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Autore: Ignis Ferroque    17/01/2013    1 recensioni
Non vi è mai capitato di voler dare uno sguardo, anche solo un occhiata, a come sia il cuore sprofondato nelle tenebre di un Akuma?
Se volete, potete seguirmi e perdervi in un oscuro abisso della dannazione...
Un mondo in cui c'è solo buio.

"-Bellissima? Si? Dillo...-
-IL DIAVOLO!!!!-
Stava tremando o stava...ridendo? Forse entrambi. Era tutto così divertente... qualcosa in lei però piangeva lascrime disperate.
Ma il bisogno era molto, troppo più forte."
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dicono che il desiderio di vendetta sia dentro di noi.

La vendetta si dice abbia il sapore dolce e appiccicoso del miele; il profumo intenso e stucchevole di certi fiori estivi.

Non ci si accorge di quanto sia padrona del nostro cuore fino a quando non arriva il momento di colpire.

Esistono davvero poche persone incapaci di vendicarsi; molto più spesso reagiamo a torti che abbiamo subito.

A offesa corrisponde difesa. Nulla di più.

Quello che è certo, è che la vendetta non ci aiuta a dimenticare, non ci aiuta a cancellare il torto subito. Al limite dà la senzazione briosa della capacità di aver ristabilito almeno un po' la giustizia. Sempre così fatalmente corrotta...


 


Socchiuse le palpebre con lentezza, prendendosi con calma tutto il tempo per abituarsi al buio. Regnava una penombra densa di polvere, odori forti e strati di storia depositati in anni di abbandono.

Nessuna lama di luce a fendere quello strato solido di nebbia polverosa. Solo buio.

Il tempo era tanto lì, così dilatato da apparire eterno.

Non era male però, non le veniva chiesto di far qualcosa di noioso o spiacevole. Solo aspettare.

Lontana da ogni cosa che potesse far male, dare dispiacere. Solo abbandono totale. Proprio sola, poteva dimenticare tutto, ogni ferita ogni lacrima. C'era solo terribile, lacerante, noia.

Sapete cosa vuol dire annoiarsi davvero? Non la noia di trascinarsi svogliatamente per le strade; non la noia di dover-fare-qualcosa ma non voler-fare-nulla; non quella dei bambini costretti nelle scuole. Si parlava di noia dell'anima. Aspettare, sì, ma qualcosa che non è detto che arrivi, non è detto che sia appagante.

Stare soli le notti e i giorni ad attendere che succeda qualcosa. Che arrivi una chiamata, per esempio. E la sua chiamata era arrivata.

Lei stava immobile in mezzo al nulla, ad aspettare.

Aveva desiderato di poter affondare di nuovo nell'abbraccio rassicurante dell'oblio, nella distrazione del sonno, così, solo per ingannare il tempo.

Ma non le era permesso di dormire.



 

Era bianco proprio ovunque: in qualsiasi direzione guardasse, per quanto lontano potesse spingere il suo sguardo fino alla linea d'orizzonte, poteva vedere solo il mondo ammantato dolcemente di bianco.

Il vento gelido sferzava forte ogni superfice e l'aria frizzante di montagna, che le faceva pizzicare il naso, frustava timidi fiocchi di neve che scendevano silenziosi a centinaia dal cielo ovattato di nuvole dense. Gli abeti la circondavano amorevolmente, come per proteggerla, con le fronde cariche di ghiaccio che minacciava di spezzare anche i rami più resistenti.

Le facevano compagnia sempre e custodivano ancora i suoi resti mortali, protetti dalle radici ricurve, lì, sotto il terriccio e il muschio, da qualche parte, abbandonati in un sonno eterno. Però non le importava affatto.

Tutt'intorno riluceva di una strana luce lattima che donava un profilo armonioso perfino al gruppo di massi su cui si era seduta, sul ciglio del sentiero di terra battuta che sbucava dal bosco affacciandosi verso la valle innevata.

La neve glassava ogni superfice, si era posata perfino su di lei, su quella sua pelle ormai altrettanto pallida e gelida.

-Cosa ci fai qui, piccina?- chiese una voce roca maschile.

Lo aspettava.

La bambina smise di guardarsi attorno e prese a studiare con i suoi penetranti occhi verdi il cacciatore davanti a lei.

Era un ragazzo di nemmeno vent'anni, tutto infagottato in un cappotto pesante e scuro reso rigido dal ghiaccio da cui spuntavano dei pantaloni rattoppati e degli scarponi di pelle ingrassata che affondavano per una decina di centimetri nella neve fresca. Il viso era coperto dal colletto alzato della giacca e da un cappello di pelliccia ambrata ingioiellato di brina. L'uomo rilassò la presa sul calcio sbeccato del fucile che stringeva fra le mani rosse e screpolate per il freddo. Non era un anno fortunato, ma era da stolti uscire nella tormenta.

Gli sorrise radiosa. Stava iniziando ad annoiarsi -ancora- a furia di aspettarlo.

"Sono qui perchè qui mi hai lasciato tu quando mi hai ucciso, amore. Sono tornata.".

Qualcosa dentro di lei troppo in profondita, troppo nascosto perchè ci prestasse attenzione, si spezzò e l'eco di un implorazione si affievolì nei meandri del suo cuore, rimbombando fievole tra le cavità vuote del suo spirito marcio.

"Non farlo!...". Ma fu fin troppo facile ignorarla.

 


 

Si guardò intorno soffocando uno sbadiglio nel palmo della mano: era come se stesse fluttuando nel nulla, sostenuta da fili invisibili di vento freddo, cullata dolcemente da gelidi aliti che le sbuffavano intorno in carezze taglienti. Tutt'intorno nero, fumoso, vivo, pulsante. Vive pareti di nulla.
Quando riuscì finalmente a guardarsi intorno si accorse di precipitare in un baratro senza fine. Cadeva e cadeva chissà da quanto...

All'improvviso, come era iniziata, la sua caduta si arrestò.

Faceva freddo. L'odore di umidità pareva essersi intensificato ma c'era un qualcosa ancora che non andava: era circondata da una foschia compatta, troppo polverosa per essere nebbia, con una sfumatura salmastra che assomigliava all'odore dei cimiteri. E non faceva freddo solo per la temperatura: era un peso che premeva contro pelle, quello che si ferma nelle ossa, le fa scricchiolare come vecchi cardini marci.

Non che i dannati si lamentino, l'Inferno rimane l'Inferno anche se non era bollente come si diceva.



 

-Aspetto mamma.- rispose la bimba affondando le manine pallide nella neve. Per nessuna ragione al mondo lui avrebbe dovuto vedere i suoi artigli deformi che già pizzicavano per la voglia di bagnarsi di sangue fresco.

Meglio tenersi il bello per dopo.

Il cacciatore sorrise gentile ancora una volta e, ignaro del pericolo, si guardò attorno aggrottando le sopracciglia.
-Dov'è la mamma? -
La bimba abbassò lo sguardo, corrucciata e aprì le labbra per rispondere. Ma non ne uscì nulla.

Così non andava. Non riusciva a trattenersi. Doveva ucciderlo. Adesso!

"Non è giusto..." mormorò ancora quell'eco distante.

Non era fatto di giustizia -ammesso che esistesse- ma di scacciare la noia.

Era d i v e r t e n t e. Adorava la sensazione di terrore che le rimaneva impressa nella mente studiando le sue vittime. O forse la odiava.

Ma era sicuramente divertente.

Ancora poco. Tutto andava fatto per bene. Allora si schiarì la voce e finalmente proferì parola.
-Ha detto che sarebbe tornata a prendermi...-

Cos'era quel sentimento? Una stilettata di dolore diretta al cuore. Era forse rimpianto?
-Vieni, su. Non posso lasciarti qui, sta calando la notte.- la sollecitò affettuosamente il ragazzo.
Le sorrise ancora una volta, per rassicurarla, ma lei scosse la testa con fermezza, lasciando che i capelli le scivolassero davanti a quel piccolo viso perfetto, e lo nascondessero.

-Aspetto qui. Mamma si preoccuperà.-.

L'uomo guardò la bimba aggrottando le sopracciglia imperlate di brina.

Appoggiò il calcio di fucile a terra, appoggiandolo su una pietra che sbucava dal il manto di neve sulla strada sterrata.
-Aspetti da tanto?-
"Oh...da circa tre anni...

La bimba si strinse nelle spalle.
Lui la osservò più da vicino, era davvero carina, come un piccola fata fatta di neve.

Aveva all'incirca sei anni, dimostrati appena su un visetto latteto da cherubino spruzzato di lentiggini color caffè che sembrava porcellana finissima; i capelli, lisci e dorati come grano estivo, fra cui brillavano minuscoli frammenti di brina, le ricadevano scomposti e leggermente arruffati sulla piccola schiena e le si attorcigliano attorno alle spalle esili coperte da una mantella di lana grigia incrostata di ghiaccio.
E quando lei si accorse che la stava guardando, arrossì leggermente, abbassando gli occhi verdi e trasparenti come vetro colorato.

Occhi senza nessun sentimento, occhi morti.


 


 

Il lontananza rimbombò un trillo acuto, l'eco lontano dello squillo di un telefono che a lei sembrò il grido sinistro di un uccello sconosciuto che lacerava violentemente il silenzio con i suoi strilli.

Ne seguì un altro, poi un altro ancora. Centinaia di telefoni squillavano incessantemente, intrecciavano la loro melodia sempre uguale in un requiem desolato che cresceva, cresceva e si perdeva all'improvviso in un sussurro.

Da una lanterna sospesa nell'aria cominciò a colare un alone di luce aranciata che si sparse nella stanza senza pareti, rischiarandone una piccola fetta.

Solo in quel momento distinse la sagoma enorme del padrone che sbucava dall'ombra con la stessa grazia impalpabile del fumo azzurrino dell'incenso.

Il Conte, avvolto nell'onnipresente cappotto crema, zompettava qua e là fra le centinaia di telefoni, piccoli cubi pallidi con un numero arabo elegantemente vergato sopra, appoggiati a terra. Sembravano piccoli funghi translucidi affondati nelle tenebre che spandevano un tenue chiarore grigiastro.

Lei si strinse nella mantella grigia scossa da un brivido. Sorrise.


 


 

L'uomo non se ne curò e cavò di tasca una pipa in cui pressò un pugnetto di tabacco marroncino dall'odore penetrante.

-Ascolta, adesso andiamo in città, torneremo...-
Il ventò ululò, sollevando frammenti di ghiaccio.

-Ti ricordi di quando mi portavi nella campagna? Rubavamo sempre i polli della fattoria vicina e li liberavamo nei prati. Una volta papà se ne accorse e mi picchiò con il bastone.- lo interruppe la bimba con la voce persa in lontani ricordi.

L'uomo sfregò l'acciarino e accese la pipa. -Come?-. La guardò di sottecchi per un istante, più concentrato a far scattare la scintilla.

-Proprio lì-, la bimba allungò un ditino dalla punta arrossata verso un orizzonte indefinito offuscato dalla bruma azzurrina e l'uomo seguì confuso l'indicazione -Lì sottola tettoia della fattoria mi hai baciata per la prima volta. Mi baciavi sempre di nascosto, malgrado ti implorassi di farlo davanti a tutti. Allora dicevi che non era bene che due fratelli si baciassero davanti a tutti.-

La bimba si girò verso l'uomo che la guardava allucinato e gli sorrise incoraggiante.

-Ricordi?-

L'espressione sul volto del cacciatore le fece intendere che no, non ricordava.

"Non ti ricordi?! NON ti ricordi!!"

Sorrise.

Com'era divertente...



 

Nonostante la mole, Il Conte piroettava elegante fra una cornetta e l'altra, mano a mano che queste prendevano a suonare, impegnato in una danza scandita dai trilli continui.

Con una mano guantata di seta nivea, afferrò una cornetta nera fra pollice e indice, la tenne sospesa per un istante vicino all'orecchio inumano, poi annuì accondiscendente e la lasciò ricadere con un tonfo leggero sul suo supporto. Con la mano libera tratteneva la tuba nera, decorata con una serie di meccanismi d'ottone di un vecchio orologio smembrato sopra la tesa.

Lei rimase, piccola e immobile ad aspettare.

Si sarebbe messa a tremare se avesse ricordato cosa fosse la paura.


 


 

-Non ricordi?- chiese ancora. Forse perchè non era quello il suo corpo...

L'aveva dimenticata?

O forse perchè la rabbia e la dolce attesa di una vendetta succosa, aveva risvegliato la sua voglia e lentamente i segni della sua dannazione stavano apparendo sulla sua pelle? Sentiva la smania di liberarsi che cresceva, cresceva... Quel bisogno era subdolo, fortissimo, pressante.

-Quella volta, tre anni fa, ti portai qui, proprio su queste rocce e ti proposi di scappare.-.

Piano dei tentacoli sinuosi come serpi le uscirono dalla bocca, li sentì guizzare sulla pelle lasciando una scia umida sulla gota.

L'uomo impallidì e lasciò cadere l'acciarino mentre la pipa gli scivolò dalle labbra. Uno strappo secco di carne lacerata accompagnò una sua risatina mentre il cacciatore si piegava sulle ginocchia riversando il contenuto del suo stomaco sulla neve candida.

Risollevò lo sguardo senza osare guardare davanti a se, il volto stravolto dall'orrore. Leggeva nei suoi occhi solo una cosa. Paura.

Tremendamente eccitante.


 


 

Paura, amore, sentimenti... tutte cose che si era lasciata alle spalle. Sorrise radiosa nel momento in cui il Conte incontrò distrattamente il suo sguardo da dietro i pince-nez dalle lenti scure a specchio, ma lui sembrò guardare attraverso, come se lei non fosse degna della sua attenzione o semplicemente non fosse nemmeno lì. Si girò e trotterellò nella direzione opposta agguantando una cornetta che tremava febbrilmente.

La sollevò e la avvicinò all'orecchio -È divertente?- chiese gentilmente il Conte, con la voce stucchevolmente dolce, densa d'interesse per la risposta, senza rivolgersi però a nessuno in particolare.

Tuttavia lei capì che la domanda era indirizzata proprio a lei. Non sapeva cosa dire, onorata da quella attenzione, solamente annuì più volte, senza proferire parola. Un improvviso cenno secco del Conte la fermò dall'aggiungere qualcosa e rimase paziente ad attendere un nuovo ordine.

Lui si voltò, piroettando sulle sue scarpe arricciate, e sembrò venire verso di lei, mentre in realtà la superò e si accovacciò al fianco di un telefono silenzioso scostandone un paio vicini con il piede per farsi spazio



 

-Bellissima? Si? Dillo...-
-IL DIAVOLO!!!!-

Stava tremando o stava...ridendo? Forse entrambi. Era tutto così divertente... qualcosa in lei però piangeva lascrime disperate.

Ma il bisogno era molto, troppo più forte.


 

Come un rito, il Conte alzò la cornetta appena questo prese a squillare.

Al posto di pesante silenzio, sembrò udire centinaia i parole. Sorrise esaltato, come se tutto quello che stesse facendo fosse solo un grande e divertentissimo gioco. Se possibile, il ghigno sul suo volto sembrò ampliarsi ancora di più mentre aggiunse sbrigativo -...E allora, và...e divertiti! ♥ -


 

Il cielo così opaco, il riverbero della neve, splendevano così intensamente da farle socchiudere gli occhi. Ed era di nuovo così annoiata...

Davanti a tutto quel bianco candore, perfino la sua ombra, appiattita e schiacciata fra frammenti gelidi di ghiaccio, sembrava sparire.

Con un guizzo il suo guscio la avvolse ancora fedele e lei potè ritirarsi tranquilla nei meambri di quelle membra gelide.

E spegnere quella fastidiosa vocina che la incitava al rimorso. Cos'era il rimorso?

Lanciò uno sguardo soddisfatto alle piccole mani paffute completamente grondanti di sangue. Per quanto tempo fosse passato, non riusciva a farsi passare l'adorazione per quel colore. Sfregò fra loro pollice e indice viscidi di sangue e accennò a leccarsi una nocca scarlatta. Perfino il sapore era lo stesso.

Dolcissimo sapore di vendetta.

Tornò a concentrarsi su di lui e si sistemò meglio il cadavere di quel giovane così carino, sulle cosce, per poterlo vedere bene.
La pelle del cadavere aveva assunto una colorazione azzurrina deliziosa, secondo lei.

Passò un ditino gelato sull'ombra delle occhiaie marcate, sulla piega delle palpebre che ricordava meno sporgenti, sulla piega del naso che non ricordava così regolare.

Prese il volto del giovane fra le mani e lo studiò a lungo.

Una risatina le nacque leggera dal petto e si sparse nell'aria come un tintinnio di campanelli di cristallo.

Aveva sbagliato, di nuovo.

Non era affatto l'uomo che cercava...
-Fa niente, ci siamo divertiti lo stesso, no?-
Con un sospiro dolente la bimba lo strinse fra le braccia esili e lo sollevò senza apparente sforzo, depositandolo con cura sulla neve fresca, incrociandogli le braccia sul petto. Sembrava un cavaliere abbandonato in una landa di minuscoli diamanti in un sonno turbato che gli increspava ancora le sopracciglia folte, ammantanto come un nobile sovrano di un manto purpureo del suo stesso sangue
.

Avrebbe voluto davvero piangere, era tutto così bello. Gli sfilò il cappello di pel
liccia e se lo calcò sulla testa.

Si chinò per dargli un ultimo sguardo e con suo sommo stupore, qualcosa cadde nel centro della fronte dell'uomo, una goccia nera di tenebra che iniziò a sfrigolare a contatto con la pelle lattima del cadavere dissanguato. Quel contrasto la affascinò mentre altre gocce cadevano ritmiche su quel viso deturpandolo fin troppo velocemente. Alle narici le arrivava il puzzo dolciastro della decomposizione in stato fin troppo avanzato ma non riusciva ad evitare di osservare ammaliata come le sue lacrime infernali bruciassero e strappassero la pelle umana.

Ai dannati non è permesso piangere, ma si può sempre fare un eccezione. La bimba si asciugò distrattamente le guance solcate da profonde striature nere simili ad inchiostro che le colavano dagli occhi. Una strana versione di lacrime ma non se ne lamentò.

Un pentacolo affiorò sul collo del cadavere, piccola voglia infernale che si moltiplicò e crebbe sotto il suo sguardo felicemente sorpreso, estasiato come davanti ad un monte di regali.


 


 

Da qualche parte un telefono prese a squillare.

Nessuna luce.

Solo buio.






****

Buonsalve a tutti! :)
se qualcuno mi ha già conosciuta, ben ritrovati!
Per tutti gli altri, piacere di conoscervi e grazie di cuore per aver letto questa storia. ^^
Non ero totalmente certa di volerla pubblicare perchè era un vecchio lavoro, comunque gli avevo dedicato abbastanza cura da decidermi a metterla su efp.

uff... non ho molto da scrivere comunque a parte che nella storia l'akuma in questione, la cara e dolce lei, è direi all'incirca di secondo livello e agisce indisturbata, senza che nessun esorcista venga a rovinarle la festa... in fondo mica i nostri possono essere dappertutto, no?
Se vi andrà di recensire mi renderete anche più contenta, così capirò eventuali errori, sentitevi liberi di esprimervi anche se non vi è affatto piaciuto "Pitch black."!!!

Alla prossima,
Ignis.


 

  
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