Cap 12
Peace
Con passo svogliato e stanco, salii le
scale del portichetto sotto lo sguardo vigile e stupito di mia sorella.
“Ma tu non avevi
un appuntamento stasera?”
Non risposi nemmeno, persa nei miei
pensieri già abbastanza demoralizzanti senza che dovessi esprimerli ad alta
voce.
“Ehi, parlo con te.”
“Che vuoi, Al?”
“Sapere come stai; hai una faccia...”
“Sto bene. Posso
entrare adesso?”
“No. Tassativo.
Adesso ti siedi qui e mi racconti.” Insistette, indicandomi un posto accanto a
lei sul dondolo.
Feci come mi chiese: mi sedetti, ma ero
proprio decisa a stare per i fatti miei, tanto che tenni la bocca serrata a
forza. Non volevo parlare, anche se forse mi sarebbe stato utile. In fondo,
Alice conosceva Nicholas meglio di me. Magari lei mi
avrebbe capito.
“Vado a prendere il tè freddo, alla
pesca. Il tuo preferito.”
La guardai negli occhi e lei mi lesse nel
pensiero. “Con quattro cubetti di ghiaccio e una cannuccia, lo so.”
Feci vagare il mio sguardo nel cielo,
seguendo le stelle che iniziavano a mostrarsi prepotenti.
Pur di non pensare, stavo cercando di
unirle tutte con una linea immaginaria, disegnata dalla mia mente. Tuttavia il
mio tentativo non ebbe molto successo, perché dopo poco la mia mente si
distrasse e tornò a rivivere attimi di quella – a dir poco imbarazzante –
serata. E pensare che mi ero persino vestita carina.
Mia sorella tornò dopo pochi minuti e mi
porse un bicchierone di quella bevanda che aveva il potere di distendere i miei
sensi per il suo sapore dolce.
“Mamma e papà?”
“In camera a vedere un film. Anche se
devo ammettere che papà era un po’ preoccupato vedendoti uscire così femminile. L’ho convinto che dovevi
andare ad una festa chic, per quello eri vestita così
carina.”
Annuii solamente. Era chiaro che quelle
chiacchiere erano inutili, eppure lei mi stava assecondando. Per un po’ non
disse niente; chiaramente toccava a me parlare. Il suo tentativo di corrompermi
con il tè alla pesca era così palese.
“Non mi sono mai sentita così a disagio
come stasera.” Dissi focalizzando la mia attenzione sul movimento circolare
della cannuccia nel bicchiere, che causava lo scontro dei cubetti e il loro
tipico tintinnio.
“Ti ha chiesto di..?
Beh, insomma, sai cosa intendo.”
Mi fermai all’istante. Alzai lo sguardo e
iniziammo a parlare a cuore aperto, l’una negli occhi dell’altra. “No, no per
carità. Anche se ogni tanto qualche frecciatina gli scappava. Ma posso capire, insomma è normale. O almeno credo.”
“Piano, piano. Rallenta, prima che il
cervello ti vada in ebollizione.”
“Mi ha portato da Juliette.”
“Buon gustaio il ragazzo. Ottima scelta,
no?” Chiese bevendo un po’ del suo tè.
“Sì, per l’amor
del cielo. Forse quella è stata l’unica parte della serata che è andata
bene. Camminare per il quartiere italiano mi ha tranquillizzato
anche se giravamo per strada mano nella mano in mezzo a tutta quella
gente. È stato il resto che mi ha fatto stare male..”
Posai il bicchiere sul tavolino davanti a noi, tolsi le scarpe e mi raccolsi le
gambe al petto, quasi per proteggermi.
“È andata così male? Tutto pensavo di Nick, ma non che fosse un imbranato negli
appuntamenti.”
“No, ci sa fare. Almeno, di solito.
Questa sera è stato strano. In
macchina mi ha baciato la fronte e al ristorante la guancia. Di solito quando
siamo da soli si spinge un po’ più in là.”
“Questo l’avevo capito, visto come eri
stravolta quando ti ero venuta a prendere a casa sua.”
“Si notava così tanto?”
Annuì con un cenno del capo deciso.
“Cazzo. Comunque stasera che doveva
essere un appuntamento non si è avvicinato di un centimetro.”
“È stato solo questo?”
“No, il meglio arriva adesso: ad un certo punto gli è squillato il cellulare; Lily voleva
che tornasse a casa e lui ha riattaccato dicendo ‘Arrivo tesoro, fammi salutare il mio amico che se no non mi vuole più
bene.’ È stato umiliante.” Mi sentivo nuovamente desolata e quella frase si
ripeteva nella mia testa all’infinito. Ripresi il mio bicchierone e bevvi una
lunga sorsata, che scese veloce nella mia gola causandomi un brivido.
“Evidentemente non ha ancora detto niente
a Lily di te.”
“Quello mi sembra chiaro.” Sorrisi
amaramente.
“Non credo che sia una situazione facile
per lui. Lily è molto gelosa del suo papà e lui ne è consapevole. Fai anche
conto che lei vive con lo spettro di una mamma che non c’è più. Come dovrebbe
fare lui a dirle che sta cercando di conoscere un’altra donna?”
“Perché deve essere tutto così
complicato?”
“Beh, ti sei scelta un padre single, che
ti aspettavi?”
“Forse devo lasciar
perdere e dimenticarmi di lui.” Conclusi, bevendo un altro po’ del mio tè.
“Non credo tu lo voglia veramente.
Insomma, se ti sei lasciata convincere senza combattere per vestirti carina
stasera, vuol dire che ti interessa davvero. Anche se
magari non lo vuoi ancora ammettere.”
Distolsi lo sguardo da mia sorella, non
volevo che mi leggesse dentro, come riusciva a fare ogni volta che fissava i
suoi occhi verdi nei miei. Mi concentrai sulle stelle e per un attimo cercai di
contarle, ma poi rassegnata ammisi: “Sì, okay, lo ammetto: mi
interessa, ma non sempre si può avere tutto quello che vogliamo. No?”
“Lui è disponibile, quindi perché non
tentare?” Asserì, scrollando le spalle.
“Perché so già che non ne uscirò
indenne.”
“Chi ha detto che tu debba uscirne? Non
essere sempre così negativa, Ellie.”
“Tu non ne sei uscita bene dalla storia
con Percy.”
“Non vuol dire che a te spetti la stessa
fine. Magari sarai tu a spezzare il suo cuore.”
“Spero di no,
poveretto. Penso che la vita sia stata già abbastanza crudele con lui,
forse non dovrei mettermi anche io a contribuire.”
“Lascia decidere a lui se sei una componente positiva, o meno, della sua vita. Secondo me sei
abbastanza matura perché ne parliate voi due a quattr’occhi; lui sicuramente lo è. Ormai posso permettermi di dire di conoscerlo bene;
non al livello di Logan e Tom, ma quasi.” La sua affermazione mi fece
riflettere. Se lo conosceva bene come diceva, come mai non l’avevo mai sentita
parlare di lui, prima?
“Posso chiederti una cosa?”
“Certo.”
“Come mai non hai mai parlato di Nicholas
a casa?”
“Perché non c’era niente da dire. Quello
che ci dicevamo doveva rimanere tra di noi. Sapevo quanto per lui fosse
difficile condividere con me il suo dolore all’epoca, per cui ho pensato che
parlare a casa delle sue tragedie non fosse giusto. E
poi io mi occupo di Lily per lavoro, non di lui. Le confidenze da amica le
tengo per me, come te per Ashley.”
“Sì, ma insomma. La situazione è un po’
diversa. Non hai nemmeno parlato di Lily.”
“Ti sbagli. A volte parlo di lei, solo
che non l’hai mai notato prima.”
“Se mi avessi parlato prima di lui,
magari non mi troverei in questa situazione…”
“Sei in errore ancora una volta, secondo
me te ne saresti innamorata ancora prima di conoscerlo.” Mi fece l’occhiolino e
si alzò dal dondolo. “Vado a letto adesso. Non ti
crucciare troppo che non è successo niente. Finché lui non parlerà con Lily,
sarà routine. Devi farci l’abitudine; sua figlia è la cosa più importante per
lui. Questo non lo puoi cambiare.”
Annuii con un
semplice cenno del capo e seguii con lo sguardo il profilo di mia sorella,
finché non si chiuse la porta alle spalle. Rimasi ancora un po’ a osservare
le stelle e poi mi diressi in camera senza far rumore.
Ripercorsi il mio
discorso con Alice nella mente, una volta sotto le coperte. Non aveva tutti
i torti: dovevo parlare con lui a quattr’occhi, ma che gli avrei detto? Che mi
sarei tirata indietro per le troppe responsabilità?
Ero davvero io quella codarda che non
lottava per quello che voleva?
No, assolutamente. Ero sempre stata
combattiva e la maggior parte delle volte ne uscivo vittoriosa; e allora perché
questa volta ero spaventata da morire?
Forse sentivo il peso delle
responsabilità che si sarebbero presentate, se entrambi avessimo
deciso di buttarci in quella relazione.
Forse ero spaventata dalla possibilità di
provare qualcosa di nuovo, che per il mio pessimismo sul fronte amoroso,
sembrava destinato al fallimento.
O forse ancora sentivo il peso delle
bugie che avrei raccontato almeno per un po’ ai miei per vedere Nick. Avrei
dovuto far cambiare idea a mamma prima di parlare a casa di lui; certo avevo
l’appoggio di Alice, ma non era la stessa cosa.
Stremata dalle mie riflessioni, mi
addormentai stringendo tra le dita il mio piccolo scacciapensieri.
La nottata passò tranquilla e al
risveglio ero anche abbastanza riposata, un po’ spenta rispetto al solito, ma
ero pur sempre funzionante.
La mattinata a scuola passò veloce e al
momento della pausa pranzo, vedendo il menù esposto mi passò la fame
immediatamente.
MENU
DEL GIORNO: PRANZO ALL’ITALIANA.
-
Primo: Pasta alla
carbonara.
-
Secondo:
Cotoletta alla milanese.
-
Contorno:
Caprese.
-
Dolce: Tiramisù
di fragole.
-
Frutta: Agrumi
siciliani.
Qualcuno lassù si stava forse divertendo
a prendersi gioco di me, oppure era uno scherzo bello e buono; fatto sta, che
il mio stomaco si chiuse e mi tornò in mente la frase di Nick. ‘Arrivo tesoro, fammi salutare il mio amico
che se no non mi vuole più bene.’
Presi una misera arancia e mi diressi
senza appetito al tavolo, dove trovai una Ashley
sorridente che mi aspettava.
“No, Ash. Non ho niente da raccontare.
Possiamo non parlare del mio non-appuntamento di ieri sera?”
Dovevo averla spiazzata, perché allarmata
mi fissò per un paio di secondi prima di sorridermi affettuosamente e cambiare
argomento.
“Baby, sai che giorno è
oggi?”
“Lunedì. Perché?”
“Oggi è il grande giorno! Sono aperte le
iscrizioni per il camp estivo dei Red Sox.
Inizia l’ultima settimana di luglio e dura tre settimane. Io non ho speranze di
entrarci, lo sai, ma tu dovresti provarci!”
“Ti prego, dimmi che hai con te la
domanda d’iscrizione.”
“Ovviamente, per chi mi hai presa? Ho firmato anche il tabellone degli interessati
al progetto a nome tuo. Ho scritto Elena Rinaldi a
caratteri cubitali”
“Piccola Basil, io ti adoro!” Avevo un sorriso a trentadue
denti quando mi porse il piccolo fascicolo.
Tirai fuori una penna dallo zaino e
iniziai a compilarlo dimenticandomi di tutto il resto. Aspettavo quel momento
da almeno un anno. Da quando quella squadra professionistica aveva aperto le
iscrizioni anche alle ragazze.
Grazie a quel camp
avrei potuto fare due settimane di allenamenti e l’ultima, se fossi risultata tra i più bravi nuovi talenti del baseball, avrei
potuto giocare una partita d’allenamento con la squadra titolare.
Riempii tutti i campi richiesti e con gli
occhi che brillavano annunciai ad Ash
che mi sarei diretta in segreteria per consegnare la mia application.
“Dimentichi un dettaglio. La firma di un
genitore.”
“Cazzo.” Iniziai a mordicchiarmi le unghie nervosa. “Se non la consegno adesso rischio di non
essere più tra i primi. Io devo essere in quell’elenco, cazzo.”
“Non avrai intenzione di..?”
“Sì.”
“No, Ellie. Non
puoi. Questa non è una circolare dell’istituto, non puoi falsificare la firma
di tuo padre. Ci sono in ballo delle responsabilità in questo caso. Bisogna
pagare anche 400 dollari di iscrizione.”
“Oh andiamo. Sai che quei soldi li sto
mettendo da parte da un anno. Sono soldi miei.”
“Lo so, ma sono le regole. Io non posso farci niente.”
“Ok, allora chiamo papà, adesso.” Mi
alzai dal posto digitando il numero di mio padre, pregando in una sua pronta
risposta.
“Elena?
Va tutto bene?”
“Perché ogni volta che ti chiamo pensi chi ci sia qualcosa che non vada?”
“È
il mio dovere di padre preoccuparmi.”
Iniziai a camminare avanti indietro in
pochi metri e a rigirare i miei capelli tra le dita. “Ti ho
chiamato perché devo chiederti un favore grande. No, di più:
grandissimo. E prima di dire di no, per favore, pensa che mi faresti davvero,
davvero contenta.”
“Elena
cosa hai combinato?”
“Niente ancora. Lo
giuro!”
“Allora
dimmi: cosa posso fare per renderti davvero, davvero felice?” mi scimmiottò.
“Permettimi di andare al camp estivo dei Red Sox.”
“Figlia
mia, è un anno che parli di questo benedetto camp. Non possiamo
discuterne stasera a cena con anche la mamma?”
“No papà, non capisci. È urgente. Devo
consegnare l’iscrizione al più presto.”
“E
vuoi una risposta sui due piedi?”
“Sì, ti prego papà, per favore per
favore.”
“Ma anche se ti autorizzo adesso, come fai a portare i moduli
firmati? Dobbiamo firmarli o io o mamma.”
“Li firmo io.”
“Sì,
ok. Devi firmare anche tu, ma ti serve comunque la firma di un genitore.”
“Non hai capito: faccio io anche la tua
di firma. Ti ho chiamato per questo. Voglio il tuo permesso per falsificarla,
qui al momento.”
Dovevo averlo spiazzato perché sembrò
annaspare prima di rispondermi. “E tu
sapresti falsificare la mia firma?”
“Papà, chiunque saprebbe falsificare la
tua firma: sono il tuo nome e cognome in semplice corsivo.”
“Non è questo il punto, Elena. Almeno dimmi che non l’hai fatto
prima.”
“Quindi mi stai
dicendo che posso farlo adesso? Ti prego, ti prego,
ti prego!” Sorvolammo entrambi quella domanda.
“Dovrei
parlarne con la mamma.”
“Ti prego, papà.
Sai che desidero andare a questo camp. Non parlo di altro da più di un anno ormai! Ti prego, ti prego.”
Mio padre rimase a contemplare le sue alternative per un po’, finché sollecitato nuovamente dalle
mie preghiere, si convinse.
“D’accordo,
hai il mio permesso, ma almeno non usare la stessa penna, come se me l’avessi
fatta firmare in un altro momento.”
“Sei furbo, papà. Grazie dell’idea.”
“Sono
stato giovane anche io, Ellie.
Cosa credi? Io addirittura stropicciavo un po’ il
foglio. Comunque promettimi di non firmare più a nome mio senza dirmelo.”
“Promesso! Grazie mille papà, ti voglio
bene.”
“Anche io, piccola testarda. Ci vediamo stasera a casa.”
Riagganciai troppo entusiasta e pronta a
seguire le direttive di papà per poi correre a consegnare il modulo compilato.
***
“Ciao, Nick!
Sono Ash, l’amica di Elena (non fare il finto tonto,
sai chi sono :P ). Ma -per caso, eh! - devo farti picchiare
da Logan per la tua scarsa disciplina? Ahahaha
Scherzo, dai. Siccome sono molto brava e ho il cuore tenero, ti consiglierei di
fare una capatina al campetto del liceo, verso le 18.
Forza,
Capitano! È il momento di tornare in
campo e vincere, ovviamente!
Ashley”
Rilessi quel messaggio una decina di
volte, sorridendo per la dolcezza di quella ragazzina.
Che coraggio! Cominciavo a capire il
perché Logan ne fosse così stranamente attratto. Oltre ad essere bella aveva
anche carattere.
“Nick, non per essere stronzo, ma potresti
passarmi quel dannato mattone? Sai, non vorrei che questa leggerissima trave mi cada in testa!”
Lasciai scivolare il cellulare nella
tasca dei miei vecchi jeans da lavoro, ritornando concentrato e operativo.
Marcus aveva ragione; ero stato assente
per quasi tutta la giornata, rischiando anche di cadere da un’impalcatura.
Guardai l’orologio, come se non potessi
farne a meno, e il mio collega mi regalò un altro insulto e una pacca poco
amichevole sulla spalla.
Mancavano due ore alle 18
e un’ora e mezza alla fine di un’altra lunga e afosa giornata di lavoro.
Era un monotono e ordinario martedì
pomeriggio e poco importava se era passato un intero giorno da
quell’appuntamento; il mio cuore non era tranquillo. I ricordi e le sensazioni
della domenica precedente, non mi avevano ancora
abbandonato.
Mi sentivo vuoto; deluso da me stesso e
dal destino.
Non avevo minimamente immaginato che
l’appuntamento con Elena potesse finire in quel modo. Ma
d’altronde cosa avrei potuto fare?
Lily aveva bisogno di suo padre ed io ero
corso subito da lei. Era normale, legittimo; eppure mi sentivo in torto nei
confronti di Elena.
Lei meritava di più, lo sapevo bene, ma
non riuscivo a lasciarla andare… Per giunta, l’avevo sognata nelle ultime notti
e solo l’idea di dirle addio in sogno, mi faceva attorcigliare lo stomaco su se
stesso.
Perché non poteva essere più semplice?
Lily stava incominciando a farmi preoccupare;
ogni volta che uscivo di casa, mi chiedeva di tornare
presto da lei. Non si era mai comportata così, ed io stavo rischiando un
esaurimento nervoso.
Cosa stava succedendo?
Lily aveva forse scoperto qualcosa di me
ed Elena? D’altronde, se lei aveva incominciato a fare tutti quegli incubi e
quei capricci anche quando la portavo all’asilo, non potevo certamente dare la colpa a qualche mal di stomaco anomalo. Lily non
stava bene; non a livello fisico, ma mentale.
Però dovevo pensare anche ad Elena.. Anche lei, ci potevo scommettere, stava
soffrendo. Magari in modo diverso, ma mi sentivo egualmente in colpa: facevo
stare male Lily e di conseguenza ne soffriva anche Elena.
Non ne combinavo davvero una giusta…
Per fortuna, le ultime ore di lavoro
passarono velocemente e feci un sospiro di sollievo
quando mi misi al volante del mio pick-up.
18.01
Un minuto di ritardo.
Tirai il freno a mano e mi catapultai
fuori dall’abitacolo più velocemente possibile. Ero ancora vestito da lavoro
con i jeans chiari mezzi stracciati e la maglietta grigia sporca di polvere. Ma poco importava. Dovevo parlare urgentemente con Elena.
Calpestai dolcemente – per quanto possibile
dalla mia andatura veloce – l’erba che delimitava il campo da baseball e la
sensazione che mi pervase era simile al calore che attanaglia il cuore quando
varchi la soglia di casa, dopo un lungo e stancante viaggio.
Alzai lo sguardo verso l’alta recinzione in ferro e vi intrecciai le dita, sorridendo.
Ecco la fonte delle
mie recenti preoccupazioni con indosso solo dei pantaloncini, una maglietta
larga e un cappellino da baseball. Qualunque cosa indossasse, sembrava
fatta su misura per il suo fisico slanciato e longilineo. Santo
cielo, quanto avrei voluto sfidarla un po’ a baseball, solo per prenderla in
giro e toccarle distrattamente i capelli dorati, la vita sottile e le braccia
forti.
Approfittai della mia posizione per
osservarla in silenzio. Era di spalle e non si sarebbe accorta di me per di
diversi minuti.
Era bella; cristallina come l’azzurro di
quel cielo estivo.
Mollai così la recinzione che ondeggiò
leggermente e, con un respiro profondo, ritornai a solcare la terra rossa e
solida del mio vecchio campo da baseball. Era come se i miei piedi non avessero
mai dimenticato la sua consistenza.
Lei, ancora di spalle, si accorse di me
solo quando pochi passi ci dividevano.
Si voltò infastidita, ma quella smorfia
sfumò facilmente in un’espressione di stupore dopo avermi riconosciuto.
“E tu cosa ci fai qui?”
Le sorrisi, alzando gli occhi verso il
sole accecante. “Sono venuto a schiarirmi le idee.”
Elena aggrottò le sopracciglia,
giocherellando con il guantone e la palla. “E stranamente il tuo schiarirsi le idee comprende la mia
presenza?”
Il suo tono era… triste. Così inesorabilmente triste ed
amaro da farmi attorcigliare lo stomaco su se stesso. Sembrava che tutto il peso
del mondo si fosse posato poco elegantemente sullo sterno e si divertisse a
comprimerlo fino a ridurlo in misera poltiglia.
Volevo respirare senza sentire i suoi
occhi pungermi come mille aghi.
“Scusami.”
I suoi occhi si assottigliarono. “Per
essere un padre esemplare? Ti stai scusando per questo,
Nicholas Moore?”
Fece un passo indietro, abbandonando la
palla e il guantone sulla seconda base.
I suoi occhi non mollarono un attimo i
miei.
“No, Elena; scusami per averti ferito,
per non poterti offrire niente di più. Scusami se non sono quello che pensavi;
il capitano dei Lions che ammiravi, purtroppo sono solo un uomo con tutti i suoi molteplici difetti. Non
sono perfetto; nessuno lo è, quindi potremmo partire dalle nostre imperfezioni
per plasmare qualcosa che sfiori – anche distrattamente - le linee della
perfezione.”
Presi una pausa, avvicinandomi di un
passo.
Lei non fiatò; quasi non respirò, ma
continuò a fissarmi intensamente.
“Lily è mia figlia, una sfumatura
indelebile della mia vita che continuerà colorare le giornate grigie del suo
papà. La amo, l’adoro ed è tutto ciò che posso e voglio trovare quando torno a casa la
sera. Non so se capirai, ma ogni volta che vedo un suo sorriso o che ricevo una
sua carezza, io sono felice. Mi riempie, mi fa sentire migliore e niente e
nessuno potrà sostituire quello che provo per lei con qualcosa di vagamente
simile.”
Lei incrociò le braccia, ma non stava
cercando di allontanarmi; semplicemente si proteggeva dalle mie parole.
“Non ho mai voluto prendere
il suo posto.”
Era un sussurro, un’ammissione, ma il suo
tono era fermo, come se volesse evitare di farsi vedere indifesa da me. Ma il
suo petto si muoveva più velocemente, le mani tremavano leggermente e i suoi
occhi, fin troppo lucidi, non riuscivano ad essere
duri e seri come sperava.
“Ma tu vuoi il mio cuore, almeno una
piccola parte di esso, esattamente come io voglio
insinuarmi nei tuoi pensieri, sogni ed emozioni. Vorrei conoscerti meglio;
lasciare cadere quella maschera di forza e ostentata ironia che mostri al mondo
per non farti scoprire fragile ed insicura. Elena, io
non posso essere il ragazzo di diciotto anni con il quale fare esperienza e poi
lasciare appena arriverai al college. Sono così drammaticamente serio che sto cercando una donna con cui condividere più di semplici
baci, flirt e strusciatine nei corridoi scolastici; sto cercando qualcuno da
amare, portare a pranzo dai miei la domenica e con la quale andare a vedere le
recite della mia bambina, senza sentirmi sempre inadeguato, perché sono un
padre single. Non sto chiedendo la tua mano, non sono così superficiale, ma sto
chiedendo il tuo cuore e la tua fiducia. Tu meriti di non essere usata, come
nemmeno io merito di essere illuso e abbandonato per un ventenne universitario
che sfoggia giovinezza, sogni e aspettative che io ho
già messo da parte da un pezzo. Non sono il principe azzurro e non sono
perfetto. La cena di domenica purtroppo non sarà né la prima né l’ultima che potrebbe venire interrotta da mia figlia. Se sono qui oggi è perché… Beh è perché voglio sapere se tu sei
abbastanza forte da accettarmi lo stesso. Se non fosse così, non mi offenderò.
Sono grande abbastanza per non prendermela con gli altri, quando le colpe sono
solo mie.”
Mi accorsi solo in quel momento che mi
era venuto il fiatone. Erano anni che non mi sfogavo in quel modo; che non
mettevo tutti i miei dubbi e frustrazioni davanti agli occhi di qualcun altro
oltre che ai miei.
Mi sentivo, però, anche leggero e
appagato.
Avevo detto quello che volevo e speravo
che la mia sincerità bastasse a convincere anche lei.
“Ecco…” Elena si schiarì la voce,
rimanendo con le labbra socchiuse e umide.
Era senza parole?
Forse avevo esagerato; forse pretendevo
davvero troppo.
I suoi occhi luminosi e caldi mi
sorrisero, proprio come le sue labbra.
“E ora perché sorridi? Sono
così buffo?”
Ero indispettito.
“Sei il primo ragazzo che parla
liberamente di sentimenti, fiducia e dolori senza sviare l’argomento o senza
fare il macho della situazione… Sono decisamente senza
parole, sei stato così chiaro e deciso, che mi hai quasi intimidita. Quasi,
ovviamente; non è ancora nata la persona che può farmi stare zitta a lungo.” Sorrise mostrando sfacciatamente i denti e facendomi
scioglierei in una risata leggera.
Dov’era finita tutta la tensione
precedente?
Elena aveva un dono strano e decisamente destabilizzante per me: sapeva farmi ridere e
rilassare solo con i suoi sorrisi e la sua fastidiosa - quanto dolce - ironia.
Feci di nuovo un passo verso di lei, ma
questa volta non
si ritrasse.
Alzò di nuovo il viso e mi sorrise.
“Nicholas Moore, accetto le tue scuse e
devo ammettere che è difficile starti lontano… Sei un ragazzo pulito, simpatico
ad intermittenza e non parli di football tutto il
giorno.. Beh, sono punti a tuo favore, no?”
Scossi la testa, passandomi una mano tra
i capelli. Voleva esasperarmi, accidenti!
“Stai dicendo che mi apprezzi perché mi
lavo?”
Lei arricciò il naso, colpendomi al petto
con la sua tenerezza.
“Sì, può darsi…” Mi fece l’occhiolino,
scoppiando a ridere.
Forse era imbarazzata davvero e l’avevo
spiazzata più di quanto credessi.
“Scommetto che sei imbarazzata, Ciliegina.”
Lei si fermò con in
mano una ciocca di capelli che era sfuggita dal capellino.
Le sue guance si imporporarono
e io sorrisi gongolante.
“Anche tu non sei Mr
Disinvoltura in questo momento.”
Portai due mani avanti, in segno di resa.
“Touché.”
Lei sospirò rumorosamente, intrecciando
le dita delle mani.
“Posso essere sincera, Nick?”
Mi riscossi dai miei pensieri, annuendo.
Lei mi guardò brevemente, prima di
perdersi nella contemplazione del campo intorno a noi. Si portò
due mani intorno al busto, proteggendosi forse dalle sue stesse parole.
“Mi sento sempre strana con te, troppo strana. A volte non mi riconosco e ti confesso che il tuo
modo di starmi vicino, mi terrorizza. Aspetta, non sto dicendo che ho paura di
te; ma sono intimorita da quello che provo quando ti sono vicina. È
elettrizzante ed anche eccitante! Come la sensazione
che ti ingarbuglia lo stomaco prima di salire sulle
montagne russe. Ecco, io mi sento sempre così e il fatto di non aver ancora
scoperto come ci si sente dopo, riesce a bloccarmi e fermarmi sempre. Non
voglio farti soffrire, ma non voglio nemmeno soffrire
io. So perfettamente che Lily sarà sempre tua figlia e soprattutto: sarà sempre
presente nella tua vita. Non voglio prendere il suo
posto, ma voglio sentirmi importante… Voglio…” Sì fermò, guardandomi con gli
occhi lucidi ed emozionati. “Voglio essere importante per te.”
Prima che potessi esprimere ciò che mi
passava per la mente - dopo quelle parole così destabilizzanti -, lei riprese a
parlare.
“Ecco, lo sapevo che stavo dicendo troppe
stronzate!”
Non riuscii a capire molto, visto che
Elena si era voltata improvvisamente e se ne stava andando via.
Ma
che cosa…
“Elena?”
Cominciai a camminarle dietro.
“Vattene via! Non so cosa farmene delle tue
prese per il culo!”
Scossi la testa, sorridendo.
“E perché mai dovrei prenderti in giro?
Elena, ti vuoi fermare?”
“NO!”
Incominciò a correre, ma non arrivò
lontano. Ero più veloce, più allenato e più motivato di lei. La raggiunsi
all’istante, intrappolandola tra le mie braccia.
Cercò di liberarsi, ma capì subito che
era una lotta impari.
“Lasciami andare.”
“No.”
“Nick.”
“No.”
“Dai..”
“No!”
La rigirai tra le mie braccia, troppo
incredulo e allo stesso tempo arrabbiato per quella fuga stupida. “Dove credevi
di andare?”
Lei cercò di spintonarmi
con le mani sul mio petto. “Ad Honolulu! Senti, ti
conviene lasciarmi andare, altrimenti…”
Sollevai un sopracciglio senza riuscire a
togliere l’espressione seria dal mio volto.
“Altrimenti?”
Elena assottigliò lo sguardo. “Potrei
farti molto male, Moore.”
Sospirai, stringendola più forte.
“Mai quanto ora.” Quella frase era decisamente sfuggita dalle mie labbra e fece irrigidire sia
me che lei.
Smise di spintonarmi,
alzando lo sguardo.
“Nick…”
Le baciai la fronte, sopraffatto dagli
eventi, le parole, l’emozioni.
“Non voglio una dichiarazione d’amore,
scema. Non devi vergognarti di dirmi certe cose.”
“Non sarò mai quel tipo di donna.. Non sarò accondiscendete, carina e tutta miele e zucchero.
Sono abituata a contare sulle mie forze e a dedicare tutte le giornate a me
stessa e alle mie passioni. Non so se posso farcela.”
Una mia mano abbandonò la sua vita,
accarezzandole poi lentamente una guancia.
Sospirai di nuovo.
“Non ti sto chiedendo di sposarmi, né di
farmi da tata.”
Lei alzò gli occhi al cielo. “E cosa vuoi
da me, allora?”
“Conoscerti.” Sorrisi. “Voglio essere importante per te.”
“Bastardo.” Ma ricambiò il mio sorriso ed
io avvicinai le labbra alla punta del suo naso, accarezzandolo pigramente.
“Perché ti eri
arrabbiata domenica quando avevo detto che stavamo insieme?”
Lei si irrigidì,
un po’ per quel bacio stranamente intimo e inaspettato; un po’ per quella frase
scomoda.
“Perché non era vero.”
Sollevai un sopracciglio, ancora
scettico. “Solo per quello?”
“No.”
Le tolsi il berretto, gettandolo a terra
e le accarezzai i capelli. “Allora?”
Mise il broncio prima di rispondere : “Perché poi hai ritrattato e mi hai pure chiesto scusa! O
sei convinto o non lo sei! E poi mi hai definito come un amico.. Un amico? Con tette e armamentario vario? Va bene che sono un maschiaccio, però…”
Le sollevai il mento e la baciai
d’istinto.
Quella ragazza così forte e decisa nascondeva
mille sfumature di debolezze e fragilità che non avevo minimamente preso in
considerazione.
Nonostante mi avesse insultato, evitato e
quasi minacciato di picchiarmi, portò le mani sul mio viso, avvicinandomi a sé.
Aveva bisogno di me, delle mie parole e
rassicurazioni, proprio come ne avevo bisogno io stesso.
Le solleticai il palato, mordicchiai le
labbra morbide e respirai con lei l’aria fresca della sera che scendeva
lentamente.
“Sei sleale, Moore.”
“Mai quanto te. Mi hai costretto a farti
tacere con la forza.”
Le nostre voci roche non suonavano
minimamente minacciose. I nostri occhi sorridevano proprio come le nostre
labbra.
“Quindi…” Mi
schiarii la voce, emozionato. “Tutto risolto?”
“A quanto pare…” Lei mi diede una spinta giocosa, sciogliendo l’abbraccio.
Era così bella.
“Amici come prima?” Enfatizzai.
“Spero di no!” Sorrise, senza riuscire ad
arrossire.
“Ci stiamo frequentando.” Le feci
l’occhiolino, mentre lei rialzava gli occhi al cielo.
“Va bene, Mr Perfettino-Moore. Ci stiamo frequentando.”
“E mi sembra ovvio che sia un rapporto
esclusivo…”
Lei aggrottò le sopracciglia. “Cioè?”
Abbassai la voce, sussurrandole
lentamente all’orecchio : “Che frequenterai solo ed
esclusivamente me.”
Elena scosse la testa, disperata. “Quanto sei insistente! Saresti geloso,
eh?”
Feci spallucce. “Forse.”
Dopo pochi minuti nei quali l’aiutai a raccogliere le sue cose, per riaccompagnarla a
casa, mi ricordai improvvisamente delle ripetizioni.
“Elena, quando hai voglia e tempo, puoi
chiamarmi per le ripetizioni.”
Rimase in silenzio qualche minuto, pensierosa.
“Ok, andrebbe bene per te il sabato
pomeriggio? In settimana tra gli allenamenti e i compiti, non so proprio come
fare.”
Sorrisi. “Perfetto
direi. Sabato sono a casa dal lavoro. Vuoi venire da me? Posso portare
Lily dai miei oppure tenerla lì con noi.. Di solito
gioca tranquilla o guarda i cartoni animati.” Era speranza quella che
traspariva dal mio tono? Probabilmente, sì.
“Può rimanere con
noi. Forse in questo momento ha bisogno di sentirti vicino.”
Aveva dannatamente ragione.
“Già. Magari sei tu ad aver paura di
rimanere sola con me…”
Lei sorrise, senza rispondere. “Forza,
Nick; andiamo.”
Così la riaccompagnai a casa, sostando
come al solito qualche metro di distanza da casa sua.
Prima di scendere, però, mi stupì con un
bacio leggero e dolce, lasciandomi con un’espressione da ebete sul viso.
“A sabato,
allora.”
“A sabato, Ciliegina.”
La vidi scomparire dietro le aiuole colorate e ripresi a guidare verso casa.
Quel pomeriggio per quanto burrascoso e
complicato fosse stato all’inizio, si era concluso nei
migliori dei modi.
Sorrisi ancora assaporando con la mente i
baci e il lungo abbraccio che ci aveva avvicinato non solo fisicamente, ma
anche mentalmente.
Sospirai e mi resi conto che non vedevo
l’ora che arrivasse sabato.
Il bello non era ancora arrivato.
Me lo sentivo.
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Buona seeeeeeeeeeeeeeeeeera!
Eccoci di nuovo qui con il capitolo! Sono
passati solo (come siamo
simpatiche xD) dieci giorni dall’ultimo
aggiornamento! Purtroppo, però, non sappiamo quando arriverà il prossimo visto che siamo in piena sessione d’esame L
Tornando a noi, direi che questo capitolo
parla da sé. Nick si sbilancia di più, Elena comincia a capire di essere
davvero interessata al nostro papy single e beh.. Direi che stiamo entrando nel vivo della storia.
Chissà cosa potrebbe succedere durante le
ripetizioni… E Lily, invece? Nick ne parlerà con lei?
Uuuuh, ne vedrete
delle belle! :D
Intanto noi vi ringraziamo davvero,
davvero, davveeeero tantissimo! Siete dolcissime e siamo troppo contente delle ultime recensioni! Rispondiamo
in questi giorni, promesso!
Ora vi lasciamo; augurandovi un caliente
sabato sera e mi raccomando: non bevete troppo :P
Un bacio a tutte voi da Nick <3