Film > The Avengers
Ricorda la storia  |      
Autore: vannagio    19/01/2013    24 recensioni
Tony spalancò la porta del bagno. Pepper era piegata sul water e sembrava stare rimettendo anche le budella.
«Ehm… ti serve qualcosa?».
«Sto bene».
Non riusciva a guardarla in viso, i capelli di lei gli coprivano la visuale.
«Lo chiedo perché il vomito ed io abbiamo qualche problema di accettazione reciproca. Ma se reputi il mio intervento indispensabile, voglio che tu sappia che non devi porti alcuno scrupolo, okay?».
In risposta ottenne solo altri conati.

[Dedicato a OttoNoveTre, per il suo compleanno. Tantissimi auguri!]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Nuovo personaggio, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Elivelivolo e dintorni '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Per la serie…
“Quando vannagio vaneggia!”







Dedicata a OttoNoveTre, per il suo compleanno.
Ripeti spesso di avere una particolare predilezione per le scenette di vita quotidiana con gente che di normale ha poco.
Ebbene, eccoti servita!
Tantissimi auguri!




Nausea




Tony aprì gli occhi. Qualcosa lo aveva svegliato.
L’orologio elettronico sul comodino segnava le sei e trenta del mattino. Non ricordava di essersi mai svegliato a un’ora simile, non sapeva nemmeno che forma avesse il mondo, in quel particolare momento della giornata. O doveva considerarla ancora nottata?
Al massimo poteva esserci andato a dormire, a quell’ora, possibilmente dopo una notte di baldoria sesso alcol e rock’n’roll. In ogni caso, la dose di alcol che solitamente ingeriva in quelle occasioni rendeva quanto meno improponibile notare qualcosa che non fosse una superficie sufficientemente morbida sulla quale collassare. Figuriamoci, quindi, rendersi conto del mondo che gli orbitava intorno.
Una specie di rantolo ovattato lo distrasse dai suoi pensieri.
Da sotto la porta del bagno filtrava una sottilissima linea luminosa. E finalmente i neuroni da genio miliardario playboy filantropo si attivarono. Pepper non era a letto, ecco cosa lo aveva svegliato.
Alzarsi o non alzarsi, questo è il problema.
Valutò a lungo i possibili pro (Causa, andare a vedere cosa succede. Effetto, fare bella figura con Pepper. Bonus aggiuntivo, ottimo sesso mattutino) e i probabili contro (Causa, abbandonare le coperte calde. Effetto, chiappe e piedi gelati. Oltre al danno la beffa, scoprire che Pepper è andata a espletare bisogni corporali per nulla sexy) dell’alzarsi. Infine stabilì che il gioco non valeva la candela e che il sesso mattutino lo avrebbe ottenuto comunque, perciò… sogni d’oro, mondo-alle-sei-del-mattino, rimanderemo la nostra conoscenza a data da destinarsi.
Un secondo rantolo lo indusse a riaprire gli occhi.
Causa, non andare a vedere cosa succede. Effetto, Pepper lo ignora per tutta la giornata. Danno aggiuntivo, niente sesso per una settimana.
Tony bussò alla porta del bagno, stropicciandosi gli occhi.
«Pepper, tutto bene?».
Terzo rantolo, contornato da graziosi conati poco promettenti.
«Torna a letto, Tony».
La sua voce suonava roca, ma non in quel modo sexy che lo mandava su di giri.
«Sei sicura?».
«Sì, torna a letto».
Tony fece spallucce. Chi era lui per disobbedire a un ordine esplicito e diretto? In fondo la sua parte l’aveva fatta. E si sa che per farsi aiutare è necessario innanzi tutto voler essere aiutati, no? Forse poteva chiedere a Jarvis di registrare le parole di Pepper, solo per sicurezza, con le donne non si sa mai.
«Jarvis?».
«Signore? Devo chiamare il dottore?».
«Dottore? Chi ha parlato di dottore?».
«Mi perdoni, signore. Mi era parso di capire che la Signorina Potts necessitasse di assistenza medica».
Quarto e quinto rantolo. E di nuovo i graziosi conati.
Tony spalancò la porta del bagno. Pepper era piegata sul water e sembrava stare rimettendo anche le budella.
«Ehm… ti serve qualcosa?».
«Sto bene».
Non riusciva a guardarla in viso, i capelli di lei gli coprivano la visuale.
«Lo chiedo perché il vomito ed io abbiamo qualche problema di accettazione reciproca. Ma se reputi il mio intervento indispensabile, voglio che tu sappia che non devi porti alcuno scrupolo, okay?».
In risposta ottenne solo altri conati.
«Jarvis?».
«Signore?».
«Prepara una tisana per la Signorina Potts, quella per lo stomaco».
«Sarò fatto, signore».
Si inginocchiò accanto a Pepper, le raccolse i capelli sulla nuca e al sopraggiungere dell’ennesimo conato voltò la testa dall’altra parte trattenendo il respiro. Quando lo sgocciolio rivoltante e i conati cessarono, strappò un po’ di carta igienica e gliela porse, sempre con la testa girata dall’altra parte. Lei la prese e si tamponò la bocca.
«Deve essere stato il sushi di ieri sera. Aveva un sapore strano».
«L’ho sempre detto io: mai fidarsi del cibo che non è stato cotto a dovere».
Aspettarono altri conati, in ginocchio sulle mattonelle fredde del bagno, davanti alla tazza del water, fin quando Jarvis non annunciò che la tisana per lo stomaco era pronta.
«Credi che possiamo azzardarci ad andare in cucina, senza rischiare di innaffiare di vomito tutto l’attico?».
Pepper gli assestò una gomitata nel fianco. Tony si lasciò cadere sdraiato sul pavimento e poi rimase lì ad ammirare le lunghe gambe di lei che lo scavalcavano e si dirigevano fuori dal bagno.
«Non mi guardare così, sto bene», disse Pepper più tardi.
Si era accoccolata sul divano e soffiava sulla tazza fumante che reggeva tra le mani.
«Oh, lo vedo. Sei splendida, infatti. Il tuo viso non è mai stato così giallognolo come questa mattina. Qual è il tuo segreto? Sushi avariato?».
Pepper abbozzò un sorriso, prima di azzardare un sorso di tisana bollente. Tony, che era appena tornato dalla stanza da letto con il piumone, la coprì per bene in modo che non prendesse freddo e le si sedette vicino.
«Hai qualcosa da farti perdonare?».
«Stai forse insinuando che non sono capace di gesti altruistici senza un secondo fine?».
«Esatto».
«Be’, ti sbagli di grosso, mia cara Signorina Potts. Stavo solo pensando che…».
Pepper alzò gli occhi al cielo. «Ecco, ci siamo».
«…il tuo malessere sarebbe la scusa perfetta per rimanere trincerati in questo meraviglioso attico ultramoderno e superaccessoriato. Solo tu ed io, senza agenti che irrompono, o per meglio dire rompono, nei momenti meno opportuni».
Pepper scosse la testa. «Tony, no».
«Potremmo trascorrere il resto della giornata facendoci le coccole davanti a un fuoco finto che scoppietta nel camino, guardando qualsiasi film in bianco e nero tu voglia vedere. Oppure, nell’eventualità che la tua prognosi migliori, rintanandoci in camera da letto e…».
«Tony, scordatelo. Non salteremo il pranzo a casa di mia sorella. È fuori discussione. Sono mesi che insiste per averci a pranzo da lei. Se le do buca anche questa volta, penserà a un pretesto, che la stiamo evitando».
Tony ammiccò.
«E non è così, forse?».
«No, non sono io che la sto evitando. Sei tu quello che accampa scuse su scuse per rimandare. Ora, i casi sono due: uno, la tua sociopatia ha raggiunto livelli patologici; due, conoscere la mia famiglia ti crea qualche problema. Considerato che, quando si tratta di organizzare feste nel suddetto attico ultramoderno e superaccessoriato, la tua sociopatia viene prontamente accantonata, direi che l’ipotesi più probabile sia la numero due. E se hai qualche problema con la mia famiglia, mio caro Signor Stark, allora hai qualche problema anche con me».
Pepper nascose il sorrisetto compiaciuto dietro la tazza, senza smettere di fissare dritto negli occhi un Tony dal sopracciglio inarcato.
«Sei la donna più subdola che abbia mai conosciuto».
«Lo so».
Tony sospirò.
«Jarvis, controlla che la Maserati abbia il pieno di benzina».
«La Maserati è pronta a partire in qualunque momento, signore».
Pepper storse la bocca in una smorfia.
«Dobbiamo prendere proprio la Maserati?».
«Preferisci l’elicottero? Jarvis, prepara l’elicottero».
«Tony!».
«No? Il jet privato, allora. Jarvis, hai sentito la Signorina Potts?».
«Pensavo a qualcosa di più discreto, a dire il vero».
Tony si accarezzò il pizzetto, con aria pensierosa.
«Discreto? Non credo di conoscere il significato di questa parola. No, proprio come pensavo, non è presente nel mio vocabolario».
Pepper lo colpì in faccia con un cuscino.



«Ai bambini non abbiamo detto chi sei. Credi di poter resistere un’intera giornata senza saltare su una sedia e dichiarare “Io sono Iron Man!” come tuo solito?».
«Uhm, fammi pensare. Niente marmocchi salterini che mi urlano nelle orecchie per costringermi a indossare l’armatura… Sì, direi che si può fare».
Pepper scosse la testa, ma non commentò.
«Rallenta, ci siamo quasi».
L’Acura NSX (l’auto più discreta che avevano scovato in garage) sfrecciava lungo il viale alberato di una cittadina di provincia, di cui Tony aveva già dimenticato il nome (non che gli interessasse tenerlo a mente, eh?), in fondo al quale si trovava l’abitazione della sorella di Pepper.
«Okay, altre info utili. La moglie di mio fratello, Lizzy, è in dolce attesa di una bambina».
«E me lo stai dicendo perché…».
«Perché ti conosco. Ed è meglio prevenire che curare. Ah, dimenticavo. Il marito di mia sorella è il coach della squadra di football del liceo del paese e siccome, guarda un po’, di cognome fa Coach, pretende che tutti lo chiamino Coach».
«Starai scherzando!».
«Lo so, lo so, è una cosa stupidissima ma, ti prego, tipregotipregotiprego, evita di farglielo notare, intesi?».
Pepper aveva le mani giunte e gli stava rivolgendo lo sguardo da cucciolo abbandonato sul ciglio della strada. Tony rilanciò col suo sorriso più seducente.
«Pepper, rilassati. Farò il bravo, te lo prometto. Non salterò sulle sedie, non darò della grassona a tua cognata incinta e non prenderò in giro l’altro tuo cognato nonostante sia un idiota che si fa chiamare Coach da chiunque».
Pepper si coprì il volto con il palmo della mano. «Grandioso».
Non erano ancora scesi dall’auto, che una quarantenne tracagnotta dai capelli rossissimi era corsa loro incontro. Dietro di lei seguivano due bambini e un armadio a quattro ante altrettanto rossi, una ragazza obes… (ah, giusto, incinta!) una ragazza mooooolto incinta, e in coda alla carovana un tizio panciuto e baffuto (il buon vecchio Coach, suppongo).
«Virginia!».
«Carolina!».
Pepper e Tracagnotta si tuffarono l’una nelle braccia dell’altra. Avevano la stessa identica risata, la cosa turbò Tony più di quanto volesse ammettere. Poi toccò all’armadio a quattro ante abbracciare Pepper, sollevarla da terra e ruotare su se stesso.
«George, sono troppo vecchia per queste cose!».
Continuarono così per diversi minuti, tutti ad abbracciarsi, ridere, chiamarsi per nome, constatare quanto tempo fosse passato dall’ultima volta, fin quanto Pepper non si ricordò di Tony, che era rimasto in disparte, mani in tasca e fronte aggrottata dietro gli occhiali da sole, a contemplare l’amena rimpatriata familiare.
«Ragazzi, vi presento Tony», disse lei prendendolo sotto braccio. «Tony, loro sono mia sorella Carolina e suo marito Coach».
Tracagnotta-alias-Carolina gli strinse la mano, scuotendogliela più e più volte come si fa con uno strofinaccio impolverato (“Sono molto onorata, davvero molto onorata, di fare la sua conoscenza, Tony. Posso chiamarla Tony, vero?”). Baffuto-chiamatemi-Coach si limitò a un cenno del capo.
«Mio fratello George e sua moglie Lizzy».
Incinta fu molto generosa nell’elargire sorrisi. Armadio-a-quattro-ante-George, invece, borbottò un piacere smozzicato e nel frattempo lanciava occhiate furtive e astiose all’Acura NSX.
«Infine i piccoli di casa, Dakota e Mich, figli di Carolina e Coach».
Tony inarcò un sopracciglio.
«Mich? Come Michigan? E la prossima arrivata come la chiamerete? Arizona?». Sette paia di occhi si fissarono su di lui, guardandolo come se avesse appena bestemmiato in aramaico. «Davvero sono l’unico ad aver notato che tutti i membri rossi della famiglia portano il nome di uno stato? Virginia, Carolina, Dakota, Michigan, Georgia…».
«Ehi, il mio nome è George!».
Pepper esplose in una risata falsissima. «A Tony piace scherzare, è un gran pagliaccio». Gli conficcò le unghie nel braccio per fargli capire che non doveva azzardarsi a replicare. «Che ne dite di entrare in casa? Comincio a fare un po’ freddino qui fuori».
«Oh, ma certo!», esclamò Carolina. «Andiamo dentro prima che qualcuno si becchi una polmonite. Virginia, a proposito, ti senti bene? Sei molto pallida in viso».
«Sì, tranquilla. Questa mattina ho avuto un po’ di nausea. Senza contare il viaggio in macchina».
«Comprensibile», intervenne Armadio-a-quattro-ante-George (da quel momento ribattezzato Georg-ia). «Dentro quel mostro sfido chiunque a viaggiare comodo».
«Se si vuole avere stile, bisogna soffrire un po’, George». Tony si chinò sull’orecchio di Pepper. «Tuo fratello cerca guai».
«Te lo avevo detto che era meglio venire con un’auto più discreta. E di certo non gli stai rendendo la vita facile. Era proprio necessario chiamarlo Georgia?».
«La prima cosa che farò domani mattina sarà comprare una monovolume solo per far visita ai tuoi parenti. E non lo stavo insultando, stavo esponendo la mia teoria sui vostri nomi. Non dire che ho torto, perché mentiresti sapendolo».
Proprio in quel momento vennero superati da un Georg-ia imbronciato e una Lizzy entusiasta.
«Sai, George? Tutto sommato, trovo che Arizona sia un nome carino per la bambina. Che ne pensi?», stava dicendo lei.
L’occhiata eloquente di Tony fece sospirare pesantemente Pepper.



«Le va una birra, Tony?».
Georg-ia gli porse una bottiglia.
«No, grazie».
«Non faccia complimenti, tanto lo sappiamo che è tutto fuorché astemio».
Georg-ia lo aveva preso in simpatia, che bello.
«Il punto è un altro. Non gradisco che mi si porgano le cose».
«Ma davvero?».
Il tono sarcastico di Baffuto-chiamatemi-Coach era una dichiarazione ufficiale di solidarietà al caro Georg-ia.
«Sì, esatto. È una fobia molto diffusa, cercate su google».
Pepper gliel’avrebbe pagata cara. Lei in cucina a improvvisarsi massaia di provincia e lui confinato in sala da pranzo con gli Uomini Veri, a parlare di cose da Uomini Veri. Tipo andare a pescare, falciare il prato, allenamenti di football… lo aveva già detto andare a pescare?
«E lei va mai a pescare, Tony?».
Per l’appunto.
Si strinse nelle spalle. «Che volete che vi dica, ragazzi. Sul mio yatch mi rilasso, mi abbronzo, o magari organizzo qualche festa, ma pescare…». Fece finta di pensarci su, accarezzandosi il pizzetto. «No, pescare mai».
Georg-ia e Baffuto-chiamatemi-Coach bevvero un sorso di birra, nello stesso momento, senza staccargli gli occhi di dosso. Tony sostenne i loro sguardi, sfoggiando un sorrisetto imperturbabile. Seguì un silenzio un po’ imbarazzante (non per Tony, in realtà: preferiva di gran lunga il mutismo alle chiacchiere inutili di provincia), che Baffuto-chiamatemi-Coach provò a spezzare con un tentativo goffo ma apprezzabile.
«Sai cosa mi ci vorrebbe adesso, George? Uno di quei bei sigari che mi hai portato dalla luna di miele. Ah, cosa non erano quei sigari! Me li sogno ancora».
Tony non faticò a figurarselo mentre sbuffava fumo come una locomotiva da sotto quei folti baffi da tricheco. L’immagine gli piacque così tanto che decise di fare il buon samaritano. Estrasse dal taschino interno della giacca una scatoletta di sigari, e gliela porse. A giudicare dalla sua espressione, Baffuto-chiamatemi-Coach non se lo era aspettato.
«Sigari cubani puri, i migliori che abbia mai fumato. Ne prenda uno».
Si vedeva che Coach era combattuto. Accettare il sigaro del riccone o rifiutare in nome dell’amicizia?
«No, grazie. Non gradisco che mi si porgano le cose».
«Touché». Tony si rivolse a Georg-ia. «E lei?».
«Mia moglie Lizzy è incinta, crede davvero che potrei fumare in sua presenza?».
Georg-ia assomigliava molto a Pepper, soprattutto quando doveva rendere partecipe il resto del mondo del suo disappunto e allora serrava le labbra fino a farle diventare due linee sottilissime e tiratissime.
Tony fece spallucce e si rimise la scatoletta in tasca.
«Vado a vedere se le signore hanno bisogno di aiuto in cucina».
Sporca menzogna, naturalmente. Stava chiudendosi la porta alle spalle, quando li sentì bisbigliare. Accostò la porta e rimase in ascolto.
«È proprio come lo immaginavo», stava dicendo Georg-ia.
«Ah, sì? E come lo immaginavi?».
«Tronfio, arrogante e pretenzioso. Ci ha sbattuto in faccia i suoi soldi trattandoci da pezzenti. Presentarsi con quella macchina, offrirci i fottuti sigari cubani e vantarsi del suo stramaledettissimo yacht, che faccia tosta!».
«È Tony Stark, George. Credo che sia così di suo, non lo fa di proposito. E poi ha salvato New York, è un eroe».
«Già, lo sai cos’altro è? Un donnaiolo. Quanto pensi impiegherà a stufarsi di Virginia e a disfarsene come un giocattolino rotto? La chiama Pepper, per giunta. Che cazzo di soprannome è Pepper?».
La risata cavernosa di Baffuto-chiamatemi-Coach risuonò nella stanza.
«Secondo me sei soltanto geloso di tua sorella».



Ovviamente Tony non aveva nessunissima voglia di aiutare le signore, ma non aveva neanche intenzione di tornare da Mr Fratello Geloso. Passando davanti alla porta scorrevole della cucina, udì Carolina pronunciare il suo nome. Il suo ego e la sua curiosità non erano leggendari per caso, quindi si fermò a origliare anche questa volta.
«Non posso credere che Tony Stark, il miliardario Tony Stark, sia qui in casa mia. Proprio come nel film Notting Hill».
«Carolina, non ingigantire la cosa».
«A patto che tu, Virginia, non la sminuisca. Si può sapere cosa aspetti a sposarlo e sistemarti per tutta la vita? Hai trentacinque anni, non senti il bisogno di farti una famiglia?».
Il discorso aveva preso una brutta china. Tony cominciò a sudare freddo.
«Ho altre priorità».
«La carriera?».
Il tono scettico di Carolina era evidente quanto una spogliarellista in un convento di suore di clausura.
«Sì, esatto. La carriera», replicò Pepper in tono di sfida.
«Andiamo, Carolina, lasciala in pa-iha!».
Passi affrettati attraversarono la cucina.
«Lizzy, tutto a posto?».
«Sì, sì, tua nipote sta soltanto facendo ginnastica sul mio stomaco».
Per un po’ Tony non sentì altro che due risate gemelle e una un po’ più squillante sovrapporsi a vicenda. Ma Carolina tornò presto alla carica.
«A proposito di bambini… cos’è questa storia della nausea mattutina?».
Le antenne di Tony, quelle che intercettavano pericoli e sciagure come un radar a onda continua, si attivarono all’improvviso.
«Niente, ho mangiato sushi avariato».
«Oppure…».
«Oppure?».
«Oppure sei incinta».
ALLARME ROSSO!
Oggetto non identificato in avvicinamento!

«Non dire assurdità, Carolina. Non sono mica una ragazzina che non conosce il significato della parola contraccettivo».
Qualche attimo di silenzio.
«Ehi!», esclamò Lizzy. «Si può sapere perché state guardando me?».
La cucina si riempì nuovamente delle loro risate.
«Sul serio, Virginia. Come sei messa con gli ospiti?».
«Gli ospiti?».
«Massì, gli ospiti! Sono puntuali? In ritardo? Come sei messa?».
«Continuo a non capire, Carolina».
E nemmeno Tony capiva. Il suo cervello si era inceppato alla parola incinta.
Ci pensò Lizzy a chiarire.
«Sta parlando delle mestruazioni, Virginia».
«Ah! Oh, be’. Ora che ci penso, c’è un leggero ritardo…».
«Ecco, vedi!», esultò Carolina.
«…ma il mio ciclo non è mai stato regolare».
«Sei incinta, non parlarne più. Ricorda: una coincidenza è un caso, due sono un indizio, tre sono una prova. Fino ad ora hai trovato due coincidenze, la nausea e il ritardo. Quando scoprirai la terza, mi darai ragione».
ALLARME ROSSO!
ALLARME ROSSO!
QUESTA NON È UNA ESERCITAZIONE!
ABBANDONARE LA NAVE, SI SALVI CHI PUÒ!



Si dice che in seguito a un forte shock emotivo il cervello si svuoti completamente da qualsiasi pensiero e che rimanga in stand-by per un po’. Per Tony fu esattamente il contrario. Il suo cervello da genio miliardario playboy filantropo funzionava a pieno regime, anzi processava ed elaborava dati al doppio della velocità normale. Il risultato, però, fu un ingorgo di informazioni che si tamponavano a vicenda per raggiungere nel minor tempo possibile le terminazioni sinaptiche.
«Perché fai quella faccia?».
Tony sbatté le palpebre un paio di volte, fin quando non mise a fuoco un televisore acceso su un canale di cartoni animati. Voltò il capo lentissimamente alla sua sinistra, sbatté un altro paio di volte le palpebre, poi si voltò alla sua destra. Aveva camminato come un automa fino a un salottino e si era seduto sul divano, in mezzo ai due figli di Carolina e Baffuto-chiamatemi-Coach, senza neanche rendersene conto.
«Allora? Perché fai quella faccia?».
Tony si voltò nuovamente alla sua sinistra.
Dakota lo fissava con una serietà che faceva spavento.
«Perché? Che faccia faccio?», chiese quasi in trance.
«Da scemo».
«Non è vero».
«Sì, invece!».
Non era stata Dakota a replicare.
Tony si voltò ancora una volta e, quando ne intercettò lo sguardo, il marmocchio scoppiò a ridere e ad additarlo. «Faccia da scemo, faccia da scemo, faccia da scemo!».
Tony frenò l’impulso di tapparsi le orecchie. L’emicrania incipiente aveva trasformato l’ingorgo nel suo cervello in un tamponamento a catena.
«Smettila, Michigan, i tuoi genitori non ti hanno insegnato le buone maniere?».
«Non mi chiamo Michigan, mi chiamo Mich!».
«Sì, invece. Mich è il diminutivo di Michigan».
Il marmocchio aggrottò la fronte.
«E questo che vuol dire?».
«Che Mich è l’abbreviazione di Michigan, come Tony lo è di Anthony. E che tua madre ha un pessimo gusto in fatto di nomi».
In tutta risposta Michigan lo colpì sulla tempia con un pupazzo di plastica.
«Scusa». Il marmocchio gli rivolse un sorrisetto malvagio. «Mi è sfuggito di mano».
L’emicrania incipiente si era trasformata in un martello pneumatico, ormai. Il tamponamento a catena nel suo cervello, invece, era diventato un ammasso di rottami, feriti, morti, resti umani infilzati nelle lamiere. Senza contare la benzina che colava fuori dai serbatoi e che da un momento all’altro poteva prendere fuoco ed esplodere.
Non colpire il ragazzino, non colpire il ragazzino, non colpire il ragazzino.
«Cos’è questa?».
Michigan gli si era piazzo di fronte e stava indicando la cravatta di Tony.
«Una cravatta. Mai vista una cravatta?».
«Perché te la sei messa?».
«Perché l’ho messa? Ma che…».
Michigan afferrò la cravatta e cominciò a strattonarla ripetutamente.
«Sembri stupido».
«No, non è vero». Con una manata Tony lo indusse a smettere. «E toglimi le mani di dosso, per favore».
Michigan non si scoraggiò, raccolse il pupazzo che aveva lanciato poco prima afferrandolo per una gamba e decise di utilizzarlo a mo’ di clava sulla testa di Tony. L’emicrania aveva assunto i connotati di un clacson che viene suonato interrottamente sotto casa, alle quattro del mattino. Nel frattempo, il mucchio di rottami che una volta era stato un ingorgo nel suo cervello aveva preso fuoco.
«Per favore, Michigan, smettila. Basta, smettila ora, capito?».
«Non sono io, è Iron Man».
Gli era parso, infatti, di aver visto uno sfavillio rosso e oro sul pupazzo. Che ironia, picchiato dal suo alter ego! Intanto le fiamme si avvicinavano pericolosamente alla benzina.
Non colpire il ragazzino, non colpire il ragazzino, non colpire il ragazzino.
«Be’, forse è ora che Iron Man vada a salvare qualche damigella in pericolo, che ne pensi?».
Gli strappò il pupazzo dalle mani, se lo lanciò alle spalle e quello volò in picchiata dietro il divano. Di nuovo Michigan diede prova di grande forza di volontà e di non volersi piegare dinnanzi alle avversità della vita. Ricominciò a strattonare la cravatta di Tony.
«Ehi, smettila, non sto scherzando!».
Michigan preferì perseverare nella sua perversa tortura psicologica, incurante del fatto che le fiamme nel cervello di Tony avevano raggiunto la benzina, che la benzina aveva preso fuoco e che il fuoco aveva appena intaccato i serbatoi.
«Ouch!».
Non lo aveva colpito molto forte, soltanto un leggero cazzotto nello stomaco. Fu sufficiente, però, con sua grande soddisfazione, a far piegare in due il caro Michigan. E a farlo smettere di fracassargli i coglioni, soprattutto. Tony gli assestò qualche pacchetta sulla schiena, guardandosi intorno con aria circospetta, mentre il marmocchio si lamentava come colto da un violento attacco di tosse.
«Tutto okay, Michigan?».
Lo aiutò a sedersi sul divano sotto gli occhi sgranati di Dakota.
«Qualcosa non va?», le chiese Tony.
Lei scosse subito la testa, spaventata.
«Ecco, vedi, Michigan? Prendi esempio da tua sorella».
Poco più tardi, la voce di Pepper li raggiunse dalla cucina.
«Tony? Tony, dove sei? È pronto in tavola».
«Zitto o ti becchi un altro cazzotto», fece in tempo a bisbigliare all’orecchio di Michigan.
«Ah, sei qui!». Pepper fece capolino da dietro la porta. Vedendo Tony seduto sul divano, in mezzo ai due bambini, inarcò un sopracciglio. «È successo qualcosa di cui dovrei essere informata?».
Tony sfoderò il sorriso da “Chi, io? Sono il miliardario più innocente del mondo”.
«Assolutamente no».
Pepper li squadrò uno ad uno.
«Sicuro? Come si sono comportati i ragazzi?».
«Come degli angioletti». Tony arruffò i capelli a entrambi, poi si alzò e passò un braccio intorno alle spalle di Pepper. «Vero, Michigan?». E ammiccò.
Michigan si limitò ad annuire.



Va bene, c’era la possibilità che Pepper fosse incinta. Allora? Che sarà mai? Non sarebbe stato il primo a diventare il… genitore di qualcuno, non sarebbe stato neanche l’ultimo. E se poteva esserlo Georg-ia, poteva esserlo chiunque.
«Quanto manca al parto, Lizzy?», stava chiedendo Pepper, mentre Carolina era indaffarata a servire la seconda portata (“Ancora patate dolci, Tony? Sicuro di non volere un’altra fetta di arrosto? Non faccia complimenti, mi raccomando! Le verso un altro bicchiere di vino, lo produce un amico di famiglia, sa?”).
Lizzy si accarezzò il pancione con affetto.
«Praticamente è questione di giorni. Andiamo in giro col borsone, per essere pronti a correre in ospedale. Dio non voglia che questa birbantella ci giochi un brutto scherzo».
«Be’, se ha preso dal padre, puoi star certa che ti darà del filo da torcere».
Georg-ia fece una smorfia e Pepper ricambiò con una linguaccia.
Certo, essere intrappolato nella casa della prateria del ventunesimo secolo, a parlare di gravidanze, parti e bambini, non era la cosa più salutare per lo stato mentale di Tony in quel momento.
Baffuto-chiamatemi-Coach bevve un sorso di vino. Dopo essersi asciugato i baffi da tricheco col tovagliolo, chiese a Gerog-ia: «Avete risolto con l’auto?».
«Sì, vado a prenderla domani alla concessionaria».
«Cambi macchina?», si informò Pepper.
«Certo. Dove lo metto il seggiolone per neonati su una cabrio due posti?».
«Nel bagagliaio?». Per la seconda volta in poche ore, sette paia di occhi sconcertati si posarono su Tony, che alzò le mani in segno di resa. «Ehi, era una battuta!».
Possibile che Pepper fosse stata adottata? Sembrava l’unica in famiglia ad aver ricevuto in dono il senso dell’umorismo.
Nel frattempo Georg-ia aveva cominciato a elencare i numerosissimi pro e i pochissimi contro di una station wagon formato famiglia. Per quanto riguardava Tony, nessun poppante, nemmeno quello che ipoteticamente parlando sarebbe fuoriuscito dalla vagina di Pepper (si pentì immediatamente di aver evocato un’immagine simile), lo avrebbe indotto a sostituire le sue automobili (che erano quasi tutte cabrio e tutte due posti) con una, rabbrividiva al solo pensiero, station wagon. Secondo la sua per niente fallace opinione c’erano soltanto due pro che contavano davvero, quando si doveva acquistare un’automobile: è figa; da zero a cento in tre-punto-zero secondi. Tutto il resto è noia, noia, noia, noia.
«Direi che siete pronti, quindi».
«Aspetta, Virginia», si intromise Carolina. «Pronti è una parola grossa. Non si è mai veramente pronti, finché non si tocca con mano. L’arrivo di un bambino in famiglia è un grossissimo cambiamento. Scordatevi di dormire, ad esempio».
Tony si strinse mentalmente nelle spalle. Era abituato a fare le ore piccole, in fondo.
«Scordatevi le cene al ristorante, il cinema, le feste, la vita mondana. Scordatevi di vivere in generale, insomma».
A Tony venne voglia di affogarsi nel vino.
«E, Lizzy, preparati anche a prendere qualche chilo. Prima che rimanessi incinta di Mich ero più magra di Virginia, non so se mi spiego».
Tony ci riuscì quasi, ad affogarsi nel vino. Dovette usare il tovagliolo per arginare la tosse e gli sputacchi.
«Tony! Tutto a posto?».
«Sìssì, Carolina. Continuate pure, fate come se non ci fossi».
Georg-ia sbuffò.
«Come se fosse possibile».
Tony stava per replicare in modo caustico, quando Pepper scattò in piedi. Era pallida come un lenzuolo e aveva la fronte imperlata di sudore.
«Pepper, cosa c’è?».
Lei fece di no con la testa, si tappò la bocca e corse fuori dalla sala da pranzo. Carolina la seguì immediatamente. Lizzy fece altrettanto, anche se il pancione la rallentava parecchio.
«Cosa è successo alla zia Virginia?», chiese Dakota.
«Le è tornata la nausea, mi sa», rispose Tony.
Fece di tutto per strozzare la vocina che nella sua mente urlava “TERZA COINCIDENZA, ALLARME ROSSO, SI SALVI CHI PUÒ!”.
Georg-ia lo apostrofò con lo sguardo.
Come se Tony non avesse altro a cui pensare, che strazio d’uomo!
«Cosa, George?».
«Non va a vedere se sta bene? Non è preoccupato per lei?».
Tony indossò la migliore espressione indignata del suo repertorio.
«Certo che sono preoccupato!». Non puoi capire quanto. «Ma Pepper è in gamba, non ha mica bisogno del cavaliere servente». Ma ho troppa paura di scoprire che diventerò davvero… Maledizione, quanto può essere difficile anche solo pensare una dannatissima parola di due sillabe e cinque lettere come…
Ecco, appunto.



Swiiiiiissssssh. La porta scorrevole del laboratorio si aprì davanti a un Bruce occhialuto. «Per una volta che arrivo in ritardo, tu sei già qui?», disse, mentre la porta si chiudeva, swiiiiiisssssssh, automaticamente alle sue spalle.
«Non riuscivo a dormire», rispose Tony.
Bruce appese la giacca nell’armadietto, prese il camice e lo indossò.
«Si vede. Sei pallido, sicuro di stare bene?».
Tony non rispose. Smise di giochicchiare con il tablet e per un po’ rimase immobile a osservare Bruce che trafficava con le provette.
«Posso farti una domanda?».
Bruce si strinse nelle spalle.
«Anche se dicessi di no, me la faresti ugualmente, quindi… spara!».
Tony gli andò vicino e si appoggiò all’indietro sul bordo del banco da lavoro.
«Come reagiresti, se ti dicessi che Jade è incinta?».
Tutto il campionario di provette e provettine finì frantumato per terra. Frammenti di vetro si sparsero in tutte le direzioni, sul pavimento, mentre il contenuto delle fialette schizzò sulle scarpe di Tony e Bruce. Duecento dollari di scarpe da ginnastica buttati nel cesso. Ottimo inizio di giornata, non c’era niente da dire.
«Jade è COSA?».
Bruce lo fissava con gli occhi fuori dalle orbite, la mascella pendula e la carotide sul collo che batteva il ritmo come un tamburo. Tony si accarezzò il pizzetto, contemplando tutto il quadretto con aria pensierosa.
«Interessante, la tua reazione è stata quasi identica alla mia».
«Te lo chiederò per l’ultima volta: Jade. È. Cosa?».
Tony poggiò le mani sulle spalle di Bruce e strinse con fare rassicurante.
«Datti una calmata. Non vorrai mica che il nostro amichetto verde spazzi via l’intera Stark Tower, vero? Parlavo per ipotesi, rilassati».
Tutto a un tratto, Bruce ricominciò a respirare.
«Cristo, Tony. Non farmi mai più uno scherzo simile. Mai più!».
«Non era uno scherzo. È solo che… Pepper potrebbe essere incinta».
Bruce, che si stava guardando intorno in cerca di qualcosa per pulire il disastro che aveva combinato, si bloccò di botto e inarcò un sopracciglio.
«Potrebbe? Te lo ha detto lei?».
«No, ma ha la nausea da tre giorni e un leggero ritardo. Lascia stare, Bruce, non sei mica una donna delle pulizie! Jarvis, attiva Steve&Rogers».
«Subito, signore».
Due robottini schizzarono fuori, a velocità supersonica, da sotto il banco di lavoro. Steve aspirò il vetro, Rogers pulì e asciugò il pavimento dalle sostanze liquide di cui era imbrattato. Dopo di che fecero tre giravolte su se stessi, girarono un paio di volte intorno alle gambe di Tony e Bruce, alla ricerca di altra immondizia e/o sporcizia da eliminare, e finalmente ritornarono a posto, sotto il bancone.
Bruce scoppiò a ridere.
«Li hai chiamati Steve&Rogers?».
«Non ti piace?».
«A me sì, ma so già chi non lo troverà divertente». Si asciugò le lacrime agli occhi con il dorso della mano. «Tornando al discorso di prima, fossi in te non mi fascerei la testa prima di rompermela. Potrebbe trattarsi soltanto di coincidenze».
«Due coincidenze sono un indizio, tre una prova. Lo sanno tutti. Per questo motivo ho fatto delle ricerche su internet». Tony prese il tablet, vi digitò sù qualcosa, poi lo voltò in modo che anche Bruce potesse vedere. «Qui dice che, qualche settimana dopo il concepimento, i seni delle future mamme si gonfiano. Ora, giusto qualche giorno fa, ho notato che le tette di…».
Bruce si tappò le orecchie.
«Frena, frena, frena! Non voglio parlare del seno di Pepper».
Tony aggrottò la fronte.
«Per me non è un problema. Se vuoi dopo, per par condicio, parliamo anche delle tette della lavandaia».
«Solo se hai voglia di farti spalmare la testa dall’Altro sul banco di lavoro».
Tony sbuffò.
«Come siamo permalosi! Va bene, lasciamo perdere le tette e torniamo al problema».
«Ecco, giusto, qual è esattamente il tuo problema? Parliamo quasi da dieci minuti e ancora non l’ho capito».
Tony aprì un cassetto e ne tirò fuori un pacchetto aperto di noccioline. Si riempì il palmo di granaglia, poi porse il pacchetto a Bruce, che accettò di buon grado.
«Non so se ho voglia di diventare… genitore. Non so se…». Si ficcò tutta la granaglia in bocca. «Fe fono fagliafo per queffo genere di fofe». Mandò giù il boccone, battendosi il pugno sul petto. «Sono terrorizzato, okay? Ecco, l’ho detto. Lo so che camuffo bene ma, credimi, me la sto facendo letteralmente sotto. Io… ma tu lo vorresti un figlio, Bruce?».
«Assolutamente no».
«Naaaah, stai mentendo. Tu sprizzi…», frullò le dita in aria, «…qualsiasi-cosa-sia da tutti i pori».
Bruce sorrise, mite.
«Intendi paternità? Non lo so. Quello che so, invece, è che non potrei mai rischiare di trasmettere la mia mutazione genetica a un bambino innocente».
«Fossi in te mi preoccuperei più del caratteraccio che il bambino innocente potrebbe ereditare da Jade».
Bruce lo guardò da sopra gli occhiali, con aria sorniona.
«Pensa se li ereditasse entrambi».
Per un po’ risero e basta.
«Senti, Tony. Nessuno nasce preparato a fare il padre (perché è così che si dice, padre), non c’è una scuola dove te lo insegnano. Succede e basta. È una cosa che imparerai col tempo, che ti verrà naturale. Tu non sei Howard, okay? Sarai un padre fantastico».
«Che diavolo c’entra mio padre, adesso?».
Bruce alzò gli occhi al cielo.
«Andiamo, vorresti farmi credere che questa crisi mistica non riguarda il rapporto problematico con tuo padre?».
Tony fece una faccia schifata.
«No! No, per niente. Riguarda il fatto che tutta la mia vita potrebbe venire stravolta da uno sparapuppù rosa, con la pelle grinzosa e il culetto incipriato!».
Bruce si tolse gli occhiali e si massaggiò l’attaccatura del naso.
«Mettiamola così, allora. Qualsiasi cosa Pepper deciderà, avrà bisogno del tuo sostegno. È questa l’unica cosa che conta in questo momento. Se Jade rimanesse incinta, l’ultima cosa che farei sarebbe tormentarla con le mie… pippe mentali. Perciò, almeno per una volta, smetti di pensare solo a te stesso e concentrati sulla donna che dici di amare».
Tony annuì, ammirato.
«In effetti, sembra proprio un buon consiglio». Gli assestò una pacca amichevole sulla spalla. «Grazie, sapevo di poter contare su di te».



«Come sta il mio amministratore delegato preferito, oggi?».
Tony era entrato nella camera da letto, con un cilindro nero sottobraccio. Pepper, che era seduta sotto le coperte, con la schiena appoggiata alla testiera del letto e un tablet in grembo, gli rivolse il primo sorriso veramente sano degli ultimi giorni.
«Molto meglio. Sarai felice di sapere che non vomito più da due ore, ormai».
«Ottimo, perché mi servi capace di intendere e di volere per ricevere il mio regalo».
Pepper aggrottò la fronte, mentre Tony le portava via il tablet e srotolava il cilindro nero sul copriletto.
«Sbaglio o questo è il progetto della Stark Tower?».
«Non sbagli affatto».
Tony appiattì per bene i fogli neri, picchiettò un paio di volte sui disegni azzurrini e questi si sollevarono immediatamente a formare un ologramma tridimensionale della Stark Tower. Poi Tony picchiettò un’altra volta in corrispondenza dell’attico, il quale si ingrandì quel tanto che bastava a guardarne l’interno.
«Ecco il nostro attico ultramoderno e superaccessoriato, con il salotto, la cucina, la camera da letto e…».
«Ehi, quella stanza non esiste!», esclamò Pepper.
«Non ancora», la corresse Tony.
L’ennesimo picchiettio e al posto della miniatura della Stark Tower comparve la piantina tridimensionale della stanza-che-non-c’è. Tony ne afferrò le estremità e tirò: la stanza si allargò a dismisura, tutto intorno a loro, fino a raggiungere una grandezza naturale.
«Che ne pensi?».
Pepper non sapeva dove volgere lo sguardo prima. I suoi occhi scintillavano di entusiasmo sotto la luce azzurrina dell’ologramma, mentre un sorriso sincero accendeva le sue guance: Tony se ne rallegrò, negli ultimi giorni erano diventate fin troppo pallide.
Causa, seguire il consiglio di Bruce. Effetto, l’ espressione di Pepper in questo istante.
Quello era un pro che batteva qualsiasi contro.
«Ho pensato che in quell’angolo potremmo mettere la culla, sarebbe abbastanza vicina alla finestra ma gli spifferi non la raggiungerebbero. Poi mi piacerebbe dipingere il soffitto, magari con un bel cielo stellato. Non di quelli stupidi, con la luna a forma di banana e le stelle a cinque punte, eh? Intendo un cielo vero, con tutte le costellazioni».
«Tony, ma di cosa stai parlando?».
«Hai ragione, forse non è il caso. Non vorrei che mia figlia diventasse un astrofisico sfigato che trascorre le sue serate a scrutare le stelle».
«Tua figlia?».
«O mio figlio, ovviamente».
Pepper poggiò la mano sui fogli e l’ologramma della stanzetta scomparse in un lampo azzurrino.
«Cosa vai blaterando? Non riesco proprio a seguirti».
Tony le prese il viso tra le mani e la baciò sulle labbra.
«Sto cercando di dirti che ti sosterrò sempre e comunque. Qualsiasi decisione tu prenderai… Eccetto chiamare mio figlio Alabama o Colorado. Mi dispiace, ma perfino Tony Stark ha dei principi morali: dare a un bambino il nome di uno stato va contro tutto ciò in cui credo. Qualsiasi decisione tu prenderai, stavo dicendo, io rimarrò al tuo fianco, con l’armatura da Iron Man addosso, pronto a polverizzare qualsiasi idiota sia così sciocco da mettersi tra te e il tuo obbiettivo». Tony riprese fiato. «Solo che non sono quel tipo di uomo che dice le cose come le direbbero gli altri, lo sai».
Gli occhi di Pepper avevano assunto le dimensioni di due palle da biliardo.
«Dimmi che ho capito male, dimmi che non pensi che io sia incinta, ti prego».
Tony rimase spiazzato e per la prima volta nella sua vita non ebbe la risposta pronta.
Pepper interpretò il suo silenzio come un sì.
«Oh. Mio. Dio».
«Ti ho sentita parlare con tua sorella, l’altro giorno», si giustificò frettolosamente Tony, mentre si rendeva conto che la sua mente da genio miliardario playboy filantropo E gigantesco idiota aveva preso un grossissimo granchio. «La nausea, il ritardo… i seni gonfi! Mi stai dicendo che tre coincidenze non sono una prova?».
Pepper nascose il viso dietro i palmi delle mani e scosse ripetutamente il capo.
«Tony, non sono incinta. Ho solo contratto un virus allo stomaco. Stamattina ho chiesto a Jarvis di chiamare il medico e lui me ne ha dato la conferma».
«Oh». Tony si afflosciò contro la testiera. «Ma… e le tette gonfie, allora?». Sfoderò il leggendario sorriso-che-seduce. «Forse dovrei toccare con mano per constatare se effettivamente…».
Pepper si tirò la coperta fin sotto al mento.
«Non pensarci nemmeno».
«È solo per essere sicuro che…».
«No!».
Tony sospirò e lasciò che Pepper gli si accoccolasse contro il petto.
«Signor Stark, hai davvero progettato una cameretta per bambini? Ho ancora il sospetto di stare sognando. O di avere un incubo. Dipende dai punti vista».
«Per essere precisi, ho progettato due camerette per bambini. Dimentichi la villa di Malibù. Ma è un bene che tu sia così incredula, se adesso ti addormenti, forse domani mattina riuscirò a convincerti che è stato tutto un prodotto della tua immaginazione. Vuoi che ti canti una ninna nanna per conciliare il sonno?».
Pepper, però, non rise come lui aveva sperato. Lo guardò dritto negli occhi, con un’espressione così grave in volto da fargli tornare in mente lo sguardo serissimo della piccola Dakota, quando gli aveva chiesto “Perché fai quella faccia?”.
«Sei deluso?».
«Deluso?». Tony scoppiò a ridere. «Ci son quasi rimasto secco, per colpa di questo equivoco. Non sono soltanto sollevato, sono al settimo cielo! Mi sento come se mi avessero gonfiato i polmoni con l’elio e adesso potessi volteggiare placidamente nel blu-dipinto-di-blu».
Dovette faticare parecchio per mettere a tacere la solita vocina nella sua mente, che questa volta urlava a squarciagola “Bugiardo, bugiardo!”. Pepper gli sorrise con gli occhi e lo sorprese con un bacio. A Tony bastò per capire che lei aveva capito, e che apprezzava il gesto. Con Pepper era sempre così, mai una volta che si riuscisse a farla fessa. Ed era per questo che l’amava da impazzire.
Il bacio si fece subito più intenso.
Tony cinse la vita di Pepper con un braccio e se la trascinò addosso.
Causa, seguire il consiglio di Bruce. Effetto, fare la figura dell’idiota. Premio di consolazione inaspettato, ottimo sesso.
Ottimo sesso assolutamente protetto.



La porta del bagno si aprì all’improvviso, proprio mentre l’ennesimo conato gli forzava l’esofago con una prepotenza tale da fare invidia a un piede di porco. Ormai tutto il contenuto del suo stomaco era finito, letteralmente, nel cesso, perciò Tony non rimise altro che bile e succhi gastrici.
Rimase appoggiato al bordo del water per un po’, a riprendere fiato, poi si lasciò cadere all’indietro, sul pavimento. Non si era mai sentito così debole, ma almeno le piastrelle ghiacciate contro la schiena gli davano un po’ di sollievo.
Pepper, invece, se ne stava a debita distanza, appoggiata allo stipite della porta, con le braccia incrociate sotto il seno e un sorrisetto saputo sulle labbra.
«Ti serve qualcosa?».
«Disdici tutti i miei appuntamenti e chiama l’avvocato: voglio fare testamento».
Pepper roteò gli occhi.
«Non fare il melodrammatico».
«Dico sul serio. Sento che sto per morire», biascicò Tony, la bocca impastata dai succhi amarognoli e la lingua ruvida come carta vetrata. «Lascio tutto a te, Pepper. Abbi cura di Jarvis e delle automobili…».
«Tony, io non ho fatto tutte queste storie, è solo un virus allo stomaco».
«…e di’ a Bruce che francamente me ne infischio».
«O magari sei incinto».
Accertatasi che per il momento non avrebbe più vomitato, Pepper lo aiutò ad alzarsi e a raggiungere il letto. Andò in cucina a preparare una tisana e tornò dieci minuti dopo con una tazza dalla quale si levavano ghirigori di vapore bollente. Tony buttò giù qualche sorso, scottandosi un po’ il palato. Con la bocca ripulita dal quel disgustoso sapore amaro e il tepore della tisana nello stomaco, si sentì rinato.
«La tua tisana è migliore di quella di Jarvis».
«Grazie».
Pepper sgattaiolò sotto le coperte, accanto a Tony, e lo abbracciò.
«A cosa devo tutte queste attenzioni, Signorina Potts?».
«Stai forse insinuando che non sono capace di gesti altruistici senza un secondo fine?».
«Esatto».
Pepper rise.
«Voglio che tu guarisca in fretta, così possiamo fare visita a mio fratello George».
Tony gemette.
«Sono pronto a vomitare di nuovo, adesso».
Pepper gli diede uno scappellotto sul braccio e fu solo per miracolo e prontezza di riflessi se Tony riuscì a evitare di versarsi la tisana bollente addosso.
«Lizzy ha partorito. George dice che la bimba ha un bel ciuffetto rosso in cima alla testolina e che hanno deciso di chiamarla Sylvana».
«Sylvana?». Tony strabuzzò gli occhi. «Aspetta, non sarà, per caso, Sylvana come…».
«Pennsylvania, esatto».







_____________________







Note autore:
Storia scritta per il compleanno di OttoNoveTre (TANTISSIMI AUGURI!!!!), ma plottata insieme alla suddetta uno o due mesi fa (siano benedetti i compleanni delle amiche che ti costringono a recuperare le trame archiviate in cantina!), in seguito alla visione del film Parto col Folle. Difatti, la scena in cui Tony dà il cazzotto al povero (?) Mich(igan) è praticamente una citazione gigantesca a una scena del film, che chi ha visto riconoscerà senz’altro. E se non avete visto il film, guardatelo perché è divertente e perché c’è Tony Stark Robert Downey Jr (che sicuramente costituisce un valore aggiunto non indifferente).
Il fatto che i consanguinei di Virginia “Pepper” Potts portino nomi di stati è una mia idea, nata dalla domanda “Come diavolo la chiamo tutta ‘sta gente?” e dalla costatazione “Toh, Virginia è anche uno stato!”. Per quanto riguarda il soprannome Pepper, ho pensato che potrebbe averlo inventato Tony, vista la sua tendenza ad affibbiare nomignoli a tutti. Se qualcuno che conosce i fumetti, però, sa il vero perché di “Pepper” me lo faccia sapere. Sono molto curiosa!
Nel mio fanon, Bruce Banner ha una relazione stabile con una dipendente dello SHIELD di nome Jade. Per scoprire come si sono conosciuti, una visitina alla lavanderia dell'Elivelivolo è d'obbligo.
Grazie a Dragana, che come al solito mi fa da betareader, e grazie a voi che seguite le mie storie con tanto affetto ed entusiasmo.
Dimentico niente? Ah, sì! PEPPERONI 4 EVAAAAAHHH <3 <3 <3
A presto, vannagio
   
 
Leggi le 24 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: vannagio