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Autore: Deathbed    12/01/2013    3 recensioni
Charlotte era nuda, chiusa in camera sua. Si stava guardando allo specchio.
Si stava guardando la pelle bianca, le gambe lunghe e magre, il livido sotto il seno. I capelli neri e lisci che le spiovevano sulle spalle, gli occhi grigi e freddi. I polsi martoriati, da cui stavano ancora uscendo dei rivoletti di sangue.
Distolse lo sguardo dallo specchio.
Era sempre in silenzio, Charlotte. Era sempre fredda.
Non aveva amici, e non ne voleva. Nessuno voleva essere sua amica, ma tutti sapevano chi era. Era una di quelle persone che quando qualcuno vede a scuola, tutti cominciano a bisbigliare, smettendo subito se lei per caso si volta, e ricominciando appena se ne va. Le ragazze le odiavano per la sua bellezza, perché i maschi parlavano sempre di lei. Ma a lei non interessava. Lei li odiava, gli uomini.
Tutti sapevano chi era, ma nessuno la conosceva.
Nessuno poteva immaginare cosa c'era dietro quell'aria sempre così strafottente, disinteressata, di chi pensa di vivere mille metri più in alto rispetto agli altri. Nessuno era mai stato a casa sua.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Axl Rose
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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I hate everything about you; Why do I love you?

{Three Days Grace-I hate everything about you}



*Il titolo non è il massimo, ma non mi veniva in mente altro. Spero di riuscire a cambiarlo prima possibile.


Charlotte era nuda, chiusa in camera sua. Si stava guardando allo specchio.
Si stava guardando la pelle bianca, le gambe lunghe e magre, il livido sotto il seno. I capelli neri e lisci che le spiovevano sulle spalle, gli occhi grigi e freddi. I polsi martoriati, da cui stavano ancora uscendo dei rivoletti di sangue.
Distolse lo sguardo dallo specchio.
Era sempre in silenzio, Charlotte. Era sempre fredda.
Non aveva amici, e non ne voleva. Nessuno voleva essere sua amica, ma tutti sapevano chi era. Era una di quelle persone che quando qualcuno vede a scuola, tutti cominciano a bisbigliare, smettendo subito se lei per caso si volta, e ricominciando appena se ne va. Le ragazze le odiavano per la sua bellezza, perché i maschi parlavano sempre di lei. Ma a lei non interessava. Lei li odiava, gli uomini.
Tutti sapevano chi era, ma nessuno la conosceva.
Nessuno poteva immaginare cosa c'era dietro quell'aria sempre così strafottente, disinteressata, di chi pensa di vivere mille metri più in alto rispetto agli altri. Nessuno era mai stato a casa sua.

 Distolse lo sguardo dallo specchio e vide che erano già le sette e mezza.
“Meglio muoversi” pensò “altrimenti quello si incazza”.
Si rivestì in fretta e corse in cucina. Sua mamma era lì, come sempre. Le fece un vago sorriso. Sorrideva sempre, quella donna.
Charlotte cominciò ad apparecchiare, in silenzio, ma con la mente era altrove. Sistemò i tovaglioli ordinatamente a destra dei piatti, e cominciò a tagliare il pane, ma pensava ad altro. Pensava che odiava sua madre quasi quanto suo padre. No, non la odiava, le faceva schifo. Le faceva schifo il pensiero che da più di diciotto anni sua madre continuava a subire senza osare ribellarsi. E soprattutto le faceva schifo il fatto che non avesse mai, mai fatto niente per proteggere lei. Lei, se un giorno fosse diventata madre, sperava con tutto il cuore di essere una madre migliore della sua.
Suo padre intanto era sul divano davanti alla televisione, come al solito.
Scolò la pasta e riempì i piatti, senza smettere di sorridere. Charlotte le avrebbe volentieri tirato un pugno.
-Henry, è pronto.- cantilenò sua madre, rivolta al marito.
Henry si alzò, si mise a tavola e cominciò a mangiare, in silenzio, senza badare a nessuno. Charlotte mangiava lentamente. C'era un tempo preciso per cenare, e non poteva permettersi di non rispettarlo.
Le stava venendo da vomitare. Le veniva sempre la nausea, quando era costretta a stare da sola insieme ai suoi genitori. C'era un silenzio di tomba.
A un certo punto suo padre alzò gli occhi dal piatto e le lanciò un'occhiata.
-Cos'hai sugli occhi?- le chiese.
Charlotte sentì una fitta allo stomaco. Merda, si era dimenticata di struccarsi. Non rispose.
Allora l'uomo si alzò, e senza dire niente prese la brocca d'acqua e gliela rovesciò in testa. Poi la prese per un braccio e le assestò due schiaffi.
-Non ti devi mai più far vedere in giro truccata come una puttana, va bene?! Mai più! Non voglio che la gente pensi che mia figlia sia una puttana!- sbraitò. Poi si risedette e finì di mangiare come se niente fosse.
Sua madre continuava a sorridere, come sempre.
Charlotte rimaneva lì, seduta. Non aveva detto una parola. In quei casi non apriva bocca, per evitare di peggiorare le cose. Non piangeva mai, non si lamentava mai. Neanche un piccolo singhiozzo.
Semplicemente rimase seduta, tutta bagnata, con la matita e il rimmel che le colavano, e sembrava avesse rischiato di morire affogata, o fosse appena scampata a un'alluvione. Finì di cenare e si chiuse in camera sua.
Qui avrebbe potuto tranquillamente piangere e sfogarsi, a patto di essere silenziosa, ma non lo fece. Odiava piangere.
Prese il phon e si asciugò i capelli, e finì di struccarsi. Poi si buttò sul letto e prese a guardare il soffitto. 

Charlotte voleva andare via di lì. Ma dove?
E poi, con che coraggio sarebbe scappata dall'unico posto che poteva chiamare casa?
Perché dopo diciotto anni puoi quasi farci l'abitudine. Sembra quasi normale tornare a casa da scuola e sentirsi urlare contro qualcosa, prendersi uno schiaffo se sei in ritardo di qualche minuto. Venire picchiata ogni giorno per i motivi più futili, mentre tua madre stava a guardare. Non uscire mai, non avere amici, passare il tempo a pulire la casa e guai se quando ti viene detto qualcosa non ubbidisci subito. E guai se quando finisce la scuola non sei subito a casa. Tua madre sorride. E sabato sera c'è troppa brutta gente fuori. E se tuo padre, quando veniva a prenderti a scuola, ti vedeva parlare con un ragazzo, poi i pugni non te li toglieva nessuno. Non che lei volesse parlare con i ragazzi. Ma quando qualcuno si avvicina per provarci, puoi solo dirgli di smetterla e sperare che se ne vada. E lei non poteva essere picchiata per questo. Perché dopo diciotto anni i lividi e le botte sembrano quasi normali, e le lacrime che trattieni, e sembra normale aver disimparato a sorridere e va bene così.
In quella città ti potevi ritenere fortunato a non avere una vita del genere, e il massimo che potevi sperare era andare ad una festa e vedere che i ragazzi ti guardavano il culo. Poi basta, la vita finiva lì.
Charlotte non era mai stata, ad una festa, e non ci voleva andare. Non le importava niente degli altri, e di cosa facevano in generale.
Aveva paura solo di una cosa. Che a forza di essere abituata, alla fine avrebbe dato per scontato che non c'era nient'altro al di fuori di casa sua, e della sua famiglia. Che si sarebbe rinsecchita sempre di più, finché dentro non sarebbe rimasto più niente. Aveva il terrore che alla fine sarebbe diventata come sua madre.
Scivolò lentamente nel sonno, un sonno leggero e pieno di sogni confusi. E intanto quel pensiero continuava a rimbombarle in testa, io non voglio diventare come mia madre.
Era l'unica sua sicurezza.
Oltre al fatto che, ovviamente, lei non sarebbe mai riuscita ad innamorarsi di un uomo.
E va bene così.

  
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