Film > The Avengers
Ricorda la storia  |      
Autore: MrEvilside    18/01/2013    6 recensioni
Loki è una ferita fresca.
Improbabile interpretazione della mitologia norrena (in particolare, del Ragnarok), improbabile pre-slash IronFrost (forse), improbabile sintesi della disperazione di Loki e della follia di Tony.
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sigyn { Quando il cielo non ascolta }
 
Loki è una ferita fresca.
Ha occhi come schegge di vetro, tagliano, fanno sanguinare. Ha la pelle bianca a chiazze rosse del capro espiatorio, del dio che nessuno prega mai, del ragazzo senza padre. Ha gli abiti stracciati dell’apolide, l’armatura a brandelli del soldato ricoperto di vergogna.
Quel che più atterrisce, però, è lo sfregio che squarcia il ventre in orizzontale, un miscuglio nauseante di ferro della corazza, di carne viva e marcescente, di muscoli strappati e intestini aggrovigliati che minacciano di spargersi a terra.
Eppure la sua schiena è eretta, rigida, in una posizione che appartiene solo ai principi, mentre ogni singolo centimetro del suo corpo ruggisce dolore.
Tony lo fissa, incredulo, si domanda, di tutti, perché proprio lui, che non è freddo come Natasha, non è preciso come Clint, non è eroico come Steve, non è Thor, perché proprio lui debba affrontare tutto questo.
Lui è solo un uomo in armatura, gli viene da vomitare e vorrebbe credere che si tratta di un incubo, ma poi Loki crolla in avanti e d’istinto lo afferra prima che si accasci al suolo.
Forse non è un eroe, ma la figura esanime tra le sue braccia non è un dio e sta per morire.
Lo trascina fino al supporto più vicino – il divano del soggiorno – dove lo stende supino con tutta la delicatezza di cui è capace, come farebbe con una delle sue preziose invenzioni. Loki non emette un suono e, non fosse per gli occhi ostinatamente aperti, Tony penserebbe che è svenuto.
Il dio, al contrario, scruta il soffitto, sveglio e vigile, mentre sul suo stomaco si apre una voragine di pus giallastro, infezioni violacee e carne in decomposizione, un macabro spettacolo da cui Tony non riesce a distogliere lo sguardo. È ipnotizzato.
È tentato di chiamare il 911 dello S.H.I.E.L.D. o Bruce, oppure entrambi, ma è dissuaso dal sospetto che, se Fury dovesse operare una scelta concernente la salute di Loki, nel migliore dei casi lo lascerebbe a morire in un vicolo del Bronx. Fury è un comandante, ha abbastanza coraggio per uccidere un uomo, per giustizia o per vendetta che sia.
Tony non è altrettanto coraggioso.
Inaspettatamente è Loki a trarlo d’impaccio, facendo l’ultima cosa che ci si aspetterebbe da qualcuno nelle sue condizioni: parla. È un rantolo fievole, patetico, impossibile da chiamare “voce”, tuttavia conserva un’eco signorile che si riverbera in un’unica invocazione.
«Magia».
Tony non può essere sicuro di cosa il dio voglia dire, ma quel sorprendente intervento sprona al lavoro il suo geniale cervello.
Magia, Loki è un mago, il più potente dei Nove Reami, l’ha lodato più volte Thor, deve avere delle capacità taumaturgiche, cui forse non ha ancora fatto ricorso perché spossato dalla ferita. Forse – Tony sfreccia in bagno, torna indietro imbracciando trionfante il kit del pronto soccorso – basterà pulire il taglio dalle tossine perché si inneschi il meccanismo di guarigione.
La magia, in fondo, non può che essere uno stravagante ramo della scienza.
Mentre opera sulla ferita, Tony inghiotte la bile che continua a salire, inghiotte i pensieri, non sono un eroe, per una volta non è sulla propria testa che deve concentrarsi, inghiotte tutto ciò che non sia il pus, che sembra non finire mai, e le lezioni di primo soccorso che Bruce ha fornito a tutta la squadra in caso di emergenza.
La viscida sostanza giallognola gli brucia le mani, le sue esalazioni gli pungono gli occhi, ma stringe i denti e non si ferma e alla fine il pus smette di sgorgare dal taglio. Al suo posto, la magia, dapprima un debole luccichio verdastro, danza con sempre maggior vigore sul corpo di Loki, sui bordi della ferita, ricostruisce, ricuce, rimette insieme il dio come potrebbe fare un bambino con i pezzi di un puzzle.
È orribile e bellissimo e Tony non riesce a staccarne gli occhi.
Nuova pelle fiorisce sui muscoli e le ossa ricostituiti, il petto si solleva e abbassa in respiri lenti e profondi, sul viso riaffiora il colore. Ora Tony ha meno paura di toccarlo, meno paura di distruggerlo, si china su di lui e lo spoglia di ciò che rimane dell’armatura e del completo in pelle nera, entrambi squarciati in corrispondenza della ferita che non c’è più.
Loki ha chiuso gli occhi, il suo corpo è scosso da brividi, Tony gli getta addosso una coperta che trova nell’armadio in camera da letto. Lo scruta, sprofondato nel sonno, calmo, quasi normale, non fosse per quei segni rossi intorno alle labbra, che, dapprima combattuto, decide poi di lasciar perdere, perché il dio ha bisogno di riposare.
Tony è stanco, ma Loki sembra così vulnerabile, così indifeso.
Dopo essersi sporcato le mani del suo sangue e del pus, dopo avergli quasi lambito il cuore con le dita, dopo aver visto la fragilità dietro la possanza divina, Tony teme che Loki possa sciogliersi come neve, disperdersi al vento come cenere. Perciò si siede accanto a lui e veglia.
Il dio ha la febbre alta, spesso si sveglia torturato dagli incubi, apre la bocca per gridare ma non ne esce nulla, oppure chiede dell’acqua o invoca nomi in una lingua che Tony non capisce. Quando la febbre si abbassa, apre gli occhi pigramente, guarda il soffitto.
Sempre il soffitto, mai lui, neppure per fissarlo con sospetto oppure con rabbia o, ancora, con l’orgoglio ferito, perché ha dovuto affidarsi alle mani di un infimo umano.
È solo quando si riprende abbastanza da poter parlare – da voler parlare – che Tony capisce che è diventato cieco.
***
Un uomo comune impiegherebbe mesi per riacquistare le forze dopo aver subito un supplizio simile; il dio ricomincia a parlare la mattina dopo, quando Tony si sveglia sulla sedia che durante la notte ha spostato vicino al divano.
«Dove sono?»
Tony sbadiglia, si stropiccia gli occhi, grugnisce, irritato, e fa per mugugnare una replica tagliente, ma di colpo la sua mente impastata di sonno ricomincia a lavorare con la consueta genialità e individua un particolare fondamentale nella domanda di Loki. Allora si tira su con uno sbuffo e gli esamina il volto rischiarato dai raggi del sole del mattino.
Ha le guance scavate, i tagli che adornano la bocca evidenti alla luce e gli occhi, al contrario, orribilmente spenti, il verde un tempo brillante ora triste, smorto. Tony rimane senza fiato nell’intuire la verità: cieco, il dio è stato accecato.
«Nella Stark Tower» dice, con molta più gentilezza di quanta non ne intendesse fare uso all’inizio.
«Mi è apparso palese» fa notare il dio, inarcando un sopracciglio «nel momento in cui hai grugnito con tanta eleganza».
Lo sforzo di essere garbato all’improvviso gli sembra del tutto inutile, dal momento che non è ricambiato. Si impone comunque di non ribattere, Loki è ancora convalescente, forse sotto shock, questo dev’essere il suo modo di difendersi da quello che è successo, dopotutto è una persona anche lui – almeno, Tony suppone che lo sia, perciò si sforza di tacere per non rovesciargli addosso tutta la bile che la scorsa notte si è trattenuto dal vomitare.
Il dio non dà spazio al silenzio, come se lo temesse.
Brancola nel buio, riflette Tony, è naturale che sia così. Diventare ciechi dev’essere molto peggio che esserlo dalla nascita: se non altro, se non hai mai visto nulla, non puoi nemmeno sentirne la mancanza.
«Sei stato tu a disinfettare la ferita?»
Pare quasi che Loki sia incerto se essergli riconoscente oppure biasimarlo; Tony stesso lo è nel replicare con ironia: «Chi altri? Fury si farebbe le trecce con i capelli che non ha e indosserebbe un vestito di paillettes piuttosto che fregiarsi della consapevolezza di averti salvato la vita. Io sono un po’ più elastico».
Forse solo un po’ più umano.
Il dio conferma di averlo ascoltato con un debole cenno del capo. «Da quanto tempo mi trovo qui? I tuoi compagni lo sanno?»
C’è una lama nella sua voce nel pronunciare quell’ultima domanda, la lama nascosta di un assassino che si prepara a uccidere il nemico ignaro. C’è Thor in quell’ultima domanda, c’è una vita passata all’ombra della sua grandezza, ci sono buchi neri che persino Tony esita prima di esplorare.
«Sei comparso nel mio soggiorno ieri sera intorno alle dieci e, no, non sanno niente» lo rassicura, no, non lo rassicura, lui non rassicura Loki, lo informa. «Com’è che sei conciato così male, comunque? Era parecchio che non ti si vedeva in giro e non è che mi aspettassi di farti da crocerossina al nostro prossimo incontro…»
Loki contrae la mascella, Tony sa di aver posto la domanda sbagliata, non ha bisogno che lui lo puntualizzi: «Non credo che ti riguardi, Stark».
Tony scatta.
«Io invece credo che mi riguardi» inizia prima ancora che il dio abbia finito la frase. «Avrei potuto benissimo lasciarti nel mio salotto a dissanguarti, lo sai, no? Invece no, mi sono messo a giocare all’Allegro Chirurgo con i tuoi intestini e no, non è stato divertente, cazzo, è stata la cosa più disgustosa che mi sia mai capitata, e non ho dormito perché avevi la febbre e stavi delirando, poi ti svegli e sei intrattabile e cazzo non rispondi nemmeno a una fottuta domanda, perciò scusami se sto un po’ perdendo la calma, ho solo una quindicina di ore di sonno arretrato per colpa tu--».
Il dio lo zittisce con una smorfia. «Capisco, Stark». Passano alcuni momenti di silenzio, Tony sta per sbottare di nuovo, perché a lui sembra che non abbia capito affatto, ma poi Loki sospira e riprende: «Lo stato in cui verso è il risultato delle punizioni inflitte da Odino».
Tony non ha la forza di replicare subito, è troppo terrorizzato da ciò che il dio ha detto, da come l’ha detto.
Terrorizzato, perché, sebbene lui per primo non abbia mai avuto una relazione idilliaca con Howard, non riesce a credere che un padre possa sopportare di condannare il proprio figlio a questo.
Terrorizzato, perché la voce di Loki è leggera, come se il comportamento di quello che, in fin dei conti, fino a qualche anno prima chiamava padre, non avesse alcun peso. O peggio, come se vi fosse abituato.
«Intendi dire…»
«Non c’è nulla da intendere, Stark» sospira il suo interlocutore, levando gli occhi al cielo come se stesse parlando con qualcuno di particolarmente ottuso. «Sono stato incatenato a una roccia con gli intestini di mio figlio». Il suo tono non ha alcuna inflessione particolare, ma deve fare una pausa e Tony prende la saggia decisione di dimostrare un po’ di sensibilità e volgere lo sguardo altrove. «La pena prevista erano mille anni: per cinquecento di essi, durante il giorno un’aquila si cibava del mio ventre, che di notte ricresceva; per i successivi cinquecento, un serpente lasciava colare il suo veleno sul mio petto e i miei occhi. L’ultimo castigo che mi è stato imposto è la cucitura delle labbra, per impedirmi di mentire ancora, ma, come tu stesso puoi vedere, sono riuscito a far sì che il veleno della serpe sciogliesse il filo».
Tony aggrotta la fronte, perplesso: sa che il dio potrebbe aver subito una commozione celebrale, ma non immaginava fosse così grave da privarlo della capacità di contare.
Prima che possa sottolinearlo, però, Loki deve cogliere il suo dubbio, perché specifica: «È chiaro che ho dovuto scontare la punizione in una dimensione diversa da quella di Midgard, dove il tempo scorre più veloce di quanto non accada qui. Non mi sorprenderei se fossero passati solo pochi anni da--».
«Tre anni» precisa Tony, puntiglioso, perché il dio è riuscito a farlo passare per imbecille quando era lui quello che stava commettendo un clamoroso errore di calcolo, fino a pochi secondi prima.
«Tre anni» ripete Loki, assorto.
Non aggiunge altro e Tony si limita a osservarlo, a domandarsi come sia sopportare mille anni di tormento, legato con le budella del proprio figlio, come sia tornare indietro in pezzi e scoprire che per qualcun altro sono passati solo tre anni, appena trentasei mesi. Sono esperienze che stravolgono un uomo, gli rubano tutto ciò che lo rende umano.
A un dio cosa possono rubare? Forse tutto il resto, considera Tony.
«Ti ringrazio».
Si riscuote dalle proprie riflessioni con una scrollata all’udire quelle parole che lo prendono del tutto in contropiede, perché mai avrebbe pensato che un giorno Loki lo avrebbe ringraziato di propria spontanea volontà.
«Di cosa?»
Può apparire una domanda stupida, ma lui è ben conscio che ogni gesto e parola del suo ospite hanno un significato preciso ed è improbabile che voglia ringraziarlo per qualcosa che qualsiasi essere umano degno di essere definito tale avrebbe fatto senza esitare.
«Per avermi portato qui» risponde Loki, esacerbando il suo stupore al punto che non riesce a ribattere subito. «Se non l’avessi fatto, avrei dovuto sopravvivere ad altri cento anni di tormento».
È allora che Tony si riprende abbastanza per obiettare, inebetito: «Ma io non ti ho “portato qui”: sei tu che sei apparso dal nulla con uno dei tuoi trucchi da Houdini o che ne so io».
Il dio corruga la fronte. «Che cosa stai dicendo?» Socchiude gli occhi con cipiglio sospettoso, quasi fosse convinto che Tony lo stia prendendo in giro, ma poi la sua espressione si ammorbidisce in una di riflessione mentre pondera qualcosa che al suo interlocutore non è dato sapere. «Capisco». La sua bocca subisce quello che pare uno spasmo, ma che su un essere umano normale potrebbe essere una risata. «Interessante».
Tony ha la pazienza di aspettare delle spiegazioni per due secondi e quattordici decimi prima di scattare. «Sua Maestà ha intenzione di mettere a parte anche me di siffatta conclusione?»
«No» sospira Loki, come se fosse afflitto dalla conversazione. «Non è nulla d’importante».
Alla fine Tony decide di lasciar perdere per amore della propria sanità mentale, Loki decide di rimanere come ospite indesiderato per amore di se stesso e Tony che cosa può fare, se non abituarvisi?
***
Che cosa? Loki abbassa le palpebre sugli occhi ciechi, osserva in silenzio, un’ombra nelle foreste di Asgard, il corpo svilito abbandonato su Midgard, lo spirito libero di vagare nella terra dove è stato allevato, di guardare suo fratello che fissa con le sopracciglia inarcate la lancia puntata contro il suo cuore. Che cosa stai facendo, Hodr? Sono io, il tuo compagno Balder!
È inutile, pensa Loki. Per quanto Balder possa parlare, la sua voce non raggiungerà le orecchie del cieco Hodr se non sotto forma di ringhi di belva.
Il vecchio solleva la lancia, prende la mira affidandosi al solo udito, così fine che rimane uno dei cacciatori più valenti di Asgard, nonostante abbia perduto la vista. Loki sa che Balder non può scappare, Balder sa che non può scappare.
Hodr? Ascoltami, Hodr!
Tu non hai ascoltato, sillaba Loki, sebbene il fratellastro non possa scorgerlo. Tu non hai ascoltato, quando il serpente mi avvelenava e io gridavo. Il nobile Balder era troppo impegnato a farsi amare per preoccuparsi del suo cosiddetto fratello.
Hodr tira, la lancia colpisce il bersaglio, la punta affonda nel petto di Balder. Appare così soffice, così vulnerabile, il più glorioso guerriero di Asgard insieme a Thor.
Soffoca, Balder, in un grumo di sangue che gli risale in gola.
Stramazza al suolo.
I suoi occhi divengono bui.
Loki guarda, guarda come, una volta tornato nella propria forma corporea, non potrà più fare, guarda come gli asgardiani gli hanno tolto il privilegio di fare. Guarda Balder che muore e sorride all’udire il primo gallo cantare.
Tu non hai ascoltato, Balder. Nessuno ha ascoltato, e ora è troppo tardi.
***
Tony non si è mai preso cura di un alieno, prima, perciò non sa bene come comportarsi con Loki. Si risolve a non preoccuparsi più del dovuto se la febbre si alza e cala di colpo, perché il dio sembra sopportare ogni cambiamento con stoica indifferenza, anche se trascorrono diversi giorni prima che possa camminare per più di pochi minuti.
Per la verità, dopo il primo giorno, Tony trascorre più tempo a domandarsi a quale orrida tortura lo sottoporrà Fury quando verrà a sapere di tutto questo che non a interrogarsi circa la salute del suo ospite.
Loki c’è, c’è sempre stato e sempre ci sarà.
Tony invece c’è, fino a poco tempo prima era un embrione e a breve Fury lo ucciderà: è molto più naturale per lui dare priorità alla propria sopravvivenza che a quella del dio.
All’alba del quarto giorno dal suo arrivo, con la guida di Tony, Loki ha imparato a memoria la piantina dell’attico e riesce ormai a muoversi con una certa autonomia, mentre gli altri Avengers e lo S.H.I.E.L.D. sono ancora ignari della sua presenza e attribuiscono la reclusione di Tony all’interno della Stark Tower a un nuovo progetto, probabilmente il Mark IX.
In realtà non mette piede in laboratorio da più di una settimana, perché dedica le giornate al semidio nel tentativo di trovare una risposta a ogni sua curiosità. Lascia la torre solo nei pochi casi di “emergenza supercattivo” e torna una volta conclusa la missione.
La verità è che Tony ha paura, e non solo per se stesso.
La verità è che il dio non risponde spesso alle sue domande, ma di notte parla nel sonno e Tony raggela nell’ascoltare quei discorsi frammentati, rattoppati, eppure lucidi, troppo lucidi.
Cosa possono rubare a un dio?
Ora Tony lo sa. La sanità mentale.
Loki invoca nomi di persone che non ha mai sentito, Balder, Frigga, Nari – Tony non osa chiedere, ma sa che è il nome del figlio di cui hanno usato gli intestini per legarlo, lo sa da come lo pronuncia, così come sa che non dimenticherà mai la sua voce sciogliersi su quelle due sillabe –, invoca Thor, invoca potenze divine che lui non spera di conoscere, parla del serpente che l’ha accecato, dell’aquila che gli ha lacerato il ventre.
Parla di un padre che non lo ama, di una razza di cui non fa parte, di un trono perduto, di tre galli che cantano.
Parla, parla, Tony non l’ha mai sentito parlare così tanto, parlare come se dovesse sgravarsi da un peso, poi si sveglia e tace e ha un’espressione furtiva dipinta in volto, quasi temesse che Tony ha ascoltato, e lui non ha il coraggio di accennare ai suoi vaneggiamenti notturni.
Una notte Loki ride, e il giorno successivo Thor lo trova.
***
Sopraggiunge come un tuono silenzioso, manifestandosi all’interno della Stark Tower in tutto il proprio splendore divino, con l’elmo calcato sul capo, l’armatura scintillante e Mjolnir stretto in pugno.
Da qualche giorno Loki non ha più bisogno di rimanere a lungo disteso ed è seduto sul divano del soggiorno; coglie immediatamente l’arrivo del fratello e alza la testa nella direzione generale da cui proviene quell’improvviso afflusso di energia asgardiana. Tony sta allontanandosi dalla cucina, brandisce due tazze di caffè e per poco non le rovescia, si domanda se Thor sia venuto per portare via Loki, per rimetterlo in catene, si domanda se lo fermerà o meno, nel caso fosse così.
Il Dio del Tuono fissa suo fratello, rinfodera con lentezza il martello, si sfila l’elmo, come si fa ai funerali, lo getta per terra – Tony è quasi certo che abbia scheggiato il pavimento – e crolla ai piedi di Loki, in lacrime.
«Thor» lo accoglie quest’ultimo con voce fredda, sebbene un guizzo d’emozione gli abbia fatto tremare il labbro inferiore per un istante.
L’interpellato vorrebbe prendergli le mani, forse piangergli in grembo; non osa.
Sa che ciò che ha fatto – che ha concesso venisse fatto – è troppo grande.
«Loki,» lo apostrofa, esitante, ma ogni sillaba gronda amore, solo amore, e Tony è di troppo e distoglie lo sguardo «ti ho cercato a lungo…»
«Per riportarmi a casa
Loki è una serpe, una serpe furiosa; Thor si ritrae di scatto dal suo morso, ma non desiste. È suo fratello. «No. Non questa volta. Per proteggerti. Anche Odino ha ordinato ai suoi di darti la caccia e temo ciò che ti farà, se dovesse trovarti».
Le anomalie in quel breve discorso colpiscono anche il Dio dell’Inganno, che suo malgrado si dà la pena di trattenere una rispostaccia. «Vuoi dire che hai lasciato Asgard?»
Thor annuisce con severità, non ha importanza che il fratello non possa vederlo. Schiude le labbra, questa volta con estrema risolutezza, e pronuncia poche parole precise: «Il trono. Odino. Tutto. Non potevo perdonarmi ciò che ti avevo fatto».
Il trono. Odino. Tutto.
Sentenze che rimbombano di definitivo e di amore e di rimorso.
Tony non ha ben compreso il ruolo di Thor nella vicenda – Loki non ha voluto pronunciarsi a riguardo – ma, personalmente, anche se fosse stato solo in piedi a guardare, non potrebbe mai perdonarlo. Loki però è commosso, in un certo senso, dove commosso per il Dio dell’Inganno ha un significato differente che per gli altri esseri umani. Senza dubbio è sorpreso – Tony ormai ha imparato a riconoscere le sue emozioni e non sa quanto ciò sia un bene.
Alla fine, Loki è il fratello di Thor, Thor è il fratello di Loki, e questo va oltre tutto il resto.
«Ho ucciso Balder» annuncia quest’ultimo all’improvviso in tono di sfida, come a voler vedere fin dove si spinga la lealtà che il fratello sembra aver consacrato a lui. «Questa sera il terzo gallo canterà. Credi ancora che il tuo amore sia ben riposto?»
Thor ha un sussulto che gli percorre l’ampia schiena e le braccia muscolose, aggrotta la fronte in un’espressione cupa e triste, ma non abbandona la posizione genuflessa dinanzi al Dio dell’Inganno. China il capo, mormora qualcosa nella stessa lingua in cui delira Loki, preme la fronte contro il ginocchio del fratello, che lo lascia fare.
Tony non sa cosa significhi che Balder è morto né tantomeno perché tre galli debbano cantare, ma le espressioni degli altri due astanti sono solenni e lui preferisce non rischiare d’infrangere quel momento con una domanda stupida.
Infine Thor si alza, si volge e pare ricordarsi della sua esistenza: si dirige verso di lui, gli serra una spalla con la mano, gli occhi gravidi di gratitudine, rossi di pianto.
Un uomo della sua stazza in lacrime è uno spettacolo atroce e Tony vorrebbe poter abbassare lo sguardo, ma non può e gli batte debolmente una mano sull’enorme tricipite mentre il compagno di squadra esordisce, con la regale magnificenza di un principe: «Ti sono eternamente riconoscente per aver salvato la vita di mio fratello, Tony Stark. Non c’è niente al mondo che io potrei fare che possa ripagare ciò che tu hai fatto per me. Grazie».
«Sì, beh,» farfuglia, indugia, odia i ringraziamenti «non c’è, uh, problema. Sicuro. Sempre al tuo, uhn, servizio».
«Da ora innanzi permettimi di assisterti nel proteggere Loki, poiché, se Odino lo scovasse, tenterebbe di ricondurlo alla sua punizione» riprende il Dio del Tuono e Tony ha un moto di stizza perché non è stupido, l’ha capito, ma non ha il fegato di maltrattare Thor che lo implora di rimanere con quegli occhi da cucciolo.
«Certo» approva con un cenno del capo. «Resta quanto vuoi, c’è posto».
Raggiante è un eufemismo.
Loki non dimostra altrettanta gioia, ma è notevolmente più sereno dacché Thor si stabilisce nell’attico. Parla di più, ora, anche se lo fa quando Tony non c’è e quasi soltanto con il fratello; mangia di più, sembra quasi che guarisca più in fretta, che viva di più giorno dopo giorno.
Tony ne è sollevato, presto entrambi lo lasceranno finalmente in pace; Thor no, Thor si fa più taciturno e rabbuiato, a parte quando parla con Loki, perché allora si sforza di essere felice.
Il suo sorriso è tirato, la sua allegria un pallido ricordo di quella d’un tempo.
Tony non capisce e nessuno dei due si dà la pena di spiegare, almeno fino al terzo giorno dacché Loki ha annunciato che quella sera il terzo gallo avrebbe cantato.
È il Dio dell’Inganno a rivolgergli la parola con la palese intenzione di intavolare una conversazione. «È la fine, Stark» commenta in tono discorsivo, scrutando con intensità la parete di fronte a sé. «Oggi è l’ultimo giorno dell’universo degli dei e dei midgardiani».
La voce è la stessa che assume quando mormora nel sonno e un brivido freddo corre lungo la schiena di Tony, che butta giù mezzo bicchiere di whiskey prima di replicare. «Sei impazzito del tutto?»
Loki increspa le labbra in un sorriso divertito e amaro. «Temo di no. Come previsto dalla Veggente, ho dato inizio al Ragnarok con la morte di Balder».
Senza attendere risposta, gli racconta la storia: la storia di una vecchia che prevede le sorti del mondo, che ha previsto, prima ancora che Loki nascesse, che lui si sarebbe macchiato dell’omicidio del fratellastro, Balder il Prode, e che dal suo sangue avrebbe avuto origine il Ragnarok, la fine del mondo, la storia di un inverno infinito, di uomini che muoiono, di mostri che assaltano le mura di Asgard, la storia di Loki che, finalmente libero dai suoi castighi, guida una schiera infernale proveniente dalle fiamme di Muspelheim, la storia che fino ad allora sia lui che Thor gli hanno taciuto, la storia cui Tony non crederebbe, non fosse per lo sguardo spento di Thor.
Thor.
«Dov’è Thor?»
Il sorriso non accenna a morire sulla bocca del Dio dell’Inganno, si allarga, persino, mentre lui scrolla le spalle. «Non è qui e non tornerà».
Thor è andato a difendere Asgard, perché, per quanto ami suo fratello, la città è la sua patria, gli asgardiani la sua gente. Thor è andato a difendere Asgard ed è probabile che stia combattendo contro la creatura che lo ucciderà, com’è scritto nelle sorti del mondo, com’è annunciato dalla Veggente.
Tony si prende la testa tra le mani.
Il mondo sta per finire.
Gli Avengers stanno per finire.
Iron Man sta per finire.
Forse è il tempo di una riflessione profonda, ma la consapevolezza della fine è ineffabile. Non esiste mezzo di comunicazione adatto a esprimerla.
«Sai, Stark,» sussurra Loki e, quando Tony solleva il capo, lo vede immobile, le mani sulle ginocchia, lo sguardo fisso su di lui, sebbene l’uomo sia del tutto certo che il dio non possa scorgerlo attraverso il velo della sua cecità «per lungo tempo ho pensato che non sarebbe accaduto, ho pensato di avere la possibilità di scegliere. Persino quando Odino mi ha inflitto la medesima punizione descritta nella profezia, credevo ancora di poter sfuggire al destino. Ti ho parlato di mia moglie, Sigyn, la donna che avrebbe dovuto prendersi cura di me. Non è mai esistita, perciò mi ero ormai convinto di essermi liberato delle maglie soffocanti della sorte. Poi tu mi hai salvato, mi hai curato, mi hai assistito per così tanto tempo, e allora sono giunto alla conclusione che neppure io, nonostante tutto, ho il potere di ignorare ciò che è stato annunciato».
Tony ha ormai intuito dove il suo interlocutore voglia arrivare, desidererebbe metterlo a tacere, ma non osa, perché una parte della sua anima è consapevole che sia la verità.
E infine Loki lo dice. «Tu sei Sigyn».
Non c’è rabbia, non c’è rancore nella sua voce; solo una quieta consapevolezza dell’inevitabile. Forse è Tony che è sotto shock, forse il whiskey è troppo forte anche sull’orlo della fine del mondo, ma lo sguardo del dio pare ammorbidirsi. Gli allunga una mano. «Ti ringrazio».
Tony osserva quella mano tesa, osserva quel sorriso sigillato dall’ago, osserva la morte in viso.
Gli stringe la mano.
  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: MrEvilside