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Autore: The queen of darkness    23/01/2013    3 recensioni
Non sempre nella vita prendere i pezzi di quello che è stato e metterli insieme per formare quello che sarà è semplice.
Tuttavia, delle volte ci si riesce.
E se si fallisce, si è pronti a cadere. Ma con la consapevolezza di averci provato, e di essere stati vicini al risultato.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Le mani le tremavano, con violenti sussulti.
Singhiozzava: le lacrime non scendevano mai in quei momenti.
Inspirò a fondo nei polmoni l’aria puzzolente e stagnante del bagno sporco, le mattonelle umidicce che facevano da palco alla sua azione di sempre.
Da piccoli momenti isolati stavano diventando routine, e questo non le piaceva.
Nascondere i segni era sempre più difficile, giustificare le assenze oramai impossibile, farne a meno un concetto troppo astratto per avverarsi.
Morse violentemente il labbro inferiore, per il momento l’unica vittima delle sue furiose aggressioni.
Doveva chiudere gli occhi ogni volta che succedeva, perché non sopportava l’idea di vedersi di nuovo schiava, e aveva bisogno di sentire subito dopo il rilassamento istantaneo dei muscoli tesi.
Era il suo elisir, non si poteva chiederle di rinunciare. E poi non avrebbe mai smesso, ne era sempre più consapevole.
Avrebbe continuato fino a quando non si sarebbe distrutta anche esteriormente.
La lametta luccicava al suo fianco. Mentre si nutriva di quel piccolo riverbero di luce sembrava quasi innocua, uno strumento di liberazione e non il volgare componente di un vecchio rasoio.
La prese e per poco l’oggetto non cadde di nuovo sul pavimento lurido incrostato di schifo. Era così sudata!
Un sudore gelido e viscido che sembrava sgorgare direttamente dalle vene.
Le budella vennero attanagliate dalla consueta paura che, nonostante tutto, non la abbandonava mai.
Era quello il senso del tagliarsi, forse. L’autolesionismo non era tale senza un torrente violento di emozioni proibite, che spezzavano per un attimo il turbinio del suo cuore schiacciato e compresso dalla solitudine, incastrato fra due soffocanti costole sbarrate dalla scapola sinistra.
Serrò le mascelle tremanti: aveva freddo. Un tipo di gelo capace di presentarsi solo in quei momenti.
Delle volte doveva aspettare qualche momento prima di trovare il punto giusto, in modo da essere sicura di vedere del sangue, il proprio sangue, macchiare la pelle bianchissima.
Si fece strada fra la stoffa grigia della felpa e la rimboccò fino all’avambraccio; ordinate file di tagli regolari e rossastri, macabre linee sottili, fecero la loro comparsa. Odiava vederli.
Cercò di fare in fretta. Sarah sarebbe venuta presto a cercarla e non voleva che la vedesse in quello stato pietoso.
Stupida puttanella, si urlò mentalmente addosso, perché non ti decidi?!
Deglutì sonoramente e appoggiò il freddo metallo sulla carne, nell’unico posto libero.
Ecco come faceva: dal basso per poi risalire. Solo che non molti mesi prima le ferite facevano in tempo a cicatrizzarsi, mentre recentemente doveva crearsi spazio anche vicino al gomito.
Successe tutto abbastanza in fredda, se paragonato all’attesa.
La viscida lama prese il suo tributo dalle vene, e ne uscì un’unica goccia, rossa e brillante, quasi allegra, mentre la parabola si faceva tremolante verso il resto del polso, facendo gocciolare dei rigagnoli a terra.
Tenne gli occhi chiusi ancora per un lungo momento, sentendo il liquido scendere verso il basso.
Era quella la sua pace: tutte le paure, i disagi, le insicurezze, venivano drenati via lasciandole pochi secondi di tregua.
Il mondo poi le crollava nuovamente addosso, e contava i minuti che la separavano dalla sua prossima visita al bagno, con conseguente infinitesimale attimo di calma.
Non ricordava quando aveva cominciato a sentirsi così male, ma era una sensazione che la uccideva e la teneva viva.
Una sensazione devastante che ne fondeva migliaia insieme, e tutte spiacevoli.
Come avrebbe fatto col nuovo lavoro?
Il destino aveva voluto che avesse a che fare con i bambini per guadagnare l’indispensabile, ogni pomeriggio dalle quattro in poi. L’avevano finalmente contattata dopo mille richieste.
Forse si sarebbe distratta, sarebbe riuscita a mettere insieme la sua vita e crearne qualcosa, chi lo sa.
Fatto sta che pulì la lametta con una salvietta mentre la costante sensazione di inadeguatezza e disagio prendeva il sopravvento, avvolgendola di familiare tenebra, e cercò di ricomporsi.
Gettò dell’acqua gelida sulla ferita e attese che il sangue smettesse di scorrere; poi coprì il tutto e nascose l’arma nella tasca dei jeans.
Guardò nello specchio la sua immagine, terribile come al solito.
Bene. Poteva tornare alla sua solita merda di vita come se niente fosse successo.
Come al solito.
 
 
  
  
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