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Autore: acchiappanuvole    13/08/2007    7 recensioni
Un giorno il diavolo incontrò la morte e se ne innamorò. La morte gli disse che eran fratelli anche se assai diversi. Il diavolo allora la sposò e poi come per un giocattolo se ne disfò. Uno Due Tre Ora a saltar tocca a te.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Va verso la porta in punta di piedi e sbircia nella nursery. Sì, tutto a posto. Non c’è traccia della governante e la vecchia  balia Temple, che deve avere cent’anni perché è stata la bambinaia del nonno,  dorme accanto al fuoco. E’ facile!
Cain le passa accanto, esce nel corridoio e scende le scale di servizio. Arriva in fondo all’ala est. Lì c’è una stanza dove le cameriere disfano i bauli e le cappelliere e appendono e stirano gli abiti.
Cain sbircia. C’è una cameriera che stira un vestito. Si sente il calore della stufa usata per scaldare i ferri, si sente l’odore del cotone e del lino. Varca la soglia, la cameriera trasale, poi gli sorride.
Cain la conosce. E’ Sophie; abita al villaggio con la famiglia Hannessy, perché è orfana; frequenta il figlio del capo carpentiere, Jack Hannessy. Cain li ha visti insieme al villaggio, li ha visti passeggiare con calma e posatezza. Ha anche visto Sophie fare altre cose meno posate; ma si augura che non lo sappia. Sophie cambia i ferri. Cain si avvicina.
-L’abito della signora Hargreaves- dice lei indicando le balze di seta –stasera la vestirò io e la pettinerò-
Cain la guarda sprezzante. E’ vero, Sophie ha un bel viso, capelli lunghi e rossi, la carnagione chiara e occhi molto belli, d’un blu scuro e dalla sguardo fermo, a volte provocante, sempre acuto. Sophie non è sciocca. Ma le mani, rovinate dai lavori domestici, sono tozze e arrossate. E ha un netto accento campagnolo. Cain preferisce considerarla stupida. Sembra contenta di fare quel lavoro, e Cain la trova patetica. Perché essere fiera di stirare l’abito di un’altra?
-E’ un brutto colore- replica il bambino –un brutto verde. A Londra il verde non è di moda-
La cameriera alza la testa e lo guarda –beh, a me sembra carino… credo che possa andare qui in campagna-
Forse è un vago rimprovero. Cain la guarda più attentamente, e la cameriera sorride. Sulle guance le spuntano due fossette.
-Guarda- infila la mano arrossata nella tasca del grembiule. –Ho tenuto qualcosa per te. Non dire chi te l’ho dato però, o il padrone mi punirà. E non farti vedere da nessuno. Dovresti essere a letto-
Porge a Cain un dolcetto, uno dei petit four che sua madre fa servire con il caffè. E’ un fruttino da marzapane su un poco di cioccolato: una mela verde e rosa con un chiodo di garofano per picciolo e due striscioline d’angelica per foglie.
-Non inghiottire il chiodo di garofano, però, o ti soffocherai-
Cain prende il dolcetto. Sa che dovrebbe ringraziare, ma le parole gli restano in gola, come sempre. Sa anche che è una delle ragioni per cui tutti lo detestano e non parlano con lui.
Sophie non ci bada; gli fa un cenno e riprende a stirare. Cain si avvicina di nuovo alla porta e la osserva per un momento. Sophie ha dieci anni più di lui. Sedici anni ed è contenta del suo destino. Sophie sarà sempre una serva.
Poi scende correndo la scale e esce in giardino.
Si ferma dietro un cespuglio. Alcuni ospiti sono là fuori; si sente in distanza il brusio delle loro voci. Ma non c’è la voce di suo padre. Dove sarà andato dopo il pranzo? Cain alza la testa come un animale, attende un momento e poi, tenendosi fuori dalla vista della villa, corre verso il bosco.
 
 Quando lo raggiunge diventa più prudente. Si ferma a riprendere fiato e procede cautamente. Non sceglie uno dei due sentieri principali, che portano uno al villaggio e l’altro a una piccola follia gotica, il “gazebo”, come lo chiama sua madre. No, Cain sceglie una stretta pista invasa dalle erbacce che si snoda tortuosa verso l’altra parte del bosco. Dovrebbero usarla solo i guardiacaccia, ma lo fanno di rado perché preferiscono i percorsi più diretti.
Qui c’è un silenzio un po’ spaventoso; è difficile incontrare qualcuno. Ma Cain sa che altre persone usano quel sentiero oltre a lui: suo padre e una delle domestiche. Cain li ha spiati..eh ,sì, li ha visti.
Il terreno è fangoso e i rovi s’impigliano alla sua camicia. Le ortiche gli sfiorano le caviglie e lo pungono, ma lui non si ferma. Si addentra verso la radura.
Ma deve fare attenzione. Ne è certo. Scruta il sottobosco più avanti, perché nel bosco ci sono trappole, e non solo per gli animali. Cattermole, il sottoguardiacaccia, usa  trappole per gli uomini, lo ha sentito dire da uno dei valletti, per prendere i bracconieri. Cain le ha viste su un libro.
Ce ne sono d’acciaio, con le ganasce seghettate che imprigionano le gambe. Ci sono anche i trabocchetti con i pali appuntiti. Cain non sa se deve credere al racconto del valletto. Le trappole antiuomo sono vietate da anni. Comunque, ha intenzione d’essere guardingo.
Si ferma spesso, ascolta, tasta il sottobosco: ma non c’è niente..solo le celidonie, l’odore dell’aglio selvatico e il silenzio. Comunque ha un po’ paura. Quando raggiunge la radura è senza fiato. Lì l’erba è bassa e non nasconde pericoli. Siede ansimando. La domestica verrà, questo pomeriggio? E suo padre? Ormai devono essere le tre passate. Se verranno, sarà fra poco.
Poi, mentre è steso sull’erba, sente un rumore. Un fruscio, poi silenzio, un nuovo fruscio. Si solleva a sedere, pronto a fuggire. Sente di nuovo il suono dietro di lei, fra i rovi. Rimane immobile con il cuore che gli batte forte. Capisce d’essere sciocco. Deve essere un piccolo animale.
 Quando va a vedere fra i rovi e i ramoscelli, vede un coniglio. In un primo momento non capisce perché non fugga, perché sussulti così. Poi vede il laccio della trappola intorno al collo, il filo metallico attorcigliato. A ogni strattone, il cappio si stringe.
 Cain si lascia sfuggire un ansito di sgomento. Si china su di lui.
 Il coniglio, terrorizzato, sussulta ancora di più.
 
-Oh, stai fermo, stai fermo!- supplica. E’ impossibile sciogliere il cappio; è così stretto che il coniglio sanguina. Deve staccarlo dai pioli dov’è fissato..ed è difficile. La trappola è ingegnosa. Cain tira i pioli. Ora la bestiola trema appena. Il bambino prova un fremito di felicità. Il coniglio sa, sa che lo sta salvando. 
Poi stacca il laccio dai pioli. Può sollevare l’animale.
Con delicatezza, tenendolo fra le braccia, lo porta sull’erba della radura e l’adagia al sole.
 S’inginocchia, accarezza il pelame bianco, asciuga con la camicia di seta i rivoli di sangue. E’ steso sul fianco. Un occhio a mandorla lo fissa. Ora deve sciogliere il cappio. Riflette, vi riesce..poi lo vede scuotere dalle convulsioni.
 Cain arretra impaurito. La testa del coniglio si alza, sussulta, ricade. Le zampe graffiano il terreno. Una goccia di sangue scende da una narice. Poi il corpo resta immobile.
 In quel momento Cain capisce che è morto. Non ha mai visto un’animale morto o moribondo, ma lo sa. Nota qualcosa nell’occhio. Si appanna.
 
Il bambino si accoscia. Trema. La sofferenza gli attanaglia il petto. Non riesce a inghiottire, vorrebbe urlare, vorrebbe uccidere chi ha posato la trappola.
 Si alza all’improvviso. Afferra un paletto, lo rotea e colpisce la vegetazione, le ortiche, i rovi, dove possono esserci altre trappole. E poi la vede. A destra della pista che ha seguito, mascherata dai rami che lui ha scostato. Si china, lascia cadere il pezzo di legno e guarda incredulo.
 E’ una trappola antiuomo. Come l’ha vista sul libro. Due ganasce metalliche dai denti arrugginiti, una molla. E ghigna nel sole.
 Per un momento Cain si blocca. La trappola funziona ancora? Dev’essere vecchia e rotta..L’osserva meglio. No, non sembra rotta, la vegetazione intorno è calpestata, come se fosse stata posata lì da poco. I rami che la coprivano sono stati tagliati di recente, le foglie cominciano appena ad avvizzire. Fissa la trappola a luogo, affascinato e inorridito; è tentato di toccarla con un paletto; ne ha paura ma vuol vedere se funziona. Le ganasce ghignano. All’improvviso Cain se ne disinteressa. Ricorda l’ora; devono essere le tre e mezzo. Il bosco tace, suo padre non verrà. Andrà a cercarlo.
 Ma prima deve seppellire il coniglio. Non può abbandonarlo.  Si avvicina, lo tocca. E’ ancora caldo. Il sangue si sta coagulando. Povero coniglio. Caro coniglio. Gli scaverà una tomba.
Riprende il paletto, sceglie un punto, raspa la terra sotto una piccola betulla. Dopo settimane di pioggia, il terreno è soffice, ma anche così è un compito difficile. Butta il paletto e scava con le mani.
 Si rovina le unghie, ma va avanti. Dopo un quarto d’ora ha scavato una fossa poco profonda. Vi depone uno strato di sassi, poi uno d’erba.
 Ora la tomba sembra un nido per il suo coniglio. Coglie qualche fiore selvatico ai margini della radura: una celidonia gialla, una viola, due primule.
 Le dispone intorno al bordo della buca e si accoscia a guardare il risultato. Poi solleva dolcemente il coniglio, lo depone nella tomba, gli mette la celidonia fra le zampette anteriori perché la porti con sé nel suo viaggio, e lo copre di ciuffi d’erba. Dapprima lascia scoperta la testa; poi, siccome non vuole che la terra finisca negli occhi del coniglio, gli copre anche il musetto. Un po’ di terra, poi ancora. La schiaccia con decisione e ridispone sul tumulo erba e foglie.
 Il suo coniglio. Il suo coniglio segreto. Cain s’inginocchia. Solo quando scosta i capelli dal viso si accorge di avere le guance rigate di lacrime. Dolce coniglio. E’ per lui che ha pianto Cain, Cain che non piange mai?
 
  
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