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Autore: Daenerys_Snow    25/01/2013    0 recensioni
"Mi buttai tra le sue braccia, e ricambiò l’abbraccio; quando mi allontani quel tanto che bastava per essere fronte contro fronte. Continuava a sorridermi, ed io non sapevo cosa dirgli. Abbassai lo sguardo.
- Avevo ragione: i tuoi occhi sono splendidi!"
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Latte e Cioccolato




08 agosto 2012 – ore 15:33
 
Quando mi sedetti lì, non pensavo che avrei sentito così caldo dopo pochi minuti. Il sole spaccava le pietre, e non lo dico tanto per dire: sì e no, c’erano 32° C!
Aprendo il finestrino, peggioravo la situazione: l’aria era calda, e i raggi del sole arrivavano dritti al posto dove stavo seduta. Ma, infondo, non c’erano altri posti liberi su quel trenino; e ciò mi parve davvero strano, visto che solitamente d’estate non c’è molta gente in giro, specie in periferia.
Dopo essermi seduta, presi le cuffiette dell’iPod, me le misi nelle orecchie e feci partire la prima canzone nell’ordine casuale. Mi legai anche i capelli in una coda bassa, abbastanza lenta; per il caldo, sì: sono capace di legarmi i capelli. Fortunatamente la gomma l’avevo sputata prima di salire.
Partito il mezzo, mi resi conto che la suafermata era quella successiva, e l’ansia mi assalì: mi sciolsi immediatamente i capelli lunghi, e cercai di respirare regolarmente, come chiunque avrebbe fatto in una giornata così calda. Che poi non capivo perché proprio quel giorno dovevo uscirci: ok, ammetto che è venuta a me l’idea due giorni prima di incontrarci proprio l’otto agosto; ma non immaginavo avrebbe fatto così caldo.
Arrivati alla sua fermata, mi si fermò il cuore: sono salite due, tre persone, ma di lui nemmeno l’ombra. Forse era troppo presto: l’appuntamento era alle 16:00, ma gli avevo comunque chiesto di arrivare prima. Per un minuto pensai davvero che se ne fosse dimenticato, e che tutto ciòche c’era stato non contasse nulla. Ma speravo in cuor mio di sbagliarmi davvero, almeno quella volta.
“Pericolo scampato,” pensai “ora posso anche rilegarmi i capelli, ed ascoltare la musica, e non i battiti accelerati del mio cuore”. Sorrisi tra me e me, ed abbassai lo sguardo sullo schermo. Mancavano ancora 7 fermate prima di arrivare a destinazione.

 
31 maggio 2012 – ore 17:57

-      Dammene un po’, dai!
-      Te lo scordi: ho aspettato ore prima di potermelo gustare in santa pace! – Esclamai portandomi via la coppetta di gelato al cioccolato, uno dei miei gusti preferiti.
-      Per favore! – Me lo chiedeva da interi minuti, oramai, senza mollare. Martina era molto golosa.
Fortunatamente arrivò Aurora, accompagnata da Daniele e Leonardo, e si portarono via la povera affamata. Rimasi sola, seduta sugli scalini sotto al portico della mia scuola. Erano circa le 18:00, e lo spettacolo tardava a cominciare.
-      Beatrice! – Elena mi chiamava da lontano, salutandomi con la mano. Accanto a lei c’era Simona, la sua migliore amica. – Com’è tutta sola soletta?
-      Aspetto, ed aspetto. Ma lo spettacolo non vuole proprio iniziare! – Annoiata mi alzai, e mi andai a sedere su una sedia sotto il palcoscenico.
Nella mia scuola quel giorno si festeggiava il suo trentennale, e tutti erano in festa. Coro, teatro, musica a più non posso: non sembrava il mio liceo!
Le due mi seguirono, sedendosi accanto a me. Finii il gelato e lanciai la coppetta di plastica nel secchio vicino.
-      Perché sei rimasta a vedere lo spettacolo? – Simona si sporse verso di me.
-      Ma come, non lo sai? Beatrice sta aspettando l’esibizione del suo ragazzo! – Disse ridendo Elena. La fulminai con lo sguardo.
-      Non è il mio ragazzo… rimango a vedere lo spettacolo solo per Leo e Daniele; non di certo per Andrea!
Guardai il palco infastidita, perché mi accorsi del sorrisetto insistente della mia amica. E finalmente, dopo pochi secondi, lo show ebbe inizio.
Era una parodia dell’Inferno della Divina Commedia, ed anche se quella storia non mi è mai piaciuta, lo spettacolo era, tutto sommato, divertente, o almeno mi attirava.
In scena c’era Andrea, quello che Elena aveva soprannominato come mio ragazzo, ed altri due, di cui non sapevo i nomi; li conoscevo di vista, però. Erano bravi a recitare, soprattutto quei due, che interpretavano lo stesso Dante e Virgilio.
-      Chi stai guardando? Giuseppe? – Mi chiese Elena con una faccia un po’ delusa. Non mi ero accorta che Andrea era uscito da scena.
-      E chi è Giuseppe, scusa?
-      Quello lì, se non sbaglio: quello che interpreta Virgilio!
Me lo squadrai per bene: un ragazzo sui 17-18 anni, moretto, bravo a recitare. Ma non lo conoscevo. Io non sapevo chi fosse.
-      Sinceramente no; stavo guardando Andrea, ma ero sovrappensiero, si vede, e lo sguardo m’è finito su di lui.
Dopo circa un’oretta e mezza i miei genitori mi vennero a prendere, e me ne andai; con un dubbio, certo: stavo davvero guardando quel ragazzo, Giuseppe?

 
8 agosto 2012 – ore 15:50

Il viaggio stava per terminare, ed io ero presa dall’ansia. Se non gli fossi piaciuta? Non ci avevo pensato troppo quando ho avuto l’idea di uscire con lui.
Le lenti a contatto non mi davano fastidio, ed i capelli li ho lasciati, per il momento, legati: fa caldo, ed essendo lunghi me ne causavano ancora di più. Cliccai sull’ultima canzone che avrei ascoltato prima di incontrarlo. Era una canzone d’amore, ma le parole mi scivolarono via, ormai troppo presa da quel pensiero fisso.
Mancava una fermata, e non sapevo nemmeno cosa fare come prima cosa. Salutarlo? Sorridergli? Abbracciarlo? Cosa, mi chiedevo. Mi guardavo in continuazione le unghie, e le mani; stavo sentendo caldo, e questa cosa mi ha sempre irritata, perché ho sempre paura di sudare.
Alzai lo sguardo sul finestrino: ormai ero arrivata. Mi misi in piedi ed arrivai in pochi passi alla porta. Mi guardai i piedi: i lacci delle scarpe da ginnastica, anche loro, erano a posto. Bene. Si aprirono le porte, e scesi, chiudendo per un attimo gli occhi: avevo paura di trovarlo in fermata. Ed invece ancora nulla.
Dal trenino, oltre a me, scese solo un uomo sulla quarantina che mi guardava insistentemente già da un po’; ma non gli feci molto caso. Tanto lui avrebbe, in seguito, girato a destra ed io a sinistra. Spensi l’iPod, me lo misi in una tasca dei pantaloni blu ed attraversai; arrivata all’altro lato della strada, camminai dritta, sempre dritta. Mi guardai dietro solo una volta, nella speranza di vederlo: anche stavolta non lo vidi. Però c’era qualcuno dietro a me: una donna, due ragazzi e probabilmente qualche altro essere vivente. Ma io non aspettavo loro, ma solo e soltanto lui.
Misi le mani in tasca, e cercai di distrarmi, anche se penso tutt’ora che sarebbe stato impossibile a prescindere. L’entrata del parco era lì, a 50 metri da me; ma camminavo lentamente. Non riuscivo ad essere spedita come sono sempre stata, perché sapere che l’avrei incontrato, finalmente, mi suscitava imbarazzo, ansia ed anche gioia.
Difronte all’entrata c’era la fermata dell’autobus che percorre la stessa strada del trenino. Sinceramente sperai con tutta me stessa che stesse lì, che stesse per scendere, e per entrare con me. Quando l’auto arrivò alla fermata, mi bloccai sul posto, con il fiato sospeso. Scese della gente, ma, ancora una volta, non c’era. Guardai l’ora sul cellulare: 15:57. Forse sarebbe arrivato tardi.
Mi girai, ed entrai. Salii quei 5 scalini e finalmente potei camminare per il parco, quello difronte la nostra scuola. Mi piaceva quella sua atmosfera; faceva caldo, è vero, ma era di mio gradimento. Arrivai alla prima panchina, lungo il percorso segnato con una stradicciola bianca, esattamente dove c’eravamo dati appuntamento. Difronte, un po’ lontani, c’erano un uomo ed una donna stesi sul prato; perciò decisi di cambiare luogo.
Ripresi il cellulare in mano, e mi resi conto che era l’ora. Mi guardai attorno, e vidi lo stesso albero che, con la sua ombra, aveva ospitato me e Andrea tre mesi prima. Andarci o no? Non sentivo dei passi vicino a me, perciò avevo ancora un po’ di tempo per decidere dove posizionarmi. Per ora, pensai, vado lì.
Sinceramente non ricordo che albero fosse, e non mi è mai interessato. Si stava al fresco, però, e questo era ciò che contava alla fine. Due minuti di ritardo, mi dissi. Il primo che sarebbe arrivato al parco avrebbe dovuto fare due squilli al cellulare dell’altro, per informarlo di essere arrivato. Non avevo nessuna chiamata persa, quindi ero arrivata prima io. Bene.
Aperta la rubrica, cercai il suo nome tra quello di tutti gli altri; ma per un attimo alzai lo sguardo, e sì, lo vidi. Era appena entrato nel parco, e si dirigeva verso la fontanella difronte l’entrata. Col cellulare nella mano tremolante, non sapevo che fare: chiamarlo, o andargli incontro?
In quel momento il telefono vibrò, e mentalmente gioii. E mentre mi faceva quei due squilli, lo vidi che si metteva all’orecchio il telefono. È davvero un bel ragazzo, non c’è che dire, pensai sorridendo. I miei piedi si mossero per me, facendomi camminare nella sua direzione. Avevo gli occhi puntati sul cellulare, forse attendevo un altro squillo o di vedere quanti altri minuti avrei dovuto aspettare prima di poter stare tra le sue braccia.
 
25 luglio 2012 – ore 16:42

-      Posso accendere il condizionatore? – Urlai da una stanza all’altra.
-      Ok, ok. Tanto io ora esco. Fa’ la brava, e controlla tuo fratello!
-      Va bene! Ciao mamma, a dopo!
Presi al volo il portatile ed il telecomando del condizionatore, non appena sentii la porta chiudersi alle spalle di mia madre. Stavo ancora in pigiama, anche se era ormai pomeriggio. La noia mi assaliva in quelle giornate. Diciamo che non ho mai amato in particolar modo l’estate, ecco tutto. Accesi il condizionatore, e poggiai sul letto il pc attaccandolo alla presa della corrente.
Andai subito su facebook, e aprii la pagina di EFP per controllare le recensioni ricevute e leggere le storie delle mie amiche. Come sempre su fb non c’era nessuno, se non 50 persone. Non sapendo che fare, cominciai a chattare con una mia vecchia amica parlando del più e del meno. Poi mi arrivò un messaggio da un ragazzo, di nome Giuseppe. Mi aveva scritto “ciao”, ed io rimasi un attimo immobile: lo conoscevo oppure no?
Gli risposi, ed iniziammo a parlare. Scoprii che era il ragazzo che aveva interpretato, pochi mesi prima, Virgilio. Sì, era proprio lui. E quando ci ripensai, mi resi conto che a scuola mi ci ero imbattuta più e più volte, senza mai parlarci. Per i corridoi, durante l’intervallo, l’avrò incrociato almeno un centinaio di volte, anche se stavamo a piani diversi.
La conversazione si dilungò un paio d’orette, finché non mi disse che doveva uscire con degli amici. Mi salutò con un “ci sentiamo domani, ciao”. Ci riflettei: voleva sentirmi, di nuovo. Non me l’aspettavo, devo essere sincera; perché lui era più grande di me e perché non mi conosceva, in fondo. Ma parlammo, anche nei giorni seguenti, come se fossimo amici di vecchia data.
Non so bene se da lì che partì tutto: cominciai a provare qualcosa per quel ragazzo. L’avevo visto, e conosceva mia cugina. Era un bravo ragazzo, lo sapevo benissimo. Mi piaceva poterci chiacchierare anche per ore ed ore tutti i giorni, e non ne passò uno solo senza che ci sentissimo. Facemmo anche una scommessa, e, se avessi vinto io, mi avrebbe dovuta baciare. Avevo intenzione di vincere, l’ammetto: io non ho mai perso una sfida.
 
8 agosto 2012 – ore 16:05

Facevo dei passi, ma solo perché le mie gambe avevano deciso di muoversi. Fosse stato per me, sarei rimasta inchiodata sotto quell’albero come un’idiota. Ed invece camminavo, consapevole però che anche lui stava venendo nella mia direzione, probabilmente con la testa china sul telefono. Nel momento in cui le sue gambe entrarono nella mia visuale, capii che era il momento di alzare gli occhi e di farmi vedere in faccia.
Dal vivo era davvero un’altra cosa: talmente meraviglioso! Mi sorrise ed allargò le braccia. – Finalmente ci siamo incontrati!
Mi buttai tra le sue braccia, e ricambiò l’abbraccio; quando mi allontani quel tanto che bastava per essere fronte contro fronte. Continuava a sorridermi, ed io non sapevo cosa dirgli. Abbassai lo sguardo.
-      Avevo ragione: i tuoi occhi sono splendidi!
Non ricordo se risposi con un ‘grazie’ o la baciai subito; ma sta di fatto che dopo neanche 10 secondi avvicinammo le nostre labbra, e ci baciammo. Era semplice quel nostro primo bacio, appena uno sfiorarsi di labbra. Ce le aveva così morbide da far venire voglia di morderle.
Finito il bacio, lo riabbracciai, e quando provò a dirmi di cercare un posto più al fresco, gli rimasi attaccata: era lui, era con me, e lo potevo finalmente abbracciare. Rise quando capì che non mi sarei staccata finché non avrei cominciato a sudare; ma non m’importava.
Dopo mi portò fino ad una panchina all’ombra, e mi fece sedere come ogni gentiluomo saprebbe fare. Non riuscivo a guardarlo in faccia, sinceramente, dopo quello che era successo: se mi avesse rifiutata? Non l’avrei sopportato, no.
Ero tesa, e forse se n’era pure accorto. Guardavo il cielo azzurro, ed udivo il fastidioso rumore emesso dalle cicale. Una volta Andrea mi disse: - Ho capito il tuo giochetto: guardi il cielo o comunque l’orizzonte quando sei in imbarazzo con un ragazzo!
Purtroppo mi aveva scoperta; perciò, visto che ci tenevo a conquistare Giuseppe, decisi di farmi forza e coraggio, domandandogli una cosa.
-      Ma ora cosa siamo? Fidanzati, o stiamo semplicemente in tresca? – Ancora non lo guardavo ma il mio sguardo era passato altrove.
Non rispose subito, e ciò mi fece preoccupare giusto un po’.
Poi con  disinvoltura affermò: - Stiamo insieme, siamo fidanzati.
Feci un sorriso a 32 denti, mi voltai verso di lui e lo abbracciai come non avevo mai fatto con altri. Mi sentivo protetta, una bambina quasi. Parlammo ore ed ore, e ogni tanto mi diceva che gli piacevo e che mi voleva bene. Si stava affezionando a me, e non da quel giorno, ma da settimane prima.
È stata la migliore giornata della mia vita. La cosa che più mi fece piacere è che con lui potevo essere me stessa. Accettava i miei difetti.
I suoi occhi che adoro tutt’ora, quegli occhi così scuri, mi facevano sognare, mi piacevano. Potevo affogarci senza problemi, anche se so nuotare. Il suo sguardo era così intenso quando mi guardava, che io non potevo che avere gli occhi a cuoricino.
Il suo sorriso? Oh bhè… stavo per svenire. Sentivo le campane suonare ogni volta che me ne dedicava uno; sarà che faceva caldo.
Lo presi per mano ad un certo punto, e guardai bene.
-      Cosa c’è?
-      No, no, nulla… guardo quanto stiamo bene insieme.
-      Dici? – Sorrise.
-      Sì: le nostre mani sembrano perfette per stare così strette l’una all’altra – lo guardai negli occhi, e lui fece lo stesso. – Mi piacerebbe che tu venissi alla mia festa di compleanno.
-      Da-davvero? – Sembrava sorpreso. Era il mio ragazzo ora: certo che doveva venire!
-      Ovvio, tesoro – girai la testa e feci tornare lo sguardo al cielo azzurro, e agli alberi in lontananza. – Sei il mio ragazzo, hai detto, no? Sei mio…
In quel momento amavo il cielo. Avevo aspettato da tanto quel momento: poter affermare di stare così bene con un ragazzo che non mi prendesse in giro. Lui non mi mentiva, lo sapevo benissimo. Mi fidavo di lui ciecamente.
I miei pensieri furono interrotti da un suo bacio all’improvviso, dopo avermi preso per il mento.
Ripeto: è stata la miglior giornata della mia vita.
 
20 giugno 2048 – ore 16:30

Quanto amo quest’odore. La natura ha un’essenza propria, che mai nessuno riuscirà a ricreare per venderla sotto forma di formidabile profumo. Questa è vita…
-      Nonna! – Questa voce mi fa risvegliare dai miei pensieri senza senso.
-      Amore, dimmi – le risposi.
-      Mi dai l’acqua? – Me lo chiede con la sua vocetta squillante, e con qualche parola mangiata. Quella ragazzina, anche se ha solo 3 anni, è fin troppo sveglia per la sua età.
Quando finisce di bere, scappa di nuovo via a giocare con suo padre, e sua madre. Vicino ci sono anche le sue zie e mio marito. Stanno giocando con la bambina nel giardino, ed io li guardo da sotto la veranda di casa.
Sono passati anni, ed io sono diventata prima mamma, e poi nonna. I miei tre figli, Domenico, Erica e Ginevra, sono ormai tutti adulti. Domenico è il più grande: a 21 anni è diventato padre di quella bambina di prima. È identico in tutto e per tutto a mio marito: sia gli occhi scuri che la carnagione mulatta. Le altre due sono gemelle, identiche in tutto se non per gli occhi: Erica ce li ha quasi neri, mentre Ginevra verdi. La prima frequenta la facoltà di medicina, l’altra giurisprudenza. Hanno 22 anni, e quella dagli occhi scuri è incinta di 6 mesi: aspetta una maschietto.
È così bello vedere la gioia nei loro occhi, e che si divertono da matti come quando erano ragazzini della stessa età di mia nipote. Mi sembra di tornare indietro negli anni, di poter rivivere anch’io la mia infanzia.
Mentre sorseggio il mio thè alla pesca, vedo avvicinarsi mio marito raggiante. Sale gli scalini davanti la veranda con una certa abilità, e si siede accanto a me.
-      Amore, quando vieni anche tu a giocare con noi?
-      Lo sai che non ne ho molta voglia… e poi fa caldo!
-      E che c’entra?! – Mi chiede rizzandosi sulla sedia.
-      Se fa caldo poi sudo, cosa che detesto fin da quando ero bambina. Non insistere – Bevo l’ultimo goccio di thè nella tazzina di porcellana.
-      Ok, come vuoi, amore. – Non lo guardo, perché so che sta facendo la stessa faccia da cucciolo di anni prima. Vedendo che non funziona più, si alza e sbuffa. Sorrido.
Va alle mie spalle, e si avvicina con la bocca al mio orecchio. Quanto amo quando fa così.
-      Mi pare che non sentivi troppo caldo quando mi hai abbracciato 15 anni fa nel parco la prima volta, o sbaglio?
-      Ehm… - non pensavo che se lo ricordasse.
Respira sul mio collo, come faceva da adolescente. – Dai, finiscila – lo supplico io.
-      Quanto mi ami?
Questa domanda mi lascia spiazzata, e rifletto un po’.
Oggi festeggiamo il nostro 25° anniversario di matrimonio, e ammetto che ne abbiamo passate tante insieme. Prima, anni fa, mi piaceva solo, avevo solo una cotta per lui; ma poi tutto è cambiato, e me ne sono innamorata follemente. La mia vita non sarebbe la stessa senza lui. Perché lui è la ragione di ogni mio respiro, di ogni mia azione. Lui è qualcosa di meraviglioso che Dio mi ha voluto donare, forse non accorgendosi che non merito tutto questo. Sentire il suo cuore è bello, perché so che quel muscolo batte solo e soltanto per me. Sono sua, e lui è mio.
-      Ok, cambio domanda, va’ – dice prima che io risponda. – Cosa ci dicemmo 25 anni fa sull’altare? Lo ricordi?
Faccio finta di pensarci. Poi mi alzo, e metto le mani sulle sue spalle: - “Finché morte non ci separi…”.
Mi sorride soddisfatto, e mi dà un bacio a fior di labbra. – Ti amo, Giuseppe, e sempre lo farò. Questa è una promessa, la nostra promessa!
 
 
 

Spazio Autrice.

Sinceramente non penso di averla scritta in modo meraviglioso; ma il contenuto mi piace molto. Se fosse scritto in un altro modo, questo racconto lo amerei con tutta me stessa. Ma viene dal cuore, quindi l’accetterò così com’è. Spero davvero vi sia piaciuto. Ciao!
 
-Beatrice.

 
  
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