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Autore: leo rugens    24/01/2013    11 recensioni
«Sai come si dice sempre in francese?»
«No.»
La guardò curioso, pendendo dalle sue labbra.
«Toujours.*»
«E cosa vuol dire?»
«Vuol dire che i francesi amano ogni giorno. Si svegliano e la prima cosa che fanno è amarti. Si perdono nei tuoi capelli scompigliati, nel tuo respiro pesante, nella tua voce da appena alzato. Ti vogliono se nevica, se c’è la pioggia, se è andata bene a lavoro, se stanno morendo. Loro amano ogni giorno un po’ di più, così tanto che alla fine scompaiono.»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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leo rugens' stories 2013©
Disclaimer: Questa storia è stata scritta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla.
Non si tenta in alcun modo di stravolgere il profilo dei caratteri noti.
Nessuno degli One Direction mi appartiene, in alcun modo.
Se copiate, giuro che vi prendo a sprangate
.


Hola gente! Finalmente una Larry che non faccio finire male, miracolo. C'è tutto da dire e niente, ma andiamo per ordine.
Noterete degli asterischi. Non li ho messi perché sono da curare, tranquille. Sono i termini in lingua 'originale', li ho dovuti mettere perché ne avevo bisogno. Le -parole- scritte così sono di un gioco francese, la loro versione del m'ama, non m'ama.
Niente, spero che vi piaccia e nella mia bio ci sono i social dove potete sclerare insieme a me.
Un grazie particolare a Geigei, Macca, Cangi, Vero, Dust e Vale per il supporto,

Sun.




And if you love me, won't you let me know?

Coldplay - Violet Hill.

 
La vita, alla fine, è come un registratore. Uno di quelli anni Settanta, con nastri, canzoni, tasti.
C’è il tasto indietro,  il tasto pausa e quello avanti.

 

Il registratore è rotto, puoi solo andare avanti, finché il nastro non si strappa, il tasto scatta in su.
La cassetta continua ad andare avanti: rumori sordi, graffi, voglia di fermarsi.


Clack. Clack. Clack. Clung.

 

Fine dello spettacolo.

 

______________________




Est-ce que tu m’aimes?

 




La Francia era sempre stata una sua particolare fissa.
Forse per il suo nome, forse perché amava il profumo delle baguettes appena sfornate, forse perché gli piaceva e basta.
C’era un gioco, uno di quelli che fai seduto fra l’erba quando sei piccolo e tua madre non vuole che ti allontani.
Pensi forte chi ti piace, afferri un fiore, uno a caso, e inizi a strappargli i petali. Così, lui aveva iniziato.

«M’ama.»

«Non m’ama.»

«M’ama.»

«Tesoro, lo stai facendo nel modo sbagliato.»

Corrucciò le sopracciglia, confuso: a casa con sua sorella l’avevano sempre fatto così. Jay gli tolse il fiore di mano, sfiorandogli il palmo con le dita. La Costa Azzurra in quel periodo dell’anno era un tripudio di colori, tutta da scoprire, da cima a fondo.
Erano partiti due giorni prima, lo zaino in spalla, gli scarponcini da trekking, lui che rientrava in casa all’ultimo secondo perché aveva dimenticato lo spazzolino da denti.

«Vedi, i francesi amano in un modo diverso.»

«Ci sono diversi modi di amare?»

«Cambiano, di continuo. Tu e Lottie fate sempre ‘he loves me, he loves me not’*, vero?»

Annuì insicuro, non capendo dove sua madre volesse arrivare.
«E quando dite ‘always’* lo sapete cosa significa?»
Scosse la testa in segno di diniego, perdendosi un attimo nell’erba alta della collina, l’ombra del pino che lo proteggeva, rassicurante.

«Dai,prova.»

Il maestrale si alzò un poco e si affrettò ad abbottonarsi il giubbotto di jeans, le dita paffute che scivolavano sul tessuto.
«Significa esserci all’infinito, senza mai andare via, giusto?»

«Anche tesoro, ma vuol dire altro.»

«Cosa?»

«Quando ami qualcuno e gli dici always non significa che ci sarai per l’infinito o che non te ne andrai mai via. 

Always ricorda tanto all ways, ci hai mai fatto caso? Perché se ami qualcuno lo ami in tutti i modi possibili.
Ami ogni sua singola sfaccettatura, ogni dettaglio, ogni difetto. Qualunque cosa faccia, che sia bella o brutta, la ami.
Ovunque vada, qualsiasi cosa faccia, per te è pura perfezione.
»
«Noi inglesi amiamo così?»

Jay sorrise, il vento che le scompigliava i capelli mentre giocherellava con il fiore.
«Si.»

«E i francesi? Loro come amano?»

«Sai come si dice sempre in francese?»

«No.»

La guardò curioso, pendendo dalle sue labbra.
«Toujours.*»

«E cosa vuol dire?»

«Vuol dire che i francesi amano ogni giorno. Si svegliano e la prima cosa che fanno è amarti.  Si perdono nei tuoi capelli scompigliati, nel tuo respiro pesante, nella tua voce da appena alzato. Ti vogliono se nevica, se c’è la pioggia, se è andata bene a lavoro, se stanno morendo.Loro amano ogni giorno un po’ di più, così tanto che alla fine scompaiono.»

«E cosa c’entra toujours con ‘he loves me, he loves me not’?»

Si accorse della sua testardaggine nel mantenere il pronome maschile, davanti a quel love, quasi volesse darle un segno. Aveva appena otto anni, ancora non capiva e lei sapeva che solo il tempo avrebbe dato la risposta: avrebbe aspettato, paziente.
«Anche quello qui ha regole diverse.»

«E come si gioca?»

«Ti servono sempre un fiore e la persona che ti piace. Però non c’è solo il m’ama, non m’ama.»

«Insegnami.» Chiese impaziente strappando un altro fiore, pronto a seguire i movimenti di sua madre. Tirò un petalo, mettendolo nel palmo della mano sinistra per mostrarlo al figlio.

«Il m’aime.»

Un altro.
«Un peu?*»

Due.
«Beacoup*.»

Il terzo.
«Passionnément.*»

La mano accolse un altro petalo.
«À la folie.*»

L’ultimo,rimasto a mezz’aria, fra i loro sguardi.
«Pas du tout.*»

Il vento lo raccolse, portandolo via, chissà dove.

 

***



Harry si sciacquò ancora il viso, il freddo che gli accarezzava la pelle. Afferrò l’asciugamano, l’acqua che gocciolava sul tappeto, si asciugò il viso con un gesto svelto. Lo specchio, appannato, rifletteva le sue gote rosse, i capelli ricci, lo sguardo furbo. Le ciglia lunghe, ogni volta che le palpebre si chiudevano, toccavano appena gli zigomi. Tirò giù le maniche della felpa sospirando, distraendosi un secondo, quando si rialzò sul vetro spiccava una scritta.
-Il m’aime?-
Sfiorò tremante il blu delle parole, quello non venne via. Che, alla fine, le presenze di cui tanto parlava Niall esistessero davvero? Chiuse gli occhi, riscuotendosi da quei pensieri ridicoli. Aveva diciotto anni, era grande. Non credeva a Babbo Natale, ai fantasmi e che lui lo amasse. Quando li riaprì la scritta era ancora lì, forse più blu di prima e qualcosa si smosse dentro di lui, un sorriso gli arricciò le labbra. Voleva che giocasse. Così avrebbe fatto. Si richiuse la porta del bagno allo spalle, ancora indeciso se credere che fosse vero.

«Boo, dove sei?»





Louis accese l’ennesima sigaretta. Sapeva che non avrebbe dovuto fumare in camera, ma era più forte di lui. Scompigliò la cresta con le dita controllando l’ora sul cellulare. Era un normalissimo Sabato, uno di quelli che dovresti passare fuori a divertirti, lui invece se ne stava sul letto, le mani intrecciate, il posacenere sul parquet: il ritratto della disperazione.
Buttò fuori una boccata particolarmente densa e si perse fra le spirali che sparivano, augurandosi di poter andare con loro un giorno. Sentì una porta sbattere e la sua voce chiamarlo ma fece finta di niente. Aveva bisogno di stare da solo, anche se stare da solo implicava pensare. Ogni secondo, ogni minuto, senza sosta. Ne sentiva la necessità, quasi glielo avesse suggerito qualche sua vecchia conoscenza. Si buttò indietro, affondando nel piumone soffice, attento a non macchiarlo con la cenere.
Il telefono vibrò ma non ci fece caso, la forza di gravità vinceva su di lui in quel momento. Sentì uno spedaccio e la sua camera chiudersi, non del tutto. Già lo vedeva quello spiraglio da dove poterlo spiare mentre dormiva, la luce che gli colpiva il viso,
i grugniti di protesta, le risate trattenute. Si forzò a liberare la mente: un totale buco nell’acqua.
Appena gli sembrava di riuscire finalmente a non pensare niente lui appariva mandando all’aria ore, giorni di concentrazione.
Louis sbuffava e ricominciava da capo, come un automa, come se fosse un gioco e lui dovesse partecipare.
Chiuse gli occhi, la sigaretta lì lì per spegnersi.



Si chiuse la porta alle spalle e sospirò sollevato, buttando fuori tutta la preoccupazione del momento. In ansia per cosa poi? Per quella cosa in bagno? Manco fosse un colpo di pistola alla tempia.

«Svegliati Harry, svegliati!»Si picchiettò le guance con le mani, convinto che così avrebbe smesso di sognare.
Appena smise si accorse di avere una scarpa slacciata, si chinò per legarla quando vide qualcosa sul palmo della sua mano destra. 

Un –Un peau?- nero spiccava sulla pelle diafana.
Sbatté gli occhi incredulo, affrettandosi a pulirsi contro il tessuto ruvido dei jeans. Controllò: niente, era ancora lì.
Seguì la calligrafia con l’indice destro, chiedendosi a chi appartenesse. Ricordava un po’ quella di sua sorella, aggraziata e svolazzante, come se fosse finita sulla sua pelle per caso. Quasi scocciato afferrò una maglietta e la passò sulla scritta ma quella non accennava ad andare via, anzi, Harry la sentiva sempre più dentro.
Mentre si avvicinava alla scrivania per prendere un pennarello graffiò il legno, pregando che andasse via.



Poco. Quanto era poco?
Poco era l’abbraccio timido al Boot Camp quasi tre anni prima, quello che lo aveva spinto a desiderarne un altro e un altro ancora. Non se ne sarebbe saziato mai, le loro strette erano come le ciliegie: una tirava l’altra. Avrebbe continuato a far scontrare i loro petti, ad appoggiare l’uno il mento sulla spalla dell’altro finché non se ne sarebbe stancato. Louis sapeva già che avrebbe voluto abbracciare Harry di continuo, come se avesse paura di vederlo andar via da un momento all’altro.
Alla visione di lui con la valigia aumentava la stretta, ignorando i suoi ‘Boo, piantala, così soffoco.’ 
Non gli importava di stare per togliergli il respiro, lui aveva bisogno di lui vicino, palpabile. Quando lo capì gli appoggiò le labbra alla base del collo, mormorando che sarebbe stato con lui finché lo avrebbe voluto. Finalmente Louis si era sentito completo e, incredulo, aveva sorriso.
Perché sarebbero stati insieme senza se e senza ma, niente li avrebbe spezzati. Come gli spagnoli. Erano siempre.



L’odore di tempera gli invase le narici e lui continuò a mescolarla nel piatto, senza farci troppo caso. Canticchiava tranquillo, non rendendosi conto di cosa stesse facendo, quasi ci fosse una vocina che gli sussurrava di mischiare il giallo e il rosso, creando uno di quegli arancione tramonto che tanto gli piacevano. Provò il colore sul dorso della mano, sollevato dal vedere che la scritta era andata via. Preso da un’euforia improvvisa saltò sul letto, il piatto di plastica con l’arancione dentro, il pennello fra i denti. Lo intinse un poco e poi si lasciò andare sulla parete bianca, muovendosi da solo: una scritta prendeva forma, le lettere venivano fuori ma lui non ci faceva caso, troppo occupato a fare una b piuttosto panciuta, come se avesse mangiato troppo.Quando saltò giù facendo cigolare le molle quasi gli venne un colpo, la realtà era tornata e lo aveva investito, senza troppi complimenti.
Un –Beacoup-  fresco, lo guardava dal muro, la calma che trasudava da ogni singolo tratto.
Gemette disperato, cadendo sulle ginocchia,
convinto di essere su un treno di sola andata per il miglior manicomio delle vicinanze.



Troppo. Come si misurava il troppo?
Non lo sapeva, non aveva un limite. Accese la seconda sigaretta con un mezzo sbuffo, annerendosi un altro po’ i polmoni appena la portò alle labbra. Forse troppo era dormire con lui tutte le notti, le gambe intrecciate, le mani che si cercavano.
Era il dividere con lui una tazza di caffè, mordergli scherzosamente la guancia mentre guardavano Trainspotting sul divano, sorridergli imbarazzato se gli si parava davanti con solo un paio di boxer indosso. Ma lui Harry lo amava in all the ways. Da ubriaco in discoteca, mentre giocava alla playstation, quando cucinava i pancakes per colazione, con la giacca, se aveva lo spazzolino in bocca, nudo, sotto le coperte. Louis pensava che fosse perfetto in ogni singolo attimo della vita e si meravigliava, spesso, di quanto gli si fondessero completamente i neuroni quando vedeva quelle fossette fare la loro comparsa sulle sue guance. Appena lo vedeva sorridere per lui quella era vita. Non gli importava dove fossero, cosa stessero facendo.
Si amavano always, ogni cazzata un po’ di più.



Si passò le mani fra i capelli, sentendo che gli uomini in camice bianco lo sarebbero venuti a prendere da un momento all’altro.

«Che mi prende oggi?» Chiese, a voce alta. 

Forse perché dicendoselo così credeva di farselo passare, di rendere partecipe anche qualcun altro di tutto il casino che stava accadendo, forse, solo nella sua testa. La scritta era scomparsa, magicamente, coì come era venuta.
Si guardò intorno: il piatto con la tempera era ancora lì, il pennello anche, il muro era tornato bianco, quasi lo avessero ritinteggiato, il suo anulare era ancora sporco di colore, com’era possibile? Si arricciò le maniche, lo aiutava a pensare meglio.
Trattenne a malapena uno strillo quando una parola apparve sul suo avambraccio sinistro, quasi ci fosse una penna invisibile e Harry fosse il foglio di turno.

-Passionnément.-

Si sentì in imbarazzo, sporco quasi. Fu tentato dal tirare giù la felpa, coprirla, alla fine lasciò stare, che la n giocasse con il lucchetto, quasi lo volesse aprire.
La chiave Hazza, la chiave ce l’hai?



C’erano tante definizioni di passione.
Dalle più perverse alle più curiose, innocue, avrebbe osato dire. La sua in quale rientrava? In quella senza capo né coda.
Perché lui la passione ce l’aveva per Harry, con Harry.
Quando le loro labbra si sfioravano, giusto per sbaglio, a forza di parlare troppo vicini, anche quando se ne stavano da soli, se gli si avvinghiava ai fianchi mentre dormiva, il respiro sul collo di Louis che, in quei momenti, faceva appello a tutti i santi che conosceva e li pregava di non fargli perdere il controllo, non fargli fare cose avventate e soprattutto poco caste.
Ignorò l’ennesima chiamata di Zayn, sapendo già cosa gli avrebbe chiesto: non voleva uscire, non aveva voglia di svagarsi. Doveva pensare a non pensare. D’altronde, lo sapeva anche lui stesso, smettere di ragionare è umanamente impossibile.

 

 

Un bicchiere d’acqua era quello che gli ci voleva. Gli avrebbe schiarito i pensieri, magari l’avrebbe svegliato del tutto da quell’… Incubo? Non si era nemmeno premurato di classificarlo.
Sogno, incubo, pensiero, fantasia. Cosa poteva essere?
Mentre apriva lo sportello della cucina alla ricerca di una tazza, ci provò, con scarsi risultati. Nessuna risposta, per essere esatti. Harry allora aveva aperto il rubinetto, così, tutto d’un botto, innervosito. Al posto dell’acqua uscirono lettere, numeri.
Le fissava allibito, finché non riconobbe una parola fra tutti quei segni.
-À la folie.-
Si, era decisamente folle. Iniziava ad avere le allucinazioni, come Van Gogh, l’impressionista francese che piaceva tanto a Lou. Quello che, crisi isteriche su crisi isteriche, si era suicidato in periferia di Parigi dopo un anno in clinica psichiatrica.
Rabbrividì chiudendo la cannella, lasciando il bicchiere nell’acquaio. Si avviò per il corridoio, la gola secca, le labbra screpolate.



Follia. Follia cosa?
Fin dove si spingeva un essere umano?
Avrebbe voluto vederlo, raccontarlo magari. Perché Louis di pazzie n’aveva fatte, più di una: dal comprare un piccione impagliato a nascondere la sua sessualità, solo perché, spacciandosi per inguaribile etero, avrebbe guadagnato qualche milioncino in più. Ricordava ancora il disappunto negli occhi di Harry quando aveva accettato, costringendolo a fare altrettanto. Stavano insieme? Assolutamente no.
Erano solo diversi, lo erano insieme e tanto gli bastava. Un migliore amico, un fratello, un bambino da crescere.
Le lacrime bruciavano, scivolavano silenziose. La sigaretta che gli scottava la pelle, lui che non sentiva niente.
Stupido, ecco cos’era. Mesi per capire che lui l’avrebbe voluto tous les jours, ogni giorno.
Con la condensa sulle finestre perché fuori faceva freddo, se il cellulare si scaricava, quando la radio non prendeva bene, il letto da rifare, senza voce. Louis Harry lo voleva toujours, perché erano un po’ come i francesi.
Si amavano, di nascosto, sotto le coperte, facendo l’albero di Natale. Lo facevano e basta.



Rientrò in bagno, non accendendo la luce. Lì, nell’ombra, la scritta si vedeva ancora. Afferrò il rossetto di Eleanor, quello che aveva lasciato lì la sera prima quando era andata a trovarli.
-Il m’aime.-
Ti ama Harry? Louis ti ama? A malapena vi siete baciati una volta, ricordi come tremavi?
Il suo Lou Bear lo voleva davvero? Erano davvero tutti castelli per aria? Li sentiva crollare dentro di sé mentre stappava il cosmetico con rabbia e, facendo appello al poco francese studiato al liceo, aggiunse qualcosa sotto.
-Il m’aime.-
-Pas du tout.-

Non sapeva che si sarebbe cancellato, di lì a poco.



Non del tutto. Quanto manca a tutto se ci metti il non davanti?
Tanto? Poco? Ci vuole passione? Follia forse?
La testa gli doleva mentre si tirava su.
A pensare di non pensare, per ironia della sorte, aveva pensato troppo. Gettò nel cestino il pacchetto di Winston vuoto massaggiandosi le tempie con i polpastrelli. Si diresse in cucina, ritrovandosi Harry che usciva dal bagno, l’aria di uno che aveva appena commesso un omicidio.

«Ehi Haz. Tutto ok?»

Annuì distrattamente, facendosi da parte per farlo passare.
«Sicuro?»

Il suo sguardo indugiò un attimo di troppo, insospettendolo. Spinse piano la porta del bagno, un cigolio e si aprì. Un rossetto sporcava le mattonelle azzurre, ma poco gli importava. La sua attenzione era rivolta allo specchio. Una grafia chiara, gentile, aveva scritto qualcosa, si dovette avvicinare per leggere, a causa della miopia non vedeva bene.
-Il m’aime.-
Sotto riconobbe quella disordinata di Harry.
-Pas du tout.-
Respirò profondamente, cercando di mantenersi in piedi, sentiva il suo sguardo trapassargli la schiena, come la lama di un coltello.

«Haz, sai come amano i francesi?» Chiese improvvisamente, ricordandosi della vacanza in Provenza di tanti anni prima.

«Come tutti gli altri Lou?»

Scosse il capo, avvicinandosi.
«Giorno per giorno. A prescindere da come vada, loro amano, dal primo momento della mattina fino all’ultimo della notte.»

Harry lo guardò incuriosito, un tacito invito a continuare.
«E gli inglesi?»

«A questo punto direi di no.»

«In ogni singola maniera. Da come ti vesti a come respiri, se mangi, dormi. Ogni cosa che fai è perfezione.»

Lo ascoltava rapito, le spalle allo stipite della porta. Non ci mise molto a ridurre le distanze al minimo.
«Sai invece come amo io?»

Lui scosse la testa, spaventato, l’eccitazione negli occhi.
«Ce l’hai presente ‘he loves me, he loves me not’?»

«Dio, ci finivo il prato di mia nonna, Boo.»Ridacchiò, strappandogli un sorriso.

 Tre secondi dopo le labbra di Louis erano su quelle di Harry, le sue braccia lo stringevano forte.
Si muoveva tutto con una dolcezza infinita, quasi asfissiante.

«Mi ami o non mi ami?»Domandò, staccandosi un poco.

«Si, e tu?»

«Io cosa?»

«Mi ami?»

«Sempre.»


 

***

 

Perché loro non erano che una cassetta, una di quelle che si riavvolgono all’infinito.


 

Clack. Clack. Clack. Clung.



Fine dello spettacolo.

 




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