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Autore: bbbgster    23/01/2013    0 recensioni
Ho trentun anni e pensavo di aver già visto tutto dalla vita o almeno quasi tutto, ma mi sbagliavo.
Eccome se mi sbagliavo.
Sono una donna normalissima e questa è la mia normalissima storia.
Genere: Azione, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gamer number three.

 

 

Decisi di seguire il mio istinto e, dopo essermi asciugata le lacrime che continuavano a solcare il mio viso, andai in bagno con passo svelto e isterico per poi strappare la tendina da doccia di un colore fucsia accecante. La portai vicino al cadavere ormai freddo di Denise e la avvolsi con accuratezza, come fosse un neonato in fasce. Ripensando con lucidità mi chiedo perché stessi trattando così delicatamente e rispettosamente quel cadavere, nonostante Denise fosse stata per me un peso da portare sulle spalle.

Continuai il mio lavoro ricoprendo interamente la mia defunta conoscente e incominciando a trascinarla verso la porta  e in quel momento mi resi davvero conto di quanto quella donna pesasse. Prima dell’accaduto non mi ero mai posta il problema, d’altronde perché domandarselo?

Feci abbastanza fatica a raggiungere la porta d’ingresso e qualche goccia di sudore mi scese dalla fronte. Fortunatamente il corpo non era ancora diventato rigido, quindi potei tranquillamente trascinarlo dai piedi, così facendo mi facilitai il lavoro di spostamento. Arrivai alla porta e istintivamente portai la mano sulla maniglia. Ero decisa in tutti i modi di sbarazzarmi di quel cadavere, dovevo portarlo nel baule della mia macchina e poi scaricarlo da qualche parte. Non ero molto lucida in quel momento, quindi non mi venne in mente una soluzione più intelligente. Prima di aprire la porta buttai uno sguardo d’odio e ribrezzo a Denise. Anche da morta riusciva a rovinarmi la vita. La odiai con tutto il mio cuore per essere morta proprio in quell’istante a casa mia.

Stavo per fare forza sulla maniglia quando qualcosa, o per meglio dire qualcuno, mi fermò.

- Signorina Gillian è in casa?  

Mi pietrificai. Non riconoscevo quella voce, non l’avevo mai sentita prima d’ora. Chi poteva essere in un momento simile? Non riuscii a dire nemmeno una sillaba. La bocca si aprì ma si richiuse subito dopo, come fossi un pesce fuor d’acqua boccheggiante. Passarono alcuni secondi, forse minuti, poi l’uomo parlò ancora e la sua voce roca e baritonale tornò per svegliarmi da quella trance momentanea.

- Abbiamo ricevuto una chiamata anonima per grida moleste. Sta bene, signorina? –

Oh shit.

Avevo un cadavere ai miei piedi avvolto nella tendina da doccia e dei poliziotti sulla porta d’ingresso. La giornata stava proprio procedendo benissimo.

- C-certo agente. Tutto bene. Ero al telefono e devo avere alzato la voce… -

Dovevo spostare quel cadavere da li senza fare il minimo rumore.

Trascinai ancora Denise per i piedi facendo sbattere la testa sul gradino dell’ingresso, fortunatamente il poliziotto non sentii nulla. Ero arrivata quasi al salotto quando l’uomo dietro la porta parlò ancora.

- Potrebbe aprire la porta signorina? Vorrei farle alcune domande. –

Alcune domande? Dopo quelle ultime due parole il mio cuore incominciò a battere come se volesse uscire dalla cassa toracica. Istintivamente portai la mano destra sul petto stringendo il maglione che stavo indossando.

- Certo. Solo un attimo agente! –

Cercai di far risultare il mio tono di voce il più calmo possibile ma sapevo di non essere stata molto credibile. Continuai a trascinare il corpo esanime fino a raggiungere la porta del bagno che spalancai aiutandomi con il piede, senza fare alcun rumore. Misi all’interno della vasca Denise e feci un profondo respiro per calmarmi. Frettolosamente raggiunsi di nuovo la porta d’ingresso aprendola con uno scatto quasi isterico.

 - Scusi il ritardo agente… mi dica pure. –

L’uomo che mi trovai davanti era sulla quarantina, abbastanza alto e con un viso molto rassicurante.

Il mio cuore si calmò finché la voce baritonale non echeggiò nuovamente nella mia testa.

- Si figuri. Volevo solo controllare se stesse bene, ma a quanto pare non ha bisogno del mio aiuto. Giusto? –

Mi guardò e mi sorrise allegramente aspettandosi una risposta. Le nocche della mano, con la quale stavo afferrando la maniglia della porta, diventarono bianche e i nervi incominciarono ad affiorare sulla mia pelle.

- Oh, no. Come le ho detto molto probabilmente ho alzato un po’ la voce parlando al telefono… sa, ho appena litigato con una mia amica e credo di essermi adirata più del necessario. –

- Capisco. Non ho visto vicini attorno a casa sua… sa chi potrebbe aver fatto la chiamata? –

L’uomo guardò curioso l’interno di casa mia soffermandosi sul soggiorno visibile dalla sua posizione, nonostante fosse lontano.

La mano incominciò a tremare, stavo stringendo troppo la maniglia. Mi stavo facendo decisamente male ma almeno stavo allentando la tensione che alimentava il mio corpo sommerso da irregolari fremiti e nonostante questo il mio cervello elaborò una scusa piuttosto credibile.

- Dietro casa mia c’è una ragazza all’incirca della mia età… i muri sono confinanti quindi potrebbe essere stata lei... –

Certo, non sa nemmeno come ti chiami malgrado tu viva qui da quasi cinque anni ma… ok. Certamente.

Lo sguardo dell’agente si spostò dal mio soggiorno a me. Solo in quel momento notai il colore nero pece dei suoi occhi molto penetranti. Il mio cervello stava urlando, diceva di raccontargli tutto e che l’avessi fatto ora forse la pena sarebbe stata meno severa…

- Certo, certo. Beh, se non ha bisogno di me io andrei. Mi sono assicurato che lei stesse bene e d’altronde le chiamate anonime non sono mai sicure. Scusi il disturbo signorina Gillian, spero di non vederla tanto presto. –

L’uomo mi salutò sorridendo e una risata si estese per le scale che percorse per uscire dalla mia abitazione. Salutai a mia volta l’eccentrico poliziotto chiudendo la porta a chiave e tirando un lungo sospiro di sollievo.

Mi ricordai quello che avevo pensato poco prima: volevo davvero passare il resto della mia vita in carcere per un omicidio che non avevo commesso? Avanti, alla fine non era stata colpa mia se quell’idiota di Denise aveva deciso di morire poco dopo aver bevuto del tea. Pensai allo zucchero e che poco prima di porgerlo a Denise vi notai qualcosa di strano, volevo controllare ma avevo qualcosa di molto più urgente da sbrigare. Avrei controllato quando (e se) fossi tornata a casa.

Mi avvicinai piano verso il bagno come avessi paura di fare rumore e svegliare quel qualcuno o qualcosa all’interno della vasca da bagno. Passai davanti allo specchio e guardai attentamente la figura riflessa al suo interno. Quella persona, quell’orribile persona, ero io. Il senso di colpa che mi attanagliava le viscere si stava riflettendo anche sul mio aspetto fisico: la pelle era diventata pallida come un lenzuolo, le occhiaie si erano fatte più evidenti e i capelli erano completamente spettinati. Mi chiesi se fossi io a vedermi così oppure apparivo in quel modo anche ad altre persone, ad esempio al poliziotto che mi aveva appena fatto visita.

Scacciai quei pensieri con uno scatto ben direzionato della testa, come se qualcosa si fosse incollato al mio cervello e potessi cacciarlo solo dopo aver mosso istintivamente il viso da destra a sinistra.

Presi nuovamente il cadavere fra le mie mani, stavolta ero decisa: l’avrei portato in macchina e dopo averlo messo nel baule avrei scortato il corpo all’interno di in un cantiere edile o qualcosa di simile.

Indossai il giubbino pesante con all’interno le chiavi dell’automobile, presi la mia borsa e dei guanti insieme alla scarpe invernali per poi trascinare quei settanta chili, circa, fino in fondo alle scale. Aprii la porta che dava alla stanza prima del garage, una specie di cantina, con fare calmo. Impiegai maggior parte della mia forza per riuscire a portare in quella stanza Denise perciò i sensi di colpa e la fretta di buttare quel cadavere se ne andarono per la fatica.

Aprii il baule e tentai di sollevare il corpo cercando di inserirlo in quello che sembrava lo spazio più angusto, sporco e buio che io avessi mai visto prima d’ora, ma era decisamente troppo pesante per una donna di cinquanta chili e alta un metro e sessantacinque.  Ancora una volta il panico prese il sopravvento e incominciai ad affogare nei miei pensieri negativi. Non potevo lasciare li un cadavere in bella vista nel mio garage, senza contare il fatto del deterioramento. La stanza avrebbe incominciato a puzzare di carne putrefatta e così ci sarebbe stato davvero qualcuno che avrebbe pensato a chiamare la polizia per il tanfo. Avrei potuto cimentarmi nel murare vivo un cadavere e la mia mente incominciò a vagare nei racconti del saggio e visionario Edgard Allan Poe, ma anche quella era una pessima idea. Decisamente pessima, che fare dunque? L’unica possibilità di fuga era sollevare quel dannatissimo corpo senza vita all’interno del baule del mio New Beetle, ma come? Solo in quell’istante notai come il bagagliaio fosse obiettivamente piccolo per ospitare il corpo di una persona adulta ma scacciai via anche quel pensiero. Avrei trovato un modo per farci stare quell’odiosa Denise. Pensai ad ogni modo possibile per sbarazzarmi e per sollevare quei chili di grasso, mi sorpresi di quanto quella donna fu ingrassata negli ultimi anni. Mi guardai attorno sperando di notare qualcosa che si potesse rivelare utile ma l’unica cosa che potei notare fu qualche metro di corda, un’asse di legno e dell’inutile nastro isolante. Decisi di usufruirne immediatamente legando la corda intorno al collo e ai piedi di Denise così da formare due specie di manici per poter spostare il cadavere in modo più facile. Tentai di sollevarlo ma con scarso successo (riuscii ad alzarlo solo di pochi centimetri) ed è proprio in quel momento che mi venne un’idea. Presi una sedia di legno abbastanza rovinata e scheggiata, penso di averla usata solo due volte da quando mi trasferii li o forse anche meno. La sistemai accanto al bagagliaio della mia auto adagiando l’asse di legno sul ciglio della seduta e salii sopra alla sedia malmessa, dopo di che presi i due manici di corda e trascinai con tutta la mia forza Denise dalla fine dell’asse alla sedia dov’ero io per poi metterla immediatamente nel baule con un rapido scatto istintivo. Ci riuscii finalmente, non potevo crederci. Le gambe mi cedettero e così mi sedetti un attimo sulla sedia appoggiandomi sullo schienale e buttando la testa all’indietro fino a quando la nuca non picchiò sulla spalliera della sedia.

La mia cassa toracica si espanse a causa dei forti sospiri che producevo in continuazione. Riuscii a calmarmi un pochino e riprendere la poca lucidità che mi aveva abbandonato anche se le mani continuarono a tremare. Mi fermai a pensare cosa stavo facendo in quel momento e perché. Il mio sguardo era fisso su quel cadavere che ormai credevo stesse diventando rigido e freddo, ripensando alle mie azioni la sensazione di panico mi assalì nuovamente facendo navigare la mia mente in un mondo irreale. E se qualcuno mi avesse scoperto? Quanti anni di prigione mi sarebbero spettati? Quindici? Venti? O magari l’ergastolo?

Il mio respiro si fece più irregolare e ansimante come se avessi avuto un attacco d’asma e respirando a fatica mi feci forza e riuscii a chiudere la portiera del bagagliaio con un po’ di fatica ma fortunatamente senza troppi intoppi. Salii immediatamente in macchina e aprendo il garage con il telecomando automatico strinsi in maniera decisa e compulsiva il volante dell’auto. Premetti con decisione il pedale dell’accelerazione così da partire ed uscire da quella stanza scura e piena di muffa.

Lasciai casa mia senza molti problemi ma la testa mi stava esplodendo, troppe domande e dubbi  continuavano a ronzarmi nella mente. Fortunatamente non trovai nessun poliziotto per la strada. Non so dire quanti minuti oppure ore guidai ma alla fine riuscii ad arrivare in un cantiere edile, era sera quindi nessuno stava lavorando, ora il problema principale era entrarci. Cercai di andare il più possibile vicino al cancello del cantiere con l’auto, quando fui abbastanza vicino scesi e mi avvicinai per poi notare che il cancello in questione era totalmente sprovvisto di lucchetto o di una chiusura decente, quindi lo aprii e decisi di entrare con la macchina all’interno. Notai che la strada non era asfaltata ma costituita da terra dismossa e in certi tratti anche ghiaia e li la vidi, la mia ancora di salvezza: delle fondamenta di una futura casa. Scesi dalla macchina incredula e sporgendomi sul ciglio notai che la buca era molto larga ma cosa più importante, anzi, di vitale importanza era che fosse molto profonda. All’incirca due o tre metri, era piuttosto buio e non riuscii a calcolare esattamente la misura. Rivolsi lo sguardo al cielo come a ringraziare una potenza divina di avermi concesso una simile occasione e il cielo mi rispose facendomi dono della prima stella della sera, riuscendomi a strappare un sorriso anche nella situazione in cui mi ero ritrovata. A pensarci ora, mi stupisco di come le mie emozioni prendano il sopravvento su di me facendomi sembrare ad un occhio estraneo così volubile.

la mia beatitudine non durò solo che qualche secondo e la mia mente mi schiaffeggiò con l’immagine di Denise morta e legata nel mio bagagliaio. Con altri sentimenti molto contrastanti da quelli precedenti mi riavvicinai alla macchina per aprire il bagagliaio e buttare il povero corpo senz’anima sulla terra dura e fredda che al suo contatto sprigionò una nube leggera di sabbia. Trascinai ancora quel corpo fino al ciglio delle fondamenta. Guardai di nuovo al loro interno e quel buio era così opprimente e spaventoso che mi allontanai di qualche metro per la paura. Non sono mai stata una persona di grande coraggio, ma non pensavo proprio di reagire in quel modo di fronte ad una semplice buca scavata nel terreno. Con due piccoli ma importanti calci il cadavere scivolò in quello spazio così grande  in maniera frettolosa come volesse essere seppellito e trovare pace. Non sono credente, non lo sono mai stata ma in realtà penso che ci sia qualcuno che scrive il nostro futuro e che noi non possiamo fare nulla per cambiarlo. In quel momento pensai che proprio quel qualcuno si stesse divertendo da morire a vedermi in quello stato e con quel pensiero in testa uscii dal cantiere edile dove avevo appena commesso il mio primo crimine: occultamento di cadavere per non dimenticare l’accusa di omicidio colposo anche se io sapevo benissimo che Denise non era morta per colpa mia, ma per l’altra accusa non avevo scuse.

Nel momento in cui Denise arrivò in fondo a quell’enorme buca sentii un rumore, come se qualcuno si muovesse dietro di me, mi paralizzai dal terrore. Qualcuno mi aveva visto. Passarono secondi o addirittura minuti prima che il mio corpo decidesse di muoversi automaticamente senza aspettare gli ordini del cervello. La mia mente era sgombra nell’istante in cui decisi di voltarmi il più lentamente possibile. Quando riuscii a girarmi del tutto fui sorpresa di non trovare nessuno di fronte a me, ma sentii qualcosa strusciare sulle mie gambe. Quello che mi aveva spaventata era un semplice gatto che ora aveva solo voglia di coccole. Mi avvicinai a lui e quest’ultimo incominciò a fare delle fusa, come tutti i gatti.

- A te non interessa quello che ho fatto, vuoi solo delle carezze piccolo opportunista. Non è così? –

Si, in quel momento l’unica cosa che mi venne spontanea fu parlare con quella palla di pelo, era l’unico che non mi avrebbe giudicata per aver buttato un cadavere in un luogo privato. Non aveva un collare e si poteva notare benissimo che era un gatto selvatico. Lasciando il felino alle mie spalle mi diressi verso la mia auto.

Arrivai a casa senza troppi intoppi e non diedi nemmeno nell’occhio rientrando. Salii le scale con una calma della quale mi stupii. I miei nervi si distesero nell’istante in cui quel maledetto corpo rigido e freddo sparii dalla mia vista. Ecco, in quel momento mi sentii veramente bene come mai negli ultimi anni. È alquanto orribile da dire ma… si. Mi sentivo libera di un peso che mi avrebbe portato nella tomba se non l’avessi eliminato del tutto. La chiave di casa mia girò per ben quattro volte prima che la porta si aprì e dopo averla richiusa attentamente con altrettanti giri incomincia a spogliarmi senza pensarci due volte e mi diressi involontariamente verso il bagno accendendo l’acqua calda. La mia pelle sussultò al contatto con l’acqua bollente. Mi voltai per afferrare con decisione la tenda da doccia ma ovviamente non esisteva più, non almeno nel mio bagno. Restai pietrificata con la mano aperta come se la tenda da doccia dovesse comparire magicamente davanti a me. Nonostante l’acqua calda continuasse a sgorgare e a bagnarmi un vento gelido e forte entrò nelle ossa facendomi cadere in ginocchio e sotterrandomi dai sensi di colpa che fino a quel momento erano spariti o dei quali mi ero semplicemente dimenticata.  Come avevo potuto commettere una simile atrocità? Perché non avevo chiamato la polizia? È possibile che io sia così vigliacca? Le mie mani raggiunsero i capelli tirandoli istintivamente verso il pavimento interno della doccia, non riuscivo nemmeno a provare dolore. Fortunatamente qualcosa mi impedì di strapparmi l’intero cuoio capelluto, la suoneria del mio telefono. Era arrivato un messaggio. Senza pensarci due volte uscii dalla doccia avvolgendomi con uno semplice asciugamano e ancora gocciolante raggiunsi il cappotto il salotto, vicino al divano e presi il cellulare: messaggio anonimo: lo aprii. Dopo averlo letto dovetti andare in bagno. Non ricordo di avere vomitato tanto in tutta la mia vita.

 

 

Salve, Alice Gillian,

La tua prima partita è finita e sono lieto di comunicarti

che l’hai terminata con esito positivo.

I'm proud of you.

Da oggi sei il Gamer numero 3.

 

 

Il Mandante

 

 

   
 
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