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Autore: FRC Coazze    22/01/2013    1 recensioni
Quando la professoressa McGranitt torna dal San Mungo, l’ultima cosa che si aspetta è che una certa persona si preoccupi per lei. E magari, potrebbe cogliere l'occasione per strappare un sorriso al suo giovane collega.
Storia scritta per il Gioco Creativo n.13 "Un anno di sorrisi per Severus" del forum “Il Calderone di Severus”.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Minerva McGranitt, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Storia scritta per il "Gioco creativo n.13, Un anno di sorrisi per Severus" del forum "Il Calderone di Severus".
La lunga citazione iniziale è tratta da "Harry Potter e l'Ordine della Fenice", Capitolo 38.


Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me, ma a JK Rowling e a chi ne detiene i diritti. La trama di questa storia è invece di mia proprietà e pertanto occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

Buona lettura!

 



 

 E il serpente sorrise

 
 
 
 
 

«Potter!»

La voce rimbombò nell'Ingresso. Piton era emerso dalla scala che portava nel suo ufficio, e vedendolo Harry provò un odio più intenso di quanto ne avesse mai provato per Malfoy... Qualunque cosa potesse dire Silente, non lo avrebbe mai perdonato... mai...

«Che cosa fai, Potter?» chiese Piton, gelido come sempre, avanzando a grandi passi verso i quattro.

«Sto tentando di decidere quale maledizione usare contro Malfoy, signore» rispose impassibile Harry.

Piton lo fissò.

«Metti via subito quella bacchetta» ordinò brusco. «Dieci punti in meno per Grifon...» Lanciò un'occhiata alle grandi clessidre e sorrise sprezzante.

«Ah. Vedo che a Grifondoro non sono rimasti punti da togliere. In tal caso, Potter, dovremo...»

«Aggiungerne qualcuno?» La professoressa McGranitt aveva appena finito di salire a fatica la scalinata che portava nel castello: in una mano stringeva una borsa di stoffa scozzese e nell'altra un bastone al quale si appoggiava pesantemente, ma per il resto sembrava in gran forma.

«Professoressa McGranitt!» esclamò Piton, affrettandosi ad andarle incontro. «L'hanno dimessa dal San Mungo, vedo!»

«Sì, professor Piton» annuì lei, facendosi scivolare dalle spalle il mantello da viaggio. «In pratica sono come nuova. Voi due: Tiger... Goyle...» In risposta a un suo gesto imperioso, entrambi strisciarono in avanti con aria imbarazzata.

«Tenete» la professoressa McGranitt consegnò la borsa a Tiger e il mantello a Goyle, «portate queste cose nel mio ufficio».  I due fecero dietrofront e salirono a passi grevi la scala di marmo.

«Bene bene» disse la professoressa McGranitt, alzando lo sguardo verso le clessidre. «Penso che Potter e i suoi amici dovrebbero ricevere cinquanta punti ciascuno per aver avvertito il mondo del ritorno di Voi-Sapete-Chi! Che cosa ne dice, professor Piton?»

«Come?» sbottò Piton, anche se Harry sapeva che aveva sentito benissimo. «Oh... be'... suppongo...»

«Perciò fanno cinquanta punti l'uno per Potter, i due Weasley, Paciock e la signorina Granger» contò la professoressa McGranitt; mentre parlava, una pioggia di rubini cadde sul fondo della clessidra di Grifondoro. «E cinquanta anche per la signorina Lovegood, direi» aggiunse, e un certo numero di zaffiri cadde nella clessidra di Corvonero. «Ora, se non sbaglio lei voleva toglierne dieci al signor Potter, vero, professor Piton...? Perciò...» Alcuni rubini risalirono nel bulbo di sopra, lasciando comunque decisamente pieno quello di sotto.

«Bene... Potter, Malfoy... con una giornata così bella dovreste essere fuori» proseguì vivacemente la Professoressa McGranitt.

Senza farselo ripetere, Harry infilò la bacchetta in tasca e puntò verso il portone senza degnare di un'altra occhiata Piton e Malfoy.

Draco, dal canto suo, gettò una svelta occhiata al suo professore, quindi schizzò via come una lepre, lasciando i due insegnanti a guardarsi in cagnesco nell’ingresso pressoché vuoto, se non fosse stato per alcuni studenti di Tassorosso la cui curiosità aveva preso il sopravvento ed avevano indugiato un istante prima di riprendere a passo svelto il loro cammino.

Piton continuò a guardare la sua collega a lungo, le braccia incrociate sul petto, e gli sparuti studenti, che si trovavano a passare vicino a lui in quel momento, affrettavano con discrezione il passo.

«Via, non mi guardi in quel modo, Professore», disse ad un certo punto Minerva, alzando appena gli occhi verso di lui, mentre questa si aggiustava i capelli che erano sfuggiti alla severa crocchia, con fare noncurante.

Piton non fece alcun cenno. Sembrava essere rimasto pietrificato al centro del grande ingresso di pietra. Buffo. Il vecchio serpente aveva improvvisamente perso la sua lingua biforcuta? La McGranitt sollevò appena un sopracciglio, con fare interrogativo. Non era da Severus starsene lì impalato a guardarla - seppur con occhi omicidi - senza dire nulla, i suoi stessi occhi neri conservavano uno strano scintillio. Era piccolo e timido, e sembrava quasi esitante, confuso. Per quanto il viso del suo collega tentasse di dare un cipiglio insofferente al suo sguardo, non riusciva a cancellare quello strano guizzo, che sembrava lottare per rivelarsi e al tempo stesso ritirarsi impaurito.

Il sopracciglio di Minerva tornò lentamente al suo posto accompagnando la lenta salita di un sorriso sulle labbra.

«Molto gentile da parte sua avermi dato modo di assegnare punti a quei ragazzi», gli disse sarcastica e questa volta ricevette dal collega lo sguardo fulminante che conosceva molto bene. Gli diede le spalle e si avviò verso le scale di marmo, decisa a ritirarsi nel suo ufficio e passare il resto della giornata in tranquillità, prima di ricominciare a lavorare a pieno regime.

Non vide Severus sollevare il sopracciglio nella sua miglior espressione beffarda, ma percepì perfettamente la mordace acredine nella sua voce mentre le rispondeva: «Non c’è di che, Professoressa».
 

*********

 
Colpi alla porta.

La Professoressa McGranitt allontanò un istante la tazza di tè fumante dalle sue labbra gettando un’occhiata gelida alla porta del suo ufficio. E ora chi era? Era appena tornata dal San Mungo, non da un viaggio di piacere. Qualche ora di pace era chiedere troppo? Grazie a Merlino, la scuola era agli sgoccioli, questo, però, a quanto pareva non impediva agli studenti o a chi per loro di disturbarla quando palesemente non era il momento.

«Avanti», si ritrovò a sospirare. Ben poco eccitata dallo scoprire chi fosse il visitatore. Al momento era molto più interessata a gustarsi il suo ben meritato tè nero e consultare il libro di Trasfigurazione Avanzata che teneva aperto sulla scrivania. Non alzò nemmeno gli occhi quando la porta si aprì ed il visitatore entrò nell’ufficio.

«Se sei uno studente: al momento non sono disponibile. Se sei un collega: idem», disse duramente, senza preoccuparsi di vedere chi effettivamente fosse appena entrato nell’ufficio.

«E questo è quello che si chiama buona creanza», disse una voce profonda sottolineata da una, non nascosta, nota di sarcasmo.

Minerva si stupì nell’udire quella voce. Di tutti quelli che si aspettava, l’effettivo visitatore che le stava ora davanti era l’ultima delle possibilità. Tanto più che non gli aveva di certo dato modo di voler avere di nuovo a che fare con lei in brevi tempi, visto quanto accaduto poco prima nell’ingresso.

«Severus», disse alzando finalmente gli occhi sul giovane professore. «Aspettavi di dare sfogo ai tuoi propositi omicidi quando non ci fossero testimoni?», lo canzonò.

Piton arricciò l’angolo della bocca e rispose: «Oh, è stato molto gentile da parte tua, poco fa. Ed io che ero davvero felice di poterti dare il bentornato», disse acido.

Minerva appoggiò la tazza di tè sul ripiano lucido della scrivania e lo guardò attentamente. Il comportamento di Severus, doveva ammetterlo, la stava confondendo. Aveva detto quello che aveva detto semplicemente per canzonarla, o era una verità mascherata dal sarcasmo? Cosa che non era affatto inusuale per Severus quando questi andava a toccare argomenti per lui rischiosi.

«Perdonami. Pensavo di farti un piacere: so quanto ti secca non poter togliere punti alla mia Casa», gli rispose Minerva con un sorriso.

Piton fece un lungo sospiro, ma non si mosse, rimase fermo presso la porta senza osare, o senza aver intenzione di fare un passo avanti verso la scrivania della professoressa.

Incrociò le braccia sul petto con un gesto elegante, facendo ondeggiare appena il lungo mantello nero sotto il movimento delle spalle. «Hai detto bene prima: ottimo pretesto per ricoprire di punti quelle teste di legno di Potter ed i suoi amichetti», sibilò.

«Pensi non li meritassero?», lo stuzzicò la McGranitt.

«Penso che minacciare con la bacchetta un compagno di scuola preveda la perdita di punti Casa», le rispose Piton, piccato.

La McGranitt si lasciò andare contro lo schienale intagliato con un gesto stanco, come se, improvvisamente, le sue forze l’avessero abbandonata. Un lungo sospirò scivolò dalle sue labbra, mentre lo sguardo stesso sembrò perdere un poco della sua lucentezza.

«Severus», disse in un mezzo sospiro, passandosi stancamente la mano sugli occhi «sono appena tornata dal San Mungo. Mi dispiace dirlo, ma non ho voglia di litigare con te per queste solite questioni, per cui, se è solo per questo che sei venuto, per favore, vattene», gli disse gentilmente. Ed ogni parola era vera. Sapeva di essersela andata a cercare poco prima, ma non se la sentiva proprio di sostenere una discussione con quel grosso pipistrello, per quanto brillanti le loro discussioni fossero.

Con sua grande sorpresa, però, Piton rimase immobile, lì accanto alla porta, come un’ombra silenziosa i cui occhi la osservavano attenti cogliendo ogni movimento del suo viso, quasi sondando nel profondo la sua stessa mente.

Minerva non sopportava quello sguardo, non amava essere fissata in quel modo: era una donna con la sua dignità e non una moribonda bisognosa di pietà.

«Perdonami. Non intendevo infastidirti», disse Severus schiarendosi la gola a disagio appena che ebbe concluso quella frase, quasi vergognandosi delle parole che avevano appena lasciato le sue labbra.

Minerva lo guardò stupita. Quello era veramente strano. Severus le aveva appena chiesto scusa? E da quando quel pipistrello misogino chiedeva scusa a qualcuno? A lei, soprattutto. Forse... forse cominciava a capire perché fosse venuto da lei. Forse cominciava a capire che cosa fosse quel guizzo straniero negli occhi del suo giovane collega.

Sorrise appena. «Tu mi infastidisci sempre, Severus», gli disse, punzecchiandolo. Piton non le rispose, fece soltanto una lieve smorfia dando ad intendere che aveva incassato il colpo. Minerva approfittò di quel momento di silenzio: «Severus,» gli disse, «ti conosco da quando avevi undici anni, non pensare di prenderti gioco di me tanto facilmente. Dimmelo francamente: perché sei venuto a distruggere il mio ben meritato momento di quiete?», chiese. Sapeva che quella domanda lo avrebbe messo decisamente a disagio, perché Minerva aveva capito era ormai sicura di sapere perché lui fosse lì, e la cosa, doveva ammetterlo, le faceva molto piacere. Ma quello era Severus Piton, bisognava cavargli di gola ogni parola con meticolosa perspicacia.

Severus distolse per un secondo lo sguardo da lei, segno che si aspettava quella domanda; in una qualche misura, l’aveva cercata, l’aveva voluta e allo stesso tempo l’aveva temuta, perché non sapeva come rispondervi. La questione dei punti era un pretesto. Effettivamente era stato un pretesto per entrambi... era sempre un pretesto per entrambi.

«Volevo accertarmi di avere di nuovo il mio passatempo preferito», ripose Piton pesando con attenzione ogni parola.

Minerva gli sorrise dolcemente. «Sono stati tempi duri per te, non poter scaricare lo stress sulla tua povera, vecchia ex insegnante?», gli chiese.

«Abbastanza», rispose Severus, «non c’era quasi più gusto a togliere punti a Grifondoro. Potter a parte», aggiunse con una smorfia.

La McGranitt corrugò la fronte, come se stesse valutando qualcosa di perfidamente oggettivo. «Sai, Severus, sono contenta di poter di nuovo litigare con te», gli disse.

Piton annuì rigidamente col capo.

«E sto bene. Grazie per esserti preoccupato per me», aggiunse la professoressa, con un sorrisetto. Sapeva che quelle parole erano come piccoli aghi che pungolavano il suo collega, e ne provava un diabolico appagamento, accanto ad una piacevole sensazione di gratificazione di fronte alla preoccupazione nascosta, ma sincera, di Severus.

Questi prese a lanciare svelte e sfuggevoli occhiate intorno a sé, cercando si sfuggire lo sguardo della McGranitt. Dire che si trovasse a disagio era dire poco. Perché si stava martirizzando in quel modo? Dritto nella tana della leonessa, lì a guardarsi attorno in soggezione come un cuccioletto spaesato. Era una Serpe. Doveva agire da Serpe. Mordere quella donna impudente come ben sapeva fare.

«Sono felice che tu sia tornata, Minerva», disse infine, puntando gli occhi neri in quelli della professoressa, infondendo in quello sguardo tutto il gelo e la dignità che sentiva di aver perso poco prima. Ottimo lavoro. Questo è quello che si dice “mordere quella donna impudente”. Complimenti, Severus.

Sul viso della professoressa, il sorriso si ampliò mentre le sopracciglia si alzavano sulla sua fronte facendo spazio allo stupore e alla soddisfazione.

«Lo sono anch’io, Severus», gli disse. «Non mi aspettavo queste premure da parte tua, mi ha fatto molto piacere» sorrise astuta, come una vecchia gatta.

Piton tacque, accennò di nuovo rigidamente col capo e fece per andarsene prima che la situazione precipitasse, ma la professoressa lo fermò prima che lui potesse abbassare la maniglia della porta.

«Lo sai, sono davvero orgogliosa di averti come collega, Severus», gli disse seriamente, «e, credimi, sono anche molto felice che tu sia venuto. Non sei soltanto un ottimo insegnante o un mago eccellente o un buon Capocasa: sai anche essere gentile quando vuoi e, ti dico la verità, essere l’oggetto di questa rara esternazione mi fa davvero molto piacere».

Severus si voltò verso di lei, incredulo. Si aspettava qualche tentativo della McGranitt di metterlo in imbarazzo, ma quello da dove veniva?

«Minerva, che pozioni ti hanno dato al San Mungo?» le chiese sarcastico, ma la professoressa sorrise e scosse il capo.

«Non giocare con me», disse assumendo un’espressione seria, «lo penso davvero. Sono realmente fiera di te».

Piton inarcò le sopracciglia, confuso. Non sapeva bene come comportarsi di fronte a quell’affermazione. Non aveva mai dovuto affrontare nulla del genere.

Nessuno gli aveva mai detto una cosa così. Era... strano. Avrebbe voluto scappare da quelle parole, ribattere acidamente come era solito fare, ma... ma non ci riusciva, perché quelle parole, chissà perché, avevano portato una strana bonaccia nel suo spirito teso.

E Severus sorrise. Le sue labbra si arricciarono, ma non in una delle sue solite smorfie, no: in un leggero e morbido sorriso.  Un sorriso timido e ben attento a non attirar su di sé l’attenzione scivolò sulle labbra sottili di Severus. Guizzò come uno spirito leggero sul suo volto, illuminandone per un istante quegli occhi neri e gelidi, sciogliendoli, come per magia. Un attimo soltanto, come il balzo di un piccolo pesce, poi, di nuovo la maschera di marmo prese il sopravvento, i suoi occhi tornarono forti come la ghisa.

Non fu tuttavia abbastanza svelto da sfuggire agli occhi felini della McGranitt che colsero quel lieve movimento con singolare appagamento. Sapeva che Severus non era avvezzo ai complimenti, sapeva che lo mettevano a disagio e chi era lei per non approfittarne?

«Ovviamente, questo quando ti comporti a modo e non come una manticora bisbetica», aggiunse la McGranitt sbirciando verso di lui attraverso le lenti quadre degli occhiali.

A quella, le sopracciglia di Severus si inarcarono verso il basso, oscurando quello sguardo già cupo e quelle stesse labbra che prima si erano incurvate in un sorriso tornarono a dar forma ad una smorfia infastidita.

«Buona giornata, Severus», lo congedò Minerva trattenendo un sorriso, e afferrò nuovamente la sua tazza di tè e riprese a sorseggiarlo lentamente, gli occhi di nuovo adagiati senza vero interesse sulle parole stampate del libro di fronte a lei.

Piton scosse il capo pesantemente. Si voltò di scatto e fece scattare la maniglia, tuttavia, prima di uscire dall’ufficio, si voltò un’ultima volta verso la professoressa. «In ogni caso, non pensare che la questione dei punti sia finita qui», le disse minaccioso. Quindi lasciò la stanza accompagnato dal fedele ondeggiare del suo mantello nero.



 

  
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