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Autore: Yume_no_Namida    13/01/2013    5 recensioni
Hinata è in trasformazione. Un incontro le ha restituito la voglia di muoversi e lei adesso sperimenta, alla ricerca della propria strada. Qual è il suo percorso? Per capirlo bisogna partire, rischiare - e magari alla fine capire non è importante, l'importante è andare.
Una storia (?) sulle idee che cambiano mentre cambiano i legami e cambia anche il paesaggio (detta cosi fa molto trailer-parodia XD), a New York, la capitale dei cambiamenti.
[Dal capitolo 2]:“Hinata!” Esclama Naruto, con la gioia del bambino che ritrova il suo peluche del cuore. I capelli sono più lunghi, le guance sono leggermente incavate e il vestito è di un colore diverso, ma si tratta della stessa Hinata, la stessa ragazza dai riflessi multicolori, il salice solitario sulla veranda - è questa la prima impressione che gli ha dato, nonostante da qualche parte abbia avvertito sentore di quercia (ah, sua madre e la sua passione per la botanica! Il migliaio di piante lasciate ad appassire!) “Come stai?” Hinata lo trova radioso. “Alla fine l’ho mantenuta davvero, la promessa!”
[NaruHina, con sorpresa di mezzo]
[A Mokochan, per il suo compleanno (L)]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki | Coppie: Hinata/Naruto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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A Moko, che è una persona malvagia ed estremamente pervertita.

A Michela, che dubita troppo di se stessa senza alcuna ragione.
A colei che un giorno mi dichiarerà il suo amore -
e allora altro che ‘Harry ti presento Sally’<3
LOL
A lei che sclera, ma è anche timida e insicura.
A lei che comunque la ritrovo sempre.
A mia sorella,
a te.
Ti voglio bene!



And then I’ll change - Dove ho visto te.






31/12/2014





23:59


Dicevano che il 2014 avrebbe portato qualche cambiamento, e in effetti così era stato: si trovava alle sue spalle, dormiva nel suo letto.
E ad Hinata sarebbe bastato attendere per sapere.
58 secondi.
Un turbinio di luci colorate, i botti sordi dei fuochi d’artificio... ne avrebbe saggiato la concretezza.
La concretezza di un qualcosa che aveva inseguito tanto a lungo da non comprendere più chiaramente la forza nei propri passi, di scomparso e riapparso a intermittenza, come i segnali di certi aerei nel cielo notturno.
E a te che ci stai sopra non sembra neanche di essere lì.
Di esserci.
Meno due - le mani che poggiano contro il vetro della finestra.
Meno uno - la perdita di un battito.
“Aspetti l’anno nuovo?”, una voce assonnata, un accenno di sorriso.
Hinata si volta, con quella che le sembra essere la lentezza più lenta di questo mondo - e non è nemmeno troppo sicura che un concetto del genere sia pensabile, ma tutto è pensabile e forse tutto è possibile, considerando la persona che le si trova accanto.
“Hm” annuisce, sorridendo di rimando.
“Aspetto con te”.
E in quell’istante è un’esplosione di suoni, di urla e colori, uno scambio repentino di auguri credendoci fermamente, anche solo per quel secondo in cui ci si stringono le mani, e Hinata si è persa tutto ma non importa, no davvero.
Ha lui a stringere la sua, di mano, il suo mento a sfiorarle leggermente una spalla.
“Buon anno, Hinata”.
E capisce che quelle risposte non c’era neanche bisogno di cercarle.






31/12/2011



Fireworks.



New York è una città che brilla.
Ha sempre brillato di luce propria, anche a riflettori spenti, persino di giorno.
E Hinata si sente fuori luogo perché lei non brilla affatto, nemmeno un pochino.
E’ l’ultimo fuoco d’artificio all’arrivo del Capodanno, quello che quando esplode neanche più stai guardando verso il cielo e se sei abbastanza vicino nelle narici ti resta soltanto puzza di zolfo: Hinata non crede negli anni venturi.
Anche se ha 18 anni, anche se a breve finisce la scuola, comincia l’università.
E dovrebbe cambiare qualcosa ma non cambierà, non l’ha mai fatto - sulla soglia di casa volge lo sguardo al cielo e non riesce a vedere le stelle... odia quella città.
“Hinata, andiamo?”
Neji la chiama dall’interno di una limousine, un piede a tamburellare spazientito nel vuoto e lo sguardo comunque dolce.
Hinata corre, per un momento non pensando più a niente, e soltanto quando chiude la portiera dietro di sé col rischio di strappare il lungo vestito acquamarina se ne rende conto: quella notte non c’è vento.





La casa di Sasuke Uchiha è immensa.

Milioni di stanze in cui perdersi, milioni di angoli a cui svoltare e non ritrovare più alcun viso familiare e, soprattutto... milioni di persone.
Hinata si sente mancare.
Vorrebbe stringere la manica di Neji e implorarlo con quella stretta di riportarla indietro, magari al momento in cui aveva accettato di seguirlo alla festa di “un amico”, ma sarebbe inutile e del resto lei non ha più tre anni: “Resisti” - si ripete - “tra qualche ora finirà”.
Sasuke li fissa come se non li stesse davvero guardando, come parenti molesti la cui presenza hai dovuto digerire a fatica, e mentre li saluti e li preghi di accomodarsi senti i residui del pranzo andarti di traverso.
“Fate come vi pare, se rompete qualcosa ripagate e non sono responsabile di quello che potrebbe succedervi al piano superiore se vi sbronzate e vi concedete al primo che capita”.
Neji era un esperto nello scegliere gli amici.
E mentre Sasuke si allontana senza più il benché minimo segnale di considerazione, Hinata realizza che, sì, la cosa migliore sarebbe sprofondare.





Ormai ha deciso.
Avrebbe voluto lottare fino alla fine, dimostrare per una volta a se stessa di essere forte, ma l’aria si era decisamente fatta irrespirabile.
Tre tizi avevano più volte provato a toccarle il culo, una ragazza evidentemente ubriaca le aveva gettato le braccia al collo, proclamando il suo intento di ‘ficcarle la lingua in gola’, e uno per poco non le aveva vomitato sulle scarpe: quando si dice una serata .
Verranno a prenderla poco dopo mezzanotte, ha avvisato Neji inviandogli un messaggio - a cui il cugino non ha ancora risposto. E Hinata sorriderebbe all’immagine di lui ubriaco fradicio, che tenta di palpare qualcuna o viene palpato, magari da un uomo, e magari neanche gli dispiace, se non fosse troppo presa dal desiderio di andarsene.
Qualche minuto. Ancora qualche minuto.
Fuori è un mondo di silenzi e di solitudine, la gente lo rifugge preferendo il calore dell’interno, ma Hinata a quel freddo è abituata da secoli, se lo sente scorrere dentro fin da quando ha memoria: quella veranda è la sua salvezza.
Avrà freddo anche stanotte, guardando i fuochi esplodere nel cielo, sentirà odore di bruciato e avvertirà la cenere di quello che è stato posarsi sul terreno, senza che vi nasca alcuna piccola fenice:
Nulla cambia. TU non cambi.
“Hey, tutto bene?”
Non ora, non di nuovo.
Manca così poco...
“Hey, dico a te! Guarda che se stai qui congelerai”.
Hinata si volta, rassegnata: l’ennesimo tentativo di approccio, l’ennesima fuga con una scusa.
Ma adesso dove sarebbe andata?
“Io...”
“Oh, ma... è bellissimo!”
Il primo scoppio, lo spettacolo è iniziato: mezzanotte.
2012.
“Tutte queste luci mettono allegria, fanno venire voglia di alzarsi e rivivere la giornata al doppio dell’intensità. Non trovi?”
Adesso il ragazzo le si trova accanto, un’espressione entusiasta stampata in volto: i capelli biondi un po’ scompigliati, gli occhi blu che la fissano curiosi, attenti...
“I-io”, uno strano calore si fa strada sulle sue gote, tra i suoi polpastrelli “a dire il vero non mi piacciono molto, ecco. Sono... sempre gli stessi”.
Perfetto.
Davvero perfetto, Hinata, stringi amicizia come si deve.
Hai preso tutto da tuo cugino.
“Hmmm, in effetti”, prorompe lui, “non hai tutti i torti. Però, come posso dire?”
Le solleva una mano davanti al viso.
“I riflessi sulla tua pelle cambiano continuamente. E lo stesso” il volto a due centimetri dal suo “vale per i tuoi occhi”.
Hinata arrossisce di botto, quel ragazzo è davvero troppo vicino.
E brilla.
Non sa di cosa ma, come quella città, anche lui brilla.
Solo che stavolta non si sente a disagio, le sembra di stare esattamente dove dovrebbe essere: al centro di tutto e di niente. Di una serie infinita di possibilità che si biforcano in altrettante strade da percorrere, al suo più piccolo passo.
Per la prima volta dopo tanto tempo, vuole muoversi.
Eppure non proferisce parola da un po’, è come pietrificata, e lui sembra essersene accorto perché all’improvviso si scosta, portando una mano dietro la nuca e ridendo imbarazzato:
“Ah, ahah, perdonami. Ti sarò sembrato un idiota, vero? Uscirmene con certe frasi senza senso così, di botto...”
Hinata avverte qualcosa salirle dalle viscere, è come se qualcuno stesse rispondendo per lei:
“Affatto”.
La mano smette di muoversi freneticamente sul collo, gli occhi di lui si sgranano, i lineamenti a poco a poco si fanno più sereni...
“Beh, grazie”, sorride.
“Ma non mi pare di essermi presentato! Io sono Naruto, Uzumaki Naruto. Tu?”
“Hinata. Hinata Hyuu-”
“Naruto!”
Come non detto.
Una ragazza dai capelli rosa gli fa cenno con la mano, gli intima di sbrigarsi: “Dentro ci sono fiumi di spumante, e” tentenna “temo che Sasuke stia per fare a botte con qualcuno”.
“Merda”, esclama Naruto, “arrivo! Sistemo una cosa e sono subito da te! Piantagrane di un Uchiha...”
“Hinata”, afferma, poco prima di correre via, “conoscerti è stato un piacere. All’anno prossimo, magari”.
“Hm”, annuisce lei.
“E magari... magari ci ritroviamo qua e ci sfidiamo a individuare le sfumature sulla pelle dell’altro, neh? Ci conto!”
“Ci conto anch’io”, ma la voce di Hinata è flebile e Naruto forse è già troppo lontano.
Un colpo di clacson, Hinata volge ancora uno sguardo verso l’alto: l’ultimo fuoco.
Ma niente sembra essere bruciato.
E come una rivelazione si rende conto che, da qualche attimo a questa parte, al freddo non ha neanche minimamente pensato.








NdA:
Che dire.

E’ un regalo per Mokochan, ma credo proprio me lo tirerà addosso.
Non c’è neanche bisogno che io stia qui a spiegare il perché, no.
Il testo è già di per sé abbastanza eloquente *sorriso tirato*
Perché di base io Naruto e Hinata li amo, ma poi a scriverci su ashldgahdfbdshjkfksdksf.
Ci avete capito qualcosa?
Appunto.
E poi questa “sarebbe” una long e, davvero, pfff, certo.
Che io e le long andiamo proprio a braccetto.
E, non so, l’avrò detto che mi pesa il culo?
E che qui si è in periodo d’esami, ergo ‘c’eravamo abbastanza amati’, poi mi sono rinchiusa nel tinello di famiglia e a parte la gobba e le diottrie in meno quando sono uscita Grande Puffo era presidente del consiglio, ecco.
Ma magari.
Ad ogni modo il concetto di fondo è: ci saranno altri capitoli [sì, ahivoi, temo altri due], ma non si puote apprendere quando codeste favelle vedranno la luce del sole.
Più non dimandate.
E, boh, di nuovo tantissimi auguri, sister, spero di non averti scombussolato lo stomaco proprio il giorno del tuo compleanno.
Strafogati di torta, fallo anche per me!
A tutti coloro che passeranno di qua e si asterranno dal lancio di pesche non ancora mature [fanno più male dei pomodori, poi fate voi. Io farei di peggio e andrei sui cocomeri], ma anche a tutti coloro che non si asterranno: grazie.
Se non uccide fortifica - se.
Ora mi dileguo.
Ammaccabanane!
  
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