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Autore: InstantDayDream    21/01/2013    7 recensioni
Il tizio che era lì con me, chiunque fosse, aveva però degli ottimi riflessi e mi prese giusto in tempo, evitandomi una caduta rovinosa. Mi fece accomodare su una delle panchine presenti sul terrazzo e mi offrì una bottiglietta d'acqua. (...) Afferrai la bottiglietta senza troppi complimenti e, dopo averla aperta, ne presi una generosa sorsata.
«Va meglio?» mi domandò lui. Io mi limitai ad annuire.
«Tu chi sei?» gli chiesi, prima di tornare a bere.
«Choi Siwon, piacere di conoscerti»
Per poco non gli sputai l'acqua in faccia.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Choi Siwon, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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13 - Labyrinth


Non avevo idea di come fossi arrivata lì. Non mi ricordavo nemmeno quando mi ero alzata dal mio posto alla radura ed avevo cominciato a camminare Avrei potuto averci messo dieci minuti o dieci ore, non lo sapevo. Per quanto mi sforzassi di ricordare l'unica cosa che mi veniva in mente quando cercavo di ripercorrere all'indietro quella strada nella mia mente era il nulla. Per me il nulla è sempre stato bianco. Come un gigantesco muro di luce bianca nella memoria che non poteva essere scavalcato in alcun modo tanto era accecante, nonostante io ci provassi imperterrita, tutte le volte. Sapevo che non sarei riuscita a superarlo ma ci provai lo stesso, ottenendo un altro deludente risultato. Però mi sfuggì un sorriso. Il bianco era il colore preferito di Leeteuk, attorno a lui il bianco sembrava essere ovunque. Diventava inquieto quando non aveva niente di bianco, non si sentiva a suo agio. Certo, non era niente di trascendentale per la sua esistenza, ma preferiva che quel colore fosse con lui sempre. Improvvisamente provai un moto d'affetto verso il leader e senti la voragine della sua mancanza aprirsi dentro di me. Per un istante fugace provai l'istinto di chiamarlo e chiedergli cosa fare. Sapevo che lui sarebbe stato contento di sapere che finalmente avevo rivelato tutto a Siwon, molto meno invece di scoprire che ero scappata subito dopo, senza dargli la possibilità di mostrarmi la sua reazione. Ma che reazione poteva mai avere? Non potevo restare in quella stanza per vedere il suo sguardo disgustato su di me, non ne avrei avuto la forza. Non sapevo nemmeno di preciso che idea si era fatto, quale illusione tanto potente si era creato nella sua mente riguardo a me, ma non aveva più importanza: era andata distrutta con le mie parole, ne ero sicura. Era un mondo dorato quello che ogni persona mostrava di sè all'esterno. Nel Mondo Dorato non c'è mai niente che va male, ci sono i piccoli particolari che lo rendono diverso da quello della persona accanto e, in qualche modo, unico. Ci sono le giostre, così la gente si può divertire a stare con te, in ogni momento, e ci sono sempre le bancarelle che vendono il  cibo preferito di ognuno, in modo che ritornarci sia sempre piacevole,  poi alcuni credono addirittura di trovarci gli spacciatori di una droga meravigliosa e per loro il Mondo Dorato diventa assuefazione, non vogliono lasciarlo, non possono lasciarlo, amano il Mondo Dorato che quella persona ha messo fuori perché solo lì credono di trovare la felicità. Tutti però, prima o poi, notano che in fondo al Mondo Dorato c'è una porta. Non importa per quanto tempo non gli danno importanza, prima o poi la loro attenzione finirà per essere inevitabilmente attratta verso quell'unico punto che per loro è rimasto inesplorato. A volte la raggiungono con un salto, altre devono fare un percorso ad ostacoli, non importa, l'unica cosa che importa è che ci arrivano e la spalancano. Lì il Mondo Dorato cessa di esistere e si viene messi a fare i conti con la Realtà.  Cosa c'era dietro la Porta? Cambiava da persona a persona. I più fortunati scoprivano che il Mondo Dorato esisteva davvero, alcuni si rendevano conto che era argento, altri invece che era ottone e via via fino al ferro. La rivelazione poteva essere difficile da accettare a volte, ma se chi aveva aperto quella porta si metteva a giudicare obiettivamente la sua Realtà, allora forse riusciva a perdonare quella dell'altro. A meno che aprendo quella porta non si trovasse la cosa peggiore:  la ruggine. Scoprire che quel Mondo che ti pareva meraviglioso era in realtà corrotto, deteriorato, pericoloso e che crollava a pezzi. Per quel mondo non c'è speranza di salvezza, nemmeno una. Era quello che era successo quando avevo lasciato che Siwon aprisse quella porta e vedesse la mia Realtà. Io la sua, di porta, l'avevo aperta tempo fa e dentro, come c'era da aspettarsi, avevo trovato lo stesso oro che c'era fuori. Oro e Ruggine non dovrebbero mai mischiarsi. Non c'è niente di più riprovevole del rovinare qualcosa di perfetto, come l'Oro. Era ovvio che la Ruggine ne fosse attratta, così come era scontato che l'Oro la rifuggesse. Improvvisamente, sentii dei passi alle mie spalle e sussultai, girando verso l'ingresso del rifugio, davanti al quale mi ero trovata senza sapere bene come. Mi girai, terrorizzata all'idea di dover affrontare le ultime persone che avevo voglia di vedere in tutto il pianeta, ma non erano loro.

«Tu che ci fai qui?» gli chiesi, il tono duro.

«Ero venuto a cercare i tuoi genitori, ma a quanto pare sono fuori per non so quale motivo...l'inglese delle tizia alla reception non era eccezionale» rispose Siwon, come se quella fosse la cosa più normale del mondo. 

«Eri venuto a fare....cosa?»

«A parlare con i tuoi genitori» disse di nuovo, pazientemente, senza fare una grinza.

«Per quale assurdo motivo tu vorresti parlare con i miei genitori?» non aveva senso.

«Volevo che ti chiedessero scusa!»

«Scusa?»

«Sì» si andò a sedere sugli scalini davanti all'ingresso e mi fece cenno di raggiungerlo.

Per un attimo ebbi la strana voglia di accucciarmi lì accanto a lui e stare al sole stretta tra le sue braccia, mentre mi raccontava piccoli dettagli della sua esistenza che mi ero persa, oppure mentre mormorava le sue preghiere ad occhi chiusi. Mi sarei accontentata di quello. Certo, la gente vede molte più cose in un bacio, un bacio è istintivo, passionale, un sigillo che rende l'altra persona solo tua e viceversa agli occhi degli altri, la gente non avrebbe notato niente di strano a vederci uno poggiato all'altro su delle scale. Eppure era il gesto calmo e tranquillo di chi aveva davanti tutta la vita e poteva godersi anche gli attimi di calma. Lo raggiunsi sulle scale, sedendomi leggermente distante da lui. Avevo paura che standogli vicina avrei perso qualcosa di importante e non l'avrei più trovata, mi sentivo come se avessi paura di perdere un oggetto a cui ero abituata, perchè sapevo che erano esauriti in tutto il mondo e le scorte non sarebbero più state rifornite, quindi se l'avessi perso mi sarei semplicemente dovuta arrangiare a vivere senza.

«Lo so che delle scuse non ti ridaranno indietro Alexandros, ma volevo che ti chiedessero scusa per la vita che ti hanno costretta a vivere finora» cominciò lui.

«La vita che mi è toccata e solo una conseguenza delle mie azioni» e mi era andata anche troppo bene, pensai, guardandolo.

«Assolutamente no. Tu avevi sedici anni, eri nel pieno dell'adolescenza, loro erano gli adulti che avrebbero dovuto comportarsi da tali. Gli adolescenti si sentono invincibili, loro non possono nascere e vedono la morte come estranea al loro mondo. Dentro di loro non c'è ancora la paura dei fallimenti ed incanalano tutta questa energia di cui si scoprono improvvisamente provvisti per correre a perdifiato verso i propri sogni. Non ci si può aspettare altro da un adolescente. Ma un adulto...come può un adulto essere talmente chiuso nell'orgoglio da voler seppellire un figlio, piuttosto che perdonarne un altro?»

«Tu li trovi...delle persone riprovevoli, vero?» gli chiesi, guardando la strada davanti a me. Lui annuì

«Sì. Anche i miei genitori, quando decisi di entrare alla SM, mi tagliarono i fondi. Mio padre non condivideva la mia scelta e disse che mi sarebbe servita anche come lezione di vita. Avevo il terrore di quell'uomo, quindi non provai nemmeno ad oppormi....ma se fosse successo qualcosa a Jiwon» si battè una mano sulla coscia con rabbia, come se il solo pensiero lo facesse impazzire «se fosse successa qualcosa a Jiwon loro mi avrebbero chiamato subito! Ed ero libero di vederla quando riuscivo! Poi si sono presi del tempo per capirmi e siamo riusciti a recuperare il rapporto perso in questi anni....io non posso concepire che un genitore possa abbandonare un figlio.»

«Se quelle persone sono i miei genitori...io non posso essere diversa da loro» sussurrai, spaventata, incerta se farglielo notare o meno.

«Tu credi che Alexandros fosse come loro?»

«No!» esclamai convinta «Come fai a dirlo?? Alexandros mi scriveva sempre, non si è mai comportato come se non esistessi...lui....» mi interruppi, incapace di continuare oltre, lui lo capì e non disse altro, semplicemente si limitò a sorridermi. E io capii cosa voleva dire in quel momento. A lui non importava chi fossero i miei genitori e cosa avevano fatto, lui continuava a credere che dietro quella Porta ci fosse l'Oro e non la Ruggine.

«Quando uscirai dal labirinto, Asia?» mi chiese, improvvisamente.

«Che labirinto?»

«Hai detto che Dedalo ed Icaro scapparono dal labirinto, ma Icaro andò oltre le sue capacità. Se fossero rimasti chiusi lì dentro però, sarebbero stati al di sotto delle loro possibilità. Se tu continui a darti la colpa di quello che è successo, è come se ti chiudessi nel labirinto chiedendo al Minotauro di trovarti»

«Mi meriterei di essere trovata dal Minotauro» trovai la forza di rispondere solo dopo un po'. Le sue parole mi avevano colpito, non solo per quello che aveva detto, ma perchè l'esempio che aveva fatto era stato preso dal mito che gli avevo raccontato il giorno prima. Non si era limitato a ascoltarlo, ci aveva pensato, ci aveva riflettuto e ne aveva tirato fuori un suo concetto. Non credevo che quello che gli avessi detto, potesse incidere così nella sua mente.

«No e se lo credi dovrò venire a chiudermi lì dentro con te» rispose lui, deciso, afferrandomi per un polso in modo da reclamare la mia attenzione, per poi prendermi delicatamente il viso con la mano libera, ma in maniera decisa, obbligandomi a guardarlo negli occhi.

«No» scossi la testa «Tu voli, tu voli di già»

«E vorrei che anche tu volassi. Se credi di non poterlo fare puoi sempre aggrapparti a me e lasciare che io sia le tue ali»

«Perchè? Perchè vuoi farlo?»

Lui sorrise e mi guardò con uno sguardo che avrebbe sciolto il più freddo dei ghiacciai in una manciata di secondi. Mi sentii quasi tremare sotto la forza espressiva delle sue iridi scure, che mi incatenavano a lui, come se fosse il centro dell'universo.

«Perchè ancora di più adesso che so la tua storia, Asia, ho capito che se le persone sono pioggia, io sono una pioggerellina e tu, tu sei un uragano»

 

 

 

 

Il cimitero di quel paese era troppo bianco e troppo affollato. Come in tutti i paesi i giovani tendevano a scappare, a lasciarli vuoti, rendendoli solo dei gusci vuoti che si sgretolavano sotto il peso dei ricordi di gente che, anche se li aveva abbandonati per sempre, ci aveva lasciato un pezzo di cuore. Ma le persone continuavano a morire, quindi, inevitabilmente, i cimiteri continuavano a riempirsi. Sotto il sole del pomeriggio tutto quel marmo bianco, abilmente plasmato in forma di putti, croci o piccoli templi, brillava talmente tanto da dar fastidio agli occhi. Non mi dispiaceva del tutto, però, dava un senso di purezza e di importanza. Era vero che lì in Grecia tutto sembrava essere in marmo bianco, ma per come lo vedevo io, era una pietra associata agli edifici più importanti. Trovavo un gesto di enorme rispetto la scelta di utilizzarlo anche per le tombe di chi un tempo avevano amato. Dopo essersi fermata, titubante, per qualche minuto davanti al cancello di ingresso, Asia si decise ad entrare ed io la seguii. Il custode ci lanciò un'occhiata molto interrogativa, cosa che non mi sorprese molto, considerando che doveva essersi abituato a vedere le stesse persone da decenni e, potevo scommetterci, nessuno di questi aveva gli occhi a mandorla. La cosa gli dovette sembrare talmente strana, che addirittura si sentì in dovere di fermarci. O almeno mi sembrò di capire che ci stesse dicendo quello, visto che ci aveva parlato in una lingua sconosciuta. Ma rispose Asia e la cosa mi stupì, per un attimo, prima di rendermi conto che era normale, assolutamente normale per lei parlare la sua lingua, più di quanto non lo fosse usare l'inglese, per non parlare del coreano. Improvvisamente mi apparve chiaro per la prima volta che venivamo da due universi che non avevano nessun tipo di legame l'uno con l'atro. Ripensai a me, da ragazzino, a quello che facevo tutti i giorni. Mi era sembrato di aver fatto qualcosa di eccezionale andandomene in Cina per dei mesi, per imparare la lingua…ero a conoscenza dell'Europa, sì, ma come un posto lontano, che non avrebbe mai influito sulla mia vita. Invece era proprio in Europa, in un paesino assolutamente sperduto della Grecia, che stava crescendo una ragazza che forse ignorava persino il nome di Seoul, e che quando sognava in grande pensava a Los Angeles. La catena di eventi che avevano portato questi due universi a collidere era qualcosa di stupefacente, se si ripercorreva all'indietro. Non c'era nessun'altra spiegazione ad un avvenimento del genere, se non il volere divino. Sorrisi, tra me e me, chiedendomi come potesse la gente non accorgersi dell'esistenza di Dio, della Sua grandezza e del Suo amore, notando quelle cose. Avevano messo troppe barriere davanti a Lui, perché potessero osservarlo con chiarezza. A volte avrei voluto distruggere i cancelli del Paradiso e spegnere le fiamme dell'Inferno, in modo che gli altri potessero vedere Dio per come era e non solo come conseguenza delle proprie azioni. E in quel momento, senza che avessi fatto nulla per meritarmelo, Dio mi aveva messo sulla stessa strada di Asia, che era terribilmente ripida ora come ora, ma più che sentirmi affaticato dalla cosa mi sentivo sollevato, perché ero lì con lei e in due sarebbe stato più facile arrivare in cima.  Ecco perché la seguii lungo i vicolini stretti di quel luogo ed anche oltre, quando questi cominciavano a diradarsi, lasciando posto allo sterrato e ad una distesa ripida di lapidi circondate da erba di un verde tendente al giallo, il colore del sole, che in quel posto sembrava dominare ogni cosa.  Quando Asia si fermò, improvvisamente, per poco non le andai addosso. Sembrava aver trovato quello che cercava. Era una lapide, bianca come tutte le altre ma incredibilmente spoglia, sagomata a forma di libro, sulla quale erano incise in oro alcune parole di cui non riuscivo a leggere niente, se non una data di nascita ed una di morte. Erano distanti appena dodici anni l'una dall'altra. Anche senza spostare lo sguardo sulla foto lì accanto avrei capito di chi era. L'immagine ritraeva Alexandros tra le braccia di Asia, sicuramente qualche anno prima che lui morisse, sorridenti e felici sulle scale che portavano all'ingresso del rifugio. Più di ogni altra cosa quella foto mi diede una fitta al cuore. In quel momento capii che la scelta dell'immagine non era stata casuale, in quella tomba i genitori di Asia avevano sepolto entrambi i loro figli, sia quello morto davvero che quella che per loro era morta. Era una crudeltà disumana, anzi, era una crudeltà perfettamente umana. Solo gli umani riuscivano ad arrivare ad un livello di perfidia tale, perché persino per gli animali, proteggere i loro simili era istintivo. Magari avevano sofferto anche loro, ma per qualche strano motivo non mi sembrava che questo contribuisse a migliorarli ai miei occhi: avrebbero potuto risparmiare sofferenza a tutti, semplicemente lasciando che Asia facesse della sua vita quello che voleva. Strinsi i pugni e serrai la mascella, consapevole che era stupido avere addosso tutta quella rabbia per qualcosa che non mi aveva minimamente sfiorato, ma forse aveva fatto di peggio, aveva rovinato due vite che erano state create per essere perfette. Siamo fatti di circuiti sentii la voce di Asia riecheggiarmi in testa A volte c'è un black out e la corrente non passa più, è inutile arrabbiarsi, non possiamo farci niente. Capivo perché la pensava così, adesso. Era più semplice, faceva meno male credere che non l'avessero fatto di proposito, era solo andata via la corrente e loro avevano fatto qualcosa di sbagliato, piuttosto che accettare fino a che punto l'amore verso di lei era stato distorto in odio e non sentirsi come se suo fratello l'avesse pugnalato lei. Spostai lo sguardo su Asia per la prima volta da quando eravamo arrivati davanti a quella lapide e mi accorsi che era inginocchiata a terra, una mano che accarezzava la loro foto impolverata, lasciando delle strie più chiare, via via che scivolava giù per ricongiungersi a terra con quell'altra. Affondò le dita nel terreno per quanto poteva, cercava di stringere i pugni, come se volesse afferrare la terra e gettarsela alle spalle, per poi continuare a scavare. Cercai il suo sguardo, che sembrava quasi perso nel vuoto, finchè non incrociò il mio.  Fu come se qualcosa si ruppe, mi sembrò quasi di sentire il rumore della barriera tra noi che andava in pezzi svanendo nell'istante esatto in cui toccava il terreno. Era uno sguardo che non le avevo mai visto, più forte di qualunque urlo di dolore e più disperato di ogni pianto, era lei che mi chiedeva aiuto, con ogni fibra del suo corpo. E poi quelle emozioni cominciarono a diventare opache mentre le lacrime le offuscavano prima di cominciare a scendere. Prima una goccia, poi un'altra, in breve una pioggia e, infine, i suo singhiozzi disperati. Era un pianto che veniva da lontano, da un passato che non c'era più e non sarebbe tornato. Era il pianto che mi stava raccontando di un tempo in cui era stata felice, aveva riso ed aveva amato. Attraverso ogni singhiozzo sembrava quasi chiedermi perchè non potesse più farlo. Non lo sapevo. L'unica risposta che riuscii a darle nel vano tentativo di rendere umani degli atti che di umano non avevano proprio niente, fu accasciarmi accanto a lei e cercare di stringerla tra le braccia. Non oppose resistenza e ben presto le sue lacrime stavano inzuppando la mia maglietta. Non mi importava, l'unica cosa che per me era fondamentale, era essere lì con lei in quel momento. La guardai, mentre ogni singhiozzo la scuoteva quasi come una convulsione, e la strinsi più forte. Nei mesi in cui l'avevo vista, non era mai stata così fragile e così forte al tempo stesso. Alzai nuovamente lo sguardo su quella foto e, per un istante, mi sembrò che gli occhi di quel bambino rilucessero di luce blu. Dopo un istante, lo notai, appena visibile sotto i nostri occhi nella luce quasi crepuscolare, una sottile fiamma azzurrognola, sospesa a pochi centimetri da terra. Sapevo che anche Asia lo aveva notato, perchè per un attimo i suoi singhiozzi si erano interrotti e si era stretta a me con tutte le sue forze. Nel ventunesimo secolo c'erano almeno tre differenti teorie sulla loro comparsa, tutte sostenute da una salda base scientifica. Probabilmente, anzi no, sicuramente aveva ragione la chimica, ma trovai talmente significativo che quel fuoco fatuo avesse deciso di apparire proprio in quel momento, che scelsi di credere che fosse Alexandros, che era tornato apposta per salutare sua sorella.

Quando venne l'ora di chiusura il guardiano ci dovette quasi cacciare fuori da quel posto. Anche se non avevo capito nulla di quello che aveva detto, avevo la netta sensazione che lui avesse riconosciuto Asia e che quasi gli dispiacesse mandarla via da lì. Ci avviammo lentamente, molto lentamente, verso casa di Meg. A volte un pianto può stancare più di una giornata intera passata a correre e lei aveva pianto per ore, non mi stupiva poi così tanto che avesse bisogno di appoggiarsi a me per camminare. Fortunatamente in quel posto sembrava essere tutto vicino, o forse ero solo io ad essere abituato alle distanze di Seoul, ma ci volle poco a ritornare a casa. Meg ci aprì e non chiese nulla, una cosa che apprezzavo moltissimo in lei. Sembrava che quelle due avessero passato insieme così tanto tempo da essere in simbiosi e fossero state così tanto lontane da aver imparato ad aspettarsi l'un l'altra. Accompagnai Asia in camera sua e la feci sedere sul letto, quindi mi voltai con tutta l'intenzione di andarmene.

«Resta» sussurrò lei, afferrandomi un polso. 

La guardai per un attimo, indeciso sul cosa fare. Potevo sempre prendere una sedia e mettermi accanto a lei volendo. Sarebbe stata la soluzione più ragionevole, certo, peccato che ogni forma di razionalità mi aveva abbandonato nell'esatto istante in cui i nostri occhi si erano incrociati e per la prima volta i suoi mi erano sembrati trasparenti, così tanto da lasciarmi intravedere chiaramente ogni suo pensiero. Annuii e salii sul letto, accanto a lei, stringendola nuovamente tra le braccia.

«Riposati, sei distrutta» le dissi, prima sfiorarle la fronte con un bacio.

«Scusa» mormorò lei in risposta. 

«E di cosa?» 

«Di non essermi fidata di te»

Sorrisi, possibile che riusciva a pensare ad una cosa del genere in un momento come quello? 

«Non importa. Tutte le cose migliori cominciano così...sai nemmeno noi ci fidavamo di Kyuhyun-ah all'inizio, eppure...»

«Davvero?»

«Sì, davvero. Siamo stati orribili con lui in quel periodo. Avevamo appena debuttato ed eravamo solo un progetto, sapevamo che ci avrebbero sciolto da lì a tre mesi e improvvisamente arriva questo ragazzino, dopo solo tre mesi da trainee e lo buttano tra di noi dicendo che avrebbero tolto qualcuno per metterci lui...»

Mi interruppi a metà, perchè mi accorsi che stava dormendo. Non ero infastidito dalla cosa, anzi. La guardai attentamente, con i capelli spettinati, gli occhi gonfi, le guance rigate dalle lacrime...sapevo che ogni giorno ero circondato da donne più belle e sapevo che volendo avrei potuto averle tutte, o quasi. Ma volevo lei, con le su imperfezioni, le sue ferite, i suoi demoni e i suoi limiti. Non mi ero mai accorto di quanto fosse noiosa la perfezione, fino a quel momento. 

 

 

 

 

Il fastidioso suono che mi aveva svegliato sembrava essere distante anni luce da me. Non riuscii ad aprire nemmeno gli occhi, perciò decisi di ignorarlo e provai ad addormentarmi. Non ci riuscii perchè il profumo che sentivo accanto a me aveva portato alla mia mente le immagini del giorno prima. A tratti sembravano essere prese da un incubo che via via si trasformava fino a diventare il sogno migliore che avessi fatto fino a quel momento. Non riuscivo ancora a capire se la giornata appena trascorsa mi avesse fatto terribilmente male o se mi avesse portato a sfiorare il cielo con un dito, l'unica cosa che sapevo era che la mia testa stava seguendo l'abbassarsi ritmico del respiro di Siwon e che mi ci sarei potuta abituare facilmente a quel risveglio. Il suono che mi aveva svegliato tornò a riecheggiare per la stanza, sentii Siwon mugugnare qualcosa e mi decisi ad allontanarmi da lui per spegnere qualunque cosa fosse. Solo quando mi girai verso il comodino notai che era una suoneria, per essere precisi era la suoneria dell'unico telefono con cui stavo mantenendo i contatti col mondo e questo poteva voler dire solo una cosa: chiamata da Seoul. Lo afferrai in fretta e furia e buttai giù la chiamata il più rapidamente possibile per evitare che Siwon si svegliasse. Prima di uscire dalla stanza mi soffermai a guardare il ragazzo che stava dormendo nel mio letto e non riuscii a trattenere un sorriso. Aveva un'aria assolutamente pacifica, con gli occhi chiusi, le labbra leggermente schiuse e il volto rilassato. Era...tenero, non c'era nessun altra parola per descriverlo. Se non fosse stato per il telefono che cominciò a squillare di nuovo, mi sarei sicuramente rintanata di nuovo tra le sue braccia. Chiusi la porta alle mie spalle cercando di fare il più silenziosamente possibile e mi decisi a rispondere.

«Yobuseyo?» chiesi, scatenandomi un'occhiata interrogativa all'ennesima potenza da parte di Meg, che era tranquillamente seduta al tavolo della cucina a cucire non so cosa.

«Yah noona! ti sei decisa a rispondere finalmente!»

«Ah Kyuhyun-ah! Scusa, stavo cercando di non svegliare Siwon-sshi!»

«Stavi dormendo con Siwon hyung?» mi chiese il maknae, divertito. Mi sembrò quasi di poter vedere il suo sorrisetto divertito,  anche se era dall'altra parte del mondo.

«No!» esclamai, arrossendo e cercando di nascondermi da qualche parte per non farmi vedere, prima di realizzare che ero a telefono e che non avrebbe potuto vedermi in ogni caso «Ma il telefono era in camera sua e stava ancora dormendo!»

«Mhm...non ha mai dormito fino a tardi...» continuò ad insinuare lui. 

«Tardi? Guarda che qui sono le sei di mattina! Lo so che tu avrai già mangiato a Seoul ma...»

«Giusto, va bene va bene, ti stavo solo prendendo in giro.» Cho Kyuhyun che ammetteva sconfitta? C'era qualcosa che non andava «Senti non ho tempo, volevo solo dirti che tra poco ti chiameranno gli hyng e ti daranno istruzioni su cosa fare ok? Ci vediamo!»

Senza attendere che rispondessi mi riattaccò in faccia. Guardai il telefono un po' perplessa, prima di unirmi a Meg al tavolo ed afferrare senza troppe cerimonie un pezzo di pane di Pasqua che aveva messo in tavola e cominciai a mangiarlo.

«Chi era a telefono?» mi chiese.

Conoscevo troppo bene Meg, sapevo che per quanto potesse essere curiosa di sapere tutto quello che era successo il giorno prima, quella chiamata era la cosa che la preoccupava di più. Per quanto banale potesse sembrare quella domanda sapevo cosa c'era dietro. Quello che mi voleva chiedere era: "Devi andartene di nuovo, vero Asia?". 

«Ah..era Kyuhyun! Uno dei Super Junior...»

«Mi chiedo cosa possa averti detto per farti arrossire in quel modo...» si limitò a commentare lei, tornando in silenzio a cucire.

La guardai, senza sapere bene cosa dire. Volevo dirle che non me ne sarei andata, che restavo lì con lei. Non ero nemmeno del tutto certa che Siwon mi avrebbe chiesto di tornare o che i manager avrebbero approvato. Probabilmente sarebbe passato qualche mese prima che avessi il permesso di tornare a farmi vedere in giro per Seoul. Volevo dirglielo ma non sapevo se ce l'avrei fatta, avevamo sempre avuto dei problemi a parlare in maniera troppo esposta dei nostri sentimenti, io e lei. Stavo giusto per racimolare ogni singola goccia di coraggio che mi era rimasto e dirle tutto, quando il telefono squillò di nuovo.

«Yobuseyo?»

«Pronto, signorina Chronis?» la voce maschile all'altro lato del telefono stava parlando in un inglese dannatamente buono.

«Si, mi dica»

«La chiamo dalla SM Entertainment, volevo dirle che dopodomani abbiamo prenotato il volo per lei e il signor Choi»

«Per me ed il Signor Choi?» chiesi, cadendo dalle nuvole.

«Sì, siamo riusciti a far partire i procedimenti legali con la paramount pictures, adesso il signor Choi non è più in pericolo»

«Sono contenta e lo accompagnerò all'aeroporto, ma è necessario che lo accompagni in aereo fino a Seoul?»

«Ah, in realtà c'è un'altra cosa che dovevo dirle. Lei ha gestito la situazione in maniera magistrale e non è la prima volta che ha fatto una cosa del genere negli otto mesi in cui è stata qui...» quel discorso mi suonava terribilmente strano «...quindi abbiamo pensato di inserirla nel gruppo di management che si occupa dei Super Junior, se lei è d'accordo.»

«Io...grazie mille. Spero di essere all'altezza del compito.»

«Ne sono contento. Ci vediamo tra qualche giorno per firmare il contratto e...mi raccomando, dopodomani alle nove di sera, Aeroporto di Atene» 

«D'accordo, arrivederci»

Riattaccati e mi trovai davanti a Meg che stava sghignazzando a bassa voce, nascondendosi dietro ad un mano.

«Si può sapere cosa hai da ridere?» Le chiesi, tornando alla mia colazione.

«Ti sei resa conto che hai passato mezza conversazione a telefono ad inchinarti?» rispose lei, cercando di tornare a cucire, ma trovandosi inevitabilmente a ridere ancora più forte, accasciata sul tavolo.

«Yah! Non c'è niente da ridere....guarda che lì è normale»

«Hai appena detto "Yah!"» le sue risate a quel punto erano diventate incontrollabili. 

«Shhh smettila! Così svegli Siwon» ed io rischiavo di seguirla a ridere, il che era un pessimo segno di solito. Poi non avremmo più smesso per le successive due ore.

La parola "Siwon", però, sembrò riportarla con i piedi per terra. Improvvisamente si era ricordata che voleva sapere tutto su di lui. I suoi grandi occhi d'ambra mi fissavano con un'espressione molto eloquente.

«Che c'è?»

«Tu e il figo coreano che non ha un difetto nemmeno a pagarlo e che sta dormendo nel mio» marcò quest'ultima parola «letto in questo momento.»

«Non lo so è complicato....»

«Athanasia» quando mi chiamava per nome era sempre un brutto segno.

«Va bene, va bene...non è scappato via, non mi ha dato del mostro. Avevi ragione tu, contenta?»

«E...?»

«E cosa?»

«Quindi ora tu sei la ragazza più fortunata del pianeta?»

«Ah non lo so...può essere. È imbarazzante da chiederselo come se fossimo bambini dell'asilo no? Credo di sì, ecco»

«Se te lo fai sfuggire prima che ti porti all'altare ti ammazzo.»

«Io non mi voglio sposare!» esclamai, disgustata.

«Tu hai sempre voluto sposarti. Solo che credevi che nessuno ti avrebbe mai accettata e ti eri convinta che saresti restata sola e quindi ti piace dire che in realtà sei tu a non volerti sposare.»

«Puoi smetterla di far notare quanto mi conosci bene? Sei irritante.»

«Non è vero, tu mi vuoi bene per questo» rispose lei, con un sorriso serafico.

Sorrisi anche io in ricambio. Era vero, l'adoravo perchè era l'unica persona che era riuscita a capirmi in una vita intera. Nessuno avrebbe mai potuto rappresentare per me quello che rappresentava Meg. Era stata una bella avventura la nostra, spalla a spalla nonostante tutte le difficoltà che la vita ci aveva posto davanti.

«Ti assomiglia,sai?» le dissi, quindi, continuando a sorriderle.

«Chi? Lui?» mi chiese lei, indicando con un cenno della testa la porta, dietro a cui dormiva Siwon.

Annuii in risposta.

«Davvero?» mi chiese lei, la voce intenerita dall'entusiasmo e gli occhi che le brillavano, come una bambina. E come Siwon, dopotutto.

«Si» scoppiai a ridere «Sai tua mamma aveva ragione quando ci aveva detto che io e te eravamo anime gemelle.»

«Se ha un amico che ti assomiglia potrei avere anche io il mio happy ending....a proposito. Cosa volevano stavolta dalla Corea?»

«Ah dopodomani Siwon deve tornare e...io torno con lui. Mi hanno preso tra i manager dei Super Junior!» mi dovetti trattenere dall'urlare.

«Ti pagheranno per stare con lui in pratica?» mi chiese, divertita.

«Non l'avevo valutata da questo punto di vista ma sì, in pratica sì.....»

«E non pensi che sia il caso di andarglielo a dire?»

Le sorrisi e mi alzai di scatto dalla sedia, dirigendomi verso camera. Avrei dato qualunque cosa per portarmi Meg a Seoul. Stare con lei era come tornare a casa. Nonostante avevo appena attraversato uno dei giorni più estenuanti della mia vita, lei era riuscita a ridurre il tutto a quattro chiacchiere tra amiche. Parlare con lei rendeva tutto più semplice, perchè ogni cosa mi sembrava più facile da affrontare, se sapevo che avrei avuto lei al mio fianco. Senza Meg non so se sarei mai sopravvissuta agli anni immediatamente successivi alla morte di Alexandros. Probabilmente no. A volte mi ero sentita un'ingrata ripagare tutti i suoi sforzi con una vita da reietta volontaria e quelle volte sopprimevo il senso di colpa allontanandomi da lei, sparendo per mesi interi. Non le era mai importato, ogni volta che ero tornata da lei l'avevo sempre trovata ad aspettarmi. Mi fermai a mezza via e tornai verso di lei, avvicinandomi abbastanza da poterla stringere in un abbraccio mozzafiato. Ero famosa, io, per soffocarla quando l'abbracciavo con un po' troppo impeto.

«Sarangheyo» le sussurrai.

«Cosa?»

«Ti voglio bene» tradussi, lasciandola andare.

«Oh! Hai detto che mi vuoi bene!» gli occhi erano tornati a brillarle.

«Come se non lo sapessi» commentai, alzando gli occhi al cielo, mentre ritornavo sui miei passi. Era il gioco più vecchio del mondo. Ogni volta che aveva anche solo un minimo di dimostrazione d'affetto da parte mia, si emozionava come una bambina in un negozio di caramelle. Non sarebbe mai cambiata Meg e io ero contenta così. Se mai fosse successo io non avrei saputo come fare.

Riaprii molto piano la porta della camera, per richiuderla con altrettanta cura alle mie spalle. Siwon stava sempre dormendo e decisi di non svegliarlo. Chissà quando si sarebbe riuscito a fare un'altra bella dormita una volta tornato a Seoul. Anche se oramai il sonno mi era passato, tornai nel letto anche io. Un'altra cosa che non sarebbe successa per molto tempo, sarebbe stato sicuramente dormire accanto a lui. La rete cigolò mentre mi sistemavo e lui sembrò per un attimo passare in stato di dormiveglia. Si avvicinò verso di me e, quasi senza rendersene conto, si strinse a me, usando l'incavo tra il mio collo e la mia spalla come cuscino.

«Dove sei andata?» mugolò assonnato.

«Di là,  hanno chiamato da Seoul ma non volevo svegliarti»

«E adesso resti?» di tutta la conversazione sembrava non aver colto niente e stava continuando col suo iter di domande che aveva in testa.

Lo guardai, era quasi indifeso. Sembrava che fosse tornato indietro di quindici anni e che io fossi il suo pelocuhe preferito. L'espressione era dolce, proprio quella di un leoncino. Non avevo difficoltà a credere che Heechul ce lo avesse paragonato. Sembrava un cucciolo che aveva bisogno di rassicurazione. Avevo visto questo lato di Siwon con gli altri a volte, ma mai con me. Per la prima volta mi resi conto che lui aveva accettato di farsi vedere in ogni suo aspetto, perchè ogni barriera che avevo messo tra noi era crollata. Non c'era più bisogno di fare il superuomo per starmi accanto, poteva essere solo Choi Siwon e io non avrei mai chiesto altro.

«Certo, se vuoi» risposi, divertita, accarezzandogli lentamente i capelli.

«Resti per sempre?»

«Si» risposi decisa, incapace di trattenere l'enorme sorriso in cui si stavano schiudendo le mie labbra «per sempre».



Finalmente ce l'ho fatta T_T questo capitolo è stato un parto. Vi giuro che non so quante volte l'ho cancellato e riscritto per poi cancellarlo. Quindi ora lo pubblico senza pensarci due volte, perchè sono capace di cancellarlo di nuovo e non scrivere niente per altre tre settimane e non va bene, assolutamente. Insomma sono passata dall'introspezione pesantissima di quei due, soprattutto il signorino Siwon, alle quattro chiacchiere in allegria con Meg. Io l'ho vista così...dopo la giornata che aveva avuto Asia, Meg non avrebbe potuto  fare altro che cercare di darle un clima leggero e di normalità, quindi sì, ci sono tre registri completamente diversi tra loro nelle varie parti del capitolo, ma sinceramente non mi dispiacciono! Io mi rimetto al vostro giudizio. 
Ma visto che comincia la seconda metà della storia, trovo giusto ringraziare chi l'ha sopportata finora!
Ringrazio quindi: Alicemblaqshinee, BellaChoi, Haru_, Itsadreamer, Krystal23, Lightfire, Miss Fitzy, plubuffy, SooMicchi, YUIandAI per averla messa tra le seguite, ChoiMinhoFigo_, Perlascent Blue Sky, Tory Ah, YuiChan95 per averla messa nelle preferite e Madame_Green e Vale Aj Kim per averla ricordata!
Inoltre un ringraziamento speciale a: kateryna, YuiChan95, EllyCandy, SooMicchi, ChoiMinhoFigo_ e Tory Ah per essersi prese 5 minuti del loro tempo per recensirla <3
E poi ci sono loro...le Fab Five (che potrebbe voler dire le favolose 5 o anche le 5 di Fab, fate voi, tanto oramai lo sapete che sono autoreferenziale quasi quanto Kim Heechul XD). Senza di loro non so proprio dove sarebbe andata a morire questa storia, con tutte le volte che sono entrata in crisi, che mi faceva schifo, che mi davano sui nervi i personaggi e tutto il resto. Loro ci sono sempre state! Ovviamente di chi potrei parlare se non di _Sushi_ , angelteuk, Federica_25, Kami_Sshi e Onewsmileislikeasun ? Grazie, grazie, grazie, per non esservi perse nemmeno un minuto di questo piccolo sclero, di aver supportato e sopportato Asia fin dall'inizio! Non riesco nemmeno a dirvi quanto vi sono grata! Sappiate che buona parte della progressione di questa storia è merito vostro!

Ci riaggiorniamo presto!
F.


La storia partecipa alla "The four elements challenge"
Elemento: Fuoco
Prompt: Fuoco Fatuo

  
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