Gamer
number three.
Decisi di seguire il mio istinto
e, dopo essermi asciugata le lacrime che continuavano a solcare il mio viso,
andai in bagno con passo svelto e isterico per poi strappare la tendina da
doccia di un colore fucsia accecante. La portai vicino al cadavere ormai freddo
di Denise e la avvolsi con accuratezza, come fosse un neonato in fasce.
Ripensando con lucidità mi chiedo perché stessi trattando così delicatamente e
rispettosamente quel cadavere, nonostante Denise fosse stata per me un peso da
portare sulle spalle.
Continuai il mio lavoro
ricoprendo interamente la mia defunta conoscente e incominciando a trascinarla
verso la porta e in quel momento mi resi
davvero conto di quanto quella donna pesasse. Prima dell’accaduto non mi ero
mai posta il problema, d’altronde perché domandarselo?
Feci abbastanza fatica a
raggiungere la porta d’ingresso e qualche goccia di sudore mi scese dalla
fronte. Fortunatamente il corpo non era ancora diventato rigido, quindi potei
tranquillamente trascinarlo dai piedi, così facendo mi facilitai il lavoro di
spostamento. Arrivai alla porta e istintivamente portai la mano sulla maniglia.
Ero decisa in tutti i modi di sbarazzarmi di quel cadavere, dovevo portarlo nel
baule della mia macchina e poi scaricarlo da qualche parte. Non ero molto
lucida in quel momento, quindi non mi venne in mente una soluzione più
intelligente. Prima di aprire la porta buttai uno sguardo d’odio e ribrezzo a
Denise. Anche da morta riusciva a rovinarmi la vita. La odiai con tutto il mio
cuore per essere morta proprio in quell’istante a casa mia.
Stavo per fare forza sulla
maniglia quando qualcosa, o per meglio dire qualcuno, mi fermò.
- Signorina Gillian è in casa? –
Mi pietrificai. Non riconoscevo
quella voce, non l’avevo mai sentita prima d’ora. Chi poteva essere in un
momento simile? Non riuscii a dire nemmeno una sillaba. La bocca si aprì ma si
richiuse subito dopo, come fossi un pesce fuor d’acqua boccheggiante. Passarono
alcuni secondi, forse minuti, poi l’uomo parlò ancora e la sua voce roca e
baritonale tornò per svegliarmi da quella trance momentanea.
- Abbiamo ricevuto una chiamata anonima
per grida moleste. Sta bene, signorina? –
Oh shit.
Avevo un cadavere ai miei piedi
avvolto nella tendina da doccia e dei poliziotti sulla porta d’ingresso. La giornata
stava proprio procedendo benissimo.
- C-certo agente. Tutto bene. Ero
al telefono e devo avere alzato la voce… -
Dovevo spostare quel cadavere da
li senza fare il minimo rumore.
Trascinai ancora Denise per i
piedi facendo sbattere la testa sul gradino dell’ingresso, fortunatamente il
poliziotto non sentii nulla. Ero arrivata quasi al salotto quando l’uomo dietro
la porta parlò ancora.
- Potrebbe aprire la porta
signorina? Vorrei farle alcune domande. –
Alcune domande? Dopo quelle
ultime due parole il mio cuore incominciò a battere come se volesse uscire
dalla cassa toracica. Istintivamente portai la mano destra sul petto stringendo
il maglione che stavo indossando.
- Certo. Solo un attimo agente! –
Cercai di far risultare il mio
tono di voce il più calmo possibile ma sapevo di non essere stata molto
credibile. Continuai a trascinare il corpo esanime fino a raggiungere la porta
del bagno che spalancai aiutandomi con il piede, senza fare alcun rumore. Misi
all’interno della vasca Denise e feci un profondo respiro per calmarmi.
Frettolosamente raggiunsi di nuovo la porta d’ingresso aprendola con uno scatto
quasi isterico.
- Scusi il ritardo agente… mi dica pure. –
L’uomo che mi trovai davanti era
sulla quarantina, abbastanza alto e con un viso molto rassicurante.
Il mio cuore si calmò finché la
voce baritonale non echeggiò nuovamente nella mia testa.
- Si figuri. Volevo solo
controllare se stesse bene, ma a quanto pare non ha bisogno del mio aiuto.
Giusto? –
Mi guardò e mi sorrise
allegramente aspettandosi una risposta. Le nocche della mano, con la quale
stavo afferrando la maniglia della porta, diventarono bianche e i nervi
incominciarono ad affiorare sulla mia pelle.
- Oh, no. Come le ho detto molto
probabilmente ho alzato un po’ la voce parlando al telefono… sa, ho appena
litigato con una mia amica e credo di essermi adirata più del necessario. –
- Capisco. Non ho visto vicini
attorno a casa sua… sa chi potrebbe aver fatto la chiamata? –
L’uomo guardò curioso l’interno
di casa mia soffermandosi sul soggiorno visibile dalla sua posizione,
nonostante fosse lontano.
La mano incominciò a tremare,
stavo stringendo troppo la maniglia. Mi stavo facendo decisamente male ma
almeno stavo allentando la tensione che alimentava il mio corpo sommerso da
irregolari fremiti e nonostante questo il mio cervello elaborò una scusa
piuttosto credibile.
- Dietro casa mia c’è una ragazza
all’incirca della mia età… i muri sono confinanti quindi potrebbe essere stata
lei... –
Certo, non sa nemmeno come ti chiami malgrado tu viva qui da quasi
cinque anni ma… ok. Certamente.
Lo sguardo dell’agente si spostò
dal mio soggiorno a me. Solo in quel momento notai il colore nero pece dei suoi
occhi molto penetranti. Il mio cervello stava urlando, diceva di raccontargli
tutto e che l’avessi fatto ora forse la pena sarebbe stata meno severa…
- Certo, certo. Beh, se non ha
bisogno di me io andrei. Mi sono assicurato che lei stesse bene e d’altronde le
chiamate anonime non sono mai sicure. Scusi il disturbo signorina Gillian, spero
di non vederla tanto presto. –
L’uomo mi salutò sorridendo e una
risata si estese per le scale che percorse per uscire dalla mia abitazione.
Salutai a mia volta l’eccentrico poliziotto chiudendo la porta a chiave e
tirando un lungo sospiro di sollievo.
Mi ricordai quello che avevo pensato
poco prima: volevo davvero passare il resto della mia vita in carcere per un
omicidio che non avevo commesso? Avanti, alla fine non era stata colpa mia se
quell’idiota di Denise aveva deciso di morire poco dopo aver bevuto del tea.
Pensai allo zucchero e che poco prima di porgerlo a Denise vi notai qualcosa di
strano, volevo controllare ma avevo qualcosa di molto più urgente da sbrigare.
Avrei controllato quando (e se) fossi tornata a casa.
Mi avvicinai piano verso il bagno
come avessi paura di fare rumore e svegliare quel qualcuno o qualcosa all’interno della vasca da
bagno. Passai davanti allo specchio e guardai attentamente la figura riflessa
al suo interno. Quella persona, quell’orribile
persona, ero io. Il senso di colpa che mi attanagliava le viscere si stava
riflettendo anche sul mio aspetto fisico: la pelle era diventata pallida come
un lenzuolo, le occhiaie si erano fatte più evidenti e i capelli erano
completamente spettinati. Mi chiesi se fossi io a vedermi così oppure apparivo
in quel modo anche ad altre persone, ad esempio al poliziotto che mi aveva
appena fatto visita.
Scacciai quei pensieri con uno
scatto ben direzionato della testa, come se qualcosa si fosse incollato al mio
cervello e potessi cacciarlo solo dopo aver mosso istintivamente il viso da
destra a sinistra.
Presi nuovamente il cadavere fra
le mie mani, stavolta ero decisa: l’avrei portato in macchina e dopo averlo
messo nel baule avrei scortato il corpo all’interno di in un cantiere edile o
qualcosa di simile.
Indossai il giubbino pesante con
all’interno le chiavi dell’automobile, presi la mia borsa e dei guanti insieme
alla scarpe invernali per poi trascinare quei settanta chili, circa, fino in
fondo alle scale. Aprii la porta che dava alla stanza prima del garage, una
specie di cantina, con fare calmo. Impiegai maggior parte della mia forza per
riuscire a portare in quella stanza Denise perciò i sensi di colpa e la fretta
di buttare quel cadavere se ne andarono per la fatica.
Aprii il baule e tentai di
sollevare il corpo cercando di inserirlo in quello che sembrava lo spazio più
angusto, sporco e buio che io avessi mai visto prima d’ora, ma era decisamente
troppo pesante per una donna di cinquanta chili e alta un metro e
sessantacinque. Ancora una volta il
panico prese il sopravvento e incominciai ad affogare nei miei pensieri
negativi. Non potevo lasciare li un cadavere in bella vista nel mio garage,
senza contare il fatto del deterioramento. La stanza avrebbe incominciato a
puzzare di carne putrefatta e così ci sarebbe stato davvero qualcuno che
avrebbe pensato a chiamare la polizia per il tanfo. Avrei potuto cimentarmi nel
murare vivo un cadavere e la mia mente incominciò a vagare nei racconti del
saggio e visionario Edgard Allan Poe, ma anche quella era una pessima idea.
Decisamente pessima, che fare dunque? L’unica possibilità di fuga era sollevare
quel dannatissimo corpo senza vita all’interno del baule del mio New Beetle, ma come? Solo in
quell’istante notai come il bagagliaio fosse obiettivamente piccolo per
ospitare il corpo di una persona adulta ma scacciai via anche quel pensiero.
Avrei trovato un modo per farci stare quell’odiosa Denise. Pensai ad ogni modo
possibile per sbarazzarmi e per sollevare quei chili di grasso, mi sorpresi di
quanto quella donna fu ingrassata negli ultimi anni. Mi guardai attorno
sperando di notare qualcosa che si potesse rivelare utile ma l’unica cosa che
potei notare fu qualche metro di corda, un’asse di legno e dell’inutile nastro
isolante. Decisi di usufruirne immediatamente legando la corda intorno al collo
e ai piedi di Denise così da formare due specie di manici per poter spostare il
cadavere in modo più facile. Tentai di sollevarlo ma con scarso successo
(riuscii ad alzarlo solo di pochi centimetri) ed è proprio in quel momento che
mi venne un’idea. Presi una sedia di legno abbastanza rovinata e scheggiata,
penso di averla usata solo due volte da quando mi trasferii li o forse anche
meno. La sistemai accanto al bagagliaio della mia auto adagiando l’asse di
legno sul ciglio della seduta e salii sopra alla sedia malmessa, dopo di che
presi i due manici di corda e trascinai con tutta la mia forza Denise dalla
fine dell’asse alla sedia dov’ero io per poi metterla immediatamente nel baule
con un rapido scatto istintivo. Ci riuscii finalmente, non potevo crederci. Le
gambe mi cedettero e così mi sedetti un attimo sulla sedia appoggiandomi sullo
schienale e buttando la testa all’indietro fino a quando la nuca non picchiò
sulla spalliera della sedia.
La mia cassa toracica si espanse
a causa dei forti sospiri che producevo in continuazione. Riuscii a calmarmi un
pochino e riprendere la poca lucidità che mi aveva abbandonato anche se le mani
continuarono a tremare. Mi fermai a pensare cosa stavo facendo in quel momento
e perché. Il mio sguardo era fisso su quel cadavere che ormai credevo stesse
diventando rigido e freddo, ripensando alle mie azioni la sensazione di panico
mi assalì nuovamente facendo navigare la mia mente in un mondo irreale. E se
qualcuno mi avesse scoperto? Quanti anni di prigione mi sarebbero spettati?
Quindici? Venti? O magari l’ergastolo?
Il mio respiro si fece più
irregolare e ansimante come se avessi avuto un attacco d’asma e respirando a
fatica mi feci forza e riuscii a chiudere la portiera del bagagliaio con un po’
di fatica ma fortunatamente senza troppi intoppi. Salii immediatamente in
macchina e aprendo il garage con il telecomando automatico strinsi in maniera
decisa e compulsiva il volante dell’auto. Premetti con decisione il pedale
dell’accelerazione così da partire ed uscire da quella stanza scura e piena di
muffa.
Lasciai casa mia senza molti
problemi ma la testa mi stava esplodendo, troppe domande e dubbi continuavano a ronzarmi nella mente.
Fortunatamente non trovai nessun poliziotto per la strada. Non so dire quanti
minuti oppure ore guidai ma alla fine riuscii ad arrivare in un cantiere edile,
era sera quindi nessuno stava lavorando, ora il problema principale era
entrarci. Cercai di andare il più possibile vicino al cancello del cantiere con
l’auto, quando fui abbastanza vicino scesi e mi avvicinai per poi notare che il
cancello in questione era totalmente sprovvisto di lucchetto o di una chiusura
decente, quindi lo aprii e decisi di entrare con la macchina all’interno. Notai
che la strada non era asfaltata ma costituita da terra dismossa e in certi
tratti anche ghiaia e li la vidi, la mia ancora di salvezza: delle fondamenta
di una futura casa. Scesi dalla macchina incredula e sporgendomi sul ciglio
notai che la buca era molto larga ma cosa più importante, anzi, di vitale
importanza era che fosse molto profonda. All’incirca due o tre metri, era
piuttosto buio e non riuscii a calcolare esattamente la misura. Rivolsi lo
sguardo al cielo come a ringraziare una potenza divina di avermi concesso una
simile occasione e il cielo mi rispose facendomi dono della prima stella della
sera, riuscendomi a strappare un sorriso anche nella situazione in cui mi ero
ritrovata. A pensarci ora, mi stupisco di come le mie emozioni prendano il
sopravvento su di me facendomi sembrare ad un occhio estraneo così volubile.
la mia beatitudine non durò solo
che qualche secondo e la mia mente mi schiaffeggiò con l’immagine di Denise
morta e legata nel mio bagagliaio. Con altri sentimenti molto contrastanti da
quelli precedenti mi riavvicinai alla macchina per aprire il bagagliaio e
buttare il povero corpo senz’anima sulla terra dura e fredda che al suo
contatto sprigionò una nube leggera di sabbia. Trascinai ancora quel corpo fino
al ciglio delle fondamenta. Guardai di nuovo al loro interno e quel buio era
così opprimente e spaventoso che mi allontanai di qualche metro per la paura.
Non sono mai stata una persona di grande coraggio, ma non pensavo proprio di
reagire in quel modo di fronte ad una semplice buca scavata nel terreno. Con
due piccoli ma importanti calci il cadavere scivolò in quello spazio così
grande in maniera frettolosa come
volesse essere seppellito e trovare pace. Non sono credente, non lo sono mai
stata ma in realtà penso che ci sia qualcuno
che scrive il nostro futuro e che noi non possiamo fare nulla per cambiarlo. In
quel momento pensai che proprio quel qualcuno si stesse divertendo da morire a
vedermi in quello stato e con quel pensiero in testa uscii dal cantiere edile
dove avevo appena commesso il mio primo crimine: occultamento di cadavere per
non dimenticare l’accusa di omicidio colposo anche se io sapevo benissimo che
Denise non era morta per colpa mia, ma per l’altra accusa non avevo scuse.
Nel momento in cui Denise arrivò
in fondo a quell’enorme buca sentii un rumore, come se qualcuno si muovesse
dietro di me, mi paralizzai dal terrore. Qualcuno mi aveva visto. Passarono
secondi o addirittura minuti prima che il mio corpo decidesse di muoversi
automaticamente senza aspettare gli ordini del cervello. La mia mente era sgombra
nell’istante in cui decisi di voltarmi il più lentamente possibile. Quando
riuscii a girarmi del tutto fui sorpresa di non trovare nessuno di fronte a me,
ma sentii qualcosa strusciare sulle mie gambe. Quello che mi aveva spaventata
era un semplice gatto che ora aveva solo voglia di coccole. Mi avvicinai a lui
e quest’ultimo incominciò a fare delle fusa, come tutti i gatti.
- A te non interessa quello che
ho fatto, vuoi solo delle carezze piccolo opportunista. Non è così? –
Si, in quel momento l’unica cosa
che mi venne spontanea fu parlare con quella palla di pelo, era l’unico che non
mi avrebbe giudicata per aver buttato un cadavere in un luogo privato. Non
aveva un collare e si poteva notare benissimo che era un gatto selvatico.
Lasciando il felino alle mie spalle mi diressi verso la mia auto.
Arrivai a casa senza troppi
intoppi e non diedi nemmeno nell’occhio rientrando. Salii le scale con una
calma della quale mi stupii. I miei nervi si distesero nell’istante in cui quel
maledetto corpo rigido e freddo sparii dalla mia vista. Ecco, in quel momento
mi sentii veramente bene come mai negli ultimi anni. È alquanto orribile da
dire ma… si. Mi sentivo libera di un peso che mi avrebbe portato nella tomba se
non l’avessi eliminato del tutto. La chiave di casa mia girò per ben quattro
volte prima che la porta si aprì e dopo averla richiusa attentamente con
altrettanti giri incomincia a spogliarmi senza pensarci due volte e mi diressi
involontariamente verso il bagno accendendo l’acqua calda. La mia pelle
sussultò al contatto con l’acqua bollente. Mi voltai per afferrare con
decisione la tenda da doccia ma ovviamente non esisteva più, non almeno nel mio
bagno. Restai pietrificata con la mano aperta come se la tenda da doccia dovesse
comparire magicamente davanti a me. Nonostante l’acqua calda continuasse a sgorgare
e a bagnarmi un vento gelido e forte entrò nelle ossa facendomi cadere in
ginocchio e sotterrandomi dai sensi di colpa che fino a quel momento erano
spariti o dei quali mi ero semplicemente dimenticata. Come avevo potuto commettere una simile atrocità?
Perché non avevo chiamato la polizia? È possibile che io sia così vigliacca? Le mie mani raggiunsero i
capelli tirandoli istintivamente verso il pavimento interno della doccia, non
riuscivo nemmeno a provare dolore. Fortunatamente qualcosa mi impedì di
strapparmi l’intero cuoio capelluto, la suoneria del mio telefono. Era arrivato
un messaggio. Senza pensarci due volte uscii dalla doccia avvolgendomi con uno
semplice asciugamano e ancora gocciolante raggiunsi il cappotto il salotto,
vicino al divano e presi il cellulare: messaggio anonimo: lo aprii. Dopo averlo
letto dovetti andare in bagno. Non ricordo di avere vomitato tanto in tutta la
mia vita.
Salve, Alice Gillian, |
La tua prima partita è finita e sono lieto di comunicarti
che l’hai terminata con esito positivo.
I'm proud of you.
Da oggi sei il Gamer numero 3.
Il Mandante