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Autore: BellinianSwan    15/01/2013    5 recensioni
Mi sono sempre chiesta: "E se Leopardi avesse incontrato la donna giusta per lui? Cosa sarebbe successo? Lui come avrebbe reagito? Ma soprattutto, dove e quando avrebbe potuto incontrarla?" Eccovi una storia d' amore all' infuori da tutte le altre, dove l' amore fisico non conta, dove non esistono atti sessuali, l' amore più puro che esista. Spero vi piaccia! Buona lettura!
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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Un anno dopo il matrimonio. Non era cambiato nulla, era tutto statico come la stagione morta e fredda dell' inverno che era appena passato. Il sole un po' meno timido ora riscaldava con più forza le gelide terre della provincia di Macerata. La neve già cominciava a sciogliersi e il bianco che aveva regnato per sette lunghi mesi adesso lasciava colore alla Natura e al giallo antico dei palazzi e delle case e il rosso dei tetti. Era una tiepida mattina di fine inverno e il piccolo paese era più vivo, la gente si godeva di quell' aria un po' più calda. I ragazzini correvano più volentieri per le strade di pietra e il vociare tornava ad occupare il silenzio, gli zoccoli dei cavalli e le ruote delle carrozze, i tacchi di una bella dama riecheggiavano per le strette vie di Recanati. Il poeta marchigiano come a suo solito si svegliava tardi, poi faceva la sua colazione leggera, si vestiva e andava a godersi dell' aria pulita che c' era fuori ad ascoltare il cantare degli uccelli sugli alberi. Ma da quella mattina sarebbe stato diverso.

Quello sarebbe stato un giorno speciale, la data che avrebbe cambiato le loro vite definitivamente regalando loro la gioia di un figlio. Elizabeth non aspettava altro che poter essere madre, per quanto sapesse che quel bimbo non sarebbe stato sangue del suo sangue già lo amava. Davanti allo specchio si diede un'ultima sistemata prima di scendere al piano di sotto dove suo marito l'attendeva impazientemente. Gli sorride e con voce melodiosa cinguettò:

  • E' arrivato il grande giorno, amor mio....

  • L' attesa mi sta uccidendo...

    Disse sorridendo mentre la moglie gli si avvicinava, le stampò un dolce bacio sulle labbra e poi le porse il braccio, la carrozza li attendeva fuori.

  • Andiamo?

  • Andiamo

    Ricambiò il sorriso. Forse per Giacomo quell'adozione significava molto di più di quanto Elizabeth potesse percepire, era la prova che nonostante tutto poteva avere una vita normale, felice come tutti gli altri. Montarono in carrozza, Elizabeth prese una mano del marito fra le sue e riprendendo a guardarlo con i suoi grandi occhi da bambina disse:

  • Sono curiosa di conoscerlo.

    Avrebbe preferito un maschio ed in cuor suo era certa che tale sarebbe stato.

  • Beh... potrebbe anche essere una bambina...

    Disse spostando lo sguardo da vuoto davanti a sè ai grandi occhi blu della moglie.

  • Tu desidereresti un maschio?

    Strinse appena la sua mano.

  • Non nego che desidererei un maschio, ma chiunque sia sarà una grande gioia poterlo accogliere come figlio. - sorrise - E tu cosa preferiresti?

    Giacomo non gliel'aveva mai confessato, forse semplicemente perchè avevano sempre fatto cadere l'argomento per paura di intristirsi a vicenda.

  • Io... non lo so... sinceramente... - Sorrise enfatizzando l' ultima parola. - Si vedrà appena saremo lì all' orfanotrofio.

    Giacomo non stava nella pelle, per lui la carrozza sembrava non arrivare mai, mentre mille pensieri invadevano la sua mente ingegnosa e complicata. Come si sarebbe dovuto comportare? Loro figlio si sarebbe mai potuto trovare bene con loro due? Questi ed altri misteri simili lo tormentavano. -

  • Anche se... sarebbe gradevole avere una bambina...

    Disse dopo aver posato nuovamente lo sguardo nel vuoto, risvegliandosi dai suoi pensieri.

La carrozza si fermò lungo il vialetto, davanti a loro un tetro e grigio edificio da cui provenivano delle grida.

  • Non posso credere che questi piccoli siano costretti a vivere rinchiusi li dentro... - Disse Elizabeth prima di scendere. - Non lo augurerei neppure al mio peggior nemico.

Giacomo scese dopo di lei, aggrappandosi al cocchiere.

  • Avrei preferito decisamente vivere in un orfanotrofio come questo che in un palazzo assai più tetro con un padre e una madre come i miei..

    Sbottò con la sua voce fioca, sussurrando. Poi porse il braccio alla moglie.

  • Ci siamo...

Mai e poi mai, Elizabeth avrebbe preferito Adelaide e Monaldo, per quanto essendo subentrata in quella famiglia solo da poco non aveva una visione completa della situazione. Sorrise al marito.

  • Si, ci siamo..

    Entrarono e vennero accolti dall'arcigna e raggrinzita direttrice dell'orfanotrofio, donna che non ispirava alcuna fiducia ad Elizabeth.

Giacomo sentì il suo già debole cuore dalla salute precaria, farsi una briciola davanti a quella suora che sembrava essere la Madre Superiora, dagli abiti che indossava. Cercò di parlare ma dalle sue labbra non uscì che una vocale strozzata, così strinse la mano alla moglie, facendole capire che sarebbe stato meglio se avesse cominciato lei a parlare.

  • Siamo i conti Leopardi, credo ci steste aspettando, siamo venuti per l'adozione.

    Si limitò a dire Elizabeth in maniera gentile pur evitando sorrisi e troppe moine. Non era il genere di donna in grado di farlo.

Quella sua bocca rugosa si allargò in un sorriso gentile, quasi di devozione.

  • Ah, sì... I bambini sono nelle classi, a quest' ora.. ma tra qualche minuto le lezioni finiranno. Nel frattempo, venite nel mio studio, signori Conti, attendiamo insieme.

    Li guidò fino alla stanza e li fece sedere davanti a una possente scrivania in mogano, su delle sedie in pelle beije e struttura dorata. Sul pavimento spiccava un tappeto rosso e tutt' intorno ricopriva le pareti bianche scaffali pieni zeppi di libri: "un tentativo di copiare la biblioteca di Monaldo Leopardi" avreste detto. La vecchia suora si sedette dietro la scrivania, scrutando i coniugi coi suoi occhi celesti e lo sguardo quasi involontariamente truce. Giacomo continuava a sentirsi messo in soggezione da quella figura così austera, capace di far piangere anche il più duro degli uomini, figuriamoci i bambini.

  • Dunque, avete già un' idea sul bambino o bambina che volete adottare?

    Chiese con la sua voce che ricordava quasi quella di una strega, quale era.

  • Eravamo indecisi se prendere un bambino o una bambina... comunque ne vogliamo adottare uno soltanto.

    Sibilò Giacomo con una voce più fioca del solito.*

  • ... L'unica richiesta che avremmo è quella di poter adottare un bambino ancora abbastanza piccolo, spero che non vi crei troppo disturbo.

    Proseguì Elizabeth con voce squillante una volta accomodatasi elegantemente sulla sedia. Riuscì a percepire che anche la monaca non provava molta simpatia per lei. Era certa che come la maggior parte dei rigorosi chierici vedesse erroneamente in lei l'innocenza di una bambina incapace di occuparsi di qualcuno, dedita esclusivamente ai piaceri delle vita.

  • Ce ne sono diversi qui di bambini piccoli.. La maggior parte hanno tutti quattro o cinque anni... vi va bene come età?

    Giacomo guardò la moglie:

  • Per me va bene... e per te?

Elizabeth non ebbe il coraggio di dire che quattro o cinque anni le sembravano troppi.. Ma cosa poteva pretendere? Un neonato sarebe stato impossibile trovarlo.

  • Sì certamente.

    Abbozzò un piccolo sorriso sperando di apparire convincente.

Una campana un po' lontana trillò rompendo il silenzio e le cantilene delle interrogazioni, seguì un vociare e rumori di sedie che venivano spostate, poi dei passi svelti sulle mattonelle di marmo, sussurri e rimproveri lontani: le lezioni erano terminate. La suora sorrise, e guidò i coniugi fuori dall' ufficio. Le altre suore fecero ordinare tutti i bambini nei dormitori divisi, un' ampia stanza dove ai due lati si trovavano i letti a file. Ogni bambino si trovava davanti al proprio letto, ordinato nella sua divisa: le femmine indossavano una veste grigia dal colletto bianco che richiamava il saio delle suore, i maschi una camicia bianca, cravatta nera, scarpe e pantaloni dello stesso colore. I coniugi entrarono guidati dalla severissima Madre Superiora.

  • Signori Conti, a voi l' imbarazzo della scelta.

    Giacomo rimase immobile, scrutando quelle creature innocenti.

  • Elizabeth.. - Sussurrò alla moglie. - Non mi interessa mantenere il Nome...

    Sperò che avesse capito a cosa alludeva.

La prima reazione fu quella di prendere a schiaffi la madre superiora. L'imbarazzo della scelta, come se quei bambini fossero merce da vendere al migliore offerente. Il suo cuore si sciolse nel vedere quella serie di visini angelici l'uno di seguito all'altro, quei grandi occhi tristi che li osservavano. Giacomo aveva esplicitamente espresso il desiderio di volere una femmina, non gli importava di mantenere il nome. Non avrebbe obiettato, in fondo glielo doveva, dopo tutto quello che avevano passato in quell'anno era giusto che fosse lui a scegliere.

  • Va bene caro..

    Sorrise gentilmente a ciascuna delle bambine, alcune di loro erano affascinate dal suo modo di essere dalla sua grazia, dai suoi vestiti, non potè non notarlo.

Giacomo quasi si commosse vedendo quei piccoli angioletti così tristi e silenziosi, aspettavano solo di poter lasciare quel lugubre luogo e vivere al caldo in una famiglia che si sarebbe presa cura di lui o lei e avrebbe finalmente mangiato pasti caldi e più guastosi e magari avrebbe avuto degli insegnanti meno severi... Elizabeth lo aveva superato, misurando la sala a piccoli e lenti passi guardando ogni bambina e scrutandola attentamente con sguardo benevolo. La suora rimase sulla soglia attendendo pazientemente, poi anche Giacomo volle dare un' occhiata e cominciò a camminare lentamente davanti alle bambine tenendo le mani incrociate dietro la schiena curva, le più piccole ne erano incuriosite e forse anche le ragazze e le ragazzine, solo che per non sembrare indiscrete non mostravano la curiosità. Improvvisamente venne colpito da due grandi occhioni azzurri che sembravano implorare di scegliere lei, una graziosissima bambina che sembrava avesse circa cinque anni, nascondeva un polso con la mano, si intravedevano dei segni scuri, dei lividi, lungo le sottili e candide braccine, qualche graffio leggero sul collo, il volto pallido. Giacomo si era fermato davanti a lei, la bambina, intimidita abbassò appena lo sguardo. Giacomo allungò una mano per sfiorarle il visino, ma lei impaurita si allontanò, abbracciandosi alla ragazza più grande vicino a lei. Giacomo ne fu dispiaciuto, quella bambina doveva venire maltrattata per comportarsi in quel modo.

  • Piccina... non aver paura. - Le sorrise dolcemente. - Dimmi, come ti chiami..?

    La bambina non rispose tenendo lo sguardo basso e stringendosi di più alla ragazza che cercava di tranquillizzarla con delle carezze sui capelli color castano chiaro.

  • Si chiama Silvia, signore..

    Rispose la ragazza guardando tristemente la bambina. Silvia... che nome perfetto per una così bella bambina!

Elizabeth le scrutò una ad una, era impossibile scegliere, non ce l'avrebbe mai fatta se non ci fosse stato un qualche intervento divino. Ed eccolo, bastò un nome, quel nome che suo marito diceva di amare tanto a farle capire quale fosse la bambina giusta. tornò indietro si affiancò a lui e si accovacciò a terra per poter raggiungere l'altezza della piccola ancora abbracciata alla compagna.

- Silvia, ti piacerebbe venire con noi?

Domandò incapace di cammuffare il suo buffo accento inglese, che fece sorridere la bambina poichè mai lo aveva sentito in vita sua prima di allora.

Giacomo tentò di trattenere la commozione e si tamponò con un lesto movimento le palpebre inferiori con un fazzoletto ch' estrasse dalla tasca della finanziera. La bambina piano si staccò dalla compagna e guardò la donna, aveva voglia di abbracciarla forte, di chiamarla già mamma, come se fosse stata la sua madre biologica e non adottiva, ma sentiva che l' avrebbe voluta bene ugualmente, con tutta sè stessa. Poi si lasciò trasportare dalle emozioni, si avvicinò a lei e l' abbracciò cingendole il collo con le braccia e poggiando il capino sulla spalla di Elizabeth, scoppiò in lacrime e sussurrò al suo orecchio:

  • Non voglio più stare qui... vi prego, portatemi con voi..

    Giacomo si avvicinò e delicatamente le sfiorò i riccioli.

  • E' deciso. Ti adotteremo.

    La bambina sentendo quelle parole alzò il capo e guardò con gli occhi inumiditi dalle lacrime quello che tra pochi istanti sarebbe stato suo padre, gli sorrise felice.

Elizabeth strinse a sé la piccola cercando di trasmetterle fin da subito tanto amore.

- Verrai via con noi cara.

Le carezzò i riccioli provando così a placare le sue lacrime. Quando la bambina sciolse quel lungo abbraccio, la sua nuova mamma le sorrise.

- Adesso noi andiamo a parlare con la madre superiora, tu saluta le tue amiche e prendi le tue cose, torneremo tra pochissimo.

Le carezzò con dolcezza il visino e dopo aver atteso un suo cenno del capo tornò a rizzarsi in piedi per concludere rivolta all'austera monaca:

- Abbiamo preso la nostra decisione

Lui rimase sulla soglia, mentre Elizabeth uscì fuori raggiungendo la vecchia suora che nel frattempo si era allontanata in un secondo momento per lasciare soli i coniugi. La Madre Superiora guidò la Contessa nel suo studio e prese l' attestato d' adozione da un cassetto della scrivania, lo poggiò su di essa e lo avvicinò alla donna, per poi intingere la penna nell' inchiostro e porgergliela.

- Voi e Vostro marito dovete compilare e firmare questo documento e la sua copia, uno dei due rimarrà qui, l' altro dovrete tenerlo voi.

Disse con la sua freddezza. Nel frattempo il poeta le aveva raggiunte tenendo per mano la piccola Silvia che reggeva con la mano libera la sua piccola e ormai lacera valigia. Firmò anche lui, con la sua calligrafia ordinata, elegante e minuta.

Elizabeth si sbrigò a compilare quelle scartoffie, non aveva intenzione di restare lì dentro un minuto di più in presenza di quella irritante ed algida monaca. Conclusi, quelli che la madre superiora avrebbe definito senza troppi problemi "affari" si accinsero a lasciare l'edificio. Elizabeth affiancò il marito e quella da poco più di due minuti era diventata loro figlia. Le porse la mano ed una volta usciti dalla porta le disse:

- Adesso andiamo a casa...

Salendo in carrozza, Elizabeth ripensò ai tanti visi di bambini scrutati, il suo cuore era combattuto fra la gioia e la tristezza, il suo istinto le diceva che non avrebbero potuto limitarsi ad aiutare Silvia, avrebbero divuto in qualche modo sostenere anche gli altri orfani di quella struttura. Prima di andarsene Giacomo aveva lasciato una cospicua offerta per gli altri bambini e poi aveva seguito la moglie fuori dall' istituto, insieme a loro figlia. Quando ad un tratto vide la piccola stentare i passi e stette per accasciarsi per terra, fortunatamente Giacomo la prese tra le braccia stringendola a sè.

- Piccina mia, cos' hai?

Chiese impaurito. Prontamente Elizabeth si accovacciò vicino alla bambina.

- Silvia, da quanto non mangi?

La domanda le venne spontanea, non aveva potuto evitare di notare che le bambine erano una più magra dell'altra, cosa che le aveva fatto intuire che forse non veniva fornito loro abbastanza cibo.

- Da ieri..

Sussurrò timidamente la bambina. Indignata prese in braccio la piccola, evitando così di far sforzare eccessivamente Giacomo. Cercò di far sbollire la rabbia e poi guardando il marito concluse.

- Il viaggio fino a casa è troppo lungo, dobbiamo fermarci in una locanda...

- N-non so proprio...

Si avvicinò al cocchiere e chiese della locanda più vicina, quello rispose di conoscerne una abbastanza vicina.

- Bene, portateci lì, dobbiamo far desaiunare la bambina.

Poi si rivolse alla moglie aprendo lo sportello della carrozza:

- Cara, saliamo, il cocchiere ci porterà in una locanda qui vicino.
Elizabeth salì per prima straingendo fra le braccia la bambina che sembrava riprendersi dal mancamento avuto poco prima. Ci vollero poco più di 10 minuti per raggiungere la locanda. La sua abilità di madre era stata messa alla prova sin dal primo istante in cui aveva ottenuto la figlia tanto desiderata. carezzò dolcemente la bambina sulla guancia e le baciò la fronte, dopo un po' di tempo la carrozza si fermò e scesero tutti e tre, entrarono nel locale, si sedettero e un cameriere si avvicinò a loro.

- Silvia, puoi mangiare tutto ciò che vuoi...
Disse lui sorridendo alla piccola. La bambina non sapeva ancora leggere non avendo ancora compiuto cinque anni, fu dunque Elizabeth a leggerle tutti i piatti previsti dalla lista esortandola ancora una volta a scegliere liberamente, Lì nessuno l'avrebbe sgridata o castigata. Un primo ed un secondo che per solidarietà e per metterla a suo agio la neo mamma decise di ordinare a sua volta.

Giacomo fece lo stesso anche lui e una volta che il cameriere ebbe presa la comanda, si allontanò lasciandoli soli.

Bastò uno scambio di sguardi con il marito per ottenere la conferma di aver fatto la cosa giusta. Silvia da bambina curiosa domandò alla madre.

- Ma perchè parli in modo così strano?

Elizabeth non riuscì a trattenere una deliziosa e divertita risata.

- Vedi tesoro, io non sono italiana, vengo da un altro paese in cui si parla un'altra lingua.

La curiosità e quella buffa domanda dimostrarono che la piccola era seriamente intenzionata a conoscere meglio i suoi nuovi genitori.

- Vedrai, la imparerai anche tu, un giorno.. - Disse Giacomo sorridemdo alla bambina e tenendo le piccole mani giunte e gli avambracci appoggiati sul tavolo. - ...Io personalmente ti insegnerò a scrivere e a leggere, vedrai, ti piacerà un mondo leggere! E nella tua nuova casa c' è persino una stanza piena zeppa di libri!

Gli occhi gli brillavano, era felice.

Silvia aveva visto fino ad allora solo libri che venivano letti dalle ragazzine più grandi o dalle monache, ma mai avrebbe pensato di poterli leggere anche lei.

- Davvero?

Domandò estasiata, poco prima che venisse servito loro il pranzo.

- Certamente, bambina mia!

Le rispose il padre sorridendole, per poi avvicinare a sè il piatto della bambina e cominciò a tagliarle la bistecca, in silenzio, tenendo lo sguardo basso sul piatto.

Elizabeth osservò dalla sua posizione la dolcezza e la delicatezza dei gesti di Giacomo, era certa che si sarebbe dimostrato un padre meraviglioso, non ne aveva mai dubitato. Il suo amore e la sua dolcezza erano ciò che oltre la cultura l'avevano fatta innamorare di lui.

Giacomo terminò di tagliarle il pasto e cominciò a gustare il suo, rimanendo sempre in silenzio e con gli occhi bassi, quando gli balenò in testa un' idea mentre masticava il boccone e il pensare gli rallentò l' azione, facendogli fissare il vuoto davanti a lui.

Anche Elizabeth iniziò a gustare la pietanza, con movimenti eleganti tagliò la carne rivolgendo ogni tanto piccoli sorrisi alla figlia. Accortasi dell'espressione del marito ruppe il silenzio:

- A cosa stai pensando, caro?

Sapeva che il suo cervello stava macchinando qualcosa e non poteva resistere all'idea di non sapere cosa fosse. Giacomo cadde dalle nuvole guardando subito dopo la moglie, ingoiò il boccone.

- Come, cara..? Ah.. no, beh... ho notato che nostra figlia ha dei lividi sulle braccia e dei graffi sul collo... mi chiedevo... a cosa fossero dovuti, e un' altra cosa, ho pensato anche di farla sottoporre a una visita medica domani, per vedere se sta bene..

Disse senza peli sulla lingua. Perché parlarne così apertamente davanti alla bambina? Erano questioni che avrebbero potuto affrontare benissimo loro due da soli. Beth non fece domande a Silvia nè avrebbe parlato lei non appena se la fosse sentita. - Certamente, è una buona idea. - Si limitò a dire.

Giacomo riabbassò in fretta lo sguardo riprendendo a mangiare, rendendosi conto di aver sbagliato.

Elizabeth gli lanciò dopo poco uno sguardo rincuorante. Forse aveva esagerato, e forse la bambina non si era accorta di nulla.

Dopo aver mangiato, Giacomo pagò e tornarono a casa, mostrando alla bambina tutte le stanze. La sua camera era ancora neutra, ma c' era il minimo indispensabile, un letto, una cassettiera, una scrivania una piccola libreria con libri di favole famose. Nonostante queste poche cose la camera era elegante, solo le tende alle finestre stonavano col bianco della camera e il marrone dei mobili, Giacomo avrebbe voluto metterle color rosa pesco adesso, si sarebbe addetta di più ad una bambina, Elizabeth avrebbe sicuramente provveduto ai quadri. Silvia si guardò intorno e appena vide l' orso di pezza sul letto, corse ad abbracciarlo, stringendolo forte al petto.

- Ho sempre desiderato un orsetto!

Esclamò felice la bimba. Giacomo si commosse, di nuovo. E si asciugò le lacrime fuggitivamente, di nuovo.

Elizabeth trattenne le lacrime e avvicinandosi alla bambina si sedette sul letto.

- Dovresti trovargli un nome..ogni orsetto che si rispetti ha un nome.

Le sorrise cercando di non farle notare le lacrime del padre. Era troppo piccola per capire, forse avrebbe frainteso.

- Mmh... non lo so...

Assume una posa pensosa.

- Non devi deciderlo adesso, ma faresti bene a pensarci.

Sorride amabilmente prima di tornare a scrutare il marito che nel frattempo si era ricomposto.

- Ci penserò!

Affermò decisa, sorridendo. Passarono le ore e tutto andò bene, tutto filò liscio come l' olio. La sera presto la famiglia andò a letto e i coniugi dopo aver dato il bacio della buona notte alla loro bambina, rimasero soli. Il poeta, indossata la camicia da notte, si coricò sospirando e scoppiò in copiose lagrime, prendendosi poi il viso nelle scarne mani. Le ragioni di quella reazioni furono sconosciute ad Elizabeth:

- Amor mio, cosa ti succede? Perché piangi?

Si chinò su di lui cercando di scostare delicatamente le mani dal suo viso. Che fosse tutta l'ansia accumulata in quella difficile giornata? A quella sua mossa, Giacomo ne approfittò per tirarla a sè e la strinse forte.

- Sono felice, Elizabeth... - Le sussurrò all' orecchio. - Sono finalmente felice...

Una volta addosso a suo marito non potè fare a meno di sorridere.

- Anch'io sono felice tesoro, abbiamo fatto un'ottima scelta..

Lo baciò dolcemente sulle labbra.

- Dove sarei ora senza di te..?

Giacomo le carezzò il viso dopo averla baciata, le guance bagnate dalle lacrime e gli occhi celesti ancora lucidi.

- Non dire sciocchezze, io questa volta non ho fatto nulla.- Gli carezzò dolcemente il viso asciugandogli le lacrime. - Mi limito solo ad amarti, Giacomo...

- Tu fai molto, Elizabeth... moltissimo, anche solo esistendo...

Le sorrise dolcemente, quel sorriso che Ranieri descrisse come "ineffabile e quasi celeste".

Lizbeth gli sorrise a sua volta con gli occhi lucidi:

- Poeta non usare troppe cortesie con me, io faccio solo ciò che devo.. ovvero stare accanti a mio marito...

- Dico solo la verità, amore mio...

La baciò nuovamente assaporando quelle labbra con dolce passione, mordendole. Quel bacio sarebbe stata la giusta conclusione, anzi la perfetta conclusione della giornata che aveva cambiato la loro vita.

   
 
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