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Autore: TheComet13    13/01/2013    3 recensioni
Arrivata quasi alla fine della sua vita, Lillian approfitta del Natale in famiglia per raccontare ai suoi cari e per rivivere lei stessa quella che è stata la notte migliore della sua vita.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
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NOTE DELL'AUTRICE: Questa storia si è classificata prima al concorso "RED. Music & Color" di Khika Liz. È ambientata per la maggior parte nel periodo del Proibizionismo, in cui gli alcoolici erano considerati fuori legge, e per questo motivo esistevano dei locali clandestini e nascosti chiamati speakeasy, dove per accedere serviva spesso una parola d'ordine. Anche l'omosessualità ai tempi era proibita dalla legge.
Ho cercato di ricreare il più possibile il linguaggio dell'epoca, ma se devo essere sincera, non ho mai letto storie ambientate in questo periodo in italiano, quindi mi sono dovuta affidare all'istinto e a una vaga traduzione di certi termini inglesi (il "bambolina" che leggerete altro non è che la mia traduzione del termine "doll", con cui spesso gli uomini chiamavano le donne all'epoca. Ho preferito "bambolina" a "bambola", perchè mi sembrava più carino e gentile come termine).
Buona lettura, e non dimenticatevi di lasciarmi una recensione.

STARLIGHT
 

Oh my, what a marvelous tune
It was the best night,

Never would forget how we moved
The whole place was dressed to the nines,
And we were dancing, dancing
Like we're made of starlight

 
 
Natale 1984
 
Le strade di New York erano ricoperte da una patina di neve, neve che aveva iniziato a cadere sin dalla sera prima, assicurando agli abitanti della città un vero e proprio bianco Natale.

In un lussuoso appartamento dell'Upper West Side, una famiglia come tante aveva appena finito di consumare un lauto pranzo natalizio. A capotavola, sedeva la padrona di casa, Lillian Glentworth, settantasei anni e vedova da qualche mese, circondata dai tre figli con i rispettivi consorti e dai sette nipoti. Dall'altro lato del tavolo, il posto che fino all'anno precedente era stato riservato al padrone di casa, Lawrence Glentworth, era rimasto vuoto in segno di rispetto. Era il primo Natale in cinquantasei anni che Lillian trascorreva senza il marito, e nonostante la presenza parecchio rumorosa della sua famiglia, il silenzio di quel posto vuoto era assordante.

Lillian non aveva mai amato Lawrence, non veramente. Gli aveva voluto bene e per cinquantasei anni era stato il suo compagno di vita e migliore amico, ma non aveva mai provato per lui l'amore travolgente che invece sua figlia sentiva per il marito. Eppure, quando Lawrence era morto otto mesi prima, andandosene nel sonno all'età di ottantadue anni, Lillian si era sentita come se una parte di sè fosse morta insieme a lui.

Lillian si guardò intorno e ripensò alla sua vita: era stata felice, nonostante non fosse stata come l'aveva sognata da ragazzina. Lawrence era stato un marito premuroso e attento, che le aveva regalato tre splendidi figli. Miles, il maggiore, aveva assunto il ruolo di presidente delle industrie del padre quando questo si era ritirato, Daryl era diventato medico e Jacklyn notaio. Tutti e tre erano felicemente sposati e avevano rispettivamente due, tre e due figli. Anche i nipoti erano una fonte di soddisfazione per Lillian, a partire dal più grande, Roger, figlio di Miles, che si sarebbe sposato la primavera seguente, fino ad arrivare alla minore, Sheila, una splendida diciassettenne che era studentessa modello in una delle più prestigiose scuole di Manhattan e che l'anno successivo avrebbe frequentato la Columbia University, a cui era stata ammessa senza troppi sforzi. Persino quella che era considerata la pecora nera della famiglia, Aimee, riempiva comunque Lillian di orgoglio. Aimee, vent'anni, figlia minore di Jacklyn, aveva sconvolto tutta la famiglia cinque mesi prima, rimanendo incinta nonostante non fosse nè sposata, nè frequentasse un ragazzo fisso. Jacklyn e suo marito Curtis erano impazziti dopo aver ricevuto la notizia. Avevano minacciato di diseredare Aimee, di cacciarla fuori di casa, di spedirla in qualche comunità dove avrebbe potuto partorire lontano da tutti i loro conoscenti, per poi dare il bambino in adozione, in modo da non infangare il buon nome di famiglia, finchè Lillian non era venuta in soccorso della nipote. "Quante storie, Aimee è una brava ragazza che ha commesso un errore, non mi sembra il caso di bruciarla su un rogo." aveva detto. "Ai miei tempi sarebbe stato impensabile avere un bambino al di fuori del matrimonio, ma questi sono gli anni ottanta e le cose sono cambiate. Invece di continuare con le minacce, perchè non state vicino a vostra figlia, che ha bisogno di voi in questo momento? E se non vi va bene, potete sempre farla venire a vivere con me. Sarei felice di aiutarla nella sua gravidanza e con il bambino." Dopo l'intervento di Lillian, nessuno aveva più osato criticare Aimee, che ora mostrava l'accenno di un pancione e che aveva promesso di chiamare sua figlia Lily, in onore della nonna che aveva preso le sue difese.

Dopo pranzo, la famiglia si alzò da tavola e si accomodò in salotto per caffè e amaro, raccontandosi a vicenda ricordi degli anni passati.

Sheila si avvicinò alla poltrona della padrona di casa, sedendosi sul bracciolo e passando il braccio intorno alle spalle della nonna. "Nonna, di quand'è quella fotografia che hai sul comodino in camera? Non l'avevo mai vista prima."

Lillian chiuse gli occhi e trasse un respiro profondo. Era inevitabile che qualcuno finisse per notare quella fotografia, che aveva fatto capolino sul comodino in seguito alla morte di Lawrence, dopo aver passato quasi sessant'anni chiusa in una scatola nel fondo di un cassetto. Lillian non avrebbe mai pensato di raccontare quella storia a qualcuno: il mondo in cui aveva vissuto tutta la sua vita era estremamente conservatore e se si fosse saputo che Lillian Vanderbilt Glentworth aveva avuto un'esperienza simile, sarebbe scoppiato uno scandalo. Gli stessi suoi figli erano cresciuti con quello stampo e probabilmente un racconto del genere li avrebbe sconvolti. Ma Lillian era anziana ormai, e aveva smesso di dare importanza a quello che la gente pensava di lei. Era stata una moglie e una madre modello per gran parte della sua esistenza, e ora si era guadagnata il diritto di poter dire quello che le passava per la mente senza pensare alle conseguenze. E in fondo, non stavano forse raccontandosi i reciproci ricordi natalizi? "Sheila, tesoro, vai a prendere la fotografia. Ho una storia da raccontarvi."

La ragazza obbedì e tornò in salotto con in mano una cornice argentata che conteneva una vecchia fotografia in bianco e nero, visibilmente risalente a molti decenni prima. Ritraeva una Lillian adolescente, con indosso un vestito lungo fino quasi alle caviglie, color champagne, i lunghi capelli biondo cenere raccolti secondo la moda dell'epoca, in un morbido chignon basso e con una semplice fascia nera attorno alla fronte e alla nuca. Al suo fianco, con un braccio intorno alla vita di Lillian, c'era quella che al primo sguardo poteva essere tranquillamente scambiata per un uomo, se non fosse stato per gli occhi e le labbra truccati.

Lillian rimase a lungo a fissare la fotografia, con un sorriso che le si dipingeva sulle labbra e gli occhi lievemente velati da una patina di lacrime, che lasciavano intuire che la sua mente era ormai lontanta da quel salotto ed era tornata a quella notte tanti anni prima.

"Visto che siamo in tema di ricordi natalizi, vi racconterò del mio ultimo Natale da nubile." disse Lillian, e poi iniziò a raccontare.
 

Natale 1927
 
La mezzanotte era scoccata da qualche decina di minuti, portando con sè il giorno di Natale del 1927. Un bianco Natale, considerata la neve che aveva iniziato a cadere qualche ora prima, colorando di bianco la città di New York.

Vista l'ora tarda e il freddo pungente, le strade dell'Upper West Side erano quasi completamente deserte. In un piccolo parco tra la Amsterdam e la sentattasettesima, Lillian Vanderbilt, diciannove anni, si stringeva addosso il suo cappotto e rifletteva su che direzione prendere, mentre sedeva su una fredda panchina di legno. Si sentiva persa, nonostante si trovasse solo a un paio di isolati da casa sua. Se solo i suoi genitori avessero scoperto che si trovava fuori di casa, in mezzo alla strada, sola, a quell'ora di notte, probabilmente l'avrebbero picchiata, e avrebbero licenziato la governante, Annie, per non averla fermata. Ma a Lillian in quel momento la sorte della povera Annie non interessava, e nemmeno la prospettiva di ricevere delle percosse con la spazzola d'argento della madre la spaventava più di tanto. O chissà, forse essendo che ormai era ufficialmente fidanzata, il padre si sarebbe limitato a tirarle una sberla e impedirle di vedere le sue amiche per un paio di mesi. Non sarebbe stato dignitoso picchiare una signorina che stava per maritarsi, tanto più che i Vanderbilt erano sempre stati molto riluttanti a punire corporalmente la figlia. In ogni caso, l'idea della punizione non era abbastanza per convincerla a tornare tra quelle quattro mura dove si sentiva prigioniera, e nemmeno la consapevolezza di non avere la più pallida idea di quello che avrebbe fatto quella notte. Meglio persa su una panchina, al freddo, piuttosto che sentirsi soffocare in camera sua.

Con il passare dei minuti, era sempre più chiaro a Lillian che non si sarebbe mossa da quella panchina, nonostante stesse tremando per il freddo e la neve le avesse bagnato i capelli e il cappotto. Frugò nella sua borsetta in cerca delle sigarette, del bocchino e di una scatolina di fiammiferi, e una volta trovati, iniziò ad aspirare grosse boccate di fumo, che quando uscivano dalla sua bocca si mischiavano con la condensa causata dal freddo.

"Posso disturbarti per chiederti una sigaretta?" una voce fece sobbalzare Lillian. Non aveva previsto di incontrare qualcuno. Nonostante quella fosse una zona elegante della città, non era escluso che si potessero incontrare dei maleintenzionati. Lillian era una bella ragazza, giovane, ricca, e in quel momento completamente sola: sarebbe potuto succederle di tutto. Si sentì assalire dal panico; quanto era stata stupida a uscire da sola a quell'ora di notte? E ora come avrebbe fatto a scappare? Indossava delle scarpe con un tacco piuttosto alto e la strada era coperta di neve, per cui se avesse cercato di correre, sarebbe sicuramente caduta. Anche mettersi a urlare era fuori discussione: non c'era nessuno in giro e quindi nessuno sarebbe venuto in suo soccorso; e se fosse stata così fortunata da attirare l'attenzione di uno degli inquilini delle case lì intorno, i suoi genitori lo sarebbero venuti sicuramente a sapere.

"Se non ce l'hai non importa, davvero." disse la voce, scrollando Lillian dai suoi pensieri tragici.

Lillian alzò lo sguardo. La persona di fronte a lei indossava un lungo cappotto nero, sopra a un vestito nero gessato. Erano neri anche la cravatta e il cappello che copriva la fronte dello sconosciuto. O meglio, sconosciuta, osservò Lillian quando i loro sguardi si incorciarono. La ragazza di fronte a lei non doveva avere molto più della sua età, e nonostante l'abbigliamento maschile era indubbiamente una donna. Una bella donna. Anche i suoi capelli erano neri, raccolti in una stretta crocchia che ne nascondeva la lunghezza, e gli occhi, truccati con cura. Le labbra, piegate in un leggero sorriso, brillavano grazie a un rossetto rosso scuro.

Senza dire una parola, Lillian frugò di nuovo nella sua borsetta e tirò fuori un portasigarette in argento, che porse alla sconosciuta.

"Grazie." rispose la donna, sfilando una sigaretta e portandosela alla bocca, accendendola con un accendino d'argento che teneva nella tasca del cappotto. "Che ci fai qui tutta sola, bambolina? Hai intenzione di morire per congelamento?"

Lillian scosse la testa, distogliendo lo sguardo dagli occhi penetranti di quella ragazza per rimettere il portasigarette nella borsa.

"L.E.V." commentò la ragazza, indicando l'incisione sopra al portasigarette prima che sparisse nella borsa. "Fammi indovinare...Laura Evelyn V...non lo so, intanto dimmi se con i nomi ci ho azzeccato."
Lillian scosse di nuovo la testa. "Lillian Emily...Vanderbilt." rispose, mordendosi subito dopo la lingua. Se la donna aveva cattive intenzioni, sicuramente averle rivelato il suo cognome non era stata una mossa saggia.

"Vanderbilt uh? E cosa ci fa una signorina di buona famiglia come te tutta sola in mezzo alla strada, la notte di Natale? Sei per caso nei guai, Lillian Emily Vanderbilt?"

"No, io...io..." balbettò Lillian, indecisa sul da farsi. Razionalmente sapeva che avrebbe dovuto scusarsi con la sconoscita e allontanarsi, diretta verso casa. Ma quella donna misteriosa non le sembrava una cattiva persona, per cui Lillian decise di fidarsi. "Sono scappata di casa. Non proprio scappata. Sono uscita di nascosto perchè avevo bisogno di stare sola, lontana dalla mia famiglia."

"Capisco." disse la sconosciuta, sedendosi accanto a Lillian e porgendole la mano. "Io sono Jo. Joanne Dawley, ma preferisco essere chiamata Jo."

Lillian strinse la mano di Jo, con un timido sorriso.

"Per la miseria, Lillian, ma tu stai davvero congelando!" esclamò Jo, senza lasciare la mano di Lillian. "Quanto tempo sei stata qui fuori? La tua mano sembra un pezzo di ghiaccio."

Lillian scrollò le spalle. "Non lo so. Era da poco scoccata la mezzanotte, credo."

Jo spalancò gli occhi dalla sorpresa. "Scherzi? È passata più di un'ora." Per supportare la sua affermazione, tirò fuori dalla giacca un orologio da tasca e lo mostrò a Lillian. Segnava l'una e dieci. "Non c'è da stupirsi che sei gelata. Tornatene a casa prima che ti venga un accidente."

"No, non voglio tornare." insistette Lillian. Non le importava di congelare, non poteva ancora tornare a casa. "Per una notte, voglio fare quello che voglio senza pensare a quello che ci si aspetta da me."

"E quello che vuoi è startene seduta in un parco a diventare una statua di ghiaccio?" chiese Jo con un ghigno.

"No ma...non so dove andare." ammise Lillian. "È la prima volta che esco di casa a quest'ora di notte da sola. Questa sera i miei genitori hanno annunciato il mio fidanzamento con Lawrence Glentworth. Hanno dato una festa a cui hanno partecipato più di duecento persone, tutta l'alta società di New York. E io mi sono sentita in gabbia, perchè non voglio sposarmi. Non ora. Non con lui. Non conosco Lawrence, l'ho visto tre volte in vita mia, non lo amo. Non è questo che voglio dalla mia vita. Così, quando gli ospiti se ne sono andati e i miei genitori sono andati a letto, io sono uscita di nascosto. Volevo assaporare la libertà per l'ultima volta, ma una volta che mi sono ritrovata qui non sapevo più dove andare."

Dopo la confessione di Lillian, le due donne rimasero in silenzio, fumando e guardando la neve cadere.

"Vuoi davvero provare come ci si sente ad essere liberi?"  chiese Jo improvvisamente. Lillian annuì. "Allora vieni con me, bambolina."

Jo si alzò dalla panchina e tese la mano a Lillian, che la strinse senzaa ripensamenti, seguendo Jo fuori dal parchetto e sul marciapiede. Camminarono per un paio di isolati, Lillian aggrappandosi stretta al braccio di Jo per non scivolare sulla neve, finchè giunsero di fronte a un cancello di ferro battuto nero che dava probabilmente sul retro di un edificio.

Jo battè sul ferro cinque volte, e il cancello si aprì leggermente, rivelando un uomo massiccio vestito di scuro. "Jo!" salutò la donna. "Vedo che hai compagnia oggi. Dove l'hai trovata questa bella bambolina?"

Jo scrollò le spalle. "Un'amica. Ci fai entrare?"

"Parola d'ordine?" chiese l'uomo scherzosamente, perchè conosceva Jo da tempo e sapeva che era una cliente abituale del Black Cat, tale era il nome del posto.

"Palla di pelo" sussurrò Jo, e l'uomo aprì il cancello quanto bastava per far entrare le due donne.

Lillian seguì Jo attraverso il cortiletto, fino ad arrivare all'ingresso di un seminterrato. "Jo, ma questo è..."

"Uno speakeasy?" la precedette Jo. "Sì, lo è. Black Cat, uno dei migliori di Manhattan. Sei mai stata in uno speakeasy?"

Lillian scosse la testa.

"Bene!" esclamò Jo. "Vedrai che ti divertirai. Coraggio, entriamo!"

Jo aprì la porta per Lillian e insieme scesero le buie scale che davano a un lungo corridoio. Alla fine del corridoio, si rivelò a loro il locale. Non era particolarmente affollato, forse perchè era la notte di Natale e i frequentatori abituali erano a casa con le loro famiglie. Un'orchestrina jazz stava suonando e un paio di coppie ballavano a ritmo di musica. Al bancone erano seduti tre uomini, tutti sulla cinquantina, che sorseggiavano un liquore ambrato sconosciuto a Lillian.

Jo condusse la sua nuova amica al bancone e fece un cenno al barista, che pochi istanti dopo piazzò davanti alle due ragazze due bicchieri di quello stesso liquido che stavano bevendo gli uomini.

Lillian fissò il bicchiere e alzò lo sguardo verso Jo, con aria interrogativa. "Scotch." disse Jo. "Fidati, è buono. Inizialmente ti brucerà un po' lo stomaco, ma passa subito. Solo non berne troppo. Non sei abituata all'alcool e ti ubriacheresti subito...e voglio che tu ti ricord di questa serata."

Lillian alzò il bicchiere, portandoselo all'altezza del naso per annusarlo. Era un'odore strano, molto forte, ma tutto sommato piacevole. Il primo sorso le bruciò nello stomaco, come Jo aveva predetto. Lillian tossì un po' e si voltò verso la sua compagna per la serata, sperando che non stesse ridendo di lei, della sua inesperienza. Ma Jo non rideva, anzi. La guardava con un sorriso soddisfatto sul volto. "Un altro sorso, bambolina. Devi farci l'abitudine."

Le ore passavano e Jo trascinava Lillian da una parte all'altra del locale: a posare per una fotografia in coppia, a stringere mani di persone sconosciute, a bere altro scotch, a ballare...a Lillian girava la testa per l'eccitazione. Per lei, figlia di una delle famiglie più influenti di New York, che era cresciuta in una sorta di campana dorata, quell'ambiente era completamente nuovo e completamente affascinante. Lo scotch le bruciava lo stomaco, ma ne adorava il sapore, e non sapeva assolutamente ballare la musica che stavano suonando in quel momento, ma non le interessava, perchè si stava divertendo. Era libera e spensierata, esattamente come aveva sempre voluto essere. Non era mai stata così felice. Peccato che tutto sarebbe finito quella notte.

Mentre ballavano, il volto di Lillian si rabbuiò, pensando che in poche ore sarebbe dovuta tornare a casa (e affrontare le conseguenze della sua bravata), e nel giro di qualche mese sarebbe andata in sposa a un uomo che aveva visto solo tre volte prima. Jo sembrò accorgersene. "Tieni lontani i pensieri negativi, bambolina. Questo non è posto per la tristezza. Ti preoccupi troppo di cose che non puoi cambiare, e continuando così non sarai mai felice. Goditi questa serata e poi prendi la vita giorno per giorno, come viene. Non sai mai cosa ti può aspettare alla prossima svolta."

Intanto la musica si era quietata ed era iniziata una canzone lenta. Jo prese Lillian per le mani, attirandola a sè e avvolgendola tra le sue braccia, mentre iniziavano a ondeggiare a tempo.

"Lo sai..."  mormorò Lillian, stringendosi nell'abbraccio di Jo. "Vorrei tanto che il mio fidanzato fosse come te."

Jo non sapeva dare un vero e proprio significato alle parole della ragazza. Non era abituata a relazionarsi con persone come Lillian, signorine di buona famiglia con più soldi di quanto la maggior parte dei residenti di New York potesse mai sognare. Lei, Joanne, era solo l'ultima figlia di una famiglia di Brooklyn, che metteva piede nell'Upper Manhattan solo per frequentare il suo speakeasy preferito. Eppure, nonostante l'abisso che separava la sua vita a quella di Lillian, i segnali che le aveva mandato la ragazza erano abbastanza chiari. Così, Jo fece l'unica cosa che le sembrò possibile in quel momento: baciò Lillian. E in quel bacio cercò di comunicarle tutto ciò che le riusciva impossibile trasmetterle a parole: "sono felice di averti conosciuta. Non c'era mai stata nessuna come te prima. Vorrei avere più tempo." E Lillian ricambiò, comunicando esattamente gli stessi pensieri.

Lillian non era mai stata baciata in quel modo in vita sua. Anzi, se doveva essere sincera, non era proprio mai stata baciata, se si escludeva quel leggero sfiorarsi di labbra che si era scambiata con il suo fidanzato durante la festa. Ma il modo in cui Jo la stava baciando non aveva niente a che vedere con quell'unica esperienza che Lillian aveva avuto. Jo la baciava con delicatezza e forza insieme, per trasmetterle tutta la sua passione. Lillian non avrebbe mai pensato che si sarebbe potuta sentire così in sintonia con qualcuno che aveva conosciuto solo poche ore prima, eppure sentiva come se lei e Jo fossero legate da qualcosa, qualcosa che le spingeva l'una verso l'altra. Era una sensazione nuova ed eccitante, ma terrificante al tempo stesso. Lillian era spaventata da questa forza che la attirava verso Jo, e temeva che, dopo quella notte, non avrebbe mai più potuto sentirsi così. Che non avrebbe mai provato per nessuno, tantomeno per suo marito, quello che stava provando per quella donna così ambigua, così misteriosa, così piena di vita e di gioia.

Lillian non seppe quantificare il tempo che rimasero strette sulla pista da ballo a baciarsi, e neanche si accorse che la musica aveva smesso da tempo di suonare. Quando finalmente si sciolsero da quella stretta, erano entrambe senza fiato e con un sorriso dipinto sul volto.

"Vieni, ti porto a casa." disse Jo, stringendo la mano di Lillian e conducendola fuori dallo speakeasy.

Camminarono per le strade deserte di New York fino a raggiungere il portone della palazzina dei Vanderbilt, parlando dei sogni e delle aspettative per il futuro di Jo.

"Voglio viaggiare, girare il mondo." confessò la mora. "Voglio visitare l'Europa, l'Argentina, l'India, la Cina...voglio conoscere persone provenienti da ogni angolo della Terra, assaggiare ogni tipo di cibo e liquore. E un giorno non molto lontano lo farò."

"Come vorrei poter venire con te." sospirò Lillian, che sentendo parlare Jo aveva immaginato loro due alla scoperta del mondo. "E invece, probabilmente non mi muoverò mai da qui, mi sposerò, avrò dei figli e la mia vita non conoscerà mai quell'eccitazione che invece il tuo progetto promette."

Jo smise di camminare e riflettè per un attimo sulle parole di Lillian. "Ti faccio una proposta." disse poi. "Sposati e vivi questa vita che ti è stata destinata per un po', per capire se è veramente piatta e monotona come te l'aspetti. Se è così, il prossimo Natale ci ritroveremo nel parco dove ci siamo incontrate e andremo via insieme, alla scoperta di tutti quei posti di cui ti ho parlato. Se non ti vedrò arrivare, saprò che invece la tua vita ti soddisfa, e sarò felice per te."

Lillian annuì, convinta che l'anno successivo sarebbe andata a incontrare Jo e sarebbero scappate insieme.

Arrivate davanti all'abitazione di Lillian, Jo strinse la ragazza in un abbraccio e le sfiorò le labbra con un bacio. "Al prossimo Natale allora, bambolina. O a mai più rivederci. Ti auguro ogni bene."

Lillian non sapeva con che parole separarsi da quella donna che in una sola notte l'aveva fatta sentire più viva di quanto lo era stata in tutti i suoi diciannove anni passati. "Grazie, Jo. Grazie per questa nottata. Comunque vada, non la dimenticherò mai."

Jo sorrise e si voltò, lasciandosi Lillian alle spalle e sparendo nell'oscurità della notte. Lillian rientrò in casa, cercando di non fare rumore e constatando con piacere che i suoi genitori erano esattamente come li aveva lasciati: nel mondo dei sogni e ignari di come la figlia aveva trascorso la nottata.

Infilandosi sotto le coperte, Lillian chiuse gli occhi e cercò di rivivere ogni momento di quelle ore passate con Jo, desiderando che quell'anno trascorresse alla svelta per potersi ricongiungere con la misteriosa donna dai profondi occhi neri e il sorriso accattivante.
 
 
 
Natale 1984
 
"Perchè non sei andata con lei?" chiese Sheila quando Lillian smise di parlare, infervorata nel racconto della nonna.

"Perchè poco prima di Natale ho scoperto che ero incinta di tuo zio Miles. Non avrei mai potuto crescere un bambino mentre visitavo il mondo. Era mio dovere di madre mettere i miei sogni da parte per dare a quel bambino la vita che meritava. Quella notte in cui avrei dovuto incontrarmi con Jo, fui tentata di presentarmi comunque all'appuntamento, per poterla rivedere e spiegarle perchè non avrei potuto andare con lei, ma all'ultimo momento cambiai idea. Rivedere Jo non avrebbe fatto altro che farmi desiderare di scappare con lei, e sapevo che ormai quella non era un'opzione che potevo considerare. Così rimasi a casa e lasciai che Jo realizzasse i suoi sogni senza di me. Due giorni dopo, ricevetti a casa una busta contenente quella fotografia."

Sheila osservò bene la foto e notò una scritta nell'angolo in basso a destra: "We're made of starlight."

"Te l'ha mandata lei!" esclamò la ragazzina. "Per dirti che anche se non ti sei presentata all'appuntamento e anche se non vi sareste mai più riviste, lei non avrebbe mai dimenticato quella notte che avete passato insieme."

Lillian annuì. "E anche io non l'ho mai dimenticata. È stata la notte più bella della mia vita, quando ho scoperto cosa voleva dire sentirsi amata. Ho voluto bene a tuo nonno, ma non l'ho mai amato, non come so avrei potuto amare Jo. Non ho mai più saputo niente di lei, ma mi piace pensare che abbia realizzato i suoi sogni e che abbia avuto una vita lunga e felice come l'ho avuta io."

"Quindi non ti sei mai pentita di essere rimasta?" chiese Aimee, che per tutta la durata del racconto della nonna era rimasta in silenzio ad ascoltare e a cercare di immaginarsi quella anziana signora a cui voleva tanto bene come una ragazzina della sua età che ballava senza freni in un locale clandestino e baciava una misteriosa donna vestita da uomo.

"No, mai." rispose Lillian. "Ho avuto una vita felice, sono circondata da persone che amo e che mi amano, e non avrei potuto chiedere di meglio. Ogni tanto mi chiedo come sarebbe stato se fossi scappata con Jo, che tipo di vita avremmo avuto, ma cerco di non pensarci. Il passato è passato, e per quanto Joanne rimarrà sempre il mio primo e forse unico amore, se di amore si può parlare, non mi pento delle scelte che ho fatto e di quello che ho avuto."

"Sai nonna..." sospirò con aria sognante Sheila, circondando le spalle di Lillian con le sue braccia e stringendo la nonna in un affettuoso abbraccio. "Spero tanto che in un'altra vita, tu e Jo vi possiate rincontrare e essere finalmente felici insieme."

Lillian sorrise. "Lo spero anche io, tesoro."
  
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