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Autore: dierrevi    20/01/2013    3 recensioni
"«Bene bene, Albus, vecchio amico mio. Da molto non ci vediamo. A cosa devo questa visita? Sei venuto a rievocare i vecchi tempi? Finalmente hai ricordato i nostri progetti? Avresti immediatamente un posto accanto al mio, qui.»
Albus sospirò.
«Sono venuto a fermarti, Gellert.»
"
Sì, esatto, questa storia parla proprio di QUEL duello. Secondo me è andata più o meno così. E secondo voi?
Buona lettura.
Genere: Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Il Duello




Albus Silente sedeva solo, nel suo ufficio ad Hogwarts. La bacchetta sulle ginocchia, lo sguardo assente, sembrava concentrato e assorto in pensieri lontani. Così lo trovò il preside Dippet, quando aprì piano la porta.
«Albus? È ora di andare.»
Silente si riscosse. Con calma, si alzò in piedi.
«Eccomi Armando, sono pronto. Sei sempre deciso da accompagnarmi?»
«Ti aspetti forse il contrario? Andiamo, siamo attesi.»
I due maghi uscirono dall'ingresso principale. Non incrociarono quasi nessuno, le lezioni erano in pieno svolgimento, ma ai pochi che li videro sembrarono intenti ad una normale, tranquilla passeggiata. Si avviarono fuori dal castello, verso i cancelli guardati dai cinghiali alati.
Lì giunti trovarono altri due maghi ad attenderli.
Il più anziano dei due si presentò in tono asciutto.
«Mc Lane e Troy, del Dipartimento Auror. Il Ministro ci ha incaricato di evitarle ogni intralcio possibile, professor Silente».
«Comprendo» fece Albus annuendo.
«Se volete prendere il mio braccio» continuò Mc Lane, «abbiamo un appuntamento.»
I quattro maghi formarono una breve catena e, senza altre parole, contemporaneamente si Smaterializzarono, e scomparvero.

Riapparvero su una spiaggia bassa e rocciosa, sulla riva di un mare grigio.
«Dove siamo di preciso, signor McLane?» chiese Dippet.
«Sulla costa svedese del golfo di Botnia» rispose questi. «Nurmengard si trova su un'isola al largo. Ma è impossibile materializzarsi direttamente lì. Ha forti difese magiche.»
«Eccoli» disse Troy in quel momento.
«Ma avremo delle guide che ci aiuteranno» riprese Mc Lane.
Poco distante erano comparsi altri due individui, che si avvicinavano a piedi. I due Auror estrassero le bacchette. Gli estranei avevano fatto lo stesso.
«Tenebris» disse uno di loro, rimanendo a distanza.
McLane sorrise. «Revolvet» disse in risposta.
Tutti e quattro abbassarono le bacchette, i nuovi arrivati vennero avanti.
«Stauffemberg» si presentò uno dei due, tendendo la mano. «Lichter. Espulso dall'ordine» ridacchiò.
Un Lichter era grossomodo l'equivalente tedesco di un Auror. Probabilmente, rifletté Albus, era reietto per non essersi schierato con Grindelwald e i suoi.
«Zabelin. Voin-Belyì» disse seccamente l'altro, accennando un rigido inchino del capo.
Albus conosceva abbastanza del Mondo Magico per sapere che Voin-belyì significava “guerriero bianco”. Di nuovo un omologo di Auror, stavolta russo.
«E noi siamo la Forza di Spedizione Britannica» concluse Troy.
McLane scosse la testa, poi strinse la mano a entrambi i nuovi venuti, scambiando con loro qualche parola in tedesco e presentando sé stesso e il resto di loro.
«Suo intervento stato atteso da molti, signor Silente» disse Stauffemberg ad Albus, stringendogli la mano. «Ora il piano può riuscire».
Il Piano, si chiamava proprio così. Non era un granché complesso ma, con tutta l'Europa rivoltata come un calzino dal conflitto più spaventoso che la storia umana ricordasse, era quanto di meglio il Mondo Magico fosse riuscito a mettere assieme. Fondamentalmente, piccole pattuglie di maghi si tenevano nascoste sulle rive del Baltico settentrionale, aspettando il momento di invadere Nurmengard e decapitare la vasta organizzazione messa in piedi da Gellert Grindelwald e dai suoi seguaci. Bisognava farlo mentre Grindelwald era presente, perché era lui la chiave di volta di tutto quanto, ma egli si muoveva spesso attraverso il continente lacerato per combattere la propria guerra personale. Inoltre era accertato che, quando egli interveniva direttamente nello scontro alla testa dei propri accoliti, la vittoria arrideva a lui. Occorreva che all'attacco partecipasse qualcuno che poteva tenergli testa. Pochi erano i maghi forti abbastanza da opporglisi efficacemente, e l'elenco era stato abbreviato sia dalle stragi indiscriminate che accompagnavano quella guerra mondiale, sia da omicidi deliberati e mirati, perpetrati in nome del “Bene Superiore”. In tutta l'Europa i maghi ancora rintracciabili e abbastanza potenti da poter affrontare Grindelwald con buone possibilità di sconfiggerlo si contavano sulle dita di una mano o due.
«Se riesce a sconfiggere lui, vittoria sarà completa. Ma anche solo tenere occupato per abbastanza tempo permetterà arrivo rinforzi» spiegò ancora il tedesco.
«Farò del mio meglio, signor Stauffemberg» rispose Albus.
«Abbiamo scope nascoste vicino qui» annunciò Zabelin. «Nessuno problema con volo, vero?»

Il volo non fu rapido, né troppo facile. Il clima non era mai generoso da quelle parti, ma le cose peggiorarono quando all'orizzonte avvistarono una piccola isola su cui sorgeva un'alta torre. Volare divenne molto difficile, avvicinarsi richiedeva un deciso sforzo di volontà. Anche questo era un effetto delle difese magiche di Nurmengard: non si poteva arrivarci rapidamente e di nascosto.
Fu con sollievo che toccarono terra sulla spiaggia sassosa.
A diverse decine di metri dalla riva si alzava il muro di un castello. Dietro ad esso si ergeva l'alta torre che avevano visto arrivando. Un ampio portale dava accesso alla fortezza. Sull'architrave in pietra campeggiava una scritta incisa in caratteri gotici: “Für das Größere Wohl”. Sopra l'architrave, scolpito con cura in altorilievo, il triangolo con il cerchio inscritto, attraversato dalla propria verticale. I grandi battenti di legno erano aperti.
«Sembra siamo attesi» disse il Voin-Belyì.
«Dalle mie parti questa è una sfida» sentenziò Troy.
McLane si rivolse ad Albus.
«Professore, ora rimanga dietro di noi. Il suo compito è affrontare Grindelwald. Al resto lasci che ci pensiamo noi.»
Lui annuì con un lieve cenno del capo. «Vi seguo.»
«Voi venite con noi?» chiese McLane rivolto ai due combattenti stranieri.
«Credi io venuto solo a fare da guida?» gli rispose il tedesco.
Quanto a Zabelin, si limitò ad un mezzo sorriso beffardo.
«Molto bene» riprese McLane. «Allora, andiamo.»
Si avviarono verso il portale aperto, avanzando affiancati, come quattro pistoleros di qualche vecchio film western.
Albus li seguì a qualche passo di distanza. Con un sospiro profondo, anche il preside Dippet si mosse dietro di lui.
«Te la senti, Armando?» gli chiese Albus.
Dippet gli fece un sorriso nervoso. «So cavarmela, Albus. Non sono al tuo livello, ma so cavarmela.»
Camminando, Albus si chiedeva che effetto gli avrebbe fatto, dopo tanto tempo, ritrovarsi davanti a Gellert Grindelwald. Sarebbe riuscito ad opporglisi? Conosceva il suo potere all'età di sedici anni, e l'aveva raffrontato al proprio, ma ora? Quanto poteva essere cresciuto Gellert, in tutti quegli anni? Più di lui? Magari molto di più?
Bel modo di reincontrare un vecchio amico.

Si avvicinarono fino a trovarsi davanti al portale: le mura erano spesse oltre due metri, così che la porta era di fatto un tunnel di pietra, seppure molto breve. Oltre i battenti aperti si vedeva una parte di cortile e la scala di accesso alla torre, ma nessun difensore.
McLane fece un cenno a Troy, che avanzò in avanscoperta.
Imboccò il varco nelle mura, ma aveva fatto forse tre passi quando due mani grigiastre emersero dal terreno e gli afferrarono le caviglie, facendogli lanciare un grido. Un secondo dopo, altre mani emergevano attorno a lui e agli altri; e, dietro le mani, le spalle e i corpi di numerosi Inferi, che cercavano di afferrarli e morderli.
Gli Auror scalciarono quelle membra grigie per qualche secondo, poi puntarono le bacchette e iniziarono a colpirle con rapidi getti infuocati. Lo stesso fecero Albus e il preside Dippet.
Riuscirono a liberarsi e arretrarono di vari metri dal portale. Gli Inferi non li seguirono.
«Qualche idea?» chiese McLane agli altri tre.
«Forse basta io» fece il russo.
Si fece avanti, e con un movimento fluido fece uscire una scia infuocata dalla bacchetta.
Muovendola come una frusta, sferzò il terreno davanti a sé avvicinandosi al portale. Dove la frusta toccava il terreno cominciavano ad ardere piccoli fuochi.
«Voi conosce incanto per fuoco freddo, si?» disse agli altri.
Annuirono, lanciando ciascuno un incantesimo Freddafiamma su se stessi. Poi procedettero nella scia del Voin-belyì, e varcarono l'ingresso.
Superato il portone poterono abbracciare tutto il cortile con lo sguardo.
Lungo le mura di un lato videro una fila di gabbie, e tutte contenevano individui chiaramente prigionieri, e chiaramente in cattive condizioni.
Videro anche un'altra cosa: una decina di maghi, vestiti con colori scuri, avvicinarsi rapidamente a loro da varie direzioni con le bacchette sollevate. Formarono un cerchio abbastanza largo attorno ai sei nuovi arrivati.
Gli Auror e i loro omologhi avevano a loro volta le bacchette alzate e si erano disposti attorno ad Albus e al preside Dippet.
Uno dei maghi che li circondavano si fece avanti.
«Raramente permettiamo a chi non è invitato di entrare» disse parlando con un tagliente accento prussiano. «Questa è Nurmengard, e qui si entra solo come ospiti. Vogliate cortesemente consegnarmi le vostre bacchette.» Il suo tono era così garbato da rasentare l'affettazione.
«Ma che accoglienza...» borbottò Troy.
«Come ospiti, eh? Sono ospiti anche loro?» fece McLane additando le gabbie.
Il prussiano fece un passo avanti. «Non è cosa che riguardi voi» rispose, con lo stesso tono conciliante. «Prego, consegnate le vostre bacchette. Non vi verrà fatto alcun male, le riavrete.»
«Da, sicuro. Ma noi non è nati ieri» gli rispose il Voin-belyì.
La voce del prussiano si fece sibilante «La nostra pazienza ha un limite!»
«Tremo tutto...» disse calmo Troy.
«E' l'ultimo avvertimento...» la voce del prussiano era divenuta tagliente come una lama.
«E poi che fai? Chiami la mamma?» Era sempre Troy.
Il prussiano alzò la bacchetta. Le altre guardie attorno erano tese come archi, aspettando il segnale.
«Johannes!» chiamò forte una voce poco distante.
Il prussiano interruppe il suo movimento e si voltò verso il richiamo. Gli altri invece tennero le bacchette puntate.
Dalla scala della torre scendeva un mago. Le sue vesti erano nere e ricamate in argento, la sua cintura era anch'essa di placche argentee, e calzava alti stivali neri con fibbie d'argento. Doveva essere stato biondo, ma i suoi lunghi capelli erano quasi del tutto ingrigiti. Non portava copricapo.
«Johannes» ripeté avvicinandosi, «non ti avevo detto di annunciarmi tutte le visite importanti?»
Il suo tono era di blando rimprovero, l'espressione vagamente divertita, come se tutte quelle bacchette sollevate fossero un piacevole passatempo.
«L'avrei fatto presto, mein Meister» rispose il prussiano, «appena accolti gli ospiti come si deve».
«Ah, Johannes» riprese l'altro, «tu sei la migliore delle guardie, ma come uomo di mondo devi migliorare. Non hai riconosciuto il nostro visitatore?»
Johannes gettò un'occhiata obliqua al gruppetto di intrusi.
«Il nostro illustre visitatore...» proseguì il mago in nero. «Sospettavo che ci saremmo rivisti, prima o poi. Questo è Albus Silente, Johannes. Albus Percival Wulfric Brian Silente. Uno dei più grandi maghi del mondo. Qualcuno già dice “il più grande”.»
«Gellert...» disse semplicemente Albus.
«Bene bene, Albus, vecchio amico mio. Da molto non ci vediamo. A cosa devo questa visita? Sei venuto a rievocare i vecchi tempi? Finalmente hai ricordato i nostri progetti? Avresti immediatamente un posto accanto al mio, qui.»
Albus sospirò.
«Sono venuto a fermarti, Gellert.»
Grindelwald alzò un sopracciglio.
«Non mi dire! Interessante. E come pensi di riuscirci, Albus? Se tu avessi il coraggio e la forza di agire davvero, ora saresti dalla mia parte. Io ho fatto ciò che ho detto di voler fare. E tu? Le tue erano solo parole vuote. Poche chiacchiere di un ragazzino lagnoso e ti sei tirato indietro.»
«Ariana è morta» disse piano Albus.
«Ariana?» chiese Gellert. «Ariana?... Oh, sì. Ariana. Un essere inutile, un peso. Non l'avrai considerata una perdita, vero Albus?»
Un pensiero fulmineo attraversò la mente di Albus. Gellert era invecchiato, come lui del resto, ma per certi aspetti non era cambiato molto. Era lui, Albus, che era cambiato. Ciò che allora lo seduceva, oggi gli appariva ripugnante. Ma era meglio così, si disse.
«E invece sì, a quanto pare» proseguì Gellert. «Ti struggi ancora per una cosa del genere. Ma guardati! Solo liberarti di quella remora ti ha permesso di essere ciò che sei, Albus. Non sei così sciocco da negarlo a te stesso, io lo so. Devi solo trarre le conseguenze, e applicare a tutto il resto lo stesso principio.»
«In teoria» rispose Albus, «potrei ancora essere d'accordo. In pratica ciò che fai è disumano, Gellert. E io devo oppormi.»
Le parole gli uscirono con tono più calmo di quel che avrebbe pensato. Quelle non erano trattative, qualcosa che potesse influenzare ciò che sarebbe accaduto; al punto in cui erano, quel confronto avrebbe potuto continuare in un solo modo. L'aveva accettato da tempo, e ora non sentiva il bisogno di preliminari di sorta. Avanzò al di fuori del cerchio creato dalla sua piccola scorta, e con un'occhiata fece cenno a McLane perché si facessero indietro. I cinque maghi arretrarono verso il portale. Saggiamente, lasciavano campo libero allo scontro, ma impedivano di chiudere l'accesso alla fortezza.
Albus rimase solo al centro del cortile, fronteggiando Grindelwald e le sue guardie.
«Johannes, lasciatemi conferire con il nostro ospite. Poi vi occuperete dei suoi accompagnatori.»
Johannes assentì con un ghigno malevolo, e anche le guardie di Nurmengard si fecero indietro, verso i lati del cortile.
Trascorse qualche secondo di silenzio.
«Ebbene?» chiese Gellert. «Non vuoi attaccare, Albus? Non hai detto di essere qui per fermarmi?»
Albus non rispose.
«Lo vedi? Arrivati al dunque, non prendi l'iniziativa. In nome della nostra vecchia amicizia ti toglierò dall'imbarazzo.»
Mosse appena la bacchetta, e davanti a lui apparve un pugnale aguzzo che puntò veloce su Albus. Questi con un piccolo cenno della bacchetta lo mutò in un boomerang, che roteando invertì la propria rotta prima di ritrasformarsi in un pugnale, puntando su Gellert.
A Silente sembrò un inizio quasi troppo facile.
Il pugnale arrivò su Gellert, che si mosse per schivarlo. Proprio in quel momento una rosa di incantesimi partì dalla sua bacchetta, allargandosi a ventaglio. Albus si protesse con un incantesimo Scudo che respinse quelli più vicini a lui, lasciando che il resto lo oltrepassasse. Stava per rispondere ma un grido alle sue spalle lo fece voltare. Stauffemberg, l'Auror tedesco, era a terra esanime. Il Voin-Belyì era chino su di lui. Si voltò verso Albus e scosse la testa: «Morto...».
«Ops... Che peccato» fece Gellert in tono sarcastico. «Forse non era abbastanza attento».
Albus lo fissò con disgusto.
Con il braccio destro accennò un ampio cerchio, e in un istante si trovarono racchiusi in un'arena di fiamme dorate, più alte di loro.
«Questa è una cosa tra me e te soltanto, Gellert. Non coinvolgere chi non sta combattendo.»
Con un gesto rilassato, Gellert lanciò un incantesimo contro il muro di fuoco, per prova. Il lampo colorato evaporò al contatto, in una nuvoletta di fumo.
«Ora non potrei neanche volendo, vero Albus? Ma se ti ci spedissi dentro, a quelle fiamme? Chissà, forse ti pentiresti di aver voluto proteggere pochi esseri insignificanti. Everte statim!»
Albus rispose istantaneamente con un incantesimo uguale e contrario, e le due magie, scontrandosi, esplosero con un lampo. Abbagliato, Albus lanciò d'istinto un nuovo incantesimo Scudo davanti a sé. Quasi all'istante sentì infrangersi qualcosa contro di esso. Mentre lo scudo scompariva, si mosse freneticamente per bloccare la salva di incantesimi scagliata da Gellert. La sua aria sarcastica era stata rimpiazzata da un accesso d'ira. I lunghi capelli ondeggiavano, l'argento delle vesti baluginava sullo sfondo nero, mentre lanciava uno Schiantesimo dietro l'altro, sempre più velocemente. Non pronunciava nemmeno la formula, la sua voce si rompeva in grida di furore.
Il movimento di Albus per bloccare quella tempesta era quasi ipnotico, e forse era a questo che Gellert mirava quando, invece dell'ennesimo Schiantesimo, dalla sua bacchetta uscì un minaccioso lampo verde.
Ma Albus era pronto: appoggiò la bacchetta al fianco, pensando “Gemino”, mentre girava su sé stesso.
Grindelwald vide la propria maledizione raggiungere Silente e lanciò un grido di trionfo: che però gli morì in gola quando l'altro, invece di crollare a terra, scomparve.
«Ma che dia...OUF!»
Cadde in ginocchio, colpito alla schiena; ma con un balzo si rialzò, voltandosi.
Silente era dietro di lui, con la bacchetta ancora puntata.
«Bene, bene. Bravo, Albus. Un ottimo contrattacco. Ma sono sorpreso: tu credevi di potermi colpire?»
Gli sfuggì una risata fredda.
«Albus, proprio tu? Non conosci forse l'Incanto Loricatos? Che delusione! Non avrai davvero creduto che ti avrei affrontato senza precauzioni, vero? I tuoi colpi possono raggiungermi, ma non nuocermi».
«Sono stato uno sciocco, hai ragione» rispose Silente con calma.
I due contendenti si fronteggiarono in silenzio, immobili come guerrieri orientali che si studiassero prima di sferrare il colpo decisivo. Lo sfogo di rabbia di Gellert sembrava cessato. Ora appariva calmo e calcolatore. Molto più pericoloso. Albus si sorprese a provare un senso di soddisfazione. Non avvertiva nemmeno un barlume di quella nostalgia che aveva temuto: il vecchio amico dell'adolescenza era confinato tra i ricordi, e non ne vedeva traccia nel mago davanti a sé. Quello che aveva di fronte era un uomo che andava fermato. Ma era anche un avversario ammirevole, forte e abile, che lo avrebbe impegnato a fondo. Era una sfida quale non gli si presentava da tempo.
L'attimo di pausa cessò quando Gellert mosse la bacchetta facendo apparire uno sciame di serpenti. Alcuni strisciavano sul terreno, altri si muovevano come strisciando, ma nell'aria. Si allargavano a ventaglio per aggredire Albus da più direzioni e da più quote.
Albus ondeggiò la bacchetta a sua volta, ma ne uscì soltanto un piccolo gufo grigiastro, che tuttavia volò impavido verso i serpenti. Un altro movimento di bacchetta e il gufo divenne dorato e sfolgorante, e prese ad emettere forti richiami. I serpenti si girarono tutti verso l'uccello e, ignorando il precedente bersaglio, si gettarono su di lui, avvolgendolo in un groviglio di spire brulicanti. In quel momento il gufo esplose in una palla di fuoco che avvolse i serpenti volanti, trasformandosi in una massa di fiamme.
Albus evocò un vento che spinse il fuoco verso Gellert.
La nube di fuoco già calava su Grindelwald, ma lui con un gesto la mutò in una pioggia di gocce d'acqua. Il tempo di un attimo, e le gocce divennero affilate schegge di ghiaccio, che continuavano a puntare su di lui. Con una frustata rabbiosa della bacchetta Grindelwald le frantumò in un nevischio sottile, che il vento gli soffiò contro. La polvere gelida lo coprì e gli si incollò addosso, formando una crosta ghiacciata che minacciava di imprigionarlo.
Grindelwald guardò Silente con disprezzo. In un battito di ciglia il suo corpo trasfigurò in un enorme orso ritto sulle zampe. La crosta di neve si spezzò, cadde e scomparve, mentre il mago riassumeva fulmineamente sembianze umane.
Di nuovo i due maghi, immobili, si fissarono negli occhi.
E quei pochi attimi parvero dilatarsi in una stasi infinita, mentre i due avversari combattevano il duello nella propria mente, mossa e contro-mossa, e più in profondità, ben più giù del pensiero cosciente, i sensi spiavano la minima vibrazione del nemico, in cerca dell'attimo in cui lanciare l'attacco.
Ad un tratto Grindelwald ruppe quell'equilibrio.
«Che piani hanno i tuoi amici, Albus, finché noi ci balocchiamo qui dentro?» chiese accennando al muro di fuoco dorato. «State tentando qualche colpo disperato?»
Albus rimase in guardia.
«Sì, è così. Bella scusa, quella del difendere gli altri, ci avevo quasi creduto. Immagino che finché tu sarai in piedi questo muro non scomparirà. Ma io ho cose importanti di cui occuparmi.»
Con un movimento ampio, rapido e fluido lanciò un ventaglio di incantesimi dalla bacchetta.
Con un gesto altrettanto fluido Albus allargò le braccia, facendoli sparire. Ma in quel momento i suoi polsi furono avvinti da degli spessi tralci spuntati in un attimo da sotto i suoi piedi. Altri viticci uscirono dal terreno per avvolgersi alle gambe e al torso, immobilizzandolo.
Con un ghigno feroce, Gellert lanciò un nuovo attacco, mirando al suo petto.
Albus ruotò la bacchetta verso il basso con un gesto secco. I rampicanti che lo legavano crebbero all'istante, sollevandolo al di sopra del colpo in arrivo, che recise l'ammasso fibroso una spanna sotto i suoi piedi. I tralci scomparvero e lui, per evitare la caduta, si Smaterializzò direttamente a terra, a due metri a lato di dove sarebbe dovuto cadere, evitando così un altro incantesimo scagliato con rabbia da Gellert. Mentre il colpo lo mancava, fu Albus ad attaccare.
Gellert si protesse evocando davanti a sé uno spesso muro di pietra, che finì in frantumi bloccando l'incantesimo. Mentre i frammenti erano ancora in aria Gellert tuonò: «Saxavivae!»
I sassi schizzarono l'uno verso l'altro, agglomerandosi rapidamente a formare un grosso essere mostruoso, che si avventò su Albus con grandi fauci spalancate.
Albus agitò la bacchetta, ma il mostro continuò la sua carica, ed era ormai vicinissimo.
«Sei morto!» urlò Gellert, trionfante.
Albus agitò di nuovo la bacchetta, e il grosso mostro cominciò a rimpicciolire, mantenendo la forma ma divenendo ad ogni istante più piccolo.
Con un gesto di stizza Gellert frustò l'aria con la bacchetta, e il mostro, ormai delle dimensioni di un gatto, schizzò in avanti, riuscendo ad avvinghiarsi alla gamba sinistra di Albus e a morderlo selvaggiamente sopra il ginocchio. In un altro paio di secondi, tuttavia, il continuo rimpicciolirsi l'aveva ridotto alle dimensioni di una raganella, e il mago se lo staccò dalla gamba e lo lanciò lontano. Si fissò il ginocchio: la ferita era slabbrata, e abbastanza dolorosa, in verità. Ma non sembrava profonda. Poggiò il peso sulla gamba. Reggeva.
Guardò Gellert e accennò un inchino.
«Touché» disse sportivamente.
L'altro sputò per terra.
A quanto pareva, si era aspettato risultati migliori da quel colpo. Mai essere troppo sicuri, disse Albus a sé stesso. Valeva anche per lui.
Si rimisero in guardia.
A vederlo da fuori, il duello pareva divenuto qualcosa di irreale. Lo scontro tra due dei più grandi maghi del mondo non era qualcosa che facesse tremare le fondamenta della terra: i due avversari si fronteggiavano tentando di superarsi con la magia, ma la loro abilità era tale, e il loro livello tanto simile, che mossa e contromossa si susseguivano così rapidamente da poter lasciare un osservatore esterno a chiedersi cosa stesse succedendo, o addirittura se stesse succedendo qualcosa.
Dopo alcuni minuti si trovarono nuovamente immobili a fissarsi. Sembrava che fosse accaduto poco o nulla, ma nessuno dei due poteva mascherare la stanchezza che iniziava a farsi sentire. Gocce di sudore erano apparse sui loro volti, e il respiro era affannato.
In un altro momento, in un universo dove le cose fossero andate diversamente, Albus avrebbe potuto ammettere a sé stesso di trovare tutto questo appassionante. In un universo dove lui e Gellert fossero rimasti due grandi amici che studiavano assieme i segreti della magia, quella sfida sarebbe stata un'avvincente partita a scacchi, da giocare alla ricerca dei propri limiti e di quelli dell'avversario.
In questo universo, quella era una lotta per la sopravvivenza. Perdere probabilmente avrebbe significato morire. Avrebbe significato sicuramente altre morti, altre crudeltà.
Lui e Gellert si equivalevano. Non sarebbe stata la maggior forza dell'uno o dell'altro a decidere lo scontro. Non l'abilità come combattenti.
Forse la via doveva essere un'altra.
Per chi sapeva comprendere le sue regole, la magia dischiudeva possibilità infinite. Possibilità impensabili. Bastava solo pensarci.
Albus conosceva il proprio punto debole. E se era vero che in fondo loro due erano stati così simili, forse sapeva anche quale era quello del suo avversario.
Era tempo di muoversi. Se i maghi che dovevano attaccare Nurmengard non erano ancora atterrati sulla spiaggia, lo avrebbero fatto di lì a poco. Doveva mettere Gellert fuori combattimento.
Doveva vincere.
Fu lui ad attaccare per primo, questa volta, ed ebbe inizio un nuovo scambio di incantesimi, intenso come il precedente.
Questa volta, però, Albus lo stava vivendo in tutt'altro modo. Attaccava, bloccava e contrattaccava, aspettando il momento giusto, fingendo una difficoltà che non provava realmente, bloccando gli incantesimi sempre più tardi, sempre più vicini, finché non arrivò a fermarne uno talmente vicino da far sembrare di essere stato colpito, e si gettò a terra. Nell'accasciarsi, infilò la punta della bacchetta nel terreno, e mentalmente enunciò: Instilincubo!
Sapeva cosa sarebbe successo, ma il grido che esplose nella sua mente lo colpì ugualmente come un pugno.
TU MI HAI UCCISA!
Era la voce di Ariana, la sua voce da ragazzina, ma carica di delusione, e di accusa.
NON È STATO LUI! TU MI HAI UCCISA, ALBUS! PERCHÈ MI HAI UCCISA?
Forse era stato davvero lui. Non era quella la sua più grande paura? Avere imparato a conviverci non la rendeva meno dolorosa. E non aveva forse ragione Gellert? Non era vero che era quella morte che gli aveva permesso di essere ciò che era? Aveva trovato una sola risposta, per poter andare avanti.
Che almeno possa un giorno servire a qualcosa.
Strinse i denti, aprì gli occhi e cominciò a rialzarsi. Attorno a lui si sentivano grida disperate: tutti quelli che si trovavano attorno al cerchio di fiamme erano stati colpiti dall'incantesimo giunto attraverso il terreno.
Guardò Gellert, caduto in ginocchio dove si trovava; con le mani strette al capo, gridava parole in una lingua che Albus non conosceva: anche lui aveva i suoi incubi.
ASSASSINO!” Risuonava ancora la voce di Ariana nella sua mente.
Albus prese fiato, levò la bacchetta e cercò di pensare abbastanza forte da sovrastare quelle urla.
MALLEO SIDEREO!
Il potente Schiantesimo trovò il suo bersaglio con le difese completamente abbassate. Con un ultimo gemito, Gellert Grindelwald stramazzò al suolo, svenuto.
Albus cadde a sua volta in ginocchio, esalando un sospiro esausto. Roteò la bacchetta intorno a sé.
Finite!
Le urla di Ariana cessarono, e con esse anche le urla di chi era lì intorno. Il cerchio di fuoco scomparve.
Si rialzò, si avvicinò lentamente al suo avversario esanime.
«Incarceramus
Sottili legami magici avvolsero strettamente quel corpo inerte.
Sospirò di nuovo.
«Imperio
Era un gesto che lo metteva a disagio, ma non poteva rischiare che Grindelwald si riprendesse.
Solo allora si permise di dare un'occhiata intorno. Nel cortile vide alcuni maghi attorno alle gabbie dei prigionieri, che lavoravano per aprirle. Altri maghi stavano raggruppati all'ingresso della torre, in cima alla scala. Nessuno di loro sembrava appartenere alle guardie di Nurmengard. Dall'interno proveniva il rumore di uno scontro. I rinforzi dovevano essere arrivati finché loro due lottavano.
Sentì dei passi avvicinarsi.
«Lui... morto?» chiese la voce profonda del Voin-Belyì. Albus scosse la testa.
«Bene,» continuò l'altro, «ha molto male da pagare».
Albus annuì.
Si sentiva tremendamente stanco. Lasciò che fosse il russo ad occuparsi di Gellert, e si avviò verso il portale da cui erano entrati. Gli sembrava che fosse stato ore prima, ma sapeva che non era così.
«Aspetta!» lo chiamò Zabelin.
Albus tornò indietro di qualche passo, e il Voin-belyì gli andò incontro.
«Sua bacchetta» disse porgendo ad Albus la bacchetta con cui Grindelwald aveva combattuto.
«Tu ha vinto. E' giusto che tiene tu.»
Erano passati tanti anni, ma ad Albus parve che quella non fosse la bacchetta che Gellert portava quando si erano conosciuti. Aveva un aspetto vetusto, e sembrava fatta di un legno dolce, di scarsa qualità. Il suo potere non doveva essere inferiore alle altre, però, altrimenti Gellert non l'avrebbe usata.
«Grazie» disse semplicemente Albus, accettando l'omaggio. Poi si avviò di nuovo verso il portale.
Ora era davvero finita.




Note dell'autore:
Dal pannello Proprietà: “file creato il 20/01/2011”; “ultimo salvataggio il 20/01/2013”.
C'è altro da aggiungere?
Uhm, sì, qualcosa c'è: diciamo che, quando ho notato la coincidenza di date, ieri, c'erano ancora parecchi buchi nel racconto, e li ho riempiti un po' di corsa. Non sono convinto al cento per cento di tutto quanto, ma volevo pubblicarla, altrimenti l'avrei tenuta lì per sempre.
Mi sono anche inventato un sacco di roba per “far girare” la storia. Spero che la troviate coerente. Sebbene la mia cara Elos abbia fatto un ottimo lavoro di betaggio, se incappate in errori, buchi e quant'altro, vi prego: segnalatemeli!
Spero che il prodotto sia stato di vostro gradimento, alla prossima.
  
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