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Autore: NakamuraNya    13/01/2013    3 recensioni
Le sue vecchie pedine ora si muovono liberamente su una scacchiera più grande, in una battaglia fra il bene e il male che dura da secoli.
4°:[...]Quindi era questa la sua ennesima tortura; mostrargli la terra dove era nato che si allontanava forse per sempre da lui.
Disse addio a quel luogo, cercando di cacciare i ricordi di quello che era stato e che non sarebbe più potuto essere.[...]
5°:[...]-Allora cosa mi rispondi?-
“Accetto!” urlò nella sua mente sperando che le parole della voce avessero un fondo di verità.
-Ottimo.-
Un dolore lancinante gli pervase il petto era come se qualcuno gli stesse risucchiasse i suoi organi interni.[...]
6°: [...] -Oggi non mi sento molto bene, mi verrai a far visita un altro giorno.-
La giovane nel ricordo gli crede anche se quella è un enorme bugia.
Elizabeth ora sa che quel giorno non verrà mai, che quello è stato il suo addio, lui sapeva che sarebbe morto.[...]
Epilogo:[...]Ma cosa c'era oltre al buio?
Niente.
Ma vi erano altre persone in quel buio?
No.
Esistevano altri oltre a lui?
Non lo sapeva.
E lui chi o cosa era?
Io sono...[...]
Genere: Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ciel Phantomhive, Elizabeth Middleford, Sebastian Michaelis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo
L'inferno sotto la scacchiera
 
Essendo che nell'ultimo capitolo ho lasciato alcune lacune ho deciso di fare questo epilogo per spiegare alcuni avvenimenti.
L'ho fatto anche perché Misora me l'aveva chiesto nella sua recensione.
Io stessa mi sono stupita di come ho voluto concludere questa mia FF.
Aspetto quindi pazientemente i vostri pareri ringraziando le 52 persone che hanno letto l'ultimo capitolo!!! ^^
 
Il mondo era cambiato in quei decenni ed Elizabeth temeva per il futuro dei suoi figli.
Appena era tornata dalla missione in Italia sentiva che un enorme peso si era tolto dal suo cuore, ma presto capì che le battaglie per lei e Iorwerth non sarebbero mai finite. Lasciare i suoi bambini all'accademia insieme ai figli degli altri cacciatori era sempre più difficile. Ma l'accademia era protetta e nessun male li avrebbe attaccati, questo era quello che si diceva per convincersi.
Ogni notte li salutava con un bacio sulla fronte e si impegnava a combattere le tenebre con prudenza. Anche Iorwerth, da quando stavano insieme, era divenuto meno avventato negli attacchi, di certo non desiderava lasciarli da soli.
Ma per quanto combattessero i demoni erano sempre numerosi. 
Da tempo aveva capito che il male non si celava solo in quelle creature infernali ma anche nel cuore degli uomini. L'ombra della guerra si stava allungando sull'Europa.
Le tensioni tra nazioni erano alte e sarebbe bastato poco per innescare la battaglia.
Se fosse scoppiata la guerra suo marito sarebbe dovuto partire a combatterla, e lei sarebbe rimasta sola insieme alle altre cacciatrici a fronteggiare i demoni e proteggere i propri bambini.
Era un pensiero che le stava occupando la mente da molto tempo ma che non aveva il coraggio confessare.
Quando tornava dalle missioni, Elizabeth si fermava nella stanza dove dormivano i suoi bambini, gli accarezzava i capelli e quando non vi erano nubi nel cielo fissava la fredda luna e sperava che i suoi figli non avrebbero mai dovuto imbracciare le armi.
Era un desiderio sciocco e lo sapeva perfettamente, ma voleva sognare solo per un attimo. Chiudeva gli occhi e si immaginava in una villetta in campagna circondata dalla sua famiglia; lì non vi erano ne armi ne sangue. Poi tornava alla realtà e sorrideva triste, sapendo che alla fine quello era un mondo utopistico e che era stato un bene non vivere in quella ignoranza.
 
---
 
Non poté che gridare quando il suo torso nudo sbatté con prepotenza contro le aguzze pietre, altre ferite si aggiunsero a quelle che ricoprivano il suo corpo, il suo grido echeggiò tra le pareti per molti minuti.
La ferita al petto stava sanguinando, i suoi occhi lampeggiarono rossi nelle tenebre di quel luogo per il dolore, il nero sangue si versava copiosamente su quel terreno arido.
L'odore di quel luogo sapeva di zolfo e chiuso e opprimeva il respiro che per sua fortuna non gli serviva per sopravvivere.
Sentì dei passi e rabbrividì nel sapere perfettamente a chi appartenevano, cercò di alzarsi ma subito venne fermato da un tacco che si piantò nel suo fianco.
La figura si chinò sul suo corpo facendogli sentire il suo fiato sulla schiena solleticando fastidiosamente le sue ferite già aperte.
-Così ti mostri al tuo superiore, Branwen?-
La domanda venne presto accompagnata da un artiglio che si fece strada tra le sue carni già aperte.
Cercò inutilmente di trattenere un'altro grido quando l'artiglio scese in profondità e giocherellò con le ossa che rimanevano delle sue ali strappate.
Avrebbe desiderato liberarsi da quella tortura, ma sapeva che gli era andata ancora di lusso se non era stato ucciso dopo quello che era successo in superficie.
Dopo un tempo che gli sembrò infinito, l'artiglio del suo superiore uscì dalla sua carne per poi percorrere la colonna vertebrale.
-Sai, spero vivamente che saprai come farti perdonare questo tuo gravoso errore.-
Sapeva perfettamente a che cosa Mefistofele alludesse con quelle parole, avrebbe dovuto non vedere la superficie per molto tempo e dimostrargli di essere degno della sua fiducia.
Detestava avere un superiore, ma così era stato da sempre e lui non poteva far altro che continuare quella recita.
-Devo ammettere che questa volta mi ha stupito la tua avventatezza nell'infrangere una delle poche regole che ti sono state date.-
La mano artigliata del demone superiore graffiò con decisione le sue spalle per poi agguantare il suo collo sottile.
-Ma mi chiedo come un demone con la tua intelligenza possa essere così imprudente da farsi quasi ammazzare da una sciocca cacciatrice.-
Le dita strinsero la presa e sentì la trachea comprimersi sotto quella morsa.
-Cosa speravi di ottenere, poi, nutrendoti di un'anima senza prima stipulare un contratto? Mi sembra che tu sappia che solo i demoni del mio livello sono autorizzati a fare ciò. E come avrai capito la restrizione dei propri poteri e la debolezza sono alcune delle pene che si ricevono per aver disobbedito a questa norma.-
Le dita lasciarono finalmente la presa per poi sollevare il suo mento e permettergli di fissare gli occhi color ghiaccio che lo fissavano con cattiveria.
Mefistofele manteneva la stessa bellezza che doveva aver avuto un tempo quando era ancora un angelo ma ora il suo fascino era diverso.
Tra i corti capelli argentei spuntavano due corna e la sua pelle candida era percorsa da rune maledette.
In apparenza quel demone poteva sembrare innocuo, ma con le sue parole era stato in grado di raggirare molte menti acute.
-In un certo senso sono felice del fatto che sarai costretto a rimanere nel sottosuolo. La tua permanenza sulla terra ti stava rendendo troppo sentimentale.-
Mefistofele sapeva sempre cogliere i punti deboli nella mente degli altri esseri, e lui non era un'eccezione.
Rimase a fissare quel volto sapendo che presto sarebbe stato investito dalle sue crudeli parole. Avrebbe voluto contraddire qualsiasi accusa gli fosse stata data, ma la gola era secca e non era di certo in una posizione favorevole per contraddire il suo superiore.
-Hai addirittura permesso alla coscienza di quel cucciolo d'uomo di rimanere attiva per così tanto tempo, un favore che difficilmente un demone offre a un umano. Mi chiedo come tu possa essere ancora legato a loro nonostante sia a causa di uno di loro se sei morto.-
Ora si che voleva ribattere. Lui non era affezionato agli umani, li vedeva solo come dei giocattoli.
-Gli umani sono solo nutrimento per noi, mi chiedo se tu lo riesca a capire.-
Un artiglio sfiorò la sua guancia.
-Quante volte ti devo ripetere che non devi giocare con il cibo?-
Allargò gli occhi consapevole del suo errore.
-Mi scusi.-
Riuscì a mormorare con un filo di voce.
-Così va molto meglio.-
Un ghigno si formò sulle strette labbra del demone che gli lasciò il mento improvvisamente, facendolo sbattere così contro le pietre.
Era tornato a casa. Così pensò mentre altre fitte di dolore percorsero il suo corpo.
Perché dolore e buio erano la sua dimora ormai da tempo.
 
---
 
Si era immaginato l'inferno come un luogo pieno di fiamme e anime urlanti, un luogo caldo e rumoroso.
Quando era molto piccolo era questo il luogo di cui parlavano i pastori durante le loro funzioni. A volte si immaginava quel luogo, ma subito tremava di paura e correva da sua madre per farsi consolare.
Il giorno in cui la sua casa andò alle fiamme pensò di esservi finito, ma in realtà quello era niente in confronto alle torture che ricevette in seguito.
Il momento in cui decise di stringere un legame con un demone seppe che sarebbe finito in quel luogo di perdizione, ma non gli importava più perché desiderava solo la vendetta.
La notte in cui realizzò la sua vendetta sentì lo stesso brivido di paura che provava da piccolo: il demone si sarebbe nutrito della sua anima e lui sarebbe finito in quel oscuro baratro.
Quando realizzò che per un capriccio di quel demone lui era ancora parte del mondo umano ma non poteva più interagire con esso credette che quella fosse una tortura del suo inferno.
Passarono decenni e ormai non temeva più di abbandonare la superficie, tutte le persone che aveva amato erano andate avanti lasciando il suo ricordo alle spalle.
Cosa poteva esserci ancora di peggio, qualcosa che non aveva già patito nella sua vita?
Ora finalmente vi era arrivato.
E non vi era un vero luogo ma solo il buio, non poteva muoversi perché era bloccato, se da catene o corde non lo sapeva.
La temperatura variava dal caldo al freddo in pochi secondi e se aveva una pelle di certo era ustionata da quella atmosfera.
Era solo in quel luogo, non vi erano altri prigionieri.
Fu consapevole che in realtà solo ora era solo, perché in vita era stato circondato da molte persone. Non si sentiva bene in quel luogo perché non vi era nessuno che lo amasse o lo odiasse: era semplicemente parte di quel buio.
Provava dolore, ma non aveva la voce per sfogarsi, dalla sua bocca non usciva alcun suono.
In quel buio vi era un silenzio assoluto, non vi erano rumori di alcun genere.
Col passare del tempo capì che il demone aveva ragione, quel luogo era molto più tremendo della condizione in cui aveva vissuto gli ultimi decenni.
Il tempo passava, se velocemente o lentamente non riusciva a capirlo perché non vi erano orologi che lo segnassero.
Sempre più spesso si chiedeva se la vita che aveva vissuto fosse stata reale o se non fosse solo un sogno, e se lui non fosse sempre vissuto in quel luogo.
Raramente si rendeva conto che lui era veramente stato un conte, che fuori da quel luogo vi erano colori, luce e suoni.
Poi incominciò a chiedersi se esistessero veramente tutte le cose a cui pensava o se fosse semplicemente pazzo, anche se non sapeva più che significasse quel termine.
Dopo molto tempo, l'unica cosa che sapeva era il suo nome: Ciel.
Non sapeva a cosa servisse essendo che nessuno l'avrebbe più chiamato, e non ricordava chi glielo aveva dato.
Alla fine dopo tanto che ripeteva nella sua mente la parola Ciel si chiese cosa fosse o chi fosse Ciel.
Ma cosa c'era oltre al buio?
Niente.
Ma vi erano altre persone in quel buio?
No.
Esistevano altri oltre a lui?
Non lo sapeva.
E lui chi o cosa era?
Io sono...
La sua mente cerca di ricordare ma è passato così tanto tempo che non c'è nulla da cercare solo una parola gli viene in mente.
Io sono... il Nulla.
   
 
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