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Autore: AthenaSkorpion    16/01/2013    3 recensioni
Quanto può essere illusorio l'amore della propria vita? Quanto può la Sorte ostacolare l'idilliaca perfezione di questo tanto celebrato sentimento?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Per un attimo rimasi scioccata e feci una risatina, certa di aver letto male. Rigirai la busta trovata nella cassetta della posta, presi il biglietto, lo lessi di nuovo, cercai un allegato che mi spiegasse il motivo di quest'idiozia: È il modo migliore per dirtelo. Rilessi l'invito, sempre più lentamente mentre ogni parola s’imprimeva a fuoco e dentro di me il mio stomaco si contorceva prima di sorpresa, poi di rabbia, d’indignazione, di sete di vendetta, di tristezza e infine di un'infinita e inevitabile disperazione. L'intensità di quelle emozioni mi travolse fino a farmi venire dei conati di disprezzo.

Ora, però, occorre che vi spieghi un po' la mia storia. Il mio nome è Verità e sono innamorata perdutamente. Probabilmente il mio nome vi farà ridere, come ha fatto ridere miriadi di alunni nelle classi che ho frequentato, ma non m’importa molto, in effetti, perché i miei genitori me lo diedero considerandolo un marchio di giustizia; questo però non è mai interessato a nessuno se non a Guillaume.

Guillaume è proprio colui al quale ho donato il mio cuore e la mia anima. È un trentenne di origini italiane, ha degli occhi stupendi, neri come le piume di corvo, profondi ed espressivi, che gli danno sempre l'aspetto di una scimmietta dispettosa. I suoi capelli non stanno mai a posto e ormai posso riconoscerlo tra migliaia di persone solo osservando la sua chioma di ricci castani e luminosi. A differenza di molti altri francesi, le sue radici fiorentine sono riuscite ad addolcire il tipico naso gallico, il che rende il suo viso nel complesso davvero armonioso. Ma non mi sono innamorata di certo del suo fisico. Non è quello a farmi venire un groppo in gola, come se mi mancasse l'aria, ogni volta che non è con me.

Lui è brillante, divertente, romantico, e molte altre cose. Ma la qualità che ho sempre stimato in lui è l'onestà. E quanto sono stata sciocca...

Non ho mai sopportato i critici e gli amanti delle offese gratuite, ma lui sa essere un perfetto assassino di autostima pur mantenendo ironia ed eleganza, tanto che non posso evitare di ridere ogni volta che mi prende in giro amichevolmente. Anche perché rispondo tanto forbitamente da lasciarlo talvolta senza parole, anche se solitamente i nostri sembrano più accenni di scherma comica che non dei veri e propri insulti.

Lo amo più di ogni altra cosa, il mio è un sentimento che va ben oltre ciò che si può umanamente esprimere. È una vera e propria necessità, una dipendenza. Ma non gliel'ho mai detto, ho fama di avere un cuore di ghiaccio. Lui sa benissimo quello che provo, quindi tutto questo rimane un semplice pensiero che legge nel mio sguardo quando i suoi occhi si appuntano su di me per studiarmi. Io mi accontento dei fatti, delle semplici azioni, conscia che non riuscirò mai a ripagarlo per ciò che mi ha regalato moralmente e che non c'è modo per esprimere la mia gratitudine.

Ogni volta che tento di quantificare l'enormità di ciò che sento, sale la pelle d'oca su per le braccia e mi ritrovo all'improvviso pervasa dalla più quieta e apparentemente irraggiungibile calma.

Calma che, tra le altre cose, ho ritrovato solo dopo averlo conosciuto.

Degna discendente della mia stirpe, sono sempre stata turbolenta e dall'animo di fuoco, quindi non è una sorpresa che io mi scontrassi quotidianamente, per fortuna verbalmente (anche se avrei desiderato usar le mani la maggior parte delle volte), con chiunque alzasse il naso nella mia direzione. Non ero sana, né verso me stessa né verso gli altri, ovviamente, e sono riuscita a capirlo solamente grazie a Guillaume. Lui non mi ha spalleggiato come molti ruffiani o ipocriti che ho incontrato nella mia vita, lui ha deprecato ciò che del mio comportamento trovava infantile e ha risaltato ciò che ha ritenuto migliore, aiutandomi a maturare, rivalutarmi, apprezzare di più chi ho intorno o forse, quantomeno, mettermi di più nei loro panni. Lui mi ha certamente illuminato.

Lui è il mio Sole e chi guarda negli occhi il Sole, impiega un'infinità di tempo a ritrovare la capacità di vedere nel buio.

Forse è stato questo il mio errore.

Avrei dovuto capire che qualcosa non funzionava.

Sono sempre stata una tradizionalista retro, devota alla famiglia, fedele e monogama, propensa alla castità prima del matrimonio, per quanto possibile in un'epoca come questa, priva dei valori morali di un tempo. Eppure, me ne vergogno, mi sono permessa di contravvenire alle mie stesse leggi: ho vissuto il mio amore per lui senza remore.

Guillaume aveva una vita in ascesa quando mi ha conosciuto; uscito dall'Università laureato in Medicina con il massimo dei voti, aveva già un futuro assicurato nel campo della ricerca sperimentale, mentre io facevo tirocinio in ospedale per diventare chirurgo.

Ci siamo incontrati in un giorno di pioggia mentre eravamo entrambi rifugiati sotto il tettuccio della fermata dell'autobus. La pioggia era talmente torrenziale da essere ovviamente al centro delle discussioni di tutte le signore che tenevano le sporte piene di ortaggi in grembo per non bagnarle. Una cosa che non capirò mai è perché i tettucci delle fermate siano così striminziti e gocciolanti.

All'improvviso arrivò Guillaume di corsa, grondando acqua, si sbracciò per prendere l'autobus che già stava chiudendo le porte e si accorse subito che era troppo pieno. Lasciò che andasse via e non poté fare a meno di incuriosirmi. Sotto il tetto della fermata non c'era più posto, l'ultimo angolino rimasto l'avevo occupato io pochi minuti prima. Lui venne abbacchiato verso la panchina affollata, i capelli ricci per una volta schiacciati e tenuti a bada dalla furia della pioggia. Per un istante mi guardò negli occhi. Era talmente mogio, bagnato, distrutto e imbarazzato, che senza volerlo, molto irrispettosamente aggiungerei, scoppiai a ridere. E lui, in risposta, fece lo stesso, dimenticando in un istante i suoi guai e avvicinandosi come un vecchio amico d'infanzia. Dopo pochi minuti di chiacchiere ero conquistata e scoprii perfino che lavorava nello studio di ricerca del mio ospedale, qui a Parigi. Quando poi scoprì che il mio nome era italiano, andò in brodo di giuggiole e si divertì a parlarmi la lingua di sua madre, con una pronuncia che, devo ammettere, almeno per le mie orecchie francofone, pareva niente male. Non sono mai uscita dalla capitale, se si esclude una gita scolastica a Marsiglia.

Ci scambiammo i numeri e in pochissimo tempo diventammo ottimi amici. Alla fine fu chiaro a entrambi che eravamo destinati a qualcosa di più profondo.

Lui una volta mi aveva raccontato che fin da bambino studiare le malattie e le loro rispettive cure era stata la sua passione, come potevo quindi chiedergli di fare passi troppo lunghi ora che stava facendo carriera in modo tanto ammirevole? Mi ritrovai a sacrificarmi per lui, a gettar via le mie convinzioni e le mie idee, così radicate, per permettergli di fare ciò che amava. Stavo lasciando che lui percorresse la sua strada senza pretendere di farne parte a mia volta, accontentandomi di frammenti di vita in comune.

Non sono mai riuscita ad arrabbiarmi con lui, neppure quando m’irritava davvero. Veniva a trovarmi a casa più spesso che poteva, stava con me qualche giorno e poi qualche nuova riunione o conferenza prendeva il mio posto. Forse a mitigare il mio fastidio fu che anch'io avevo trovato finalmente un impiego fisso e che talvolta avevo il potere di giocare al suo stesso gioco, ma la verità è che sono una persona troppo leale verso chi amo da poter approfittare in questo modo degli altri.

Nonostante ciò, da un po' di tempo avevo notato che era presente solo fisicamente quando veniva a trovarmi e che le sue assenze erano sempre più lunghe. Avevo pensato che avesse qualche problema al lavoro, ma il mio istinto e la mia empatia non mi hanno mai delusa. Sapevo che non si trattava di ciò, ma di ben altro e ora so per certo che avevo ragione. So per certo che io sono stata un oggetto, un divertimento, una copertura, un peccato. So per certo di essere stata raggirata, di essere stata insultata nel modo peggiore. E non per quello che ho letto-io desidero ancora il meglio per lui-,ma per come si è permesso di illudermi. So per certo che il Sole mi ha accecato.

Ha iniziato a piovere, la splendida giornata di giugno si è trasformata in una cupola di nuvole calde e gonfie, l'aria si è inumidita ed io sono ancora davanti all'uscio, immobile come una statua, con il biglietto ormai quasi illeggibile sotto le pieghe che la mia mano, chiusa in una ferrea stretta, ha creato. Quelle lacrime del cielo mi piombano addosso, ricordandomi quel giorno amaro in cui incontrai il mio distruttore. Il mio ventre vibra di collera, spero solo che l'acqua mi mondi dei sentimenti, lavi via le mie lacrime fredde, rinfreschi il mio viso caldo di tristezza e rassegnazione, mi riporti in vita e fermi il mio dondolare e singhiozzare che mi sta togliendo il fiato. Ma rimango lì, seduta sul gradino che mi sorregge nella mia troppo invincibile sventura, davanti al giardino che ora mi appare sterile. Com'è possibile che l'uomo, l'essere umano, possa vedere da un momento all'altro uno stesso oggetto con occhi diversi? I cespugli e gli arbusti del mio modesto cortile appaiono ora sterpaglie, scheletri senza vita, svuotati di linfa e di anima, in attesa del colpo di grazia, come me. Ora sono io, svuotata del mio essere, ormai estirpato, placida nella mia fine, decisa nella mia inerzia, definitiva nella mia onta, ad essere bagnata come un pulcino. E non ci sono caldi occhi per tirarmi su il morale e farmi una bella risata. Non c'è nessuno che possa spiegare alla mia famiglia l’enorme stupidaggine che ho commesso, o che addirittura possa spiegarla a me. Non c'è proprio nessuno che possa dirmi cosa c'era davvero nella testa di quello sconosciuto che mi ha fatto credere di amarmi e rispettarmi, che ci fosse un legame che so bene non esisterà mai e mai più.

Ora, tra le mie mani, c'è solo un invito di matrimonio che ha come mittente Guillaume Renard. E il nome di suo marito Albert campeggia spietato nel lato destro del foglio ormai sgualcito e imbevuto di lacrime. 

   
 
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