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Autore: BeautifulMessInside    21/01/2013    7 recensioni
"Non hai paura di morire?" - "Non ho molte ragioni per vivere."
Cara non sarebbe dovuta salire su quell'aereo, non sapendo che Joseph Michaelson, detto il Lupo, sarebbe stato sul suo stesso volo.
Joseph non avrebbe dovuto salvare la ragazza, non sapendo chi lei fosse. Ma Joseph non ha idea di chi sia Cara e lei non può sapere che lui davvero farà il grosso sbaglio di salvarla.
Assassini, famiglie potenti, attrazioni pericolose e segreti nascosti in una storia dove non tutto è come sembra.
Genere: Angst, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A/N:  volevo innanzitutto ringraziare tutti coloro che hanno letto “Deal With My Devil”. Amo scrivere, ma gli impegni quotidiani non mi permettono di dedicare tutto il tempo che vorrei a questa attività. Avevo in mente una storia diversa, di tutt’altro genere, ma mi sono presto resa conto che non sarei riuscita a seguirla come volevo. Ho deciso allora di riprendere questa storia che avevo iniziato da un po’, un progetto differente e forse un po’ più semplice da scrivere tra una cosa e l’altra. Di nuovo una storia di genere “azione” con l’intreccio di due protagonisti forti, nuovamente il mio amato mix di illegalità/amore/odio. Ringrazio tutti quelli che ci daranno uno sguardo e vi amerò se troverete anche il tempo di recensire. Qualsiasi forma di feed-back mi spingerà ad andare avanti.

Avvertimento: il rating è rosso ed ho scelto di marcare col genere “erotico” perché prevedo un certo tipo di interazione tra i miei personaggi, tuttavia non mi spingerò mai nel volgare o nel troppo esplicito.

TITANIUM

 

Quello era di certo il posto più lussuoso in cui avesse messo piede, il ristorante più elegante di tutta la città. Entrando nella piccola sala privata, illuminata dalle candele, non aveva potuto evitare di girarsi intorno con gli occhi spalancati, tovaglie di puro lino, tende suntuose, gli stucchi al soffitto. Sua madre si era accomodata con grazia, fingendo che quella fosse un’abitudine. Suo padre invece, all’altro lato del tavolo, era visibilmente agitato, ancora troppo spaventato dal luccichio delle posate d’argento per riuscire a sfogliare il menu.

“Il Signor Craven è stato davvero gentile a regalarci questa cena.”

Suo padre era scattato sulla sedia, asciugandosi la fronte col polsino della camicia

“Non lo so tesoro, continuo a pensare che ci sia stato un errore. Il mio capo non ha mai regalato premi agli impiegati.”

“Andiamo Bill, dopo vent’anni di servizio alla sua azienda credo che sia un premio del tutto meritato.”

Suo padre continuava a guardarsi intorno, ancora spaventato dall’idea di ordinare la cena.  Chiedere solo un’insalata sarebbe stato un peccato, ma d’altro canto scegliere ostriche e caviale poteva rivelarsi una mossa azzardata. Forse quello era una specie di test, forse il Signor Craven li stava osservando da lontano aspettando che lui commettesse un errore. Del resto il suo capo era conosciuto più per il brusco temperamento che per le sue gentilezze. Non lo aveva mai incontrato di persona in tutti quegli anni, mai avuto alcun segno o messaggio dai piani alti, eppure, due mattine prima, uno dei consiglieri era entrato nel suo piccolo anonimo ufficio e sorridendo gli aveva comunicato della prenotazione alla Salle de Paris. Un premio meritato per un impiegato così efficiente e leale.

“Cosa ordiniamo?” Sua madre era senza dubbio la più entusiasta dei tre.

Bill aveva sfogliato il menu con attenzione, scorrendo i prezzi prima ancora di leggere a quale piatto corrispondessero. Alla fine avevano optato per due filetti ed un piatto di pasta. Da bere acqua, ovviamente. Il cameriere li aveva squadrati senza darlo troppo a vedere, probabilmente avevano scritto chiaro in faccia la loro provenienza. Quartiere residenziale.

“Vado a lavarmi le mani.”

Così si era alzata per raggiungere la toilette, il bagno più grande e splendente che avesse visto nei suoi quindici anni di vita. Tutto in quel posto era “più di quanto avesse mai”. Guardandosi nell’enorme specchio notò quanto quella stanza fosse immacolata, nemmeno l’alone di una goccia d’acqua sulla porcellana bianca. Meglio mangiare con le mani sporche che rovinare quella perfezione. Scrollò le spalle e si avviò verso la porta, abbastanza lentamente da cogliere delle voci sconosciute provenienti dalla sala. Che suo padre avesse ragione? Forse li stavano avvertendo dell’errore. Aprì la porta lo stretto indispensabile per ascoltare e riuscire a cogliere uno spicchio della scena.

“Salve Signori.”

Due uomini in completo scuro se ne stavano dritti davanti al tavolo. Poteva vederli solo di spalle, ma di certo erano sconosciuti.

“Salve. C’è qualche problema?”

Ecco, adesso suo padre stava davvero sudando. Che vergogna essere cacciati da un posto così.

“A dire la verità credo proprio di sì.”

“Che succede?”

Uno dei due si era mosso, circondando il tavolo fino a raggiungere l’altro lato della stanza. Adesso riusciva a vederlo in viso, ma quei tratti così seri non le dicevano niente.

“Aspettavamo il Signor Craven stasera. Avevamo una questione importante da risolvere.”

Bill aveva sollevato le spalle, istintivamente intimorito da quelle facce sconosciute ed impassibili.

“Mi dispiace signori, ma non credo che il capo verrà. Ha regalato questa cena a me e alla mia famiglia quindi…”

“Quindi non verrà...” L’aveva interrotto l’altro arricciando le labbra come se dovesse pensarci su “...E’ davvero un peccato.”

Il tono gentile e liscio come il velluto, da dare i brividi.

“Mi dispiace.”

Il tizio di spalle aveva infilato le mani in tasca “Oh mi creda, dispiace anche a me dover rovinare la vostra cena.”

“Prego?”

Da quel momento tutto era successo in una manciata di secondi, il tizio di spalle aveva tirato fuori la pistola, mentre l’altro aveva messo le mani attorno al collo di sua madre. Bill si era alzato di scatto

“La prego, qualsiasi cosa sia noi non c’entriamo niente.. Davvero.. Sono solo un semplice impiegato.. Bill Phillis.. Un semplice impiegato.. La prego.”

“Davvero non dubito delle sue parole signor Phillis, ma è tempo che Craven impari la sua lezione. Non si sfugge dai Michaelson.”

Uno sparo. Un solo unico sparo. Suo padre era caduto in un tonfo sordo, il rumore del suo corpo coperto dalle urla di sua madre.

Davanti a quella scena si era coperta la bocca con le mani, tanto stretta che non potesse uscirne neanche un suono, nemmeno un respiro. Scostandosi dalla porta aveva cercato appoggio al muro, totalmente paralizzata dal terrore e dal disgusto.

“Bill! No Bill!” La voce stridula di sua madre come unico sottofondo.

Un secondo sparo. Secco. Poi il silenzio.

Di nuovo aveva impedito a sé stessa di urlare, mossa esclusivamente dall’istinto di sopravvivenza. Così era finita dentro la toilette, la porta chiusa a chiave senza via di fuga, arrampicata sul water immacolato, le ginocchia strette al petto ed il viso inondato dalle lacrime. Silenziose lacrime di paura. Ora sarebbe stato il suo turno.

La porta si era aperta lentamente, i passi dello sconosciuto pesanti sul parquet. Il tizio si era guardato intorno, quel bagno non era stato usato di recente, nemmeno una goccia d’acqua nel lavandino. Accovacciandosi lo stretto indispensabile aveva esaminato la fessura sotto la porta della toilette. Nulla anche lì.

“Il bagno è pulito signore!”

“Bene. Andiamocene allora.”

Dopo l’ultimo stridio della porta era passata un’eternità. O forse solamente cinque minuti. Il tempo si era fermato. Il mondo intero si era fermato.

Quindici anni, nessun fratello o sorella. Parenti più prossimi all’altro capo degli Stati Uniti. Cheerleader al secondo anno di liceo, presidentessa nonché stella nascente della classe di recitazione. Testolina bionda e grandi ambizioni.  L’orgoglio di mamma e papà.

Quindici anni. Sola al mondo.

 

///////

 

NOVE ANNI DOPO

 

Cara sorrise a sé stessa trovando finalmente la stanza 127b. Era stato un lungo viaggio quello da New York, ma ora la stanchezza sembrava sparita. Non vedeva Ty da quasi un anno, da quando il suo ragazzo aveva deciso di proseguire gli studi di ingegneria a Jhoannesburg. L’ambizione del resto era una delle tante cose che avevano in comune. Dopo interi mesi di comunicazioni virtuali e sesso da webcam quella di partire era stata un’esigenza naturale, l’idea di fargli una sorpresa una piacevole aggiunta. Già dall’aeroporto pregustava la faccia di Ty non appena avesse aperto la porta, impaziente per quello che sarebbe avvenuto subito dopo. Bussò decisa passando un’ultima volta l’altra mano tra i capelli.

Al di là della soglia il viso deluso ed assonnato di una ragazza dalla chioma scura. Le gambe ed i piedi nudi che spuntavano da una t-shirt da uomo.

“Non sei la mia pizza.”

Cara sollevò un sopracciglio. Di certo aveva sbagliato stanza.

“Scu.. Scusami… Devo aver sbagliato piano, stavo cercando…”

Il nome le morì in bocca. “…Ty.”

Eccolo lì, addosso solamente i pantaloni scoloriti di una tuta e due grosse occhiaie da chiaro dopo sbronza. Se non altro era riuscita ad ottenere la faccia stupita che tanto aveva sognato.

“Cara. Non è come sembra.”

Lei aveva inclinato il viso passando gli occhi dal suo fidanzato alla sconosciuta. Le labbra strette ed il respiro prolungato per evitare di scoppiare in lacrime o peggio, uccidere uno dei due.

“Lascia stare.” Riuscì infine a dire, due sole parole, ruvide in gola come carta vetrata. Strinse la presa intorno al trolley e girò i tacchi senza bisogno di altre spiegazione. Doveva uscire da quel dormitorio il più presto possibile, solo una volta fuori di lì si sarebbe concessa di sentirsi una perfetta idiota.

I passi di Ty la seguivano incerti per i corridoi. Cavolo, doveva davvero essere stata una sbronza epocale se nonostante anni di atletica non riusciva a starle dietro. Meglio così.

“Lasciami in pace!”

“Aspetta! Lascia che ti spieghi!”

Aveva inchiodato i passi davanti all’ultimo portone “Cosa vuoi spiegare Ty? Vuoi forse dirmi che non fai sesso con quella lì?”

I suoi occhi fissi al pavimento avevano risposto. “E’ successo, è semplicemente successo… Ma questo non vuol dire niente, non ho mai pensato di lasciarti… Sarebbe rimasto tutto qui.”

“Ma dici sul serio!?” improvvisamente era salita la voglia di prenderlo a schiaffi.

“Ti prego Cara, lei non significa nulla per me.. Mi sentivo solo e allora…”

Slap. Il suono secco del palmo della sua mano sulla guancia di Ty aveva rapidamente messo fine a quella serie di fandonie. Solo? Si sentiva solo?? E lei allora? Lei che come una stupida si era chiusa a vita monacale? Che aveva speso un intero stipendio per quel viaggio? Che si fidava ciecamente di lui?

Senza degnarlo di un ulteriore sguardo venne fuori dall’edificio e trascinò la valigia fino alla strada. Giustizia divina volle che dopo una simile umiliazione ci fosse almeno un taxi libero ad aspettare. Si lasciò cadere sul sedile.

“All’aeroporto.”

Immediatamente rovistò nella borsa alla ricerca del cellulare. Mai prima di quel momento era stata tanto felice che una delle sue migliori amiche lavorasse per l’American Airlines.

“Ehy! Tutto bene? Sei riuscita a trovare Ty?”

Ignorò il suono odioso di quel nome e la voce trillante di Sonia

“Sto tornando all’aeroporto. Devi trovarmi immediatamente un volo di ritorno per NY.”

“Come dici? Ma che è successo?”

“Ti dico solamente che sono stata io a ricevere la vera sorpresa. Trovami quel volo ti prego.”

“Ma stai bene?”

“Sì Sonia, sto bene. Ho solo bisogno di tornare a casa.”

“Aspetta… Non credo che ci siano voli per New York questa sera.”

“Non credi?”

“No. Dovrai aspettare domani. Ti prenoto un posto sul volo delle dieci.”

“E’ davvero possibile che non parta nulla fino a domani? Ti prego Sonia, non importa quanti lunghi scali dovrò sopportare, non voglio restare in questo maledetto paese un minuto di più!”  Uno sguardo veloce al tassista sperando di non aver offeso il suo spirito patriottico.

“C’è un solo volo stasera, ma non puoi prenderlo.”

“Che vuol dire che non posso prenderlo?”

“Credimi, è meglio aspettare fino a domani.”

“Sonia.” Il tono a metà tra l’ammonimento e la disperazione.

“Parte alle sei, ma non è un normale volo di linea. Ci saranno delle persone a bordo, persone che sarebbe meglio evitare.”

“La smetti con questi misteri per favore?” Un’occhiata all’orologio. Cinque meno dieci. Perfetto. “Prenotami un posto su questo famigerato volo e ti prego, fammi saltare la fila al check in.”

Il sospiro di Sonia all’altro capo era stato lungo ed incerto  “Sei davvero sicura di non poter aspettare?”

“Ho appena trovato il mio ragazzo a letto con un’altra. No, non posso aspettare.”

Di nuovo un sospiro  “Allora è meglio che forse ti spieghi prima... Questo volo sarà usato per un trasporto speciale.”

“Trasporto speciale?”

“Esatto. In casi eccezionali le forze dell’ordine utilizzano i normali voli di linea per trasferire all’estero i detenuti estradati. E questo è uno di quei casi.”

“Vuol dire che il mio aereo sarà pieno di poliziotti? Beh, nella remota ipotesi di un deragliamento aereo suppongo che la cose potrebbe tornarmi utile.”

“Non è così semplice Cara… Non dovrei nemmeno dirti certe cose…” L’ennesimo lungo sospiro “Si tratta di una procedura complessa, utilizzata dalle autorità internazionali solo per il trasferimento dei peggiori criminali… Non so se mi spiego, assassini, attentatori, capi mafiosi…”

Cara sollevò le sopracciglia cercando di trovare un senso logico a quel discorso da film d’azione. Sonia tuttavia sembrava davvero preoccupata.

“Ho capito Sonia. Vedrò di stare lontana dai poliziotti e dal tizio in tuta arancione.”

“E’ questo che mi preoccupa Cara. Non vedrai alcun poliziotto tantomeno divise carcerarie. Saranno tutti vestiti in abiti borghesi e mischiati agli altri passeggeri, compreso il criminale in questione.”

“Uhm… Avrà almeno le manette spero.”

“No...”

A quella risposta secca Cara si tirò su sul sedile, dal finestrino riusciva già a scorgere le piste dell’aeroporto. Tornarsene a casa era ciò che più desiderava, ma il tono preoccupato di Sonia stava cominciando a farla agitare.

“…Lo scopo di questi trasporti è passare totalmente inosservati, senza che la stampa o gli affiliati si accorgano di nulla. Nessuno penserebbe mai di avere un assassino seriale seduto al proprio fianco su un volo in economy class, giusto?”

“Quindi non c’è modo che io possa riconoscerlo e stragli lontano?”

Sonia aveva impercettibilmente abbassato la voce “Sei davvero certa di non poter aspettare fino a domani?” L’immagine della ragazza mora con addosso la maglietta sudata di Ty le si piantò davanti agli occhi “Ti prego Sonia, fammi tornare a casa. Ti prometto che non mi succederà nulla.”

Il tono dell’amica ora ancora più basso “Ok, ascoltami bene però…” Cara aveva stretto il cellulare all’orecchio per riuscire a sentirla nell’improvviso caos della stazione aerea “…Non dovrei dirtelo, ma da quello che so le autorità hanno un idea precisa dell’outfit borghese. Jeans, maglietta chiara e scarpe da tennis… L’unico particolare che rende il detenuto riconoscibile è un braccialetto d’acciaio al polso sinistro.”

Cara sollevò gli occhi rendendosi conto solo in quel momento che il taxi si era fermato, mentre il tassametro continuava a girare.

“Braccialetto ok, starò lontana dai braccialetti. Sono già all’aeroporto, ci sentiamo tra qualche ora.” Allungando tre banconote da cento rand al tassista raccattò i suoi pochi averi e chiuse lo sportello, la comunicazione ancora aperta.

“Sta’ attenta Cara.”

“Grazie Sonia. Sei un’amica, davvero.”

Spinto il tastino rosso si tuffò nella folla vociante del Tampo Airport, accompagnata dal solo pensiero fisso di un braccialetto d’acciaio.

 

///////

 

CENTRO DI POLIZIA DI JOHANNESBURG

 

Il capitano buttò giù il telefono con un gesto di nervosa esasperazione. Si passò le mani sulla faccia dopo un’intera notte insonne. La porta dell’ufficio si aprì di colpo

“Salve capitano.”

“A te Vincent.”

L’altro agente sospirò con un sorriso  “Non riesco a credere che l’abbiamo preso davvero. Non posso credere che il famoso Lupo sia sul serio ammanettato nella stanza accanto.”

Il capitano scosse la testa  “Credi a me, questo è un onore di cui avrei volentieri fatto a meno.”

Vincent aggrottò la fronte  “Ci sono problemi capitano?”

L’altro mandò giù un sorso di caffè nero ignorando per un attimo la mole di carte e documenti sparsi sulla scrivania  “Nessuno lo vuole. Tantomeno io.” Vincent si avvicinò afferrando una cartella a caso “E’ nato a Londra giusto? Contattiamo l’ambasciata inglese.”

“Ho appena concluso un’interessante conversazione con Scotland Yard, non hanno la minima intenzione di immischiarsi in questa faccenda.”

Vincent si grattò il sopracciglio “E se lo processassimo qui?”

Il capitano lo guardò come se gli avesse appena chiesto di ballare nudo di fronte al presidente Zuma  “Sai bene di chi stiamo parlando… Non ho nessuna intenzione di attirare su questo paese l’interesse dei Michaelson.”

“Eppure i giapponesi non si sono fatti troppi problemi quando hanno chiuso in cella suo fratello Caspar.”

Il capitano scosse la testa “Quando si ha a che fare con loro è solo questione di tempo. Dobbiamo liberarci di lui il più presto possibile.”

“E’ ricercato in più di dieci paesi, qualcuno dovrà pur prenderselo.”

In quel momento il telefono squillò di nuovo, all’altro capo del filo Anthony Izzo, Capo Bureau dell’OCCB di New York, ufficio per il controllo del crimine organizzato.

“Salve Capitano Lewis… A quanto mi dicono ha qualcosa che potrebbe interessarmi.”

Il capitano di schiarì la voce “Vi interessa?”

“Certo che ci interessa. Quella famiglia muove i fili della criminalità americana da troppo tempo e mai come ora abbiamo bisogno di un colpo di scena che riporti l’attenzione pubblica sull’efficienza delle nostre autorità.”

“Già… Dimenticavo che siete in campagna elettorale.”

“Quando credi di potercelo consegnare?”

“Anche subito Izzo.”

“Bene, in tal caso mettetelo sul volo EZY5255 delle sei. Solita procedura.”

“Solita procedura.”

La comunicazione si chiuse senza ulteriori saluti, il capitano si lasciò sfuggire un sospiro liberatorio.

“Se lo prendono gli americani. Preparalo per il volo.”

Vincent annuì uscendo dall’ufficio ed entrando poco più tardi nella stanza vicina.

L’aria consumata che stagnava tra quelle quattro mura gli riempì le narici, sapeva di sangue secco e sudore. Lanciò un sacchetto di plastica verso l’angolo e squadrò con ritrovata presunzione l’uomo ammanettato alla sedia. Joseph Michaelson. Il Lupo, l’imprendibile Lupo, killer di precisione e membro di spicco della più potente famiglia filo-mafiosa ancora in circolazione.

Il lupo sollevò la testa, sfinito dai mille colpi ricevuti e dalla dose massiccia di calmanti iniettati direttamente in vena. Il suo viso tuttavia non lo dava a vedere, un’espressione fiera e sicura continuava a campeggiare tra i segni delle percosse. I suoi occhi poi, i suoi occhi azzurro mare fissavano Vincent come se fosse una preda, un povero piccolo agnellino smarrito. Da far alzare le pelle.

“Dobbiamo proprio darti una ripulita…” Esordì Vincent raggiungendolo “…Te ne vai in America.”

Il lupo si raddrizzò sulla sedia, sentir nominare gli Stati Uniti era dolce musica alle sue orecchie, decisamente meglio delle carceri afgane o cinesi. Si schiarì la gola cercando di ignorare che fosse asciutta come il deserto.

“La telefonata.” Disse con voce roca, Vincent aggrottò le sopracciglia “Prego?”  Lui sospirò “Ho diritto ad una telefonata.” L’agente si morse il labbro controllando i nervi, per quanto odiasse quel criminale, non poteva comunque negargli un suo pieno diritto legale.

“Bene.” Replicò stizzito avvicinandosi ulteriormente a lui. Sapeva di correre un rischio incalcolabile, ma non aveva nessun altro modo di compiere il suo dovere pur rispettando la carta dei diritti. Doveva liberargli almeno una mano, consapevole del fatto che, nelle giuste circostanze, la forza di cinque dita sarebbe bastata al killer per spezzargli l’osso del collo in un momento. Fortunatamente aveva in circolo una dose di benzodiazepine tale da stendere un cavallo.

Gli porse l’apparecchio telefonico e si voltò. Maledetto diritto alla privacy.

Il lupo attese di essere solo per comporre velocemente il numero impresso nella sua mente. Da usare solo nelle emergenze. Da usare solo in caso di arresto. Da usare una sola ed unica volta.

Dopo due squilli sentì il respiro di suo fratello maggiore rispondere senza bisogno di parole, trenta secondi appena per parlare prima che la telefonata fosse rintracciabile.

“Volo con l’aquila. Vedo la libertà.”

La linea cadde immediatamente ed il lupo lasciò cadere a terra anche il telefono, approfittando di quel momento per distendere i muscoli del braccio. Incredibile trovarsi in quella situazione, il più brutale dei Michaelson catturato durante la più stupida delle operazioni, un semplice ritiro di crediti nella repubblica sudafricana. Tutta colpa di Nathaniel. L’unica cosa che gli aveva raccomandato quella sera era stata la puntualità. Null’altro, solo la puntualità. Eppure il fratellino minore non si era smentito nella sua congenita incapacità di prendere le cose sul serio. Dieci minuti di ritardo, ben dieci minuti di ritardo! L’avrebbe pagata, questo è certo.

Fortunatamente comunque, in aggiunta ad un fratello immaturo e sconsiderato, il destino gliene aveva fornito un altro, Elia, intelligenza e senso dell’onore sopraffini, un pianificatore perfetto. Il lupo sorrise a sé stesso, sapeva già bene come sarebbe venuto fuori da quel fastidioso contrattempo. Rischioso, ma necessario.      

Vincent spalancò la porta della stanza accompagnato da altre tre persone in divisa, raccolse la busta di poco prima e ne tirò fuori degli abiti puliti. Un paio di jeans, una t-shirt qualunque, un paio di anonime sneakers.

“Vediamo di fare una cosa veloce. Prima ci liberiamo di questo bastardo meglio è.” 

  
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