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Autore: Kimmy_90    13/01/2013    0 recensioni
Rotolano sotto il cemento i rumori dei Branchi. Ringhiano, graffiano, mordono. Lottano.
Per Gioco.
Fra di loro si chiamano Demoni e Bestie. Sono ragazzi, sono uomini – a volte sono bambini, anche se è raro che un Branco ne accetti uno. Sopra il cemento non ne sa niente nessuno. O quasi.
Fintanto che rimane un gioco, il sangue che cola è semplice divertimento.
Ma ogni gioco viene scoperto, in un modo o nell'altro. E ogni gioco ha le sue regole.
La ragazza levò lo sguardo, continuando, passivamente, ad eseguire gli ordini.
Ma sì, in fondo gli ordini di Riva si eseguivano volentieri.
Credeva.
"Hai due possibilità, Sara. Se vuoi, puoi benissimo far finta che non sia successo niente. Cancella questa giornata dalla tua testa e vai avanti. Sul serio."
L’idea l’attraeva.
"Ma se pensi, anche solo lontanamente, che tu non sia in grado di ignorare completamente questa cosa, è un altro paio di maniche."

// Fantasy contemporaneo cambientato in Italia tra gli anni '70 ed oggi. //
Genere: Azione, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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10. Quella miccia scordata accesa




Di ritornare in ufficio non se ne parlava. Per quel che lo riguardava, ci era stato abbastanza.

Anche troppo.

Non aveva nemmeno un monte ore da rispettare, quindi c’era da chiedersi perché si ostinasse ad andare costantemente in ufficio - a leggere per tutto il giorno improbabili articoli pseudo scientifici, ritrovandosi ogni volta a cestinarli tutti.

Probabilmente perché voleva tenersi buoni i signori della Farnesina - DIS, AISE, AISI... aveva rinunciato a ricordare tutte quelle sigle. Farnesina bastava e avanzava. Tanto tempo cinque anni e sarebbero cambiate di nuovo, conoscendo il paese.

Aprì praticamente a spallate la porta del condominio, camminando lungo i corridoi a piedi strascicati. Chiamato l’ascensore, si appoggiò al muro, in attesa.

Fece per entrare, quando un rumore lo distrasse. A metà strada fra il pianerottolo e l’ascensore, la fotocellula bloccata, rimase in ascolto.

Un minuto. Due minuti. Tre minuti. L’ascensore, bloccato, non poteva andare né su né giù.

Fece un passo indietro, e lasciò richiudere le porte dell’ascensore.

Attese.

Se c’era qualcuno, forse lo stava aspettando.

Per qualche altro minuti, silenzio. No, infatti. Sbuffando, richiamò l’ascensore: non appena le porte ricominciarono a chiudersi, pronto a partire, quella piccola idea di rumore che aveva sentito prima si trasformò in una rocambolesca corsa - considerato il ritmo, in discesa.

Bene, fantastico. Ladri.

Scemi, peraltro.

Bloccò la porta all’ultimo istante, sfilandosi e dirigendosi verso il vano scale. Il ladro - o chi per lui - era troppo impegnato a filarsela per rendersi conto che l’ascensore non fosse partito. Allen contò i piani in base alle strisciate - acute e fastidiosissime - delle scarpe da ginnastica, ad ogni cambio di rampa. Uno, due, tre... quattro...? Bastardo, e pure da lui era andato!

Aspettò che finisse l’ultima rampa e, non appena quello gli diede la schiena, gli si buttò addosso.



***



Aveva una casa vuota a disposizione.

Come ogni giorno, d’altronde.

Doveva solo scegliere dove lasciarsi cadere.

Ah, sì.

Il divano.

Il divano sarebbe andato benissimo.

Molto meglio del letto.

Sara si distese, fermamente convinta che una volta riaperti gli occhi tutto sarebbe stato più semplice, chiaro e comprensibile. O meglio ancora, sparito.



***


"Tu pensi che una ragazzina di.. quanti? Sedici anni? Possa lasciar perdere?"

Alessandro guardò Amanda con gli occhi socchiusi, sospirando. "Ne dubito fortemente."

"Quindi avresti intenzione di...?"

L’uomo si passò per l’ennesima volta la mano sugli occhi, fermandosi poi a tenersi la fronte.

"Insegnarle?" continuò Amanda, stupendosi del suo tono stupito.

"Inizierò così. D’altronde non possiamo ignorare un primo richiamo, no? Sono le regole."

"Stiamo parlando delle regole di trent’anni fa, Ale!"

"Beh, non mi risulta che nessuno le abbia formalmente messe al bando, no? Tu hai idee migliori? Io non riesco ad entrarle in testa, al momento. Appena ci riesco, possiamo parlarne. Ma fintanto che le cose rimangono così, non posso lasciarla andare in giro come se niente fosse. Devi anche considerare quello che è successo ieri, Amanda."

"Pensi che possa ripetersi?"

Ema ricomparve dalla porta, le chiavi del laboratorio in mano: "Tutto tuo, per tutto il pomeriggio. Divertiti."

"Grazie." Alessandro si alzò dalla sediolina dove s’era piazzato, meditabondo. "Dopotutto lo abbiamo sempre detto, no? Questa cosa non finirà mai, né si può sfuggirle. Questi ultimi quindici anni di calma ci hanno ingannato, ma tanto sappiamo tutti che è come la mafia. Amanda, quando torni a casa? Ema, come sono le scorte? Credo che dovrai almeno quintuplicarle, per sicurezza."

Ema fece spallucce: "Non mi è difficile da produrre, il problema è lo stoccaggio."

"Ed il trasporto aereo. Vado via dopodomani." Fece notare Amanda.

"Farai valigia in più. In fondo, è solo acqua."

"Sì, ma se nel dubbio dovessero decidere di buttarla via tutta, sarebbe un problema."

"Al più si tornerebbe al punto di partenza. Meglio provare - per te e per Samuel."

Già. C’era anche Samuel.




***


Lo aveva sì visto in faccia, ma questo non gli impedì di tirargli il cazzotto che aveva appena caricato: Xander si protesse il volto come poteva, ma finì per accusare comunque il colpo. Dopo aver sputacchiato un po’ di saliva, completamente raggomitolato, iniziò ad imprecare.

"Ma sei scemo?!"

"Scemo io? Tu, idiota, che ci facevi lassù e che cazzo hai fatto tutto il giorno?"

Allen prese il ragazzo per il bavero della felpa, cavalcioni su di lui, strattonandolo quanto gli riusciva.

"Stavo cercando di rientrare in casa, genio!" Xander sputacchiò un altro po’ di saliva sul pavimento di vero finto marmo, puntellandosi sui gomiti: ora, a faccia scoperta, fissava lo zio con profondo rancore.

"Potevi rispondere al telefono, ti pare? E perché non sei tornato in casa famiglia, piuttosto?"

"Oh, ma sei ritardato? Ti ho detto mille volte che là dentro non ci rimetto piede!"

Allen fece per alzarsi: non appena mollò - con stizza - la felpa di Xander, quello caracollò indietro e, riprendendo l’equilibrio, si mise in piedi.

"Se preferisci che me ne vada sotto i ponti piuttosto che dormire a casa tua, va bene - messaggio ricevuto." Grugnì il ragazzo. "Addio."

L’altro si sporse, allungando la mano, e prima che finisse di girare sui tacchi gli afferrò con presa salda e decisa il lobo dell’orecchio più vicino. Lo strattonò con decisione, ed ecco che il ragazzo - negli occhi, ridiventato improvvisamente bambino - cedette al dolore e invertì la sua rotta. Xander emise un grido di dolore - più mal di onore che male fisico - e, continuando a imprecare, si ritrovò a salire le scale - gradino per gradino, insulto per in insulto.

Quando i due si ritrovarono, nuovamente, davanti al portone del quarto piano, Allen lasciò la presa, avvicinando il ragazzo alla porta.

"Bene, signor genio del crimine, adesso fammi vedere come pensavi di entrare."



***



Si lasciarono con un appuntamento per la serata successiva, a cena da Ale. Il quale, sospettava Amanda, era dell’idea di trattenere anche la ragazza- Sara, si chiamava? - in modo di introdurla alle dinamiche del branco.

Per quel poco che ne rimaneva.

L’indomani Ema avrebbe occupato il laboratorio con una classe di attività extrascolastica: più che capace di far due cose contemporaneamente, avrebbe fatto presto a riempire una decina di taniche di Aqua - nome che, per caso fortuito, Adam aveva dato a quel liquido panacea che limitava le reazioni dell’organismo ai Volui di Gaia. A dodici anni Adam non era esattamente una cima della lingua italiana - da lì il nome Aqua, per ovvi motivi.

Alessandro, chiavi in mano, si chiuse la porta del laboratorio alle spalle - facendo compiere alla serratura quanti più giri poteva. Con calma, ancora provato dalle fatiche di poco prima, si avviò verso i magazzini sotterranei dell’Istituto.



***


Non appena Xander tirò fuori la carta soci di MediaWorld - a sostituzione, evidentemente, della classica carta di credito - si beccò un calcio sulle natiche.

"Ma porco boia! Allora" prese, adirato, a predicare Allen "stupido nipote Italo Corean Americano, se proprio ci tieni a intraprendere la stupida strada dello stupido pseudo ribelle dall’infanzia difficile, mi farai il favore di farlo con un minimo di intelligenza. Come fai anche solo a pensare che io sia tanto cretino da lasciare una porta blindata chiusa senza nemmeno una mandata, eh? Me lo spieghi?"

Xander si limitò a serrare i denti e le labbra.

"Ma chi ti ha insegnato ‘ste cose, le vedi in televisione? Eh? Sei davvero quel tipo di persona che crede ad ogni leggenda metropolitana che gira per il mondo?!"

L’altro fece per parlare, ma il suono del cellulare di Allen lo interruppe.

Meglio così. In realtà non aveva nulla di intelligente da dire.

Dannatissimo zio psicolopirla del cazzo.


***


Appoggiò il plico sulla cattedra del laboratorio e, dopo aver ricontrollato per la terza volta che la porta fosse chiusa a dovere, si sedette.

Al lavoro, Ale. Fra le sue mani decine, centinaia di fogli protocollo, già malconci a causa del tempo passato nel magazzino. Bisognava essere dei geni per mettere gli archivi nei sotterranei - che già due volte, negli ultimi dieci anni, s’erano allagati.

Scorrendo i fogli, scritti a penna con calligrafie ora tondeggianti ed ora indecifrabili, selezionava quelli che più gli interessavano: ce n’erano anche più di quanti se ne aspettasse.

Sara Iusti era sua alunna da quell’anno scolastico - da meno di sei mesi. Poteva pensare di conoscerla, ma sapeva che sarebbe stato superficiale sostenere una posizione del genere. Se non era riuscito ad entrare nella sua mente, oltre alla ruggine che aveva accumulato negli anni, forse era anche causa della ragazza: per capire come prenderla avrebbe dovuto studiarla, il più possibile. Ed era bene iniziare da subito: i temi, i compiti, le relazioni - era fortunato che fosse una femmina, avrebbe quasi sicuramente riposto sulla carta molto più di se stessa di quanto non avrebbe fatto un maschio.

Si sistemò sulla sedia, un profondo respiro a decretare l’inizio del lavoro. Ogni tanto, senza nemmeno rendersene conto, portava le mani alla testa, passandosela sui capelli alla ricerca delle orecchie da lupo.

Che non trovava.



***


Con il cellulare stretto tra la spalla e l’orecchio, Allen aprì la porta dell’appartamento - usando le chiavi, fece notare con un’occhiataccia a Xander - e fece entrare il ragazzo a spallate. Quello, compiendo malavoglia i passi necessari a varcare la soglia, scrutava scocciato lo zio apparentemente assorto.

"Mh."

Questo era l’unico contributo che Allen sembrava stare dando a quella telefonata.

"Mh..."

Si chiuse la porta dietro le spalle, rimanendovi davanti quasi a far da guardia, e fra un "Mhh..." e un "Uh." fece cenno a Xander di sedersi sul divano.

Il ragazzo obbedì, lasciandovisi cadere sopra con tanto impeto da spostare il mobile di qualche centimetro.

"Leggimelo."

Questa volta aveva detto addirittura una parola intera. Impressionante.

Xander socchiuse gli occhi, pronto ad immergersi nel fantastico mondo degli Affari Suoi.

Tempo due minuti ed una cosa gelida, bagnaticcia e pure abbastanza pesante lo colpì in pieno volto: ritornò alla realtà con un sussulto, due insulti e svariati santi caduti: l’altro, talmente immerso nella telefonata da non godersi nemmeno la scena, gli stava facendo strani segni indirizzati alla confezione. Xander scrutò la busta di Paella precotta con sguardo idiota, stringendo oltremodo le palpebre.

"Un altro?" fece l’uomo, sempre diretto al telefono.

Voltò le spalle al nipote, cercando sui mobili della cucina qualcosa di riconducibile ad un foglietto su cui poter scrivere. Appena lo trovò - entusiasta per il rinvenimento - prese a scrivere con rapidità.

"Dovrei cucinarle ‘sta roba, secondo te?"

Allen chiuse la mandritta sul cordless, in modo da tappate il microfono: "No, Xander -" fece al ragazzo voltandosi "sono supposte di riso congelate."

"Ma sono le sei!"

"Non riesci a notare che sono al telefono?" grugnì l’uomo.

"Cazzo, mi lanci cibo surgelato in faccia alle sei di pomeriggio!"

"Te lo lancio perché stai morendo di fame, idiota!"

"Ma che cazzo ne sai di quanta fame ho io!?"

"Ti ricordo che sono uno psicopirla del cazzo, come ami definirmi tu."

"Ma piantala di tirartela!"

"Pronto? Sì, sono qua." l’uomo tornò a dar le spalle al nipote, concentrato sulla telefonata. "Ah? Digli che..."

Citofono.



***



Il rumore della porta di casa che si apriva la sottrasse al dormiveglia. Udì qualche passo, rumore di chiavi - la porta che si richiudeva -, fruscii.

"Eilà...! ... già a casa? .. Dove sei finita?"

Sara sentì sua madre appoggiare delle borse della spesa, le bottiglie di vetro che si scontravano tra loro tintinnando.

Era così tardi?

Sul serio?

"Sono in soggiorno!"

"Ah, ok."

Sara non si mosse, realizzando che non aveva nemmeno cambiato posizione durante il suo ‘riposino’. Durato, evidentemente, almeno tre ore.

"Vieni a darmi una mano o no?" insistette sua madre, dalla cucina. "Non avevi allenamento, oggi?"

"No, oggi no..."

I rumori cessarono, per poi riprendere qualche istante dopo.

"Qua c’è scritto che avevi allenamento."

"Non sto bene, non sono andata."

Tre secondi dopo sua madre fece capolino dalla porta del soggiorno - ancora con le scarpe addosso. "Cos’hai?"

"Non lo so." mugugnò, rotolandosi sul divano per cercare di mettersi a sedere. "Non sto bene." concluse, facendo spallucce.

"Non sta bene." ripeté l’altra, voltandole le spalle per tornare verso la cucina.

"Ma che palle!" Sara si alzò, inseguendo la madre a passi strascicati "Mi sono stesa alle tre per fare un riposino e mi sono svegliata adesso. Evidentemente non stavo bene!"

"Non è che non stavi bene, è che sei fuori una sera sì e l’altra pure."

"Ma non è vero!"

"Avere sonno non significa necessariamente stare male, sai? Adesso dammi una mano e lasciamo stare. Tanto è un problema tuo se salti gli allenamenti."

La ragazza optò per il silenzio, serrando le labbra prima di insistere.



***


"Ti chiamo io dopo, tu ordina i fax e tieniti pronta a leggermeli appena mi rifaccio sentire."

Il tempo di chiudere la telefonata e rispondere al citofono: un greve ma femminile "Sono io, Allen", pausa di riflessione, sospiro, "Allen?", "Eh?", "Fammi entrare".

L’uomo aprì il portone, ancora intento a capire di chi fosse la voce: Xander lo continuava a guardare dal divano, nascondendo malamente la sua curiosità.

"Sei ancora lì a ponderare sul significato della vita, tu?" gli domandò, acido, lo zio.

Xander fece spallucce. "Chi è? Viene su?"

"Non sono affari tuoi - mettiti a cucinare, le pentole sono nell’armadietto in alto accanto al frigo."

"Ti ho detto che non ho fame -"

"No, non me lo hai detto, mi hai solo detto di non tirarmela. Ora piantala e muoviti."

Bussarono.

Allen aprì la porta con l’ennesima sbuffo, cercando rivelazioni mistiche sul soffitto.

"Dove diavolo eri finito?!"

Quello sussultò, riconoscendo finalmente voce e tono della Stille - la quale, di fronte a lei, lo guardava ad occhi sgranati ed iracondi. La donna, dopo aver maldestramente levato le mani - sembrava seriamente intenta a strangolarlo -, portò con stizza i pugni lungo i fianchi.

"Da quando ti interessa dove sono, se non sono al Gran Sasso?"

"Da oggi. Perché non hai una segreteria telefonica?!"

Allen la fissò, basito, come se stesse delirando. "Ma se ho una segretaria!"

"In ufficio, ma a casa non mi ha risposto nessuno per tutto il giorno! Che cavolo facevi oggi, eh? Giornata libera? Proprio nel momento in cui iniziano ad esserci casini tu te la dai a gambe? Eh? Rispondi!"

"Io ho anche una vita privata, sai?"

"Ce la vorrei tanto avere anche io, ma si da il caso che il progetto a cui stiamo lavorando non è che lasci tanto spazio a..." la donna lasciò la frase a metà, mentre Allen continuava a osservarla come se fosse fuori di testa. Ok, forse un po’... iniziava a sembrarlo, dovette ammettere a se stessa. "Senti, sta succedendo un casino" riprese, dopo aver respirato. "La tua segretaria non ti ha detto niente?"

"Sì, me lo stava dicendo, prima che arrivassi tu."

"Dal Col è incazzato come una iena." E se la Stille era così, Dal Col poteva essere - idealmente - molto peggio.

Dal Col era l’uomo che lo teneva al guinzaglio, la cui corda era più semplicemente detta "dammi contro anche solo per sbaglio e vedi come alla prima mezza stronzata che fa Xander finisce in galera - ormai è grande per il minorile, e sai perfettamente che una volta entrati lì dentro se ne può uscire solo che peggiorati."

Se Dal Col era incazzato come una iena, Allen era nei casini. Certo, a sentire, prima, la segretaria, avrebbe anche potuto intuirlo - ma adesso la cosa assumeva una certa concretezza.

"Dov’è, adesso?" chiese alla donna.

"Suppongo sia qui a Roma. L’ho sentito solo al cellulare - e rivuole tutta la squadra al Gran Sasso. E vuole te. Subito."

"Quindi dobbiamo andare al Gran Sasso?"

"Io vado al Gran Sasso, tu chiami Dal Col e ti fai ritrovare immediatamente in ufficio. Cristo Santo, è morta della gente e tu te ne vai a spasso a farti i cazzi tuoi, non è possibile!"

Allen scoccò un’occhiataccia alla donna, facendole segno di stare zitta. "Ti ricordo che stiamo parlando di lavoro, Stille."

"E quindi?" domandò l’altra, acida.

Allen grugnì, sibilando a denti stretti: "Non so se hai notato che alle mie spalle c’è un perfetto esemplare di Adolescente Disadattato stravaccato sul divano."

Xander, orecchio teso, non si degnava nemmeno di far finta di non stare origliando ogni sillaba della conversazione.













____________________________________


[NDA] (a chi ancora per sbaglio seguisse questa storia)

Doveva avere dei "protagonisti", questa storia, una volta.

Niente da fare.

Rimango sul racconto corale, al solito.

E’ che certi personaggi originariamente secondari son diventati ai miei occhi talmente interessanti che... vabé.

Va sempre a finire così.








   
 
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