Titolo:
Amore di
farfalla AMORE
DI FARFALLA Quando
sei un bambino ‘normale’, con una madre e un
padre che vivono per te, fratelli o sorelle con cui giocare, compagni
di scuola
che conosci e una casa calda ed accogliente ad attenderti ogni sera,
è ‘normale’
anche essere egocentrici. I bambini lo sono. È biologico,
è naturale. Quando
io ero un bambino, non avevo una madre... e
mio padre non viveva per me, ma per il momentaneo piacere di una
vendetta, che
andava lavata col sangue e nel sangue si sarebbe consumata. Quando
io ero un bambino, avevo un fratello che era
madre e padre insieme, e che viveva per me, al posto loro. Non avevo
una casa a
cui tornare, ma avevo lui ad aspettarmi ogni sera. Quando
io ero un bambino non mi era permesso essere
egocentrico, ma lo ero comunque. Non potevo farne a meno. Lo ero forse
più
degli altri, perché non avevo nulla di anche solo
paragonabile a loro. Non
avevo amici, né cani, né giardini fioriti da
distruggere giocando a pallone con
mio fratello. Quando
io ero un bambino, invidiavo tutto e tutti
perché ero diverso e non volevo. Come potevo capire che
odiare il mondo intero
non mi avrebbe dato nulla di tutto ciò? Come potevo
accettare che non era
‘colpa’ di nessuno? Come potevo sopportare
l’idea che sarebbe stato sempre
cosi? Non
potevo. Gli
anni passavano e io diventavo più grande, ma non
meno egoista, perché tutto ciò che non avevo, mi
sembrava mancarmi di più, ogni
giorno che passavo chiuso in qualche motel insieme a mio fratello. Gli
anni passavano ancora, io ero un ragazzo, mi
sentivo sempre più legato a lui e sentivo lui legarsi a me,
in una maniera che era
enorme e soffocante allora, così come lo è
adesso. Una dipendenza pericolosa e
sbagliata, che mi faceva sentire piccolo ed insignificante, schiacciato
dal
peso di tutto ciò che un rapporto del genere comportava. Quando
ero ragazzo, non avevo che lui… e mi
terrorizzava. O forse non mi bastava. Mi sentivo un mostro anche solo a
pensarlo, rendendomi conto di quanto io invece bastassi a lui. Volevo
una madre. Avevo
un fratello… che mi amava di un amore
altrettanto grande. E
non lo volevo, perché era un qualcosa di
totalmente anormale e riuscivo a capirlo persino io, anche se ero solo
un
ragazzino. Eppure,
quando mi sbucciavo un ginocchio, era da lui
che mi precipitavo a farmi consolare, era lui a preoccuparsi per me e
mettermi
un cerotto. Quando
mi ammalavo, era lui a sorbirsi tutte le mie
lagne e concedermi tutti quei vizi che si permettono ai bimbi con la
febbre. Quando
scappavo, era lui a venire a cercarmi e,
quando tornavo a casa e nostro padre voleva punirmi, era sempre lui a
prendere le
mie difese. Allora
Dean diventava il centro del mio mondo,
esattamente come lo era una madre, e io mi aggrappavo a lui con la
disperazione
di un figlio, immaginandomi di essere tra le braccia della mia mamma,
che fosse
sua la voce che mi consolava e sua la mano che mi accarezzava. E
gli anni passavano ancora... mentre tutto ciò che
avevo era sempre Dean, insieme a tutto ciò che ci legava,
che diventava ogni
giorno più grande ed ingombrante. Ogni giorno più
adulto e sbagliato. Ogni
giorno più bello e spaventoso. Perché
il mio amore per lui era fragilità ed
egocentrismo, mentre il suo per me era assolutezza e totale dedizione. Quando
non avevo ancora diciotto anni, io e Dean eravamo
stati tutto l’uno per l’altro. Madre, padre,
fratello, amico... tutto. Lo volevo
vicino più di ogni
altra cosa al mondo e insieme annegavo in quel mare di amore,
desiderando di
fuggire e fingere di non aver mai provato per lui, quello che provavo.
Di non
aver mai fatto con lui, quel che avevamo fatto. Perché
era sempre meno ‘normale’, perché nulla
nella
mia vita lo era mai stato. Tranne
il mio egoismo. Ora
che sono un uomo, penso spesso ad una frase di
Oscar Wilde, letta per la prima volta da bambino, quando ancora non
potevo
comprenderne il significato. ‘È
meglio aver amato e perso che non aver amato affatto’ Mi venne in
mente la mamma, allora… perché era quel qualcosa
che non avevo mai avuto. E da
sempre quelle parole sono rimaste associate al suo ricordo; o meglio,
alla sua
assenza. Sarebbe
stato ‘meglio’ aver avuto una madre e poi
averla persa? Aver conosciuto il suo amore per poi sentirne la
mancanza? O era
stato più semplice, per me, non averla mai avuta,
così da non avere memoria, né
esperienza di cosa voglia dire averne una? Me
lo sono sempre chiesto e, di recente, ho avuto la
risposta che aspettavo. Quando
ho visto Dean, nel suo Paradiso, con indosso
quella buffa maglietta, seduto al tavolo con il ricordo di nostra
madre. Ho
visto gli occhi di lui, riflessi in quelli di Mary, mentre gli toglieva
le croste
dei toast, perché al suo piccolo non piacevano. Ho
ricordato lui fare per me la stessa cosa, mille e
mille volte… e ho capito che nessuno mi avrebbe mai amato
come Dean, che mi
toglieva le croste dei toast perché nostra madre
lo faceva a lui e non voleva che mi mancasse quel gesto.
Perché il piccolo Dean
si sentiva amato e coccolato, con accanto la sua mamma che pensava a
‘cancellare’
tutto quello che a lui non piaceva. Ho
visto il suo dolore, mischiato al dolce piacere
del ricordo, che è solo un qualcosa di temporaneo e...
‘finto’. E ho capito che
una sola volta, nella mia vita, avevo provato un dolore anche solo
paragonabile
al suo. Quando lui era morto. Ho
capito che forse il mio egoismo poteva anche
essere stato normale, fino ad oggi, magari in un certo senso
‘giusto...’ ma
mai, mai, per nessuna ragione al mondo, lo avrei lasciato di nuovo
solo. Perché
non c’è essere umano che possa sopportare una cosa
del genere, due volte. Ho
capito che il mio bisogno di lui e il suo di me, potevano
anche essere sbagliati, ma erano reali come poche altre cose nella
nostra vita. Così...
stamattina ho comprato un bel po’ di toast e
del burro di arachidi. Toglierò tutte le croste,
perché forse a Dean farà
piacere sapere che anche io posso occuparmi di lui, ora. Non
voglio svegliarlo subito, non mi lascerebbe
finire e mi prenderebbe per un imbecille. Lo
sveglierò quando sarà tutto pronto. Gli
darò un
bacio sulla fronte e gli porterò la colazione a letto,
sussurrando un ‘Buon
giorno, tesoro’... non
esattamente come farebbe
una madre. Finirà che mi beccherò
dell’imbecille sul serio, ma non mi importa. So
che ne sarà felice e più brontolerà,
più saprò che avrò fatto
‘centro’. Sarebbe
stato perfetto e anche terribilmente
divertente, ma Dean finisce sempre per mandare all'aria i miei piani e
sono
ancora a metà dei toast, quando sento le sue labbra premermi
sul collo e
stirarsi in un buffo sorriso. “Buon
giorno, mammina...” Sghignazza
lui, dondolandosi dietro di me. E
le maledette croste dei toast gli finisco in
bocca, insieme ad una gomitata ben assestata, con tutto
l’amore che solo un
fratello è in grado di dare. Fuori
l’Apocalisse incombe. Angeli e Demoni, persino
cacciatori, muovono guerra contro di noi. Fuori la salvezza
dell’umanità grava
sulle nostre spalle, fuori c’è quel Destino al quale sembra non si
possa sfuggire. Fuori c’è tutto il
resto… e tutto il resto fa schifo, per dirla
come la direbbe mio fratello. Qui
dentro invece è solo uno dei soliti motel, nel
solito Stato, sulla solita strada, presa per andare a fare il culo al
solito
mostro. Qui dentro ridiamo forte, fingendo una scazzottata che
è solo una scusa
per stare così vicini, che è solo un modo
infantile e sciocco per illuderci
ancora un po’ di una normalità che non ci
è mai appartenuta. Dean
mi stringe in vita, quando lo bacio sulle
labbra. Gli piace quando prendo l’iniziativa. Mi accarezza i
capelli, mentre
risponde al mio bacio. E prende lui il controllo, perché
l’aver cominciato non
mi da vantaggi. Non mi fa quasi respirare, perché niente
finisce, finché non lo
decide lui. Non
parliamo… non parliamo mai quando stiamo insieme
in questo modo. Non lo abbiamo mai fatto, né prima,
né dopo... non vorrei
nemmeno lo facessimo. Così non gli diamo un nome.
Così è più semplice, così
possiamo sempre negare che sia mai successo, ancora e ancora.
Così è solo
qualcosa di nostro. ‘Quel
che succede nel motel, rimane nel motel.’ Io
e Dean scherziamo su questa frase da quando
abbiamo visto quel film. * Ma è una regola che rispettiamo
da tutta una vita. E
penso ad un'altra frase, letta tanto tempo fa,
nemmeno mi ricordo dove. ‘L’amore
è una farfalla: se la stringi troppo muore, troppo poco e
vola via.’ ** Se
il mio amore è davvero quella farfalla, Dean…
allora tu rischia! Rischia e stringimi forte. Fine *
Il film ovviamente è Il Miglio Verde (1999),
tratto dal romanzo di Stephen King. **
l’autore di questa frase mi risulta essere
anonimo. Nda:
ma davvero non ho idea da dove e come mi sia
uscita questa cosa… comunque ringrazio tutti per aver avuto
il cuore di leggerla.
XD E doveva pure essere tutta zucchero e fluff… ma da quando
shippo Thorki io angsto
anche le proteine coi carboidrati (che poverini, insieme non si devono
mangiare,
che tristezza! *è pazza*). Mi sento tanto mammona
ultimamente e non so perché,
ogni volta che guardo il mio bimbo, penso a Sam e a come deve essere
stata una
vita senza mamma. *è proprio pazza* Il punto è che
gli do un sacco di attenuanti
per questo, alla luce dell’attuale stagione X’D
Insomma, ultimamente i miei pov
sono sempre di Sam… penso sia perché mi manca. Mi
manca tanto il nostro Sam e
attendo il suo ritorno. Baci
a tutti.
Fandom: Supernatural
Beta: thinias (la martire ;D)
Contesto: quinta stagione
Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Pairing: Dean / Sam; Wincest (don't like, don't read
:D)
Rating: Giallo
Warnings: SLASH, Incesto, e chi più ne ha
più ne metta. Non leggete se
non è il vostro genere.
Disclaimer: Dean e Sam non mi appartengono e questa
è un'opera di
fantasia, non rispecchia i gusti sessuali dei personaggi, non ha scopo
di
lucro, vorrei poter cancellare i disclaimer,
perché non ci credo fino in
fondo, bla bla bla...
Note: Dedico la one shot alla moglia mia, museti, perché crede
ancora nel mio
wincest, anche quando dubito di crederci persino io. ^^ Grazie, cara.
(Supernatural
5x17 - 99 Problems)