In quel maglione troppo largo
J
salì le scale lentamente quella sera. Era stanca. Era stata trascinata qui e
là dalle indicazioni di Near. La parte del piccolo Napoleone indisponente veniva
benissimo al ragazzo. Dare ordini sembrava una dote naturale, unita alla sua
incredibile intelligenza. Di solito lei non commentava quelli che potevano
essere gli ordini che le impartiva,
perché aveva preso alla lettera l’idea di essere il nuovo Watari
e Watari non avrebbe mai discusso di quello che
sarebbe stato meglio. Assumendo quel compito e quel ruolo, era lei che doveva
incontrare i clienti, lei che si
occupava di mettere in comunicazione il nuovo L con il resto del mondo e a rischiare in quello che era il primo
approccio.
La piccola grande mente del ragazzo
era infatti protetta da uno stuolo di collaboratori. La squadra, che si era
formata durante la caccia contro Kira, si era
mantenuta stabile. All’interno del gruppo c’era anche Mello,
scampato, grazie a J, ad una morte orrenda. Anzi, forse un paio di morti orrende,
nelle quali si era infilato di propria volontà.
Il
loro quartier generale non era mai deserto, ma il silenzio regnava incontrastato
tra le pareti candide e quelle ricoperte di monitor. Il massimo del rumore
poteva essere in bip bip di
qualche strumentazione attiva.
I membri del gruppo che avevano una
propria vita, fuori dalla loro centrale operativa, erano solo Gevanni e Lidner, mentre tutti
gli altri si erano suddivisi nei piccoli appartamenti dell’edificio che
occupavano. Bastavano poche stanze, perché non era escluso che prima o poi si
sarebbero potuti spostare da lì. Era una scelta dura, quella di votarsi così
alla giustizia, ma, come aveva detto una volta L, qualcuno doveva farlo.
J
si fermò e si aggrappò al corrimano. Si tolse le scarpe. I tacchi le stavano
massacrando i piedi e non ne poteva più. Tutto il giorno in tailleur su dei
trampoli non era mai stata la sua aspirazione, ma faceva parte del gioco e lo
svolgeva con dovizia. Con passo felpato, attutito dalla moquette sul pavimento,
superò la camera di Rester, poi quella di Near, che non era occupata dal suo proprietario, impegnato
in sala monitor a controllare qualcosa che solo lui sapeva. Procedette fino in
fondo al corridoio, dove, quasi nascosta dietro una curva, c’era la porta della
stanza che condivideva con Mello. La luce era accesa
e filtrava sotto la porta.
Bussò, ma non ci fu nessuna risposta.
Magari, come era successo molte volte, il ragazzo aveva dimenticato di spegnere
la lampada sul comodino prima di uscire. Aprì ed entrò sospirando. Finalmente
un po’ di pace!
La
stanza era leggermente sottosopra. Il passaggio di Mello
era ben visibile nei cassetti dell’armadio lasciati socchiusi e nelle coperte
rivoltate del letto. Sul suo comodino, quello con la lampada accesa, c’erano
una serie di plichi, segno che ormai era tutto pronto per il lavoro del giorno
dopo, bastava solo studiare ciò che Near aveva messo
a punto dopo le indagini preliminari, svolte da tutti i membri del gruppo.
J
si sedette sul letto, sciolse la crocchia che le incatenava i capelli neri e
nel silenzio della stanza sentì scrosciare la doccia attraverso la porta del
bagno, sicuramente chiusa a chiave. Dopo le ultime esperienze con Near, che dimenticava di chiedere il permesso di entrare
per parlare con lui, Mello si chiudeva a doppia
mandata. Non gli piaceva essere disturbato mentre svuotava la mente o anche la
vescica!
Non passò molto tempo che la chiave
girò nella toppa con il suo caratteristico rumore metallico e il fascio di luce
bianca si spense. Con un asciugamano sulla testa e sfregandosi i capelli,
comparve il ragazzo, i pantaloni che calavano leggermente sui fianchi stretti.
Sentì subito la presenza della donna nella stanza e sollevò lo sguardo.
«Cominciavo a perdere le speranze.»
disse con voce talmente rilassata da sembrare un altro uomo. La cosa colpì J:
evidentemente Mello era di ottimo umore quella sera.
«Non ne potevo più, ma non potevo
scappare. Near avrebbe protestato.» rispose
semplicemente lei, guardandolo dritto negli occhi blu.
Mello sbuffò leggermente. Parlare di Near non gli piaceva, specie in quella stanza. Si sedette
anche lui sul letto. Diede un’ultima sfregata alla chioma bionda e lanciò
l’asciugamano sulla sedia. I capelli umidi frustarono la schiena nuda e segnata,
su una spalla dalla cicatrice che gli martoriava anche il viso. Si chinò a
cercare qualcosa in un cassetto, la schiena si tese nello sforzo e la
muscolatura asciutta si rivelò delicatamente, solo per un attimo, colpita dalla
luce morbida e ambrata della piccola lampada. Mello riemerse
dal cassetto e ne trasse un maglione nero, decisamente fuori misura. Pareva più
una coperta. Lo infilò in fretta e si sedette a gambe incrociate sul letto.
Prese i plichi dal suo comodino e cominciò a sfogliarli con un misto tra la
rassegnazione e la condiscendenza.
«Domani la sveglia suonerà presto.»
annunciò lui, che sentiva addosso lo sguardo della ragazza. Non si era staccato
dal suo corpo nemmeno per un secondo e lui lo sapeva. Quello di Mello era un invito a darsi una mossa, se voleva farsi una
doccia. Lui l’avrebbe aspettata come sempre. Se erano tutti e due al quartier
generale, non osavano addormentarsi se l’altro non era nello stesso letto. Era
l’unico gesto eccessivamente romantico che si concedevano. Era anche un modo
per rassicurarsi della presenza dell’altro.
J colse al volo il
suggerimento e, recuperata la biancheria pulita, si diresse direttamente bagno.
A differenza del compagno, lasciò la porta aperta, spalancata. Non aveva nessun
problema di intrusioni: Mello avrebbe sbattuto fuori
a calci chiunque avesse osato entrare nella loro stanza, specie se lei era
senza veli. Aveva sviluppato una certa gelosia nei suoi confronti.
Finita la doccia, avvolta
in un telo bianco, si spazzolò i capelli
con cura e li asciugò. Guardò la sua immagine riflessa nello specchio, ma
subito i suoi occhi caddero su qualcosa, anzi, su qualcuno molto più interessante. Lo specchio del bagno permetteva
di vedere cosa succedeva in camera da letto e si trovò a fissare l’immagine di Mello che sfogliava con attenzione i fascicoli con le
istruzioni di Near. Lo sguardo attento percorreva
deciso ogni riga del testo stampato, saettando azzurro da un lato a l’altro del
foglio; di tanto in tanto inspirava profondamente, quasi a radunare le idee per
capire quale fosse la strategia migliore da adottare. In una mano reggeva una
stecca di cioccolata, compagna immancabile, e più di una volta J lo sorprese a
leccarla distrattamente. La lingua giocava con le asperità lasciate dai morsi
che infliggeva alla tavoletta e con il suo calore le lisciava con
puntigliosità. Lasciava cadere un plico sul letto e ne apriva un altro,
guardava le foto contenute, reggeva tra i denti il cioccolato e confrontava
diverse pagine del testo.
Così indaffarato, Mello
si muoveva agile e nervoso all’interno di quel maglione troppo largo, che
nascondeva il fisico asciutto, e sembrava riportarlo indietro nel tempo,
all’epoca in cui, risolvere un caso, significava essere sempre più vicino a
diventare il nuovo L. Se non fosse stata per la cicatrice sul volto, scambiarlo
per un ragazzino troppo intelligente, sarebbe stato molto semplice.
I piedi nudi sulla coperta, che ogni
tanto venivano nascosti dalla posizione che cambiava repentinamente,
penzolavano di tanto in tanto dal bordo del letto. A volte sparivano sotto i
lembi del maglione, che, quasi per prenderlo in giro, scivolò scoprendogli una
spalla. Quel piccolo ribelle, che era stato, assumeva così una tenerezza che
mai avrebbe mostrato in pubblico.
J quasi si scottò con il phon, acceso
alla massima potenza, nell’osservare quella scena così intima, che le si
offriva in quella camera, la quale, per certi versi, poteva considerarsi
asettica. Nessuna foto in giro: era tassativamente proibito loro lasciarsi
andare e regalare ad estranei e nemici un modo per ricattarli.
Infilò
una t-shirt che aveva visto giorni migliori e a piedi nudi uscì dal bagno.
Si massaggiò la testa ancora rovente
e il profumo di shampoo si spanse per la stanza. Mello
alzò lo sguardo dalle scartoffie. I suoi occhi avevano smesso di andare avanti
e indietro tra quelle parole, da quando il phon aveva smesso di produrre
rumore.
«Ci ho messo troppo?» chiese la
ragazza, quando lo sguardo di Mello si fece serio,
carico di qualcosa di indecifrabile.
Il ragazzo sorrise. No, non ci aveva
messo troppo e nemmeno troppo poco. Semplicemente non si sarebbero visti per
giorni, dato che, come sempre, i loro ruoli erano complementari, ma opposti. A
volte pensava che Near si divertisse a separarli. Mello, in tutta risposta, quando finalmente tornavano a dormire
nello stesso letto, non si conteneva quanto a rumori notturni. Fatto sta che ne avrebbe sentito la mancanza di
quelle magliette orrende che usava per dormire, dei suoi piedi freddi che gli
avrebbero fatto prendere un colpo in piena notte e anche del suo russare,
quando assumeva una posizione contorta che quasi lo buttava fuori dal letto.
«Devo venirti a prendere o vieni qui
di tua spontanea volontà?» si trovò a dire spazientito da lei, che restava in
piedi e imbambolata a osservarlo con un sorriso ebete.
«Quel maglione è davvero troppo
grande.» fu tutto ciò che J riuscì a dire e non c’entrava nulla con la domanda
del ragazzo.
Mello si guardò un attimo la stoffa molle
che lo avvolgeva, poi ammucchiò tutte le cartacce sul comodino e decise di
andare a prenderla, tanto era quello che J stava aspettando.
Volevo scrivere qualcosa su Mello per le feste natalizie, ma non ho avuto il pc a portata di mano e nemmeno il tempo per farlo.
Non ho mai scritto tanto usando
sempre lo stesso personaggio: è decisamente la mia anima gemella! Trovo molto
semplice lasciarmi prendere da questo malefico biondino.
Un piccolo momento di vita
famigliare, per così dire, agganciandomi a quella che è la mia serie.
Spero vi sia piaciuta.