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Autore: Writer96    20/01/2013    8 recensioni
"Petunia tornò alla realtà e vide che Dudley aveva trovato Harry e ridacchiava, tenendo qualcosa dietro alla schiena. Il ragazzino più piccolo aveva le spalle poggiate al muro e tremava e le ricordava tanto lei stessa da piccola, quando la chiamavano Polpetta e le dicevano che era grassa. Ebbe un fremito e decise di alzarsi e di andare a mettere fine a quel gioco ben poco divertente, ma si trattenne quando vide Harry che si girava e faceva scorrere all’interno della casa i suoi occhi verdi.
Come poteva aver pensato che Harry fosse la vittima? Harry era un aguzzino. Harry era Lei, che la tormentava ancora, come sempre.
Petunia si ritirò dietro alle tende e con un sospiro ricominciò a lavare i piatti."
Petunia. Lily.
Come al solito, faccio la diversa.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lily Evans, Petunia Dursley
Note: Missing Moments, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Malandrini/I guerra magica
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Strana Normalità.
di Writer96






22 Giugno 1959


-Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri Petunia, tanti auguri a te!- urlarono i grandi presenti nella stanza, mescolando le proprie voci a quelle stonate e stridule dei bambini tutt’intorno.
Petunia sorrise e due fossette minuscole le apparvero sulle guance colorite e piene, mentre barcollava fino alle gambe del padre per stringerle forte.
-Vai dalla mamma, Tunes, ha una sorpresa per te!- le sussurrò in un orecchio, facendole il solletico. Lei alzò il faccino rotondo e sorrise, prima di correre fino alla madre, ansiosa di ricevere la propria sorpresa. Chissà cosa le avevano regalato. Magari un pony, uno di quelli tutti rosa e belli, o magari un micio, oppure una bambola di pezza di quelle che piacevano a lei.
La mamma aveva le mani vuote, però e la guardava con una faccia strana, le sopracciglia vicine e le labbra chiuse, in un sorriso tirato.
-Che sorpresa mi dai, mamma?- le chiese la bambina, una volta avvicinatasi. La donna la guardò con affetto, sciogliendosi e prendendole una manina. Petunia pensò che la volesse portare da qualche parte e invece rimasero lì, le mani incastrate una sull’altra, fino a quando la mamma non le portò entrambe sulla propria pancia.
-Avrai una sorellina, Petunia.- le disse, sorridendole. Petunia fece scivolare via la propria mano e la guardò, gli occhioni spalancati e la bocca socchiusa.
Non le piaceva quella sorpresa. Era troppo strana.
 

16 Dicembre 1965


La scuola non piaceva a Petunia. C’erano troppi bambini maschi che la rincorrevano e cercavano di tirarle i codini, o che le davano botte sulla pancia quando le passavano accanto.
-Polpetta!- la chiamò qualcuno in quel momento e lei si girò, il visino con sopra un’espressione triste e una mano che cercava di nascondere la pancetta infantile che spuntava da sotto la maglietta.
-Guarda, guarda, si è girata!- risero dei bambini, indicandola con le dita tese e accusatrici. Petunia corse via, rifugiandosi nel bagno delle maestre, che non aveva lo sgabello sotto al lavandino per potersi lavare le mani e che non le permetteva di guardarsi allo specchio. Meglio così.
Petunia aveva sette anni, eppure sapeva perfettamente che essere brutta era quasi un crimine. Lily era fortunata, Lily era magra, piccolina ma bellissima, con gli occhioni verdi e i capelli rossi.
La gente le incontrava e diceva che non potevano essere sorelle, che erano così diverse.
Una lacrima cadde, fuggiasca, dagli occhi di Petunia.
 

13 Agosto 1967


Petunia allungò le mani sopra la testa e si alzò sulla punta dei piedi, tesa e concentrata nel proprio sforzo. La codina del palloncino rosso che tentava di raggiungere si beffava di lei e continuava a sfuggire alla sua presa incerta, portandosi ogni volta un po’ più a destra o a sinistra.
-Che palle.- borbottò Petunia, usando per la terza volta nella sua vita quell’espressione proibita che un giorno aveva sentito a scuola, origliando una conversazione tra le bidelle. Non sapeva neanche cosa volesse dire –come poteva una palla, una di quelle belle e rosse palle perfettamente sferiche perfette per giocare  essere considerata una parolaccia?- ma sapeva che non doveva farsi sentire dai genitori.
-Tuney!- esclamò inorridita una vocina dietro di lei e Petunia si girò in tempo per vedere la sorellina mettersi le mani sui fianchi con un cipiglio severo.
-Non si devono dire le parolacce!- sussurrò a voce più bassa, spostandosi i lunghissimi capelli rossi oltre le spalle. Come fossero cresciuti in una sola settimana era un mistero, ma nessuno aveva avuto il coraggio di dire qualcosa, specialmente Petunia, che era sempre spaventata dalle cose nuove e diverse.
-Shh, devi stare zitta.- la rimbeccò Petunia, pentendosi di aver condiviso con la sorellina il segreto sulla parolaccia appena imparata. Le diede le spalle ed iniziò ad allungarsi di nuovo per prendere il palloncino, senza risultati.
-Vuoi una mano, Tuney?- chiese Lily, avvicinandosi e scivolandole accanto, magra e sottile, così diversa dalla piccola e tozza Petunia. Lei annuì e si fece di lato, guardando Lily che spiccava un salto troppo in alto e raggiungeva la coda del palloncino senza troppo sforzo e si girava sorridendo.
Petunia non rispose, fissandola con le labbra serrate.
-Tuney, lo prendi allora il palloncino?- chiese Lily, sorridendo e porgendoglielo. Lei scosse il capo, indietreggiando.
Quello che Lily faceva non era normale. Faceva paura.
-Tienilo tu, non mi piace.-


18 Marzo 1972


Petunia si osservò allo specchio, girandosi di qua e di là per vedere il proprio corpo sotto ogni luce e sospirò di sollievo, guardando il vestito lilla che le scivolava addosso senza soffermarsi troppo sui fianchi ancora un po’ troppo pienotti. Era dimagrita, aveva perso quel po’ di seno che aveva messo faticosamente su e anche i capelli avevano perso vitalità, eppure si sentiva molto più bella di quanto non lo fosse mai stata.
La decisione di dimagrire le era maturata in testa quando, due estati prima, un ragazzino si era presentato a casa sua per parlare con Lei e l’aveva squadrata, andandosene poi mormorando un “cicciona” sotto le labbra. Da allora Petunia mangiava molto meno, controllava tutto e seguiva una dieta a cui non apportava mai la minima modifica. Viveva nel terrore di ingrassare troppo, eppure allo stesso tempo era felice, perché la pressione era lontana quando Lei non c’era, chiusa tra le mura di quel postaccio che tanto amava. Nessuno la paragonava più a Lei, nessuno le diceva che adorava le sue guance paffute. Le sue compagne le prestavano vestiti perché, finalmente, avevano la stessa taglia e Petunia era contenta.
Aveva quindici anni e stava per andare ad un ballo scolastico con Mark, un ragazzetto brufoloso che però l’aveva invitata in maniera dolcissima.
E Lei non c’era, Lei era lontana, così come era lontana anche tutta la sua maledetta stranezza, il suo essere così particolare e speciale.
Finalmente tutto andava bene.
 


2 Aprile 1978


-Mi sposo.- annunciò Petunia, stringendo la mano di Vernon, una mano grassoccia eppure calda ed accogliente. Sua madre la guardò, commossa, e poi corse ad abbracciarla, circondandola con le braccia e premendola addosso a sé.
-Sono così contenta, Tunia. Anche papà sarebbe felicissimo, lo sai. Direbbe che la sua Tunes è proprio una bellissima donna, ora.- le mormorò in un orecchio, la voce incrinata e le dita che sfioravano i capelli sfibrati e troppo lunghi della figlia. Le lacrime premettero contro gli occhi di Petunia, mentre il ricordo di suo padre si riaffacciava prepotente. Al funerale era venuta anche Lei e Petunia l’aveva guardata piangere con disprezzo, perché non poteva capire cosa avevano passato lei e la mamma, chine ogni giorno in quella stanza buia. Poi però Lei era andata lì e l’aveva abbracciata e Petunia non aveva protestato. Un momento di debolezza.
La presa di Vernon si fece più salda e Petunia si allontanò dalla madre, stringendosi di nuovo al suo fidanzato, che la schermava. Ogni tanto si chiedeva perché si fosse innamorata di un ragazzo così poco normale, almeno fisicamente, ma la risposta era che erano simili dentro, loro due, entrambi ambiziosi, entrambi con una famiglia un po’ sbagliata e che quindi fuori non contava niente.
-E quindi, quando vi sposerete?- chiese sua madre, scuotendole un braccio.
-Ad ottobre. Ma non voglio che venga.- sussurrò, allontanandosi dalla madre di un passo. La donna si toccò i capelli con una mano e non protestò, rimanendo in silenzio. Non c’era bisogno di nessun soggetto, in quella frase.
Era normale, ormai, prassi consolidata, che Petunia non dicesse quel nome.
Era normale la sua assenza.
 

15 Maggio 1980


Petunia si scostò con una mano i capelli dalla fronte e si guardò allo specchio. Il vestito blu le si appoggiava sulla pancia e la evidenziava in tutto il suo splendore di ottavo mese di gravidanza. Si chiese nervosamente se anche la sua sarebbe stata così bella, ma non poteva esserlo, perché Lei era ancora solo al sesto mese. Vernon apparve da dietro di lei con i baffi mezzi arricciati, pettinati con cura nonostante fossero ancora un po’ troppo corti, e le strinse le braccia fra le mani, sorridendole.
-Tesoro, questo vestito ti sta benissimo. La signora Wood della casa di fronte non potrà non dirlo.- borbottò lui, ridendo poi da solo per quella che pensava essere una battuta. Petunia sorrise, nervosamente, e si accarezzò ancora il pancione, sentendo l’ansia crescerle dentro, sintomo che Lei stava arrivando per davvero. Non ci poteva credere, Petunia, ma era così: Lei sarebbe venuta a prendere un the, prima di andare via, in partenza per un viaggio in Francia. Che poi, Petunia non capiva perché lo facesse proprio così, in maniera normale, quando in realtà avrebbe potuto usare tutti quei sotterfugi e quella robaccia lì per farlo, senza scomodare lei e ricomparire nella sua vita, inattesa e non voluta.
-Hanno suonato, Tunia.- disse Vernon, alzando un dito in aria e puntandolo verso la porta. Petunia si mosse, meccanicamente, sospirando prima di fermarsi e appoggiare l’occhio allo spioncino, le gambe che le tremavano follemente.
Lei era lì, con una camicia e dei jeans slavati, sorridente e baldanzosa con accanto il marito, quel James tanto bello quanto strano. Diceva di odiarlo, e invece se l’era sposato, la sciocca. Avevano un’aria felice, un po’ disordinata eppure non trasandata e sembravano usciti da una favola.
La pancia di Lily si vedeva perfettamente, bella e rotonda sotto il tessuto leggero e la gravidanza l’aveva, se possibile, resa ancora più bella.
Con un moto di nausea, non del tutto dovuto alla gravidanza, Petunia si rese conto che niente era cambiato. E la normalità, per la prima volta, la disgustò.
 


29 Luglio 1985


Petunia guardò Harry che, silenzioso, strisciava contro il muro della casa per non essere trovato da Dudley. Sapeva benissimo che non stavano giocando a nascondino, ma non le interessava molto. Harry un giorno l’aveva guardata con quegli occhi verdi, così tanto verdi, così tanto familiari, chiedendole di dire a Dudley di smettere di picchiarlo con la forchetta, perché lui non aveva fatto niente. E lei invece gli aveva detto che non era vero, che era una menzogna.
Negare, sempre negare. Aveva imparato benissimo a farlo, soprattutto quando si trattava di Lei e delle cose che la riguardavano e Harry la riguardava fin troppo. Non aveva sentito niente spezzarsi dentro di lei, in quel momento, ma ripensandoci, dopo, davanti allo specchio, le lacrime le erano salite fin dalla gola e aveva dovuto trattenere un singhiozzo. Perché Lei se n’era andata, come aveva sempre voluto, ma non smetteva di tormentarla, come un fantasma.
Petunia tornò alla realtà e vide che Dudley aveva trovato Harry e ridacchiava, tenendo qualcosa dietro alla schiena. Il ragazzino più piccolo aveva le spalle poggiate al muro e tremava e le ricordava tanto lei stessa da piccola, quando la chiamavano Polpetta e le dicevano che era grassa. Ebbe un fremito e decise di alzarsi e di andare a mettere fine a quel gioco ben poco divertente, ma si trattenne quando vide Harry che si girava e faceva scorrere all’interno della casa i suoi occhi verdi.
Come poteva aver pensato che Harry fosse la vittima? Harry era un aguzzino. Harry era Lei, che la tormentava ancora, come sempre.
Petunia si ritirò dietro alle tende e con un sospiro ricominciò a lavare i piatti.
 

9 Novembre 1989


La televisione stava trasmettendo le immagini di crolli di mura, di persone importanti che parlavano e di flotte di gente che si riversavano in strada mentre Vernon la guardava con interesse.
-Che è successo, caro?- chiese Petunia, lasciando una carezza sulla testa tonda di Dudley.
-Hanno fatto fuori il Muro della Germania, di Berlino, ecco. Dicono che è per riportare la pace, per riunificare la nazione. Un evento epocale...- le spiegò lui, la voce da baritono che faticava a sovrastare quella del commentatore e Petunia si avvicinò per guardare meglio. Dicevano che il muro era stato buttato giù e che questo significava la fine di un’era di guerra e di divisione e lei sentì un brivido correrle lungo la schiena. Le sembrava di percepire, dentro di sé, ogni pietra e mattone del muro che aveva eretto contro di Lei e il suo ricordo e per la prima volta si rese conto di quanto male facesse, di quanto pesante fosse quella rabbia. Quando Vernon si alzò, Petunia continuò a guardare la televisione, stringendosi le gambe ossute al petto mano a mano che i minuti passavano. E poi, dopo un’ora esatta, iniziò a piangere come non aveva mai fatto. Vernon era al lavoro, Dudley era dagli amichetti e Harry era chissà dove, forse semplicemente in camera sua, era completamente sola e per la prima volta se ne rese conto. Aveva una famiglia, ma non una base alla quale appoggiarla, capì.
Lei le sorrise da dietro una fotografia mentale e Petunia pianse più forte.
I mattoni iniziavano a cadere.
 

23 Settembre 1995


Era passato poco tempo dalla lettera e Petunia ce l’aveva ancora in testa, risentiva ancora quella voce tonante che le imponeva di trattenere Harry e di non farlo andare via.
Una beffa, una gigantesca beffa, pensò Petunia.
Lei che voleva allontanarlo, che non voleva più vedere quegli occhi verdi con cui, forse, aveva fatto pace, che non voleva più provare quella curiosità divorante riguardo tutti i particolari di quel mondo, era costretta a tenerlo con sé.
Harry era come un ricordo, ma aveva quindici anni e un corpo tangibile e sviluppato, purtroppo.
Era reale, ma Petunia sperava sempre di svegliarsi e di non trovarlo più, di scoprire che era stato tutto un incubo.
Non per Vernon e Dudley, loro non c’entravano.
Era Harry, il problema. Se lui non fosse mai nato, mai esistito, Lei non sarebbe morta e Petunia avrebbe continuato ad odiarla, sì, ma allo stesso tempo l’avrebbe comunque avuta.
Non sarebbe mai stato troppo tardi, pensò.
In cucina, un silenzio del tutto normale dovuto all’assenza di persone in casa.
 

31 Luglio 1997


Petunia guardò la casa sparire da dietro la curva e una fitta di dolore troppo intenso per poter essere nascosto si manifestò in un singhiozzo disperato, calmato dal braccio che Dud le passò intorno alle spalle. Lui non capiva e non capiva Vernon. Per loro quella era semplicemente una casa, si rese conto. La loro casa, certo, ma non c’erano ricordi, non c’era niente che li legasse ad essa in maniera indelebile.
Avrebbe voluto dire addio a quella casa in maniera tutta sua, Petunia. Salutare la stanza di quando era bambina, riguardare ancora l’albero al quale aveva legato, tempo prima, la sua altalena su cui giocare con Lily. Avrebbe voluto dire addio ad Harry e dirgli che non lo odiava, che non l’aveva mai odiato, che era solo una codarda invidiosa.
Avrebbe voluto dire addio a Lily, si rese conto, ma la sua occasione, lì, era svanita da un pezzo.
Sedici anni. Sedici anni di odio e di rancore, sommati a molti altri. A troppi altri.
Petunia poggiò il viso contro la spalla di Vernon e pianse, senza ritegno.
Non era normale, per lei, piangere così, ma sinceramente, avrebbe scambiato tutta la normalità del mondo per poter tornare indietro di almeno qualche anno.
 

30 Gennaio 1964


-Ehi, Lily, buon compleanno!- urlò Petunia, saltando sul letto della sorella e abbracciando le coperte che la ricoprivano. Fuori era ancora buio e mamma e papà si sarebbero arrabbiati tantissimo sapendole entrambe già sveglie, ma Petunia aveva voluto lo stesso fare una sorpresa alla sorella.
-Tuney...- mormorò Lily, emergendo da sotto il cuscino con gli occhi gonfi ed assonnati. La sorella sorrise e allentò l’abbraccio per farla scivolare via dalle coperte almeno per metà. Lily si strofinò gli occhi con le mani e aprì la bocca per sbadigliare in maniera vistosa.
-Ma che ore sono? E’ presto...- sussurrò poi, girandosi e piegando la testa in direzione della finestra dalla quale non filtrava neanche un po’ di luce. Petunia si strinse nelle spalle e si sedette meglio vicino a lei.
-Non importa. Non è mai troppo presto per dirti che ti voglio bene...- 




Writ's Corner
Eccomi ad infestare di nuovo questo fandom. So di essere stata assente e ho avuto moltissimi e validissimi motivi (anche Combinazioni. Prometto che cercherò di aggiornare il prima possibile!)
Comunque sia, eccoci qui. 
Di nuovo a parlare di Petunia, di nuovo a dipingerla in maniera diversa.
Petunia emarginata, Petunia anoressica, Petunia con un muro, Petunia che alla fine crolla.
Non ho parlato degli eventi che la Row ha scritto nei libri: quelli li conoscete benissimo. Qui ho preferito narrare di un altro passato. 
Ci sono riuscita? Bah.
Scappo, ora, che il tempo stringe. Vi direi, se vi va, di passare da un'altra mia storia, che, per lo meno, è completa nel mio pc e dunque aggiornabile in maniera non discontinua. <3
Si chiama 15496-Un Amore Di Numero, datele un'occhiata.
Baci a tutti
W
   
 
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