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Autore: _Nica89_    20/01/2013    6 recensioni
ATTENZIONE, spoiler per chi non ha letto il canto della rivolta (evitate anche di continuare con l'introduzione, purtroppo non ho proprio potuto fare diversamente)
Il giorno del matrimonio: quello che per ogni ragazza dovrebbe essere il più bel giorno della propria vita, ma quali sono i pensieri di Katniss, mentre si prepara per diventare la moglie di Peeta?
Dal testo: È incredibile come in questo momento non sia la Ragazza di Fuoco, l’unico volontario del distretto 12 per gli Hunger Games, e nemmeno la Ghiandaia Imitatrice, simbolo di speranza e ribellione. Sono semplicemente una sposa, solo Katniss Everdeen, una ragazza finalmente pronta a sposare il giovane che ama.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo della storia:
Only a bride
Nickname:
nica89
Rating: verde
Fandom: Hunger Games
Introduzione: Il giorno del matrimonio: quello che per ogni ragazza dovrebbe essere il più bel giorno della propria vita, ma quali sono i pensieri di Katniss, mentre si prepara per diventare la moglie di Peeta?
Track: Canone di Pachelbell in Re maggiore







Respiro piano, quasi avessi paura che il leggero soffio del mio fiato potesse distruggere il silenzio nel quale ho cercato di isolarmi.
Rimango con gli occhi chiusi, mentre sento le mani dei preparatori lavorare sul mio viso; non ho bisogno di guardarli per immaginarmi gli sguardi concentrati sul loro lavoro, alternati a fugaci occhiate compiaciute nell’osservare i risultati ottenuti grazie ai loro prodotti all’avanguardia.

È strano sentirli lavorare in completo silenzio, senza i loro racconti sull’ultimo evento mondano di Capitol City, ma non sarei riuscita a sopportare una nuova seduta del genere, troppo simile a quelle che ho dovuto subire dopo essermi offerta volontaria ai settantaquattresimi Hunger Games. Ad essere sincera, non ero poi così sicura di volerli al mio matrimonio, ma Flavius, Venia e Octavia hanno talmente insistito, supplicandomi di accettare il loro aiuto, che non ho saputo oppormi. Soprattutto dopo tutte le loro rassicurazioni che avrebbero assecondato ogni mio desiderio senza battere ciglio.

Inspiro profondamente, cercando di scacciare quel senso d’ansia che provo all’idea che tra poco sarò la moglie di Peeta.
Una scarica di adrenalina mi percorre la schiena, per poi irrorarsi in tutto il corpo, arrivando fino allo stomaco dove si trasforma nel dolce torpore che ho ricominciato a provare, nelle notti in cui Peeta mi stringe tra le sue braccia.

Il fugace momento di benessere sparisce troppo in fretta, lasciandomi in compagnia del senso d’inadeguatezza che serpeggia dentro di me, insieme ai miei sensi di colpa verso Peeta.
Mi sono aggrappata a lui per non soccombere, proprio come otto anni fa ho fatto con quel dente di leone, quando lui mi lanciò il pane. In questi anni è stato lui il mio dente di leone, il simbolo della speranza della vita che vuole e deve continuare. Lui, che nonostante i flashback della sua mente depistata durante la rivolta contro Capitol, mi è sempre stato accanto; che ha sempre fatto di tutto per me, ancora prima che ritornassimo nel nostro distretto; ha accettato che fingessi di amarlo, quando lui mi amava veramente e ha saputo aspettare che io stessa facessi chiarezza nel mio cuore, prima di chiedermi di sposarlo.

Ed io ho accettato. Spinta, oltre che dall’amore che ora posso dire di provare verso di lui, dalla paura di perderlo nuovamente. Mi sento egoista per questo, ma dopo aver passato una vita a rifiutare con tutte le mie forze l’idea del matrimonio, non mi è facile affrontare un simile passo, soprattutto con un ragazzo come Peeta, al quale devo tutto, ma che sento di non poter ricambiare appieno. E questa paura sposta i miei pensieri sull’argomento più spinoso e difficile da affrontare: la possibilità di dargli dei figli.

Con un gesto istintivo, poso la mano sulla vestaglia, all’altezza del mio ventre piatto e vuoto, domandandomi per quanto tempo rimarrà tale.
So bene che Peeta desidererebbe una famiglia numerosa, con almeno due o più figli, ma che per amore mio sarebbe anche disposto a rinunciarvi, pur di non farmi soffrire. Eppure, questa consapevolezza mi stringe il cuore, come posso chiedergli un sacrificio simile?

Il sospiro che esce incontrollato dalle mie labbra non passa inosservato a mia madre.
“Tesoro, ho quasi finito” mi rassicura, mentre sento le sue mani delicate intrecciare i miei capelli, fermandoli in un’intricata acconciatura con diverse forcine.
Continuando a tenere gli occhi chiusi, cerco di distrarmi dalle mie paure e mi concentro sul lavoro delle sue mani, finché lei non m’incoraggia ad aprirli.

Dopo un primo momento di esitazione, seguo il suo consiglio. Intreccio il mio sguardo al suo, attraverso il riflesso dello specchio. I suoi occhi sono pieni di orgoglio, ma non hanno la gioia che dovrebbero avere quelli di una madre che vede la figlia prepararsi per andare all’altare.
Inconsciamente distolgo lo sguardo dallo specchio, per cercare un altro paio di occhi azzurri e il respiro mi si blocca in gola, quando la realtà mi colpisce: Prim non c’è più.

La mia sorellina non mi farà da damigella, non mi starà vicina col suo sorriso gioioso che ha sempre colorato il grigio di questo distretto. Primrose è morta tre anni fa, e ancora non riesco ad accettarlo; non riesco ancora a credere che quel maledetto giorno, nonostante i suoi appena tredici anni, lei fosse in prima linea a salvare altri bambini, che avevano come unica colpa quella di essere nati A Capitol City, invece che in un qualsiasi altro distretto.

Prim, che da quando è morto mio padre, è stata la mia unica, vera ragione di rimanere viva e lottare. Lei, che inconsapevolmente, continuava a far vivere il ricordo di un’altra ragazza alla quale era stata tolta la vita troppo presto.

Non ho mai parlato a Prim di Rue, tutto quello che lei sapeva su quella bambina dalla pelle scura era grazie agli spezzoni che Capitol City aveva mandato nei distretti durante i settantaquattresimi Hunger Games.
Lei, per paura di farmi soffrire non ha mai chiesto, nemmeno quando veniva svegliata in piena notte dalle mie grida, dopo un incubo particolarmente spaventoso. Ed io non ho mai avuto il coraggio di raccontarle quanto fossero simili, e quanto rivedessi in lei la mia piccola alleata nell’arena.

Mia madre sembra intuire i miei pensieri, quasi fossero eco dei suoi, e mi abbraccia forte, premendo le sue labbra contro la mia tempia.
Persa nel mio dolore, noto appena lo staff di preparatori che esce dalla stanza in silenzio, per non disturbare il nostro momento madre e figlia.

Rimaniamo abbracciate per diverso tempo, ma quando sento le sue braccia allontanarsi, mi sembra che sia stato troppo breve.
Mia madre si dirige verso l’armadio e ne tira fuori una custodia scura. Lentamente e con le mani tremanti, apro la cerniera e la stoffa della gonna inizia a fuoriuscire dalla confezione.
In pochi minuti la custodia è lasciata sulla sedia e mia madre appoggia con cura l’abito sul mio letto.

Osservo il vestito in un misto tra ammirazione e commozione e non è difficile indovinare di chi sia stata la mano che lo ha creato. Tutto di quest’abito parla di Cinna, dalla sua semplicità ed eleganza all’attenzione per i dettagli che ogni centimetro di stoffa sembra voler mostrare. Cerco di ricacciare indietro le lacrime al ricordo del mio amico, prima ancora che stilista.

Dopo tutto quello che è accaduto, non avrei mai immaginato di poter indossare una sua creazione per le mie nozze, ma lui è riuscito a sorprendermi ancora una volta.
Sfioro appena la seta candida della gonna, quasi con soggezione, e le mie labbra tremanti si stendono in un sorriso di gratitudine verso Cinna.

Ancora fatico a credere che il capo che ho davanti sia stato creato insieme a quelli per il servizio fotografico.
Ma il mio stilista aveva sempre puntato il suo sguardo più lontano degli altri; quest’abito non era per le telecamere di Capitol City o per lo spettacolo da dare ai suoi abitanti annoiati, quest’abito era destinato a me, per quella cerimonia della Tostatura, puramente intima e famigliare, che sarebbe seguita ai festeggiamenti pubblici.

Eppure, io avevo ignorato la sua esistenza fino a poche settimane fa, quando chiesi a mia madre di tornare nel distretto 12 per la festa di fidanzamento con Peeta; me lo mostrò per la prima volta, raccontandomi che quello era il regalo di Cinna per me, il suo modo di augurarmi di essere felice e che era stato lui stesso a chiederle di non mostrarmelo, almeno fino a quando il mio matrimonio non fosse voluto solo dal Presidente Snow per placare il tumulto dei distretti.
Poi, l’Edizione della Memoria aveva preso il sopravvento e l’abito era rimasto nascosto nella sua custodia nera, nella camera di mia madre.

Con molta attenzione, indosso l’abito bianco e volto le spalle a mia madre, per permetterle di allacciarmi il bustino. Sono sempre più emozionata, e faccio fatica a rimanere ferma, mentre lei finisce di chiudere i vari ganci sul retro del corpetto; poi, finalmente mi porta verso la specchiera, dove posso ammirare per la prima volta la mia immagine per intero.

Rimango incantata nel vedere che riflette esattamente la mia figura, forse più curata del solito, ma nella quale non faccio fatica a riconoscermi.
È incredibile come in questo momento non sia la Ragazza di Fuoco, il primo volontario del distretto 12 per gli Hunger Games, e nemmeno la Ghiandaia Imitatrice, simbolo di speranza e ribellione. Sono semplicemente una sposa, solo Katniss Everdeen, una ragazza finalmente pronta a sposare il giovane che ama.

Sorrido di questa nuova consapevolezza, mentre mia madre si asciuga alcune lacrime di commozione.
“Tesoro, sei bellissima” dice, sistemandomi il retro della gonna, in modo che non si sgualcisca prima del tempo.
“Dolcezza, sei uno schianto!”
La voce di Haymitch ci fa sussultare entrambe.
“Avrei potuto essere nuda!” cerco di protestare per la sua irruzione nella stanza, ma le mie scarse capacità recitative non mi rendono affatto credibile.
“In quel caso, sarebbe stato un bene che non sia salito il tuo futuro marito, altrimenti chissà per ancora quanto tempo avremmo dovuto aspettare prima di vedervi ricomparire in salotto …”.
“Haymitch!” esclamo, sconvolta da quelle allusioni pronunciate davanti a mia madre, come se lei non sapesse che negli ultimi tre anni è stato il petto di Peeta a farmi da cuscino.
“Non ti nascondo, dolcezza, che sarebbe stato divertente accompagnarti in reggicalze e guepiere davanti a tutti, ma non penso proprio che Peeta sarebbe così generoso da condividere una simile visione con gli altri ospiti!” esclama divertito.
Le mie guance si fanno ancora più scarlatte di quanto già non fossero, all’idea di indossare una simile mise al posto del mio rassicurante abito.
“Peeta è già arrivato?” cerco di cambiare discorso, sorprendendomi della nuova agitazione che sto iniziando a provare.
“Sono arrivati tutti, dolcezza. – mi apostrofa il mio vecchio mentore – Tornando a quel santo ragazzo che ha deciso di prenderti in moglie …”.
Scocco un’occhiataccia ad Haymitch, ma lui continua come se niente fosse:
“Penso che se t’intratterrai ancora un po’ in questa stanza, potrebbe salire lui stesso e trascinarti giù di forza, almeno questi erano i suoi piani cinque minuti fa. Devo ammettere che, in effetti, è parecchio agitato; ha già consumato tutto il parquet della sala, a furia di misurarla in lungo e in largo!”.
“In questo caso, sarà meglio che vada a rassicurarlo” si offre mia madre, lasciando la stanza, ma non prima di essersi accertata che io stia veramente bene.

Rimango in silenzio per qualche secondo, cercando di calmare il mio cuore che batte impazzito. Haymitch mi fissa in silenzio, ed io non posso fare a meno di ripensare alle sue parole.
Sono arrivati tutti. Quella frase continua a risuonarmi nelle orecchie come una grande bugia: non è vero che in salotto sono presenti tutte le persone a noi più care. La stanza al piano di sotto potrà anche essere affollata, ma il silenzio degli assenti è per me assordante. La mancanza di una voce spicca tra le altre: quella di Gale, uno dei pochi assenti ancora in vita. Il nostro ultimo incontro risale all’esecuzione del Presidente Snow.

Non ho più avuto il coraggio di guardarlo in volto, senza rivolgergli una muta accusa di colpevolezza; come se la morte di mia sorella fosse esclusivamente colpa sua e di quelle sue maledette bombe.
Tagliare ogni contatto con lui è stata la cosa più difficile. Forse, un tempo, ero stata veramente innamorata di lui e di quel fuoco che gli bruciava l’anima, lo stesso fuoco che ardeva in me prima della fine della rivolta. Forse, le cose sarebbero potute andare diversamente se solo il nome di Prim non fosse stato estratto durante la mietitura. Ma il Destino ha scelto per noi: ha voluto che ci separassimo e noi non ci siamo mai veramente opposti, troppo presi dal nostro odio personale, invece di cercare di rimanere insieme.

Non l’ho invitato al matrimonio, come non ho avuto il coraggio di invitare la sua famiglia, ma non avrei potuto fare diversamente. Sarebbe stato troppo doloroso, per tutti.

“Dolcezza, sei pronta?”
La voce di Haymitch mi riporta alla realtà.
Annuisco, appoggiandomi al braccio del mio mentore e inizio a incamminarmi verso il piano di sotto, dove Peeta mi sta aspettando.







Note dell'autrice: Un primo grazie va a Fanny_Rimes che si è gentilmente prestata a betarmi la storia e ha sopportato tutte le mie paranoie dovute ad un calo di autostima, per questa storia che ha rischiato di rimanere una bozza incompiuta in una delle tante cartelle sul mio pc. Gli altri ringraziamenti vanno a tutti coloro che sono riusciti a leggere fino a questo punto, mi piacerebbe sapere la vostra opinione su questa piccola one-shot.
  
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