A/N: volevo innanzitutto ringraziare tutti coloro
che hanno letto “Deal With My Devil”. Amo scrivere, ma gli impegni quotidiani
non mi permettono di dedicare tutto il tempo che vorrei a questa attività.
Avevo in mente una storia diversa, di tutt’altro genere, ma mi sono presto resa
conto che non sarei riuscita a seguirla come volevo. Ho deciso allora di
riprendere questa storia che avevo iniziato da un po’, un progetto differente e
forse un po’ più semplice da scrivere tra una cosa e l’altra. Di nuovo una
storia di genere “azione” con l’intreccio di due protagonisti forti, nuovamente
il mio amato mix di illegalità/amore/odio. Ringrazio tutti quelli che ci
daranno uno sguardo e vi amerò se troverete anche il tempo di recensire.
Qualsiasi forma di feed-back mi spingerà ad andare avanti.
Avvertimento: il
rating è rosso ed ho scelto di marcare col genere “erotico” perché prevedo un
certo tipo di interazione tra i miei personaggi, tuttavia non mi spingerò mai
nel volgare o nel troppo esplicito.
TITANIUM
Quello
era di certo il posto più lussuoso in cui avesse messo piede, il ristorante più
elegante di tutta la città. Entrando nella piccola sala privata, illuminata
dalle candele, non aveva potuto evitare di girarsi intorno con gli occhi
spalancati, tovaglie di puro lino, tende suntuose, gli stucchi al soffitto. Sua
madre si era accomodata con grazia, fingendo che quella fosse un’abitudine. Suo
padre invece, all’altro lato del tavolo, era visibilmente agitato, ancora
troppo spaventato dal luccichio delle posate d’argento per riuscire a sfogliare
il menu.
“Il
Signor Craven è stato davvero gentile a regalarci questa cena.”
Suo
padre era scattato sulla sedia, asciugandosi la fronte col polsino della
camicia
“Non
lo so tesoro, continuo a pensare che ci sia stato un errore. Il mio capo non ha
mai regalato premi agli impiegati.”
“Andiamo
Bill, dopo vent’anni di servizio alla sua azienda credo che sia un premio del
tutto meritato.”
Suo
padre continuava a guardarsi intorno, ancora spaventato dall’idea di ordinare
la cena. Chiedere solo un’insalata
sarebbe stato un peccato, ma d’altro canto scegliere ostriche e caviale poteva
rivelarsi una mossa azzardata. Forse quello era una specie di test, forse il
Signor Craven li stava osservando da lontano aspettando che lui commettesse un
errore. Del resto il suo capo era conosciuto più per il brusco temperamento che
per le sue gentilezze. Non lo aveva mai incontrato di persona in tutti quegli
anni, mai avuto alcun segno o messaggio dai piani alti, eppure, due mattine
prima, uno dei consiglieri era entrato nel suo piccolo anonimo ufficio e
sorridendo gli aveva comunicato della prenotazione alla Salle de Paris. Un
premio meritato per un impiegato così efficiente e leale.
“Cosa
ordiniamo?” Sua madre era senza dubbio la più entusiasta dei tre.
Bill
aveva sfogliato il menu con attenzione, scorrendo i prezzi prima ancora di
leggere a quale piatto corrispondessero. Alla fine avevano optato per due
filetti ed un piatto di pasta. Da bere acqua, ovviamente. Il cameriere li aveva
squadrati senza darlo troppo a vedere, probabilmente avevano scritto chiaro in
faccia la loro provenienza. Quartiere residenziale.
“Vado
a lavarmi le mani.”
Così
si era alzata per raggiungere la toilette, il bagno più grande e splendente che
avesse visto nei suoi quindici anni di vita. Tutto in quel posto era “più di
quanto avesse mai”. Guardandosi nell’enorme specchio notò quanto quella stanza
fosse immacolata, nemmeno l’alone di una goccia d’acqua sulla porcellana
bianca. Meglio mangiare con le mani sporche che rovinare quella perfezione.
Scrollò le spalle e si avviò verso la porta, abbastanza lentamente da cogliere
delle voci sconosciute provenienti dalla sala. Che suo padre avesse ragione?
Forse li stavano avvertendo dell’errore. Aprì la porta lo stretto
indispensabile per ascoltare e riuscire a cogliere uno spicchio della scena.
“Salve
Signori.”
Due
uomini in completo scuro se ne stavano dritti davanti al tavolo. Poteva vederli
solo di spalle, ma di certo erano sconosciuti.
“Salve.
C’è qualche problema?”
Ecco,
adesso suo padre stava davvero sudando. Che vergogna essere cacciati da un
posto così.
“A
dire la verità credo proprio di sì.”
“Che
succede?”
Uno
dei due si era mosso, circondando il tavolo fino a raggiungere l’altro lato
della stanza. Adesso riusciva a vederlo in viso, ma quei tratti così seri non
le dicevano niente.
“Aspettavamo
il Signor Craven stasera. Avevamo una questione importante da risolvere.”
Bill
aveva sollevato le spalle, istintivamente intimorito da quelle facce
sconosciute ed impassibili.
“Mi
dispiace signori, ma non credo che il capo verrà. Ha regalato questa cena a me
e alla mia famiglia quindi…”
“Quindi
non verrà...” L’aveva interrotto l’altro arricciando le labbra come se dovesse
pensarci su “...E’ davvero un peccato.”
Il
tono gentile e liscio come il velluto, da dare i brividi.
“Mi
dispiace.”
Il
tizio di spalle aveva infilato le mani in tasca “Oh mi creda, dispiace anche a
me dover rovinare la vostra cena.”
“Prego?”
Da
quel momento tutto era successo in una manciata di secondi, il tizio di spalle
aveva tirato fuori la pistola, mentre l’altro aveva messo le mani attorno al
collo di sua madre. Bill si era alzato di scatto
“La
prego, qualsiasi cosa sia noi non c’entriamo niente.. Davvero.. Sono solo un
semplice impiegato.. Bill Phillis.. Un semplice impiegato.. La prego.”
“Davvero
non dubito delle sue parole signor Phillis, ma è tempo che Craven impari la sua
lezione. Non si sfugge dai Michaelson.”
Uno
sparo. Un solo unico sparo. Suo padre era caduto in un tonfo sordo, il rumore
del suo corpo coperto dalle urla di sua madre.
Davanti
a quella scena si era coperta la bocca con le mani, tanto stretta che non
potesse uscirne neanche un suono, nemmeno un respiro. Scostandosi dalla porta
aveva cercato appoggio al muro, totalmente paralizzata dal terrore e dal
disgusto.
“Bill!
No Bill!” La voce stridula di sua madre come unico sottofondo.
Un
secondo sparo. Secco. Poi il silenzio.
Di
nuovo aveva impedito a sé stessa di urlare, mossa esclusivamente dall’istinto
di sopravvivenza. Così era finita dentro la toilette, la porta chiusa a chiave
senza via di fuga, arrampicata sul water immacolato, le ginocchia strette al
petto ed il viso inondato dalle lacrime. Silenziose lacrime di paura. Ora
sarebbe stato il suo turno.
La
porta si era aperta lentamente, i passi dello sconosciuto pesanti sul parquet.
Il tizio si era guardato intorno, quel bagno non era stato usato di recente,
nemmeno una goccia d’acqua nel lavandino. Accovacciandosi lo stretto
indispensabile aveva esaminato la fessura sotto la porta della toilette. Nulla
anche lì.
“Il
bagno è pulito signore!”
“Bene.
Andiamocene allora.”
Dopo
l’ultimo stridio della porta era passata un’eternità. O forse solamente cinque
minuti. Il tempo si era fermato. Il mondo intero si era fermato.
Quindici
anni, nessun fratello o sorella. Parenti più prossimi all’altro capo degli
Stati Uniti. Cheerleader al secondo anno di liceo, presidentessa nonché stella
nascente della classe di recitazione. Testolina bionda e grandi ambizioni. L’orgoglio di mamma e papà.
Quindici
anni. Sola al mondo.
///////
NOVE
ANNI DOPO
Cara sorrise a sé stessa
trovando finalmente la stanza 127b. Era stato un lungo viaggio quello da New York,
ma ora la stanchezza sembrava sparita. Non vedeva Ty da quasi un anno, da
quando il suo ragazzo aveva deciso di proseguire gli studi di ingegneria a
Jhoannesburg. L’ambizione del resto era una delle tante cose che avevano in
comune. Dopo interi mesi di comunicazioni virtuali e sesso da webcam quella di
partire era stata un’esigenza naturale, l’idea di fargli una sorpresa una
piacevole aggiunta. Già dall’aeroporto pregustava la faccia di Ty non appena avesse
aperto la porta, impaziente per quello che sarebbe avvenuto subito dopo. Bussò
decisa passando un’ultima volta l’altra mano tra i capelli.
Al di là della soglia il
viso deluso ed assonnato di una ragazza dalla chioma scura. Le gambe ed i piedi
nudi che spuntavano da una t-shirt da uomo.
“Non sei la mia pizza.”
Cara sollevò un
sopracciglio. Di certo aveva sbagliato stanza.
“Scu.. Scusami… Devo aver
sbagliato piano, stavo cercando…”
Il nome le morì in bocca.
“…Ty.”
Eccolo lì, addosso solamente
i pantaloni scoloriti di una tuta e due grosse occhiaie da chiaro dopo sbronza.
Se non altro era riuscita ad ottenere la faccia stupita che tanto aveva
sognato.
“Cara. Non è come sembra.”
Lei aveva inclinato il viso
passando gli occhi dal suo fidanzato alla sconosciuta. Le labbra strette ed il
respiro prolungato per evitare di scoppiare in lacrime o peggio, uccidere uno
dei due.
“Lascia stare.” Riuscì
infine a dire, due sole parole, ruvide in gola come carta vetrata. Strinse la
presa intorno al trolley e girò i tacchi senza bisogno di altre spiegazione.
Doveva uscire da quel dormitorio il più presto possibile, solo una volta fuori
di lì si sarebbe concessa di sentirsi una perfetta idiota.
I passi di Ty la seguivano
incerti per i corridoi. Cavolo, doveva davvero essere stata una sbronza epocale
se nonostante anni di atletica non riusciva a starle dietro. Meglio così.
“Lasciami in pace!”
“Aspetta! Lascia che ti
spieghi!”
Aveva inchiodato i passi
davanti all’ultimo portone “Cosa vuoi spiegare Ty? Vuoi forse dirmi che non fai
sesso con quella lì?”
I suoi occhi fissi al
pavimento avevano risposto. “E’ successo, è semplicemente successo… Ma questo
non vuol dire niente, non ho mai pensato di lasciarti… Sarebbe rimasto tutto
qui.”
“Ma dici sul serio!?”
improvvisamente era salita la voglia di prenderlo a schiaffi.
“Ti prego Cara, lei non
significa nulla per me.. Mi sentivo solo e allora…”
Slap. Il suono secco del palmo della sua mano
sulla guancia di Ty aveva rapidamente messo fine a quella serie di fandonie.
Solo? Si sentiva solo?? E lei allora? Lei che come una stupida si era chiusa a
vita monacale? Che aveva speso un intero stipendio per quel viaggio? Che si
fidava ciecamente di lui?
Senza degnarlo di un
ulteriore sguardo venne fuori dall’edificio e trascinò la valigia fino alla
strada. Giustizia divina volle che dopo una simile umiliazione ci fosse almeno
un taxi libero ad aspettare. Si lasciò cadere sul sedile.
“All’aeroporto.”
Immediatamente rovistò nella
borsa alla ricerca del cellulare. Mai prima di quel momento era stata tanto
felice che una delle sue migliori amiche lavorasse per l’American Airlines.
“Ehy! Tutto bene? Sei
riuscita a trovare Ty?”
Ignorò il suono odioso di
quel nome e la voce trillante di Sonia
“Sto tornando all’aeroporto.
Devi trovarmi immediatamente un volo di ritorno per NY.”
“Come dici? Ma che è
successo?”
“Ti dico solamente che sono
stata io a ricevere la vera sorpresa. Trovami quel volo ti prego.”
“Ma stai bene?”
“Sì Sonia, sto bene. Ho solo
bisogno di tornare a casa.”
“Aspetta… Non credo che ci
siano voli per New York questa sera.”
“Non credi?”
“No. Dovrai aspettare
domani. Ti prenoto un posto sul volo delle dieci.”
“E’ davvero possibile che
non parta nulla fino a domani? Ti prego Sonia, non importa quanti lunghi scali
dovrò sopportare, non voglio restare in questo maledetto paese un minuto di
più!” Uno sguardo veloce al tassista
sperando di non aver offeso il suo spirito patriottico.
“C’è un solo volo stasera,
ma non puoi prenderlo.”
“Che vuol dire che non posso
prenderlo?”
“Credimi, è meglio aspettare
fino a domani.”
“Sonia.” Il tono a metà tra
l’ammonimento e la disperazione.
“Parte alle sei, ma non è un
normale volo di linea. Ci saranno delle persone a bordo, persone che sarebbe
meglio evitare.”
“La smetti con questi
misteri per favore?” Un’occhiata all’orologio. Cinque meno dieci. Perfetto.
“Prenotami un posto su questo famigerato volo e ti prego, fammi saltare la fila
al check in.”
Il sospiro di Sonia
all’altro capo era stato lungo ed incerto
“Sei davvero sicura di non poter aspettare?”
“Ho appena trovato il mio
ragazzo a letto con un’altra. No, non posso aspettare.”
Di nuovo un sospiro “Allora è meglio che forse ti spieghi
prima... Questo volo sarà usato per un trasporto speciale.”
“Trasporto speciale?”
“Esatto. In casi eccezionali
le forze dell’ordine utilizzano i normali voli di linea per trasferire
all’estero i detenuti estradati. E questo è uno di quei casi.”
“Vuol dire che il mio aereo
sarà pieno di poliziotti? Beh, nella remota ipotesi di un deragliamento aereo
suppongo che la cose potrebbe tornarmi utile.”
“Non è così semplice Cara…
Non dovrei nemmeno dirti certe cose…” L’ennesimo lungo sospiro “Si tratta di
una procedura complessa, utilizzata dalle autorità internazionali solo per il
trasferimento dei peggiori criminali… Non so se mi spiego, assassini,
attentatori, capi mafiosi…”
Cara sollevò le sopracciglia
cercando di trovare un senso logico a quel discorso da film d’azione. Sonia
tuttavia sembrava davvero preoccupata.
“Ho capito Sonia. Vedrò di
stare lontana dai poliziotti e dal tizio in tuta arancione.”
“E’ questo che mi preoccupa
Cara. Non vedrai alcun poliziotto tantomeno divise carcerarie. Saranno tutti
vestiti in abiti borghesi e mischiati agli altri passeggeri, compreso il
criminale in questione.”
“Uhm… Avrà almeno le manette
spero.”
“No...”
A quella risposta secca Cara
si tirò su sul sedile, dal finestrino riusciva già a scorgere le piste
dell’aeroporto. Tornarsene a casa era ciò che più desiderava, ma il tono
preoccupato di Sonia stava cominciando a farla agitare.
“…Lo scopo di questi
trasporti è passare totalmente inosservati, senza che la stampa o gli affiliati
si accorgano di nulla. Nessuno penserebbe mai di avere un assassino seriale
seduto al proprio fianco su un volo in economy class, giusto?”
“Quindi non c’è modo che io
possa riconoscerlo e stragli lontano?”
Sonia aveva
impercettibilmente abbassato la voce “Sei davvero certa di non poter aspettare
fino a domani?” L’immagine della ragazza mora con addosso la maglietta sudata
di Ty le si piantò davanti agli occhi “Ti prego Sonia, fammi tornare a casa. Ti
prometto che non mi succederà nulla.”
Il tono dell’amica ora
ancora più basso “Ok, ascoltami bene però…” Cara aveva stretto il cellulare
all’orecchio per riuscire a sentirla nell’improvviso caos della stazione aerea “…Non
dovrei dirtelo, ma da quello che so le autorità hanno un idea precisa
dell’outfit borghese. Jeans, maglietta chiara e scarpe da tennis… L’unico
particolare che rende il detenuto riconoscibile è un braccialetto d’acciaio al
polso sinistro.”
Cara sollevò gli occhi
rendendosi conto solo in quel momento che il taxi si era fermato, mentre il
tassametro continuava a girare.
“Braccialetto ok, starò
lontana dai braccialetti. Sono già all’aeroporto, ci sentiamo tra qualche ora.”
Allungando tre banconote da cento rand al tassista raccattò i suoi pochi averi
e chiuse lo sportello, la comunicazione ancora aperta.
“Sta’ attenta Cara.”
“Grazie Sonia. Sei un’amica,
davvero.”
Spinto il tastino rosso si
tuffò nella folla vociante del Tampo Airport, accompagnata dal solo pensiero
fisso di un braccialetto d’acciaio.
///////
CENTRO DI POLIZIA DI
JOHANNESBURG
Il capitano buttò giù il
telefono con un gesto di nervosa esasperazione. Si passò le mani sulla faccia
dopo un’intera notte insonne. La porta dell’ufficio si aprì di colpo
“Salve capitano.”
“A te Vincent.”
L’altro agente sospirò con
un sorriso “Non riesco a credere che
l’abbiamo preso davvero. Non posso credere che il famoso Lupo sia sul serio ammanettato nella stanza accanto.”
Il capitano scosse la
testa “Credi a me, questo è un onore di
cui avrei volentieri fatto a meno.”
Vincent aggrottò la
fronte “Ci sono problemi capitano?”
L’altro mandò giù un sorso
di caffè nero ignorando per un attimo la mole di carte e documenti sparsi sulla
scrivania “Nessuno lo vuole. Tantomeno
io.” Vincent si avvicinò afferrando una cartella a caso “E’ nato a Londra
giusto? Contattiamo l’ambasciata inglese.”
“Ho appena concluso
un’interessante conversazione con Scotland Yard, non hanno la minima intenzione
di immischiarsi in questa faccenda.”
Vincent si grattò il
sopracciglio “E se lo processassimo qui?”
Il capitano lo guardò come
se gli avesse appena chiesto di ballare nudo di fronte al presidente Zuma “Sai bene di chi stiamo parlando… Non ho
nessuna intenzione di attirare su questo paese l’interesse dei Michaelson.”
“Eppure i giapponesi non si
sono fatti troppi problemi quando hanno chiuso in cella suo fratello Caspar.”
Il capitano scosse la testa
“Quando si ha a che fare con loro è solo questione di tempo. Dobbiamo liberarci
di lui il più presto possibile.”
“E’ ricercato in più di
dieci paesi, qualcuno dovrà pur prenderselo.”
In quel momento il telefono
squillò di nuovo, all’altro capo del filo Anthony Izzo, Capo Bureau dell’OCCB
di New York, ufficio per il controllo del crimine organizzato.
“Salve Capitano Lewis… A
quanto mi dicono ha qualcosa che potrebbe interessarmi.”
Il capitano di schiarì la
voce “Vi interessa?”
“Certo che ci interessa.
Quella famiglia muove i fili della criminalità americana da troppo tempo e mai
come ora abbiamo bisogno di un colpo di scena che riporti l’attenzione pubblica
sull’efficienza delle nostre autorità.”
“Già… Dimenticavo che siete
in campagna elettorale.”
“Quando credi di potercelo
consegnare?”
“Anche subito Izzo.”
“Bene, in tal caso mettetelo
sul volo EZY5255 delle sei. Solita procedura.”
“Solita procedura.”
La comunicazione si chiuse
senza ulteriori saluti, il capitano si lasciò sfuggire un sospiro liberatorio.
“Se lo prendono gli americani.
Preparalo per il volo.”
Vincent annuì uscendo
dall’ufficio ed entrando poco più tardi nella stanza vicina.
L’aria consumata che
stagnava tra quelle quattro mura gli riempì le narici, sapeva di sangue secco e
sudore. Lanciò un sacchetto di plastica verso l’angolo e squadrò con ritrovata
presunzione l’uomo ammanettato alla sedia. Joseph Michaelson. Il Lupo, l’imprendibile
Lupo, killer di precisione e membro di spicco della più potente famiglia
filo-mafiosa ancora in circolazione.
Il lupo sollevò la testa,
sfinito dai mille colpi ricevuti e dalla dose massiccia di calmanti iniettati
direttamente in vena. Il suo viso tuttavia non lo dava a vedere, un’espressione
fiera e sicura continuava a campeggiare tra i segni delle percosse. I suoi
occhi poi, i suoi occhi azzurro mare fissavano Vincent come se fosse una preda,
un povero piccolo agnellino smarrito. Da far alzare le pelle.
“Dobbiamo proprio darti una
ripulita…” Esordì Vincent raggiungendolo “…Te ne vai in America.”
Il lupo si raddrizzò sulla
sedia, sentir nominare gli Stati Uniti era dolce musica alle sue orecchie,
decisamente meglio delle carceri afgane o cinesi. Si schiarì la gola cercando
di ignorare che fosse asciutta come il deserto.
“La telefonata.” Disse con
voce roca, Vincent aggrottò le sopracciglia “Prego?” Lui sospirò “Ho diritto ad una telefonata.”
L’agente si morse il labbro controllando i nervi, per quanto odiasse quel
criminale, non poteva comunque negargli un suo pieno diritto legale.
“Bene.” Replicò stizzito
avvicinandosi ulteriormente a lui. Sapeva di correre un rischio incalcolabile,
ma non aveva nessun altro modo di compiere il suo dovere pur rispettando la
carta dei diritti. Doveva liberargli almeno una mano, consapevole del fatto che,
nelle giuste circostanze, la forza di cinque dita sarebbe bastata al killer per
spezzargli l’osso del collo in un momento. Fortunatamente aveva in circolo una
dose di benzodiazepine tale da stendere un cavallo.
Gli porse l’apparecchio
telefonico e si voltò. Maledetto diritto alla privacy.
Il lupo attese di essere
solo per comporre velocemente il numero impresso nella sua mente. Da usare solo
nelle emergenze. Da usare solo in caso di arresto. Da usare una sola ed unica
volta.
Dopo due squilli sentì il
respiro di suo fratello maggiore rispondere senza bisogno di parole, trenta
secondi appena per parlare prima che la telefonata fosse rintracciabile.
“Volo con l’aquila. Vedo la
libertà.”
La linea cadde
immediatamente ed il lupo lasciò cadere a terra anche il telefono,
approfittando di quel momento per distendere i muscoli del braccio. Incredibile
trovarsi in quella situazione, il più brutale dei Michaelson catturato durante
la più stupida delle operazioni, un semplice ritiro di crediti nella repubblica
sudafricana. Tutta colpa di Nathaniel. L’unica cosa che gli aveva raccomandato
quella sera era stata la puntualità. Null’altro, solo la puntualità. Eppure il
fratellino minore non si era smentito nella sua congenita incapacità di
prendere le cose sul serio. Dieci minuti di ritardo, ben dieci minuti di
ritardo! L’avrebbe pagata, questo è certo.
Fortunatamente comunque, in
aggiunta ad un fratello immaturo e sconsiderato, il destino gliene aveva
fornito un altro, Elia, intelligenza e senso dell’onore sopraffini, un
pianificatore perfetto. Il lupo sorrise a sé stesso, sapeva già bene come
sarebbe venuto fuori da quel fastidioso contrattempo. Rischioso, ma
necessario.
Vincent spalancò la porta
della stanza accompagnato da altre tre persone in divisa, raccolse la busta di
poco prima e ne tirò fuori degli abiti puliti. Un paio di jeans, una t-shirt
qualunque, un paio di anonime sneakers.
“Vediamo di fare una cosa
veloce. Prima ci liberiamo di questo bastardo meglio è.”