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Autore: niki_    14/01/2013    3 recensioni
A Red Fox, lei sa perché.
"Se continui così lo incepperai".
Una voce lo riscuote dai suoi pensieri facendolo precipitare di nuovo in quella trincea piena di fango: il ragazzo al suo fianco, un po' più vecchio di lui, gli sorride cordiale inclinando leggermente la testa. [...]
"A che ora ci mandano al massacro?" domanda portandosi le ginocchia al petto e intrecciando le dita sporche di terra e polvere da sparo davanti ad esse.
"Non si sa. I generali stanno ancora discutendo" continua a sorridere, tranquillo come se fosse nel salotto di casa sua e non in una buca sotto il tiro degli austriaci. Come diamine fa? Questa cosa gli dà sui nervi.
Lovino borbotta qualcosa sull'incompetenza dei comandanti e sul senso di questa guerra ma approfitta della pausa per tirare fuori dalla tasca della divisa la lettera che stava scrivendo al nonno per poi venire interrotto da un falso allarme. L'altro ragazzo continua a fissarlo - sente il suo sguardo smeraldino su di sé - per poi cominciare a canticchiare sommessamente una melodia che sa più di spagnolo che di italiano alzando gli occhi verso il cielo.
Genere: Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Niente di nuovo sul fronte meridionale Seriamente, il sorriso di Romano in questa icon mi ucciderà. Guardatelo! Non è un amore? *amore per Romano*
In ogni caso, salve a tutti, io sono Niki e questa è la One-Shot più lunga che abbia mai scritto finora: il contatore di fiumidiparole, infatti, segnala un bel 5236.
Niente di nuovo sul fronte meridionale è... Cielo, non so neanch'io perfettamente cos'è. Mi è venuta spontanea, si è scritta da sola senza che io ci pasticciassi troppo sopra e questo spiega l'insolita lunghezza (tutte le mie One-Shot solitamente arrivano massimo massimo alle 2000 parole).

Il titolo per questa storia è preso dal romanzo di Erich Maria Remarque ossia Niente di nuovo sul fronte occidentale di cui avevo letto un brano nell'antologia in seconda media che mi è rimasto particolarmente impresso. Non so quanto effettivamente sia giusto riferirsi al fronte italiano come "meridionale" ma ci suonava bene.
L'IC dei personaggi è, come al solito, il mio tallone d'Achille. Mi rimetto al vostro giudizio, fatemi sapere.
Non c'è tanto da dire in più, solo che è dedicata al mio adorato cupcake, Red Fox, con cui ho un'intesa riguardo ai pairing che rasenta la perfezione. Ti voglio bene, mia cara!
Prima di lasciarvi al testo un paio di puntualizzazioni (ci saranno anche delle note in fondo, ma le più urgenti eccole qui):
- L'età minima per arruolarsi erano i diciott'anni;
- La storia è ambientata nel 1916 ma non ha una collocazione geografica ben precisa. Posso dirvi che sicuramente non è il fronte nel Trentino dove si scatena in quel periodo la Strafexpedition dell'Austria contro l'Italia traditrice della Triplice Alleanza (avevo bisogno di un fronte più tranquillo per le irrilevanti offensive di questa storia). Per il resto potete immaginare quello che volete;
- Le trincee erano scavate a "zig zag" in modo che, se il nemico fosse riuscito a sfondare in un punto, non avrebbe avuto la traiettoria di tiro completamente libera da ostacoli. Inoltre quelle italiane e quelle austriache erano all'incirca separate da 10-20 metri e quindi i soldati potevano capire perfettamente che cosa succedeva nel campo avversario;
- L'attacco nella guerra di trincea si svolgeva solitamente così: i soldati dovevano arrampicarsi lungo le pareti del fossato, salire allo scoperto, superare il filo spinato dei nemici senza rimanerci impigliati, dovevano gettarsi nei fossati nemici e lottare corpo a corpo. Il “Bravo Soldato” doveva andare all’attacco in posizione eretta e a testa alta (strisciare a terra o gettarsi in una buca come si insegna oggi ai Marines era una vigliaccheria che veniva processata da un tribunale militare). Anche se erano già stati inventati i carri armati, le armi chimiche, i sommergibili, i siluri e le mitragliatrici, all'inizio della guerra i comandanti li rifiutarono perché "poco onorevoli" in confronto ai classici cannoni, fucili e baionette;
- I prigionieri italiani venivano mandati nei durissimi campi di lavoro forzato austriaci. Ad aggravare la situazione, già di per sé complicata, si aggiungeva il fatto che l'Austria-Ungheria reputava l'Italia come la più infima delle traditrici - per essere uscita dalla Triplice Alleanza ed entrata in guerra al fianco di Francia, Inghilterra e Russia, come già detto - e i capi di governo imperiali erano riusciti a trasmettere questo odio anche ai sudditi che di consequenza disprezzarono ardentemente gli ex-alleati i quali, se fatti prigionieri, avevano un trattamento di favore.
- Essere feriti in guerra, per quanto crudele possa sembrare, divenne l'unica via di fuga nelle menti di molti soldati: per essere rimandati a casa, si giungeva addirittura ad auto-mutilarsi - in modi che vi risparmio di conoscere - ma se si veniva scoperti si veniva fucilati. Per evitare dimostrazioni del genere, il Generalissimo del Regio Esercito italiano praticava la decimazione ossia prendere a caso uno su dieci e passarlo alle armi. (Come farsi amare dai propri soldati, manuale per il vincente generale a cura di Luigi Cadorna, Savoia Editore)

Disclaimer - L'autrice non ricava neanche una lira da questa storia; Axis Powers Hetalia appartiene agli avente diritto.
Se APH mi appartenesse metterei più in mostra il lato coraggioso di Veneziano e Romano che, se ci basiamo sulla storia nei libri di testo, viene particolarmente fuori nella Grande Guerra. Max Schwarte - militare tedesco e scrittore di guerra - afferma, nella sua opera Der gross krieg (La Grande Guerra), "Pareva impossibile, che un esercito il quale usciva da una catastrofe come quella di Caporetto, avesse potuto riprendersi così rapidamente" e perfino un giornale di Vienna, la Neue Freie Presse, elogia il Regio Esercito così "L'esercito italiano è in piedi. I vuoti sono stati colmati; specialmente l'artiglieria è stata ricostruita. Non si possono negare ai soldati italiani grandi elogi per il loro spirito e la loro resistenza agli attacchi".
(Se vi interessa qualcos'altro sulla resistenza italiana sul Piave, ecco qua il link)

Niente di nuovo sul fronte meridionale
Si può professare qualunque fede, si può militare in qualunque partito: quando si tocca la Patria si tocca l'essenza dell'anima nostra.
Vittorio Emanuele Orlando
Sa bene di essere considerato come carne da macello, adatto solo a far da tiro a segno per gli austriaci durante un attacco che servirebbe a guadagnare un misero centinaio di metri e un migliaio di caduti. Non si lamenta quando lo mandano praticamente a pedate in prima linea piazzandogli fra le mani un fucile che sa a malapena imbracciare nonostante qualche mese di addestramento. Si limita a ribollire di rabbia e frustrazione per essere coinvolto in una guerra che a lui non interessa: gli austriaci, personalmente, non gli hanno fatto niente di male, perché mai dovrebbe lasciare l'affetto dei suoi cari per essere gettato in una buca esposta a tutte le intemperie a combattere per cose che non lo riguardano?
Prende il fucile fra le mani, senza pensarci, e ripete i movimenti per pulirlo che ha imparato nell'addestramento, come una macchina.
Suo fratello freme per raggiungerlo sul campo. Aveva contato i giorni sul calendario che mancavano al suo diciottesimo compleanno fin da dicembre dell'anno precedente e, ad ogni croce che disegnava, Lovino perdeva un battito del cuore. Ora Feliciano è ad addestrarsi - probabilmente nello stesso posto dove
lo è stato lui, magari dorme nella stessa brandina dove ha passato numerose notti insonni - aspettando con trepidazione il momento in cui potrà servire degnamente il suo Paese, usando parole sue. Il maggiore, però, non riesce a non pensare al nonno che li ha cresciuti quando i genitori sono morti, ora solo con Giorgio* che ha tredici anni e ha ancora paura del buio: Feliciano ha sbagliato a lasciarli, facendosi imbrogliare dalla gloria che ti promettono. Non c'è gloria nella guerra, non c'è niente di dolce nel morire crivellato di colpi sotto il fuoco nemico, non c'è niente di eroico in questo lungo massacro, in questo lento stillicidio.
"Se continui così lo incepperai".
Una voce lo riscuote dai suoi pensieri facendolo precipitare di nuovo in quella trincea piena di fango: il ragazzo al suo fianco, un po' più vecchio di lui, gli sorride cordiale inclinando leggermente la testa. Lovino finisce di torturare la sua arma e l'appoggia alla sua destra senza nemmeno ringraziarlo del suo accorgimento che potrebbe avergli salvato la vita in vista del prossimo scontro. Avanzare con un'arma non funzionante è un suicidio nei già suicidi attacchi a cui il Generalissimo li manda senza scrupolo. Chi va con Cadorna, è sicuro che non torna.
*
"A che ora ci mandano al massacro?" domanda invece portandosi le ginocchia al petto e intrecciando le dita sporche di terra e polvere da sparo davanti ad esse.
"Non si sa. I generali stanno ancora discutendo" continua a sorridere, tranquillo come se fosse nel salotto di casa sua e non in una buca sotto il tiro degli austriaci. Come diamine fa? Questa cosa gli dà sui nervi.
Lovino borbotta qualcosa sull'incompetenza dei comandanti e sul senso di questa guerra ma approfitta della pausa per tirare fuori dalla tasca della divisa la lettera che stava scrivendo al nonno per poi venire interrotto da un falso allarme. L'altro ragazzo continua a fissarlo - sente il suo sguardo smeraldino su di sé - per poi cominciare a canticchiare sommessamente una melodia che sa più di spagnolo che di italiano alzando gli occhi verso il cielo.
Decide di non badarci e torna a rileggere un paragrafo che non lo convince ma non fa in tempo a correggerlo che il capo del battaglione arriva e inizia a dare le disposizioni per il nuovo attacco. Le ascolta con noncuranza e, quando si mette nella sua posizione per l'avanzata nella terra di nessuno, il ragazzo di prima gli si fa vicino.
"Spero che riusciremo tutti a sopravvivere" dice, speranzoso, imbracciando il fucile che sembra essere fatto apposta per lui, per incastrarsi con naturalezza sulla sua spalla.
"La metà di noi morirà appena metterà il naso fuori da questa fossa" sa che è la verità, non gli piace illudersi "Chi ti dice che non sarà il tuo turno?".
"O il tuo" ripete quello "Spero di no, per l'appunto. Ci vediamo quando ci daranno il permesso per mangiare. Com'è che ti chiami?".
Ha un sorriso ebete da perfetto imbecille, ecco cosa pensa quando l'altro gli pone la domanda. "Lovino Vargas" borbotta fra i denti quasi non volesse farsi sentire, ma in fondo che problema c'è a dargli il suo nome? Probabilmente al termine di quella giornata uno dei due sarebbe morto, preferibilmente l'imbecille.
"Piacere Lovino" china il capo per assentire "Io sono Antonio, Antonio Fernandez Carriedo".
E poi è di nuovo battaglia, di nuovo sangue, di nuovo morte.

Ha lasciato fuggire un austriaco, durante la conquista di una nuova postazione: aveva una caviglia slogata e Lovino lo teneva in pugno puntandogli la baionetta sul collo. Sarebbe bastato un solo movimento del braccio per tranciargli la trachea e strapparlo alla vita, ma si era visto riflesso nelle lenti degli occhiali del soldato e aveva avuto paura di diventare un mostro spietato. Aveva abbassato l'arma indicandogli la direzione in cui erano arretrati i suoi compagni e lo aveva incitato con un movimento della testa.
Quello aveva sgranato gli occhi, stupefatto, ma si era affrettato a rialzarsi - il terrore che l'italiano potesse cambiare idea gli donava le forze che gli servivano - ed era sgusciato fuori dalla buca dicendogli "Grazie". Lovino l'aveva osservato zoppicare via sotto il fuoco, stupito quanto lui: sapeva parlare italiano. Contro chi diamine stanno facendo la guerra? L'Austria-Ungheria o altri italiani?
Con in mano la ciotola col rancio e il fucile in spalla, si muove lungo la trincea per cercare un posto non troppo sporco o affollato dove poter accendere un fuoco e mangiare in santa pace. Poi lo vede, o meglio, l'altro lo nota e alza un braccio per farsi individuare: il ragazzo dagli occhi smeraldini è seduto vicino al fuoco insieme ad altri due uomini, che però stanno riposando un poco approfittando del momento di tregua, e gli fa cenno di avvicinarsi. Lovino si lascia cadere al suo fianco con un mezzo sospiro e allunga le dita verso la fiamma sperando di scaldarle un po' prima di dedicarsi al suo pasto.
"Sono felice che tu sia vivo" Antonio sorride benevolo prima di addentare la sua galletta.
L'altro si stringe nelle spalle. Sa che morirà qui, al freddo e nel fango, ha avuto questa sensazione appena ha messo piede nella trincea.
È solo questione di tempo prima che riveda i suoi genitori.
Inizia a mangiare in silenzio la sua brodaglia insapore ignorando quegli occhi verdi che lo scrutano con attenzione prima di puntarsi verso il cielo scuro della notte, la voce che ricomincia ad intonare la stessa canzone di prima e la testa che ondeggia leggermente per seguire il ritmo della melodia.
"Sei spagnolo, che ci fai qui al fronte?" gli domanda Lovino lasciando cadere il cucchiaio nella scodella vuota. La Spagna non è in guerra, vive in pace la sua vita lontano dalle armi. Perché qualcuno da quel Paese combatte per l'Italia?
"Sono italiano" dice con calma. Ha un accento perfetto, nessuna flessione che tradisce la sua provenienza iberica "I miei genitori sono spagnoli, trasferitisi qui per motivi di lavoro dopo il matrimonio. Io sono nato e cresciuto in Italia".
Lovino si arriccia un ciuffo di capelli fissando da un'altra parte, raccoglie le ginocchia al petto e sta in silenzio.
"Tu che ci fai al fronte?" Antonio gli rigira la domanda incrociando le gambe per stare più comodo.
"Leva obbligatoria" risponde spiccio.
"Sei del '96
*" constata.
"La carne da macello" annuisce.
Silenzio.
"Siamo tutti carne da macello" ribatte muovendo il braccio destro per indicare i soldati.
Lovino mugugna qualcosa ma viene attirato dalla voce del corriere che gli consegna una lettera. Ringrazia velocemente e la apre con talmente tanta foga da rompere completamente la busta: riconosce la calligrafia di Feliciano - minuta, proprio come lui, piena di ghirigori infantili dovuti alla sua indole artistica - che gli racconta della sua vita al campo d'addestramento. Trattiene il respiro e rimane in apnea per un tempo interminabile quando legge che presto sarà in prima linea con lui. "Mi avevano messo nelle truppe di riserva" c'è scritto "Ho detto che volevo stare in prima linea. Il Comandante, invece di arrabbiarsi per la mia sfacciataggine, mi ha posato la mano sulla spalla e ha detto commosso che avrebbe voluto avere altri soldati valorosi come me. Ha detto, inoltre, che avrebbe voluto darmi una medaglia per il coraggio ma al momento non ne aveva ma avrebbe scritto ai suoi superiori per segnalare il mio ardimento" Lovino sente lo stomaco che si chiude e la bile che risale. Accartoccia la lettera con rabbia, vorebbe gettarla nel fuoco, ma alla fine la mette in tasca come un amuleto. Nonostante tutte le cose assurde ed inconcepibili che Feliciano scrive quella è la prova che è ancora vivo e quindi può essere salvato.
"Brutte notizie da casa?"
è ancora quel ragazzo di sangue spagnolo che pare molto interessato a farsi gli affari altrui.
"Non sono cazzi tuoi".
Antonio pare accusare il colpo: chiede scusa, non era sua intenzione impicciarsi delle sue faccende private, e torna a guardare il cielo stellato riprendendo lo stesso motivetto.
"
È spagnolo?" Lovino è incuriosito da quelle parole, che sembrano così simili all'italiano ma scivolano via più velocemente e portano con sé la sensazione del sole della Spagna.
Quello sorride nuovamente - ma non gli viene una paralisi facciale? - e annuisce "
È una canzone popolare: parla di una donna che ha visto il marito partire per la guerra e prega che ritorni sano e salvo. Appropriato, non trovi?" rimane in silenzio per un secondo prima di riprendere, gli occhi limpidi che appaiono ombrati da qualche fosco pensiero "La cantavo sempre per mio fratello minore".
"Anche lui è al fronte
?".
"Sì: è una leva del '96 proprio come te, ma è stato assegnato a nord" torna a fissare il cielo e adesso Lovino capisce che in realtà sta osservando la Stella Polare. Che sia un modo per far arrivare al fratellino la sua voce?
Prende un grosso respiro "Mio fratello minore è partito volontario appena ha compiuto diciotto anni e ora ha finito l'addestramento. Si è offerto per la prima linea qui e i comandanti non potevano credere alle loro orecchie: altra carne da macello, per di più spontanea" non sa perché stia raccontando ciò, ma gli pare la cosa giusta da fare, dopo la confessione dell'altro.
"Almeno tu potrai difenderlo" gli fa notare "Vorrei avere anch'io questa possibilità".
Lovino sente il "Mi spiace" salirgli sulle labbra, ma lo ingoia.
"
È stato bello parlare di nuovo con te, Lovino, ora vorrei riposare. Sveglia pure questi due: è l'ora del cambio" è tornato a sorridere, proprio come un bambino. Il ragazzo annuisce e quello si sdraia, non dopo aver pregato un po' e baciato il crocifisso che tiene al collo, e poco dopo dorme già.
Obbedisce alle istruzioni di Antonio per poi sdraiarsi accanto a lui, vicino al fuoco. Cade fra le braccia di Morfeo quasi immediatamente mentre ancora giura a se stesso che proteggerà il piccolo Feliciano a tutti i costi.

Le labbra di suo fratello, solitamente sempre aperte in un sorriso radioso, sono una linea retta, tesa fino allo spasmo.
Era arrivato un mattino presto, dopo un paio di giorni da quando Lovino aveva ricevuto la lettera, in una divisa troppo grande che mette in evidenza il suo fisico gracile che sembra poter essere spezzato da una folata di vento. Lo aveva abbracciato - non con il solito allegro trasporto - sollevando appena un angolo della bocca e poi si era subito informato su quando avrebbero sferrato un'offensiva.
L'eccessivo patriottismo l'avrebbe portato alla morte, questo Lovino lo sa bene e vuole evitarlo. Da quando è arrivato hanno sferrato due attacchi e si sono dovuti difendere tre volte dagli austriaci e Feliciano per poco non si era preso una pallottola nel cuore in uno di questi scontri: fortunatamente suo fratello era stato abbastanza rapido di riflessi per farlo spostare e, in cambio di un colpo mortale, era stato preso di striscio sulla spalla.
Il minore, inoltre, ha preso in simpatia Antonio e si siedono sempre accanto nelle pause del conflitto alché Lovino si vede costretto a sedere con i due per continuare a controllare il fratello.
"
È simpatico, gentile e cortese" gli dice una notte Antonio, mentre montano di guardia e Feliciano dorme tranquillo qualche metro più in là "Sei fortunato ad avere un fratello così".
L'altro mugugna per assentire, ben conscio di quel grosso regalo che la Fortuna ha voluto concedergli e per questo è terrorizzato di perderlo. Feliciano è il migliore dei tre Vargas: è un vero artista (gli intenditori d'arte trovano alcuni fra i suoi lavori "sublimi"), un ragazzo vivace, solare e allegro nel fiore degli anni. Se uno dei due deve proprio morire in questa guerra, Lovino si offrirebbe spontaneamente alla Nera Signora per salvarlo.
Assorto in questo cupo pensiero, viene riportato coi piedi per terra dal comandante che annuncia un nuovo attacco. Feliciano salta in piedi e imbraccia il fucile portandosi affianco del fratello e del nuovo amico. Quando ordinano di avanzare è uno dei primi che scavalca agilmente il filo spinato e avanza a testa alta lungo i metri che lo separano dalla trincea nemica; Lovino, nonostante solitamente aspetti qualche secondo prima di lanciarsi all'attacco, insegue prontamente il fratello che continua a correre verso la meta e infine salta dentro la fossa. Rimane sempre incantato e spaventato nell'osservare il repentino cambio di personalità di Feliciano: in condizioni normali non farebbe male ad una mosca, ma in battaglia semina il panico fra i suoi avversari e li uccide senza pietà, proprio come questa guerra vuole.
Ancor prima di sentirlo, lo sparo, Lovino ne ha il presentimento: proprio come i gemelli che dicono di condividere un legame speciale e se uno soffre anche l'altro ne risente, l'italiano si sente morire. Si volta verso il fratello, alla sua destra, e lo vede cadere in ginocchio mentre dietro di lui appare un austriaco con gli occhiali che tiene in mano la pistola fumante che ha terminato la breve vita di Feliciano Veneziano Vargas. Con gli occhi sgranati, nota che non è un austriaco con gli occhiali qualsiasi, ma l'austriaco con gli occhiali a cui ha salvato la vita nemmeno un mese prima.
È un attimo. Lovino Romano Vargas ruggisce come un leone ferito ma ancora combattivo e fa un passo in avanti verso l'austriaco che nel frattempo l'ha riconosciuto. "Tu!" urla dimezzando la distanza ad ampi passi "Tu, brutto figlio di puttana, hai ucciso mio fratello! È questo il ringraziamento che si usa dalle vostre parti?". L'austriaco capisce, sgrana gli occhi e guarda l'arma. Apre la bocca per tentare di dire qualcosa e preso dal panico alza il braccio per puntare nuovamente, ma viene gettato a terra prima che possa fare alcunché dall'italiano che inizia a prenderlo ferocemente a pugni: non vuole ucciderlo subito, sarebbe troppo clemente da parte sua, ma vuole fargli provare un minimo del dolore nel petto che sente e che gli fa sanguinare il cuore ad ogni battito. Tira fuori la pistola dalla cintura, quella che il nonno aveva usato durante la spedizione per combattere i Borbone sotto il comando di Garibaldi e che gli ha regalato prima di partire per il fronte, mentre l'austriaco balbetta un "Mi spiace, non lo sapevo! Ti prego, non uccidermi: ho una moglie e un figlio piccolo a casa!" per poi sparargli a bruciapelo nella croce degli occhi.
Rimane fermo, immobile. Potrebbe morire proprio adesso e non se ne accorgerebbe, forse sarebbe una liberazione dal dolore che gli opprime il petto e non lo fa respirare bene. Poi inizia a piangere, prima piano e silenziosamente poi il velo di lacrime diventa così spesso che non vede più il volto insanguinato dell'austriaco sotto di sé e i singhiozzi sono così forti che attirano l'attenzione dei soldati nelle vicinanze. Due mani forti e calde lo sollevano dal cadavere e lo trascinano in un angolo riparato e nascosto nel buio dove - forse - sarebbero stati al sicuro dai proiettili vaganti: Antonio lo stringe a sé facendogli affondare il viso nella divisa sporca - di fango? Di sangue? - dove le lacrime e i gemiti muoiono sulla stoffa grezza. Gli posa un palmo sul collo, all'attaccatura dei capelli ramati, e l'altro sulla schiena scossa da brividi mentre il viso si appoggia sull'elmetto del giovane Vargas per circondarlo con il suo calore da ogni parte.
Rimangono così per un tempo infinito, Lovino che urla per sfogare il dolore riempendo di pugni innocui il petto dell'altro e Antonio che subisce in silenzio e cerca di tranquillizzarlo con lievi carezze nei punti dove poggiano le sue mani, poi odono chiaramente il "Ritirata!" impartito dai comandanti che inutilmente avevano tentato di sfondare la trincea dietro quella conquistata. Si separano di scatto e il maggiore si arrampica per primo seguito poi dall'altro che si era attardato un secondo a chiudere gli occhi al fratello - ancora sgranati per la sorpresa - e aver sottratto il portafoglio all'austriaco con gli occhiali - che tanto, a lui, non serve più.

Roderich Eldestein.
Seduto accanto al fuoco e ad Antonio, Lovino rigira fra le mani il documento d'identità che ha ritrovato piegato in quattro nel portafoglio. Roderich Eldestein, nato a Vienna il 26/10/1889.
Accartoccia il foglio e lo getta fra le fiamme, condannandolo così - in mancanza di qualcuno che lo riconosca - ad una sepoltura anonima ed indecorosa, lontana dalle lacrime dei familiari. Estrae anche una foto in bianco e nero: un uomo e una donna, il primo - in piedi dietro la sedia su cui siede lei - nella divisa militare austriaca, mentre la seconda in eleganti abiti borghesi. Sul retro, in una calligrafia elegante, è riportato "Franz und Margherita Eldestein" che devono essere i genitori dell'austriaco. Dunque conosceva l'italiano perché sua madre lo è.
C'è un'altra foto che ritrae una giovane donna dai lunghi capelli scuri, sorridente, che tiene in braccio un bimbo di un anno, forse uno e mezzo. Dietro, la scritta "Elizaveta und Karl
* Eldestein" probabilmente la moglie e il figlio piccolo ai quali si era appellato l'austriaco per ottenere un'altra clemenza.
Lovino osserva attentamente la fotografia, ma non la riesce a vedere realmente, la lancia il più lontano possibile e si copre il viso con le mani ancora sporche. 
È colpa sua, se Feliciano è morto, è tutta colpa sua: per non vedersi come un mostro negli occhi di quell'austriaco aveva condannato il suo amato fratellino a morte. Antonio smette di stringere le fasciature alle mani - si è tagliato i palmi col filo spinato per aiutarlo durante la ritirata - e gliene poggia una sul capo, libero dall'elmetto. "Lovino..." tenta ma viene azzittito ferocemente dall'interpellato che cerca di togliersi le dita del ragazzo, intrecciate alle sue ciocche ramate.
Il corriere interrompe la schermaglia allungando una lettera verso il più anziano. Lui si guarda le mani, con i tagli profondi che già macchiano inesorabilmente le bende, e fa cenno di consegnarla all'altro. "Perché cazzo l'hai fatta dare a me? Prenditi la tua fottutissima lettera e vai al diavolo!" strepita Lovino, appena il corriere se ne va, sventolandogliela sotto al naso.
"Se la prendessi in mano la sporcherei di sangue e le parole verrebbero coperte. Potresti leggermela tu? Per favore" la voce di Antonio diventa sempre più bassa fino ad arrivare ad un roco sussurro.
Lovino deglutisce, la rabbia, il dolore e la frustrazione spariti - o per lo meno accantonati - nell'udire quel tono inaspettato. Gli osserva le mani, la macchia di sangue che si allarga fin troppo velocemente per il palmo. "D-Dovresti andare in infermeria" gli consiglia "Ti potrebbe venire una setticemia e moriresti nel modo più idiota che io abbia mai visto finora".
"Morirei per aver aiutato un amico nella ritirata: se non c'è un minimo di cameratismo fra di noi, la guerra non la vinceremo di certo. Andrò dopo in infermeria, prima leggi la lettera".
Il più piccolo lo guarda seccato - maledetto testardo! - e sbuffa ma fa come gli è stato chiesto: gira la busta e "José Fernandez Carriedo
*" legge il mittente.
"Mio fratello" a quel nome Antonio si sporge verso di lui, preoccupazione e curiosità che appaiono contemporaneamente sul suo volto.
L'apre con cautela, inghiottendo la bile che gli sta salendo in gola per via della vocina nel suo cervello che gli dice che lui non riceverà più lettere da Feliciano, e tira fuori i tre fogli che la compongono. "Ma è in spagnolo!" si lamenta riconoscendo la lingua "Dovrai fare da solo, io non lo ho mai studiato".
"Prova a leggerlo con un accento convincente" sorride, divertito all'idea "Riuscirò a capire, fidati".
"Vuoi prenderti gioco di me, bastardo?" sbotta piccato.
"Non lo farei mai" si mette a ridacchiare socchiudendo gli occhi. Lovino gli sferra un pugno sulla spalla, irato, e quello si lascia sfuggire un gemito di dolore. "Come sei permaloso" si lamenta massaggiandosi il punto dolente.
L'interpellato incrocia le braccia e gira il volto verso destra, dandogli le spalle. "Stupido bastardo" borbotta solamente.
Antonio sorride di nuovo. "Vado in infermeria prima che muoia nel modo più idiota che tu abbia mai visto finora" si alza spazzandosi i pantaloni della divisa pieni di briciole della sua galletta.
"E la lettera?" si volta di scatto, guardandolo perplesso.
"La leggerò domani. Meglio se ti riposi, Lovino: all'alba dobbiamo attaccare" gli occhi smeraldini brillano gioiosi mentre gli scompiglia i capelli ramati con una mano, affettuosamente, per poi avviarsi verso la casa coloniale che è stata trasformata in infermeria.
Lovino si stende accanto al fuoco e chiude gli occhi, in attesa che la stanchezza e le troppe emozioni facciano il loro corso. Si addormenta solo quando avverte il calore del corpo di Antonio vicino al suo.

Apre gli occhi, confuso, spaesato. La testa gli fa male, proprio come se fosse stata messa fra l'incudine e il martello, e non ricorda niente di niente.
Storce la bocca fissando il cielo notturno, trafitto da milioni di stelle, con la luna piena che rischiara la terra con la sua pallida luce soffusa. Dove diavolo si trova? Non è nella trincea, questo è sicuro: non avverte il calore del fuoco - ha sempre avuto l'abitudine di addormentarsi vicino ad un falò, fin dal primo giorno che è arrivato alla frontiera - né il russare dei connazionali che si godono qualche ora di meritato riposo. C'è solo tanto silenzio.
Poggia meglio il palmo per terra e spinge per puntellarsi sul gomito in modo da poter studiare meglio il terreno circostante. Cattiva idea: un dolore lancinante all'altezza della spalla lo costringe a crollare nuovamente sul fianco e per non bestemmiare Lovino si deve mordere il labbro inferiore con talmente tanta forza da farlo sanguinare. Si pulisce l'altra mano sulla divisa per poi andare a sfiorare la parte dolente: la stoffa è bagnata e anche adesso fra le sue dita scorre il sangue. Trarre la conclusione da questi due indizi, la mancanza dei rumori della trincea e la ferita, è alquanto elementare: è stato colpito in battaglia e, creduto morto, lasciato nella terra di nessuno. Se provasse ad alzarsi sia austriaci che italiani, nel dubbio, gli sparerebbero senza esitazione.
Gli viene da sorridere: se riuscisse a strisciare, senza farsi notare, fino alla parte italiana sarebbe salvo e rimandato dal nonno e Giorgio per via del suo infortunio. Ha la perfetta via di fuga senza incorrere nel rischio di fucilazione per auto-mutilazione. Storce la bocca quando si ricorda che, in tutta probabilità, lo trascinerebbero in tribunale da dove sarebbe uscito cadavere, per aver strisciato.
Che fare? Deve tornare fra le file italiane prima che, nella peggiore delle ipotesi, gli austriaci conquistino permanentemente la loro postazione lasciandolo così in balia del nemico che lo spedirebbe in qualche campo di lavoro forzato a migliaia di chilometri dall'Italia. Non ha ancora un piano preciso in mente, ma sarebbe più semplice pensarci senza quel fastidioso mal di testa che continua a dargli il tormento...
Poi ricorda: la grappa. Quei maledetti comandanti, per cancellare i timori e renderli più disposti a lanciarsi in un attacco particolarmente suicida, avevano fatto fare un giro di grappa a tutti i soldati della brigata e Lovino non regge particolarmente bene l'alcool. Ricorda vagamente - se si sforza di dissipare la nebbia che avvolge le memorie della mattina - che si era sentito più leggero e spavaldo e tutto era andato bene per un po', ma poi doveva essersi sentito stanco e affaticato con i primi dolori al capo che l'avevano reso vulnerabile come un bimbino in fasce. Deve essere stato colpito in quel frangente e lasciato lì, creduto morto: magari proprio adesso il corriere sta partendo dalla trincea in direzione di Roma per avvisare Ottavio Augusto Vargas
* che i suoi due nipoti sono entrambi morti per portare gloria alla Patria.
No, non può permettere che consegnino la notizia che ucciderà il nonno di dolore per la perdita del suo adorato Feliciano e di Lovino e lascierà quindi il piccolo Giorgio da solo, orfano senza parenti, in un mondo tanto ostile, non l'avrebbe permesso finché avrebbe avuto respiro. Rinvigorito da questo proposito, Lovino cerca di rialzarsi un'altra volta ma deve tornare a fingere di essere morto avvertendo dei soldati - venuti a prendere i compagni caduti
*
approfittando delle tenebre - confabulare un po' più in là, troppo lontani per capire se sia in italiano o in austriaco.
Uno gli si avvicina, i passi lenti e silenziosi per non attirare i tiratori di ambe le parti. Lovino chiude gli occhi e rilassa i muscoli per apparire morto sperando che il soldato non indugi troppo nelle sue vicinanze. Trattiene il respiro quando sente il ginocchio di quello scricchiolare mentre si accovaccia vicino a lui per esaminare la divisa e capire di che esercito faccia parte.
"Ho trovato un altro dei nostri" Antonio! L'italiano non è mai stato così contento di sentire la sua voce e socchiude le labbra per dirgli che è lui ed è ancora vivo quando avverte il suo dito, con un tatto pazzesco, premere senza troppi complimenti sul foro lasciato dal proiettile austriaco. Il dolore è troppo intenso per essere trattenuto e Lovino urla forte scattando a sedere attirando su di sé le attenzioni dei soldati imperiali.
"Ma cos-?" Antonio si vede resuscitare un morto ma si butta con prontezza per terra per evitare i proiettili, trascinando con sé il ferito.
"Stupido bastardo idiota e deficiente" gli urla quello "Cosa cazzo vai a tastare? Ti va di volta il cervello? Sempre ammesso che tu ne abbia uno, cretino!".
"L-Lovino?" balbetta riconoscendo la voce e, ora che sono aperti e scintillanti di rabbia e di lacrime di dolore, gli occhi ambrati "C-Che cosa ci fai qui?".
"La siesta, mi piace dormire nella terra di nessuno" il ragazzo lo fulmina con lo sguardo, minaccioso "Tu inveci raccogli le margheritine di notte? Che cazzo combini fuori dalla trincea a quest'ora?".
"Volevamo dare degna sepoltura ai nostri morti. Non mi aspettavo che tu fossi qui, ferito, anche se questo spiega perché non ti trovavo da nessuna parte".
Lovino fa schioccare la lingua sul palato, incerto se chiedergli se davvero lo avesse cercato per tutta la trincea, ma alla fine opta per un più caustico "Ora che ci hai fatto scoprire, genio, come pensi di tirarmi fuori da questo casino?".
"Tirarti?".
"Hai capito benissimo, bastardo" il tono non è acido come vorrebbe, ma è pur sempre molto velenoso.
Antonio si porta le mani alla testa che nasconde nella terra per schivare la traiettoria di un proiettile "Dobbiamo aspettare che si scordino di noi e poi, forse, riusciremo a raggiungere la trincea".
"Quante probabilità ci sono realmente che gli austriaci si dimentichino di noi?" domanda, le parole che escono sempre più faticosamente dalle sue labbra.
"Poche" prende un respiro "Direi quasi nulle".
"Bene" Lovino inizia a sentirsi un po' stanco. Sbatte le ciglia con forza per scacciare quell'innaturale torpore che si insinua nelle sue membra dovuto al sangue che la sua ferita continua a gettare "Davvero meraviglioso. Mio nonno morirà d'infarto a sapere che il suo perfetto nipotino ed io siamo morti".
"Tu non morirai, non lo permetterò" la voce dell'altro è decisa, gli occhi smeraldini che brillano di una luce sicura, proprio come se fosse un giuramento.
Chiude gli occhi - solo per un secondo, le palpebre sono tanto pesanti - e "Sapevo che sarei morto qui, in trincea, l'ho sempre saputo" sorride amaramente alzando il braccio per poi pigiare pigramente la mano, sporca di fango, sulla parte lesa aumentando così le probabilità di una setticemia. Così morirebbe lui nel modo più idiota che abbia mai visto.
Uno strappo e le mani di Antonio che levano la sua. "Apri gli occhi" stringe la benda improvvisata più strettamente sulla spalla "Non addormentarti".
Lovino li socchiude, assonnato, cercando il suo sguardo nella penombra "Come posso addormentarmi se mi strilli in un orecchio? Non sono ancora sordo, Antonio".
"Resta con me. Parla, dimmi tutto quello che ti passa per la testa, insultami pure se vuoi, ma non dormire".
Il ferito arriccia le labbra in una smorfia buffa che strappa un sorriso divertito al maggiore. "Stavo pensando..." biascica piano piano, le forze che iniziano a scivolare via dalle sue membra, lanciando un'occhiata distratta alle fredde luci delle stelle "La lettera di tuo fratello. L'hai letta?".
"Ho detto che devi parlare tu, non io" gli ricorda, corrugando le sopracciglia.
"Rispondi a questa domanda e poi ti insulterò da adesso fino all'alba. Anche dopo, se vuoi, per me sarà un piacere farlo".
Antonio ridacchia leggermente e "Sì, l'ho letta. Spero che non ti dispiaccia se ho approfittato del tuo stomaco come cuscino, ma eri davvero comodo".
"Tu cosa?" Lovino lo fissa, le guance ardenti come due tizzoni.
"Ora tocca a te. Avrò il piacere di essere insultato per tre ore, che meraviglia!" si mette comodo incrociando le braccia dietro la testa mentre un altro proiettile passa vicino a loro.
Essendo un uomo di parola, il ragazzo dà sfoggio del suo vocabolario degno di uno scaricatore di porto particolarmente volgare seppure la sua voce non sia energica come converrebbe per usare quelle parole. L'altro le incassa tutte, senza battere ciglio, anzi ridendo di tanto in tanto della sua creatività.
Dopo un po', proprio quando la voce del più piccolo inizia a vacillare, Antonio lo scuote per un braccio e gli sussurra "Proviamo ad andare". Lovino non commenta, inizia davvero ad essere troppo stanco perfino per insultarlo, e si lascia guidare dall'altro come una bambola dalle mani della sua piccola proprietaria. Traendo vantaggio da una grossa nuvola che nasconde la luna piena, il maggiore si alza sollevando il ferito con sé e inizia a correre verso la trincea amica.
Ed è vicina - così vicina che Lovino quasi si illude che forse sopravviverà a questa notte - quando Antonio urla di dolore e si accascia a terra, colpito da un austriaco che ha notato il loro movimento. "M-Mi spiace" geme, una mano che cerca di tamponare la ferita sulla schiena e l'altra che si allunga disperatamente verso quella del compagno che giace vicino a lui. Il ragazzo sospira, ma non rifiuta il contatto "Smettila di scusarti" chiude gli occhi intrecciando le sue dita con le altre che iniziano ad essere innaturalmente fredde "Sei irritante".
"Scusa" anche la sua voce è ormai un sussurro.
Lovino vorrebbe replicare, ma la voce e il respiro gli muoiono in gola. Dietro le palpebre chiuse, vede Feliciano, avvolto in una luce abbagliante, sorridergli gioioso e tendergli la mano "Dai, fratellone, vieni a tavola! La mamma ha preparato il tuo piatto preferito" e poi si mette a correre verso l'orizzonte indefinito ridendo come il bambino che era e che è sempre rimasto.
Lovino lo segue senza incertezze o ripensamenti, un sorriso soddisfatto sulle labbra: è davvero una vita che non fa un pasto decente!

"Niente di nuovo al fronte: l'attacco sferrato dalle nostre coraggiose truppe è stato per tre volte respinto dall'esercito imperiale che conserva saldamente le proprie postazioni. Nell'offensiva, centosettantatré Italiani hanno perso la vita e ottantasette sono stati feriti. Esultate, Italiani, per questi nostri bravi fratelli che non hanno esitato a immolare se stessi per il bene della sacra Patria e per la gloria della Nazione!".

* - Giorgio Vargas è il nome che mi sono inventata per Seborga. Giorgio è il nome del primo "sovrano" del Principato. (Metto le virgolette in quanto, sia de jure che de facto, la sovranità su Seborga è ancora dello Stato italiano)
* - La frase in corsivo è uno "slogan" che spadroneggiava ai tempi in cui Cadorna era il capo del Regio Esercito.
* - La mobilitazione completa delle leve del 1896 iniziò nel novembre 1915. Per questo Antonio capisce immediatamente di che anno è Lovino.
* - C'è una motivazione ben precisa dietro ai nomi che ho scelto per i parenti di Roderich: Franz, il padre, ha lo stesso nome del primo Imperatore d'Austria (Francesco I) così come il figlio, Karl, ha il nome dell'ultimo (Carlo I); la madre, Margherita, ha il nome della nostra Regina più famosa.
* - Così come mi sono inventata di sana pianta il nome di Seborga, ho fatto lo stesso per Portogallo a cui faccio interpretare il fratello minore di Antonio. José è semplicemente uno dei nomi portoghesi più comuni.
* - Dicasi lo stesso per il caro vecchio Nonno Roma. Una delle variazione di Ottavio è Ottaviano, in onore del primo imperatore dell'Impero Romano, e Augusto, be', mi pare abbastanza ovvio.
* - In guerra non si aveva pietà per i morti o i feriti (questi ultimi venivano soccorsi di notte, dopo ore e ore di attesa, da coraggiosi barellieri anche se molti alla fine morivano per infezione). Ogni tanto si proclamava un ufficioso armistizio per raccogliere i caduti ma solitamente andava a finire che italiani e austriaci si sparavano contro dopo poco lasciando sulla terra di nessuno un numero ancor maggiore di morti e di feriti.
  
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