te ne
penti,
dopotutto.
Non
avresti potuto fermarlo, e speri che il tuo
servo sappia quello che fa. Ma è stato lui a guardarti, per un
brevissimo
istante, come per dire “ da adesso in poi, dovrà davvero imparare a
guidare,
signor Machiavelli.”
Non
sei triste, né preoccupato. Non avrebbe senso
esserlo, non ora che anche tu hai un compito da portare a termine.
Eppure adesso
sei tu a dover salire in macchina al posto di guida.
Con
due passi superi le scarpe nere lasciate
abbandonate sull’asfalto.
Salve! : D
È da molto
che non pubblico niente, ed è da molto che voglio farlo. La storia non
è venuta
fuori proprio come speravo, forse, ma è già qualcosa! Il primo passo
dopo la
completa mancanza di ispirazione! Scusate se non riesco a scrivere
niente sui
personaggi buoni. È più forte di me, ma non è tutta colpa mia, Scott sa
creare
dei “cattivi” trooooppo fantastici! ; )
Non so se la
caratterizzazione dei personaggi risulti un po’ OC. Boh, ditemelo voi,
se avete
voglia ; )
Ciao!