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Autore: Vampiresroads    22/01/2013    1 recensioni
-Che tu lo voglia o no, qualsiasi cosa tu faccia per impedirlo, ci sono sempre giorni, mesi, anni negativi.
Per fortuna hanno deciso di darci anche dei momenti positivi, ed è quello il momento più giusto per vivere! Son quelli i momenti in cui puoi rischiare, perché sei felice, perché un errore non guasterebbe l’allegria, ma una mossa azzeccata la triplicherebbe.
E…indovina un po’? siamo esattamente in mezzo a questi momenti! È ora di lasciarti andare, l’hai fatto così tante volte!-
-Questa volta non sto parlando solo del gruppo, parlo in generale.
So che è buono rischiare, so che è buono provare ad affrontare cose nuove, è sempre positivo avere il coraggio di guardare in faccia qualsiasi cosa, ma un rapporto non è qualcosa che puoi “lasciare andare”.
Il rapporto è qualcosa che devi custodire, è qualcosa che non puoi mai mettere nel fuoco per vedere se brucia o no: perché se è davvero un rapporto a cui tieni non lo metteresti mai a rischio.-
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tour iniziò e finalmente il fatidico Ventisei Maggio arriverò anche per Alex.

Vienna era bellissima quel giorno: c’era un sole picchiante e abbastanza raro per quel posto lontano dal tempo, lontano dalle sue abitudini, era un gomitolo di luci e colori, dove il freddo sembrava essersi dimezzato dall’ultima volta che Alex camminò quel terreno.
Ma non solo il freddo come sensazione, il freddo come ambiente, come persone.
La piazza dove Alex aveva incontrato per la prima volta Myles, Piazza di Freyung ,era parecchio spaziosa, la gente non era tantissima e c’era parecchio spazio libero. I ragazzi portarono il minimo indispensabile e, senza avvertire nessuno, prepararono il piccolo spettacolo.
Partirono con Too Much, piuttosto sconosciuta, e catturarono la interessatissima attenzione di chi già li conosceva, ma poco più, per poi continuare con due classici: Weightless e Therapy, piccola pausa e autografi. La flotta di gente iniziava ad avviciniarsi: senza escludere le facce sorprese e i sussurri di “come mai tutto questo?”.
Era così bello tornare a fare le cose in piccolo, cantare per una piazza, cantare alla ricerca di Myles.
Continuarono con Somewhere in Neverland: la speranza di Alex era proprio quella di ritrovarlo in mezzo alla folla,
dov’era?
Più cantava più scrutava la folla per intravedere il viso speranzoso di quel ragazzo così confortante, trasmettendo la sua curiosità al pubblico, che a sua volta si voltava cercando di capire a cosa alludesse il ragazzo.
Nulla, sia tra gli spettatori che nella mente di Alex: Myles era un viaggiatore, come ha potuto pensare anche per un minimo secondo che sarebbe venuto? Che si sarebbe trovato lì, in quel momento?
E’ vero, la notizia era sparsa per tutta la città, ma che senso aveva? Ovviamente non era a Vienna, poco ma sicuro.    
Oh, quella chitarra sarebbe stata così bella in mano sua, non vedeva altri a cui poterla affidare, se non lui.
Jack se n’era andato, il ragazzino di cui Alex ostinava a dimenticarsi il nome era bravo, ma Myles era ciò di cui aveva bisogno il gruppo.
Finirono il piccolo concerto, adolescenti ovunque a cercare autografi e a complimentarsi, i ragazzi erano abbastanza felici, era bello far qualcosa per aiutare Alex, ma la sua espressione palesemente delusa  non li soddisfò affatto.
Si scambiarono una rapida occhiata, per poi caricare tutti gli strumenti e ripartire verso l’hotel.
“E’ andato bene, non credi?” Introdusse Rian, “come mai ne eri così fissato?”
“In confidenza, avevo bisogno di rivedere un amico.”
“Mi spiace non ti abbia trovato.”
“Anche a me dispiace, mi ha aiutato da morire, e credo di non essermi ancora sdebitato.”
“Sono sicuro che lo rivedrai.”
“Vedremo, sto perdendo la speranza.”
 Rian non è mai stato un tipo di molte parole, in quel momento la sua capacità esplicativa era sottozero.
“ehm, Alex, intanto ho una proposta da farti.”
“Se si tratta di partire prima non se ne parla, lo devo trovare, andrò a chiedere casa per…”
“Alex, non parlavo di questo, ne sarai felice.”
“Sentiamo…”
“Dopodomani un locale in centro ha perso il gruppo che si sarebbe dovuto esibire perché la cantante si è sentita male, ci hanno chiesto di sostituirli.
So che non è per niente da noi suonare in piccoli locali improvvisati, ma vedo che questo periodo non ti dispiace!”
Silenzio.
“Rian.”
“Alex?”
“E questa è una proposta?”
“A quanto pare…”
“Ma ovvio che si fa! È un’occasione perfetta! Voi pensate di farcela?”
“Ovvio che sì! Poi ci danno 200 dollari a persona!”
“Addirittura? Ottimo. È fissato allora.”
“Ne sono felice, spero tu possa ritrovare il tuo amico.”
“Lo spero anche io.”
Alex aiutava ad allestire lo spettacolo, mentre Rian e Zack organizzavano e decidevano quali canzoni suonare.
“A’, vieni un secondo, ci serve un consiglio!”
Alex mollò la tenda e corse, emozionato: “Rian, dimmi!”
“Credi sia meglio iniziare con Lost in Stereo o Stella?”
“Lost in Stereo, piace sempre come apertura.”
“Son d’accordo, grazie.”
Rian e Zack ripresero a ciancicare parole sottili e incomprensibili, ma Alex si accorse che la stanza era molto più vuota del solito.
“Ragazzi, ma… Il ragazzo… Vabbè, il tizio che suona la chitarra al posto di Jack, dov’è?”
“Questo fa parte della sorpresa.” Rispose Zack sorridendo, e facendo un cenno con la testa, indicando la porta, che stava per spalancarsi.
Un tonfo fece girare di scatto Alex, un sorrisone nascosto dalla folta barba sopra ad un giovane viso si accingeva ad abbracciarlo.
Il tremolio e scricchiolio di ossa si confondeva con l’accellerato battito del cuore di Alex: Myles sorrideva sull’uscio della porta.
Alex balbettò più volte il suo nome, scomponendolo e mischiandolo nelle variabili più assurde: “Eccolo il ragazzo che sostituisce Jack.” Sorrise Rian, indicando che tra pochissimo avrebbero dovuto iniziare.
Finalmente Alex spiccicò qualcosa simile a: “Come hai fatto?”
Seguì un lungo e caldo abbraccio: “Alex..” sorrise ancora, “Ho organizzato io, ho sentito i tuoi amici, nulla è caso.”
“Seriamente?”
“Ti sembra uno scherzo?” La risata calma alleggerì l’atmosfera.
“Mio dio. Dopo lo spettacolo, vi chiedo solo una frittata da cinquanta uova, però!”
 
Salirono sul palco.
Alex sorrideva,
Alex cantava, ma non cantava parole. Cantava i suoi giorni, cantava la sua vita, cantava il suo sangue, la sua pelle, le sue ossa, i suoi sorrisi, i suoi mesi, i suoi anni, i suoi ricordi, cantava la sua felicità, cantava il palco, cantava l’aria, cantava l’innovazione, cantava il progresso,
cantava.
Cantava Remembering Sunday, tenne stretti gli occhi finché le lacrime non lo affogarono del tutto.

“I guess I’ll go home now, I guess I’ll go home now, I guess I’ll go home.”
All’ultimo ‘home’ spalancò gli occhi.
Intravide un ragazzo pallido ed alto, dal sorriso consumato e dal cappello originale farsi spazio fra la folla, Non era difficile notarlo, vista l’altezza.
Le lacrime di quel povero sventurato Alex si ritirarono e risprofondarono nell’oceano ch’era dentro l’anima del ragazzo, lì lo riconobbe: un Jack commosso recitava quell’ultima frase come fosse la sua ultima preghiera.
Alex smise di cantare, pietrificandosi nei suoi pensieri, e trasmettendone la potenza al pubblico, agli amici, a Myles.

 
Jack c’era.
Jack ci sarebbe sempre stato, forse non come un tempo, forse non guardava più il mondo con Alex, forse non era al suo fianco a stringergli la mano, ma c’era.
Lo guardava, lo seguiva, lo ricordava. Jack riusciva a vedere il mondo di Alex, e Alex il mondo di Jack: due universi scivolosi, differenti, particolari, ma tremendamente vicini, spaventosamente dipendenti.


Alex riprese a cantare, come sottofondo la rassicurante voce di Jack, fino alla fine dello spettacolo.








 
 
“Ommerda!”
“Alex… Cos’hai?”
“…Cosa ci fa qui questa?”
“Ehm, cinquanta uova di frittata, no?”
“Vi odio.”
  
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