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Autore: Aurore    11/01/2013    4 recensioni
La trovai quella sera stessa in un appartamento senza ascensore al quinto piano nel quartiere degli artisti, il West Village. Salii quelle scale tetre e semibuie con il cuore in gola e bussai alla sua porta. Mi aprì una bambina con le trecce rosso scuro e uno sguardo indagatore. E poi, dietro di lei, vidi Jocelyn che veniva verso di me, le mani sporche di vernice e il volto identico a come quando eravamo bambini.
Il resto lo sai.

Cassandra Clare, Città di ossa, pag. 437.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clarissa, Jocelyn Fray, Luke Garroway
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Inseguendo chi lo fugge,  fuggendo chi l'insegue





L'amore fugge come un'ombra l'amore reale che l'insegue,
inseguendo chi lo fugge, fuggendo chi l'insegue.


WILLIAM SHAKESPEARE,
Le allegre comari di Windsor





Era un palazzo come tutti gli altri. 
Alto cinque piani, scandito da finestre a ghigliottina, dall'aria vecchia e trascurata, ma solida. La pioggia colpiva la facciata, lasciando ampie chiazze qua e là, e sembrava lavare via il rosso sbiadito dei mattoncini che rivestivano l'edificio. Un tempo doveva essere stata la dimora di una famiglia appartenente alla buona società, come suggerivano alcuni dettagli: la ringhiera in ferro battuto della scala decorata da curve e ghirigori, gli spigoli dei gradini di pietra elegantemente stondati, la forma elaborata della maniglia del portone, le raffinate lampade in vetro e ferro appese ai lati dell'ingresso, ormai sporche, malconce e arrugginite.
Il n. 85 di Charles Street¹ non aveva proprio niente di speciale. Eppure, quell'uomo era lì, sul marciapiedi opposto, a fissarlo da un pezzo, con un'espressione stranissima: era come se stesse osservando qualcosa di meraviglioso e terribile allo stesso tempo, come se avesse davanti un cataclisma naturale che ti toglie il fiato per la bellezza e la paura contemporaneamente. I suoi occhi sgranati, di un azzurro intenso e limpido, erano carichi di gioia e di aspettativa, ma le labbra serrate in una linea dritta e dura rivelavano un doloroso tormento interiore. Qualunque cosa vedesse in quella vecchia palazzina, simile a mille altre del West Village, doveva essere molto importante per lui.
Se ne stava fermo sotto la pioggia, privo di ombrello e incurante degli abiti e dei capelli che si infradiciavano. Aveva un aspetto piuttosto trasandato: indossava dei jeans, una camicia di flanella, scarponi logori e una giacca di pelle che sembrava averne passate parecchie. In spalla portava una vecchia borsa di tela verde punteggiata da gocce di pioggia. I pochi passanti che percorrevano quel tratto di strada gli gettavano occhiate rapide, a volte curiose, a volte indifferenti, a volte vagamente preoccupate. Chi gli passava davanti e poteva guardarlo in viso si accorgeva che in realtà era ancora un ragazzo: probabilmente non aveva più di venticinque anni. Ma lui non notava nulla. Sembrava consapevole soltanto dell'edificio che aveva davanti.
All'improvviso si mosse. Molto lentamente, attraversò la strada, senza preoccuparsi di controllare che non ci fossero auto in arrivo, raggiunse l'altro marciapiedi e, dopo aver esitato ancora per qualche secondo, salì i gradini con passo incerto. Il portone era solo accostato e l'uomo aveva già teso una mano tremante verso la maniglia, quando la porta fu spalancata di colpo dall'interno. Qualcuno fece per uscire, ma trovandosi di fronte un ostacolo si bloccò con un lieve sussulto.  Era una giovane donna, bionda, minuta, con indosso una tuta da ginnastica e un impermeabile grigio scuro; dal collo pendevano delle cuffiette.
«Oh!» esclamò, sorpresa alla vista dell'uomo.
Lui la fissò altrettanto stupito. Sembrava che stesse guardando un dinosauro o qualcosa del genere. «Mi scusi» mormorò, facendosi da parte.
La ragazza varcò il portone rivolgendogli un sorriso educato che lo sconosciuto non notò affatto. La sua aria smarrita la incuriosì. «Cerca qualcuno?» indagò con tono gentile.
Il giovane esitò un poco, infine rispose, focalizzando finalmente l'attenzione sulla sua interlocutrice. «Veramente... io... sì. Sto cercando...». Tacque all'improvviso e alla ragazza parve che volesse pronunciare un nome senza riuscirci. Inarcò le sopracciglia, mentre lui deglutiva nervosamente. «... la signora Fray» aggiunse.
«Ah, Jocelyn?» esclamò la biondina, sorridendo. «Certo, abita qui. Quinto piano. Niente ascensore, purtroppo».
Lui rimase impassibile. Si limitò ad annuire. «Grazie».
«Di nulla».
La ragazza scese i gradini, poi voltò la testa per lanciargli un'ultima occhiata curiosa, prima di infilarsi le cuffiette nelle orecchie, tirarsi sulla testa il cappuccio dell'impermeabile e iniziare a correre a ritmo sostenuto.
L'uomo entrò, chiudendosi la porta alle spalle, e iniziò a salire lentamente le scale buie, strette e con il tipico odore degli ambienti chiusi. Gli sudavano i palmi delle mani, aveva la sensazione che le gambe lo reggessero a malapena e che il cuore potesse scoppiargli nel petto da un momento all'altro, tanto batteva veloce. Continuò a salire fino in cima e, giunto sull'ultimo pianerottolo, si trovò davati un'unica porta chiusa. Si avvicinò barcollando. Dall'interno proveniva il tipico vociare della televisione. Sembrava che qualcuno stesse guardando un cartone animato. La targhetta era bianca, ma sollevò comunque il braccio, sentendolo pesantissimo, e bussò. Poi rimase in attesa, ascoltando il battito martellante del suo cuore nelle orecchie. Udì un rumore di passi leggeri e veloci  e una voce di donna.
«Clarissa!»
La riconobbe all'istante e si sentì morire. Era lei. Jocelyn. Fu preso dallo spasmodico desiderio che quella porta si aprisse. All'interno, qualcuno stava armeggiando goffamente con la maniglia, come se avesse difficoltà. Poi ci fu uno scatto e la porta si schiuse appena, lasciando uscire una lama di luce che tagliò il buio del pianerottolo e ferì gli occhi dell'uomo. Finalmente la porta si spalancò con un cigolìo. All'inizio credette che non ci fosse nessuno. Poi abbassò lo sguardo e incontrò quello attento di una bambina. Era minuta, così piccola che arrivava a malapena alla maniglia a cui era aggrappata, con due ricche treccine rosse alte sulla testa e gli occhi verdi dal taglio leggermente allungato. Guardò il suo viso, piccolo e un po' spigoloso, e inspiegabilmente fu come se qualcuno gli avesse tirato un pugno nello stomaco. Era mezza nascosta dietro la porta, forse un po' intimidita, ma fissava il nuovo arrivato con aria curiosa.
«Sei uno sconosciuto?» domandò, la vocetta sicura e squillante.
Lui aprì la bocca per rispondere, ma gli uscì soltanto un suono indistinto. «Ehm...»
In quel momento una giovane donna sbucò precipitosamente nel corridoio da una porta sulla destra.
«Clarissa!» sbottò, con il tono spazientito di chi sta pronunciando una frase che ha già ripetuto mille volte. «Quante volte ti ho detto che non devi aprire la porta se non...»
Quando scorse l'uomo sulla soglia, si fermò come se avesse sbattuto contro un muro e spalancò i grandi occhi blu. Le sue mani e la vecchia salopette di jeans che indossava erano coperte di chiazze di pittura di vari colori e aveva perfino una lieve striscia bianca sulla guancia sinistra. I lunghi capelli rossi e ricci erano raccolti in uno chignon disordinato. Non si mosse, nè disse una parola. Fissava l'uomo con un'espressione di autentico shock in viso. Anche lui taceva, mentre i suoi occhi schizzavano come impazziti da un punto all'altro del viso della ragazza, avidi di ogni dettaglio.
Forse spaventata dalla reazione della madre, la bambina indietreggiò, la raggiunse e si aggrappò alla sua mano quasi nascondendosi dietro di lei. La donna sembrò non accorgersene nemmeno.
«Pensavo che fossi morto» esalò all'improvviso con un filo di voce.
Nel sentirla parlare, lui sorrise in modo strano, quasi disperato, come un condannato a morte al quale giunge un'inaspettata salvezza. Come se gioia e dolore lottassero furiosamente dentro di lui senza che l'una riuscisse ad avere la meglio sull'altro.
«Lo ero» mormorò.
«Allora non sei uno sconosciuto» esclamò la bambina, rompendo il silenzio. Continuava a sbirciare verso di lui da dietro la madre con l'aria di chi si aspetta una spiegazione da un momento all'altro.
Soltanto allora gli altri due sembrarono ricordarsi di lei. Lui abbassò lentamente lo sguardo, osservandola con espressione indecifrabile, mentre Jocelyn si riscosse, si girò e la prese in braccio.
«Andiamo di là, tesoro» disse, a voce bassa. Lanciò un'occhiata all'uomo, ancora impalato sulla soglia, distogliendo subito lo sguardo. «Aspettami in cucina, per favore».
Percorse velocemente il corridoio, stringendosi la bambina al petto. La piccola non staccò gli occhi dall'uomo neanche per un secondo, osservandolo oltre la spalla di sua madre, finchè non scomparvero varcando la porta da cui era arrivata Jocelyn. E anche dopo, lui continuò a sentirsi addosso quello sguardo e la sensazione di qualcosa che lo colpiva allo stomaco. Chiuse la porta e si addentrò nell'appartamento, un po' esitante. Ai lati del corridoio stretto e buio si aprivano due porte: quella di sinistra dava su una piccola cucina, quella di destra su un salottino. Lì era entrata la ragazza. Si fermò sulla soglia e guardò dentro, con discrezione, ma senza riuscire a resistere a quell'impulso. Jocelyn aveva messo la bambina a sedere sul pavimento, davanti a un basso tavolino ricoperto di fogli, matite e pastelli. La televisione era accesa e trasmetteva un cartone animato.
«Stai qui, Clary, va bene? Continua a disegnare» stava bisbigliando Jocelyn, accarezzando i capelli della figlia. «Io sono di là, se hai bisogno di me arrivo subito. Però non muoverti se non è necessario, okay?  Me lo prometti?»
L'uomo vide la testolina rossa annuire. «Sì, mamma».
«Brava, piccola».
Jocelyn si alzò.
«Mamma?»
«Sì, amore?»
«Chi è quello?»
La donna dava le spalle alla porta e lui non poteva vederne il viso, ma l'amarezza della sua voce gli disse tutto. «Nessuno» rispose. Poi prese il telecomando per alzare un po' il volume della televisione.
Altro pugno nello stomaco. Il giovane si voltò bruscamente ed entrò nella cucina, aspettando. Provò a deglutire per mandare via il groppo che sentiva in gola, ma con scarsi risultati. C'era solo una finestra stretta che affacciava sul muro del palazzo accanto e nell'insieme tutto l'ambiente appariva piuttosto povero. Più si guardava intorno, più il groppo peggiorava. E più gli veniva voglia di prendersela con sè stesso. Un rumore di passi lo spinse a girarsi. Jocelyn entrò, accostando subito la porta alle sue spalle. Si fronteggiarono in silenzio per qualche istante. Lei lo osservava con un miscuglio di paura e felicità, ma il suo atteggiamento era rigido, sulla difensiva, come se si aspettasse un attacco.
«Lucian» proruppe, con voce bassa e tesa. Sembrava in lotta con sè stessa. «Che ci fai qui?»
Lui esitò prima di rispondere. «Io... volevo vederti» mormorò. Le sue parole suonarono come una confessione.
Jocelyn era evidentemente confusa. «Dopo tutto questo tempo... come hai fatto a trovarmi?»
Lucian fece un passo avanti e quasi tese inconsciamente le braccia per toccarla. «Ti ho trovata soltanto oggi pomeriggio. Passavo per caso in Broome Street e ho visto un paesaggio... in una galleria... l'ho riconosciuto subito». Deglutì nervosamente. «E c'era il tuo nome. Ti ho trovata sull'elenco telefonico e... e sono venuto. Ma ti cerco da anni, Jocelyn. Anni».
Quelle ultime parole e il carico di dolore e desiderio che le accompagnava sembrarono colpire Jocelyn: la sottile maschera di controllo che si era sforzata di mantenere fino ad allora si ruppe a poco a poco, liberando un profluvio di sentimenti. Gioia. Paura. Nostalgia. Senso di perdita. Impazienza. Desiderio. Fece un passo avanti, poi un altro, e un attimo dopo si ritrovò stretta a lui, tra le sue braccia. Lasciò sfuggire un singhiozzo mentre abbandonava la testa sulla sua spalla forte. Per molto tempo nessuno dei due pronunciò una parola. Non ce n'era alcun bisogno. Lucian accarezzò le spalle strette della ragazza, così piccole sotto le sue mani, e premette il viso sui suoi capelli soffici, aspirandone il profumo, un profumo che sapeva di ricordi felici e lontani. Di casa. Finalmente.








Note.
1. L'indirizzo si trova nel West Village, il quartiere dove abitano Jocelyn e Clary quando arriva Luke. Non compare nei romanzi, è un'informazione inventata da me.






Spazio autrice.
Ciao a tutti! Prima parte di questa breve fanfiction incentrata, come avrete già capito, su Luke e Jocelyn e il momento in cui lui la ritrova. Per la verità questa coppia non è la mia preferita, ma all'improvviso ho avvertito l'impulso di buttare giù questa storia che "galleggiava" nella mia testa e... l'ho seguito. Spero di aver fatto bene. La seconda e ultima parte sarà pubblicata tra pochi giorni.
Il titolo di questa prima parte deriva dalla citazione all'inizio del capitolo. È una sorta di gioco di parole basato sul concetto "in amore vince chi fugge": l'amore insegue le persone che scappano, mentre scappa esso stesso da coloro che lo inseguono. Mi sembra molto appropriata per Luke e Jocelyn e la loro vicenda: dopotutto, lui l'ha inseguita per tutta la vita mentre lei continuava a sfuggirgli. Ora si sono finalmente ritrovati dopo anni di separazione, ma, come sappiamo, Jocelyn continuerà a scappare dall'amore che Luke prova per lei ancora per un bel po', mentre lui continuerà a starle dietro. A presto!




   
 
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