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Autore: Iria    23/01/2013    4 recensioni
"L'odio deve rendere produttivi. Altrimenti è più intelligente amare." -Pro domo et mundo, Karl Kraus.
Dieci one-shot, per mostrare un amore maturato nel tempo.
L'altra faccia della medaglia di "Ten little things that make me love (hate) you ♥".
[Kei x Yurij]
#1- Pride; #2- Coldness; #3- Silence; #4- Winter; #5- Darkness; #6- Christmas; #7- Sunrise; #8- Gloom; #9- Scars; #10- Promises.
Aspetto le vostre opinioni, spero che questo lavoro possa piacervi! ^^
Un bacio!
Iria.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Hiwatari, Yuri
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ten little things that make me hate (love) you

#10- Promises

Guardarsi intorno e comprendere d'essere solo fu meno traumatico di quanto si sarebbe aspettato.
Oh, non che il suo cuore di ghiaccio avesse preso il sopravvento sui sentimenti, sulle reazioni chimiche o quel che erano che lo legavano al compagno, ma Yurij si sentì stranamente tranquillo nel rimirare il soffitto della camera da letto in un giaciglio matrimoniale occupato per metà.
23 gennaio 2013.
Undici anni, quattro mesi e dodici giorni: la sua anima sarebbe dovuta andare a pezzi, avrebbe dovuto urlare e squarciare il silenzio con le imprecazioni che gli trabaccovano dal pugno pulsante sangue che aveva nel petto.
Però restava sdraiato.
Le mani in grembo e gli occhi azzurri socchiusi quasi fosse in ascolto, senza la pretesa di somigliare ad un cadavere.

Kei osservava la pioggia e quel giorno non c'era alcuna dolcezza nel ritmo con cui le gocce si infrangevano sull'asfalto e sui tetti delle case.
Rumorose e devastanti, sovrastavano persino il suono dei clacson degli automobilisti impazienti, creando quasi un'aura appena luminiscente tutt'attorno alle superfici colpite ed il rombo del cielo somigliava ad un grido senza fine.
Però quel caos apocalittico non soffocava l'eco delle soffuse parole di Yurij.
"Cosa siamo noi..?"
Hiwatari, tenendo un braccio sollevato a mezz'aria nell'atto di posare il piatto che il compagno gli aveva passato, era rimasto totalmente spiazzato a tale domanda.
Non riusciva ad afferrare le ragioni di quel dubbio e gli sembrava piuttosto stupido dover catalogare il suo rapporto con Yurij; però, in effetti, se gli avessero chiesto cosa il giovane rappresentasse, avrebbe trovato una certa difficoltà nel definirne l'importanza.
Era una base, un fondamento forse instabile, ma non ne avrebbe desiderati altri, perché stava bene.
Incredibile a dirsi e a sentirsi, ma le occasioni in cui abbandonarsi ad una solitudine di ghiaccio perenne s'erano consumate a favore, invece, di una più modesta voglia di restare in disparte solo in momenti particolari della propria vita -quando, ad esempio, la furia lo acceccava o l'amarezza lo inaspriva-, quindi cercò di elaborare con cautela una risposta soddisfacente che non riuscì a trovare.
"Io... non lo so."
Yurij si limitò a sospirare, con un mezzo sorriso tinto di disagio ad ornargli il viso.
"È passato molto tempo... dovremmo saperlo."
Poi, lo fissò per un altro lungo momento, infine mise via le ultime posate e si poggiò al lavabo, osservando le nuvole che si stavano accumulando in cielo attraverso le imposte spalancate del balcone.
Non si voltò a guardare ulteriormente Kei, ben sapendo che il giapponese fosse ancora immobile nel suo attonimento.
"Dovrei pensarci..."
Ivanov riuscì ad udire quella frase pronunciata a bassa voce anche al di sopra del fragore di un tuono lontano, ed il suo significato non lo lasciò interdetto, né deluso o amareggiato: semplicemente, Yurij annuì comprensivo, quasi condividendo tale pensiero che non gli apparteneva, ma che reputeva fondamentale per Kei.
Non per loro due.
Ma solo per quel groviglio di sensazioni sconosciute e fin troppo intricate che stipavano la mente dell'uomo che l'aveva affiancato.
"Già, forse potresti."
Si sollevò con fare sfinito e stavolta posò sulle labbra di Hiwatari un bacio leggero -quasi sognato-  prima di sparire, divorato dall'oscurità del corridoio della casa che si adombrava all'avanzare della tempesta.

Il giapponese rientrò nella cucina buia, chiudendosi alle spalle il balcone.
Fradicio, si accomodò al piccolo tavolo al centro della stanza per poggiarvi i gomiti e massaggiarsi le tempie a due mani, come sfinito.
"Yurij, dannazione."
Il suo cervello non riusciva a fare altro, se non articolare quella sileziosa maledizione; il cuore scalciava infastidito, perché avrebbe voluto che Hiwatari afferasse il giovane Ivanov, lo scuotesse e gli gridasse contro:
"Ha importanza?"
Ma importante lo era per davvero, perché il tempo oltre che conferme nutriva dubbi e paure, ed il timore di sicurezze mai garantite -e pronte a sfumare- attanagliava l'animo del compagno e lo graffiava con artigli sporchi e marcescenti.
Stringere Yurij lo rilassava.
Combatterlo lo faceva sentire vivo.
Sfiorare il suo corpo e nutrirsi di quell'intimo calore lo appagava.
Stargli lontano non era una sofferenza.
Avrebbe voluto baciarlo in ogni istante della giornata, ed allo stesso tempo schiaffeggiarlo e gridargli contro che tutto era sbagliato, che erano andati a sbattere contro un sentimento troppo grande, troppo lontano, troppo estraneo, troppo complicato, troppo profondo per loro.
Loro, così diversi.
Così stupidi ed ottusi ed orgogliosi, che per abbracciarsi aspettavano il momento opportuno, per baciarsi si coglievano di sorpresa, per fare l'amore lottavano come bestie in calore, come animali affamati.
Era triste.
Eppure, diavolo, avevano resistito stringendosi le mani, graffiando via la carne, riducendo all'osso quegli arti le cui polveri, ormai, si erano confuse, giacendo assieme.
Non si erano più separati.
E Kei avrebbe pianto e riso fino a stare male, a tali considerazioni.
Nessuno avrebbe scommesso su di loro.
Senza speranze.
Lontani.
Maledettamente dipendenti l'uno dall'altro.
Hiwatari c'era quasi, aveva capito...

Yurij, alzatosi per versarsi un bicchiere d'acqua, lo trovò seduto in cucina su una sedia, con i capelli umidi ad incorniciargli il volto.
Sospirò, allontanandosi, per poi tornare qualche attimo dopo con un asciugamano, che l'altro prese con un ringraziamento appena bisbigliato.
Ma prima che il compagno potesse anche solo avanzare di un passo, Hiwatari gli afferrò un polso in una presa ferma e decisa, che sapeva appena di gentilezza.
"Promesse."
Yurij si limitò a rimanere in silenzio, osservandolo sospirare, come a voler trovare le parole giuste -quelle più adatte- ad esprimere la confusione e l'astrattezza di ogni singola sensazione che gli vibrava dentro.
"Noi... siamo promesse. Spezzate. Non mantenute. Tu non hai un anello che ti rende mio; non hai acquisito il mio cognome ed io non ho preso il tuo. Sulla carta siamo due estranei con la stessa residenza... però ci sono la tua presenza ed il tuo respiro e la tua voce: tu sei la mia promessa per il futuro e se dovessi sparire... non importa. Sei rimasto con me, incompleto e non realizzato così a lungo che continuerei a sopravvivere. Però ora sto vivendo... e mi piace abbastanza."           
Si era pronunciato senza distogliere gli occhi da quelli azzurri di Yurij, senza allentare la presa sul suo braccio e senza respirare.
Ivanov per un attimo gli rivolse uno sguardo totalmente confuso e spaesato, poi la sua espressione si rilassò lentamente in un sorriso appena visibile; quindi, si avvicinò al volto di Kei e, tenendo gli occhi chiusi, poggiò la fronte contro quella del compagno.
"Va bene così, allora."

Oh, si maledivano ed odiavano.
Gridavano i reciproci nomi e si ricercavano, solo per stringersi fino a soffocare, fino a toccarsi così profondamente da ferirsi e mescolarsi e non andare più via l'uno dall'anima dell'altro.
Distanti da ogni voce, immersi in un'esistenza d'ansia, il loro era un fragile Paradiso per cuori caparbi.
Da soli, per tutto il tempo che ancora restava da condividere.

 

*Carve your name into my arm. Instead of stressed, I lie here, charmed. 
Cuz' there's nothing else to do... every me and every you.*

 


*Owari*

 

*Scava il tuo nome nel mio braccio. Invece d'essere furioso, giaccio qui, incantato. Perché non c'è null'altro da fare... ogni me ed ogni te.*

Alla fine, dopo praticamente un anno, quattro mesi e dodici giorni, concludo questa raccolta che avrebbe dovuto avere tempi molto più brevi, ma che -un po' a causa della mia pigrizia, un po' a causa dell'ispirazione altalenante- ho abbandonato assieme ad altri miei progetti.
Ringrazio infinitamente chi mi ha seguito, chi ha letto e chi ha commentato, e mi auguro di ricevere delle opinioni anche su quest'ultimo capitolo.
Per il momento -che potrebbe essere un solo giorno o anche anni! Sono estremamente lunatica da questo punto di vista, dannazione!-, questa storia sarà la mia ultima KeiYurij.
Ho tanti altri progetti su di loro -molti ancora non conclusi-, ma spero un giorno di finire tutte le storie in sospeso con questi due come protagonisti, perché lo meritano e perché continuerò ad amarli dal più profondo del cuore.
Sono una delle coppie più splendide di Bey; ed avranno sempre un posto immenso nel mio cuore.
Spero di essere riuscita, con quest'ultimo capitolo, a trasmettere un po' della vasta gamma di sentimenti che provo quando penso ad una loro possibile storia, ad una loro possibile vita insieme.
Ah, sono dannatamente malata, già!
Bhé, allora un caloroso arrivederci, cari lettori.
Ed un grazie di cuore.
Sempre vostra,
Iria.

   
 
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