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Autore: Cicciospillo    17/01/2013    0 recensioni
Era imponente e mi dominava. Impossibile sottrarsi. Però non sembrava qualcosa di volatile come un fantasma o qualcosa di astratto. Era solido. Forse una persona. Forse. O forse anche no. Mi attirò fuori città, al limitare del bosco, dove la nebbia e l’oscurità mi stavano circondando inghiottendomi sempre di più
Genere: Fantasy, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao ragazzi, questa è la mia prima storia a più capitoli. Mi scuso subito per eventuali errori d’ortografia. Spero che rencensirete, intanto, il primo capitolo anche perché, per me, è molto importante una vostra opinione (anche negativa). Grazie.
PROLOGO
Ed è così che tutto incominciò. Una calda giornata di settembre che mi sconvolgerà l’anima tra dolori, passioni e novità. Camminavo per il centro città. Attratta da qualcosa di oscuro. Non so dove stessi andando o dove più precisamente mi stava portando. Era imponente e mi dominava. Impossibile sottrarsi. Però non sembrava qualcosa di volatile come un fantasma o qualcosa di astratto. Era solido. Forse una persona. Forse. O forse anche no. Mi attirò fuori città, al limitare del bosco, dove la nebbia e l’oscurità mi stavano circondando inghiottendomi sempre di più verso il buio.
CAPITOLO 1
Rebeccah! Svegliati!
Chi ero io? Stavo dormendo? Aprì un occhio alla volta cercando di ricordare chi ero. A fatica mi misi seduta e mi guardai attorno. La luce che penetrava dalla finestra era molto intensa e illuminava l’intera stanza. Il lenzuolo era sparito. Impossibile. Guardai meglio. No, non era sparito, era solo caduto a terra completamente stropicciato. La sveglia segnava le sette in punto del mattino. Così mi alzai svogliatamente e andai in bagno. Dopo una lunga e fresca doccia avvolsi un asciugamano intorno al mio corpo e mi asciugai i capelli. Neri fino a metà schiena, dopodiché il blu li dominava.  Curiosai nell’armadio senza i problemi delle solite ragazzine di starci ore davanti senza decidersi. In qualche minuto ero già pronta: calza a rete nera, canotta azzurra scollata, pantaloncini corti in jeans e le scarpe – amatissime scarpe in stile skateboard – nere. Presi al volo la borsa appoggiata sul mio comodino. Mi guardai un secondo allo specchio.
Eccomi lì: bella e magra, le curve al posto giusto. Non troppo alta. Non dimostravo quei soli quindici anni che mi ritrovavo, ma pochi di più. Scesi le scale diretta in cucina, dove ci trovai la madre che stava preparando il the per tutte: io, lei e la mia sorellina di quattro anni e mezzo Stephanie. Subito dopo suonò il campanello. No, non poteva già essere arrivata. Bevi frettolosamente il the e così, da brava furba che sono, mi ustionai la lingua. Mia madre stava già facendo entrare la nostra solita e abbonata ospite nell’ingresso che corse verso di me e mi abbracciò. Salutai la mia famiglia e m'incamminai con lei verso la scuola. Avevamo due sorrisi a trentadue denti stampati in faccia.
Era da due settimane che non la vedevo. Era andata in Italia dai suoi parenti prima dell’inizio della scuola così ci chiamavamo tutti i giorni e per delle buone ore non facevamo altro che parlare, ma anche di cose inutili come le nostre stronzate. La guardai. Eravamo proprio diverse. Lei era bionda, o almeno la maggior parte dei capelli, compresa la sua frangetta che le ricadeva leggermente sugli occhi. Per il resto aveva le ciocche fuxia intense. Sì, i capelli ce li eravamo andate a colorare insieme. Era vestita molto semplicemente: anche lei aveva dei pantaloncini in jeans, infradito argentate, e una maglietta grigia con scritta una frase: viva gli alieni verde fluo. Gliel’avevo regalata io per il suo compleanno. La frase l’avevo scritta io con i colori per tessuti. Era venuta bellissima. Dietro la frase c’era una lunga storia fra noi. Assì, il suo nome era Nicole. Ed eccola lì, piccola, gialla e sconosciuta scuola. S'innalzava dietro ad un piccolo boschetto. Sì, sconosciuta perché era il mio primo giorno in una nuova scuola. Nuova perché quella vecchia era veramente troppo lontana dal nuovo quartiere in cui ero andata ad abitare. Nuovo quartiere perché l’anno scorso mio padre uccise la sorella di mia madre – zia Antonella – per chissà quale motivo, così la mia mamma non volle vivere in una casa macchiata di tale delitto.
Eccoci arrivate all’ingresso della mia nuova scuola dove gli studenti erano riuniti in piccoli gruppetti che chiacchieravano tra loro. Nicole si diresse verso un gruppo un po’ più numeroso. Composto da cinque ragazze e un paio di ragazzi. Mi presentò a loro con fare orgoglioso. Poi si presentarono tutte loro e infine i ragazzi. Sam e Jim. Unici due nomi che non riuscì a ricordare da subito. Supposi fossero fratelli – forse anche gemelli – avendo troppi lineamenti uguali per essere solo simili. La prima campanella suonò ed entrammo a scuola, dirette in classe. Le pareti dei corridoi erano grigi chiari e gli armadietti verdi scuri. In fin dei conti era un istituto ben tenuto. Entrate in classe ci andammo a sedere in fondo. Nessuno degli amici di Nicole era in classe con noi. Dimenticavo, Niki – soprannome di Nicole – aveva sedici anni, fu bocciata un anno alle medie. Ma non sembrava che quest'argomento le desse troppo fastidio.
Entrò un uomo cicciottello, basso e si mise in piedi davanti alla lavagna e guardava proprio verso di me. Ordinò il silenzio poi disse “Buongiorno ragazzi, e buona fortuna per il prossimo anno scolastico a venire. Vedo facce nuove, benvenuti ai nuovi arrivati”. Mi fece un gesto con la mano di alzarmi. Così mi ritrovai di fronte alla classe per presentarmi. Dissi semplicemente “Mi chiamo Rebeccah ed ho quindici anni” poi aggiunsi per richiesta del professore “conosco solo Nicole” e la indicai. Lei non fece una piega e mi sorrise. Tornai imbarazzata al mio posto. Le prime due ore di matematica e la terza di spagnolo passarono rapidamente.
Così ora eravamo sedute a un tavolo in mensa a gustare tutto ciò che avevamo sul vassoio. Purè, pane, prosciutto, pasta e aranciata. Tutto abbastanza discreto, niente di speciale. Così ci alzammo e finimmo quella prima giornata di scuola. Ce ne tornammo a casa quando decisi di far restare Nicole a dormire da me. Niki, da sempre, era abbonata a casa nostra. Ogni giorno di ogni settimana lo passava con me. Così l’accompagnai nel suo appartamento, dove abitava lei, suo padre, sua madre e un fratello. Si prese un pigiama e spazzolino. Ci fermammo al noleggio dei film dove ne prendemmo due.
Arrivate a casa mia ci preparammo pop-corn, tramezzini e coca-cola. Passammo una bellissima serata. Purtroppo coloro che mi fecero passare le notti insonni erano i miei incubi. Mi tormentavano ormai da mesi ma di giorno in giorno si facevano sempre più vividi. Non sapevo cosa significassero. Ero sempre in città che passeggiavo e a un certo punto qualcosa mi attirava al limitare del bosco e mi risucchiava all’interno di questo. Ma non era qualcosa, bensì qualcuno. E ogni santa notte l’aspetto di questo signor qualcuno si faceva sempre più chiaro. L’unica cosa che non si riusciva neanche a scorgere il volto. Qualcosa mi diceva che fosse un brutto presagio e credevo nel mio oscuro presentimento. Ma un’altra parte di me stava urlando che invece sarebbe stato qualcosa di positivo ma non troppo. A quale sensazione dovevo dar ascolto?
  
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