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Autore: allison742    26/01/2013    4 recensioni
Tutti coloro che dimenticano il loro passato sono condannati a riviverlo.
27/01 Giornata della Memoria, per non dimenticare.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Arbeit Macht Frei.
Una frase, tre parole, quindici lettere, un significato: orrore.
Non riesco a muovere nessun muscolo, le palpebre non sbattono più.
Come faccio ad entrare?
Come posso anche solo muovere un passo su quel terreno?
Terreno di morte, di distruzione, di una civiltà sviscerata.
Carolina mi prende per un braccio e mi dice di indossare la sciarpa, fa freddo.
Io penso alle migliaia di persone che hanno attraversato questo cancello con solo una camicia e le mutande.
Riesco quasi a sentire le loro voci, gli urli disperati delle mamme che non trovano i loro figli.
Sposto gli occhi dalla scritta, guardo avanti.
Una serie di case di legno si stagliano di fronte a me.
Tutto quell’ordine mi da quasi fastidio. Un ordine in contrasto con le azioni crudeli che avvennero in quel posto.
Respiro l’aria rarefatta cercando di immaginare i sentimenti di chi, anni fa, ha attraversato questo cancello.
Non ci riesco. Non è possibile immaginare, bisogna provarlo.
Sistemo la sciarpa ed entro.
 
Dicono che quando le persone entrano ad Auschwitz non riescano a provare nessun sentimento in particolare. E’ così.
Ma non si tratta di mancanza di sensibilità o empatia.
Riguarda semplicemente il fatto che tutto ciò che è successo non riesce ad essere accettato dalla mente.
E’ una questione di funzionalità umana.
Perché nessuna persona sana riuscirebbe anche solo pensare alle orribili azioni commesse.
Ci fanno incamminare verso le fotografie, e qui comincio a metabolizzare.
Ora sì che si provano i sentimenti. Ora che ci siamo dentro riusciamo a sentirla, quella sensazione quasi di vergogna.
Vergogna perché a fare tutto ciò sono state delle persone come noi… ma come può un umano arrivare a tanto? C’è una sola risposta: non può.
Guardo le foto di tutte quelle persone ammassate brutalmente abbracciate tra di loro.
Appigliate con tutte le loro forze all’unica cosa che non gli è stata tolta, la speranza.
Guardo gli occhi di queste persone: occhi grigi, occhi spenti, occhi disperati, occhi pieni di lacrime, terrorizzati, sofferenti, in cerca di qualcuno o qualcosa, alzati al cielo, arrabbiati, abbattuti, rassegnati. E i miei, davanti a ciò, cadono.
 
Sono nei dormitori. Fa freddo, c’è silenzio, troppo silenzio.
La stanza comincia pian piano a riempirsi di bambini nudi e sporchi.
Appaiono come una visione ragazzine che li accarezzano e cercano di tranquillizzarli.
Sono piccoli ma sembra che abbiano vissuto una vita lunga ottant’anni.
Soffrono la fame; il minuscolo scheletro fasciato dalla pelle, come un telo giallo.
Il collo sottilissimo come quello di un fenicottero e le manine strette tra di loro.
No, non sono riusciti a toglierli tutto.
A questi bambini è rimasto l’amore e la speranza.
Nonostante la fame, nonostante l’aver visto i genitori morire davanti ai loro occhi, nonostante la stanchezza e i maltrattamenti si tengono per mano.
Ecco come riescono a sopravvivere in mezzo alla distruzione.
Hanno il potere più grande di tutti, l’amore.
Compare un soldato sulla porta e afferra una bimba per un braccio, strattonandola fuori.
Tutti sanno a cosa andrà incontro.
Le lacrime rigano i visi dei bimbi, seguendo i solchi delle ossa.
Si stringono ancor di più tra di loro.
Spunta da dietro un bambino che urla e piange, probabilmente il fratello.
Il soldato gli ordina di tacere.
Lui non obbedisce.
Il tedesco estrae la pistola e gli spara; poi all’improvviso la stanza torna vuota.
 
Sono in un piazzale che sembra non finire mai.
La terra rossa viene divisa in due dalle rotaie. Qui passavano i treni, qui si andava incontro alla morte.
Immagino le porte dei vagoni aprirsi e i prigionieri scendere in cerca di aria.
Vengono messi in fila dai soldati che li selezionano.
C’è il gruppo di chi non può essere utile in nessun modo nel campo, cosi vengono ordinati in dieci file.
Uno alla volta si fanno avanti e si sdraiano.
Un soldato cammina avanti e indietro sparando alla testa ognuno di loro.
I corpi vengono buttati nelle fosse comuni.
Arriva all’ultimo di quel turno quando finisce le pallottole.
Il ragazzo alza piano la testa, con la speranza di essere stato risparmiato.
Vede il soldato cambiare cartuccia e un’altra lacrima tocca il suolo.
- Ti prego… - mormora.
Il tedesco abbassa lo sguardo:
- Prega il tuo Dio di andare in paradiso, zoppo! – poi lo uccide.
No! Questa non è umanità!
Qui non c’è neanche un briciolo di ombra di una persona umana.
Questo è molto più di odio, questo è l’esempio più eclatante della distruzione dell’animo delle persone.
C’è chi ancora fatica a credere che tutto ciò sia successo.
Io non dubito di questo, io faccio fatica a credere che tutto ciò sia stato compiuto per mano di Uomini.
Come prima, la mente umana fatica ad accettarlo.
Ma forse non abbiamo bisogno di riuscire a comprendere tutto, forse ci basterebbe solo conoscere cosa è accaduto.
L’ha detto Primo Levi: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”.
Ma conoscere per assicurarsi che ciò non accadrà mai più.
Per questo è importante non dimenticare.
Perché secondo voi i sopravvissuti continuano a parlarle? Pensate che non soffrano a rivangare in quell’orrore in continuazione?
Lo fanno perché sono ancora più terrorizzati dal fatto che tutto ciò possa compiersi di nuovo.
Perché se una cosa è successa una volta, non c’è niente che impedisca una seconda o una terza… solo la memoria e la consapevolezza che tutti coloro che dimenticano il loro passato sono condannati a riviverlo.
D’altronde, anche Hitler ha detto: “Chi si ricorda più del massacro degli Armeni?”
 
Esco dal campo e vedo le piante circondate dal tramonto.
Uno spettacolo da lasciare senza parole.
Non ho mai visto nulla di più bello in vita mia.
Rimango incantata in questa sorta di favola e magia.
I miei occhi sono incatenati al cielo, e si rifiutano di guardare tutta quella fonte di orrore e sofferenza.
Mi chiedo se anche quelle persone si sono mai rese conto della bellezza di questo tramonto.
Mi domando se verso le sei hanno mai alzato gli occhi al cielo nella speranza che tutto ciò un giorno sarebbe finito.
Magari si aggrappavano con tutte le loro forze a questo spettacolo, così che potessero volare con la fantasia, come una farfalla.
Una farfalla libera nel cielo.
Uno spirito felice senza prigionieri ne morte.
Poi però riportavano lo sguardo in basso e si trovavano di fronte alla realtà.
Una realtà orribile e crudele, a cui nessuno merita di andare incontro.
Perché tra come dovrebbero andare le cose e come vanno realmente, c’è un profondo abisso di ingiustizia.
Riporto lo sguardo sul cancello per l’ultima volta, poi mi volto e me ne vado.
Ecco la differenza: io me ne vado, loro erano destinati a morire.
Auschwitz non si insegna.
Auschwitz non si impara.
Auschwitz si ascolta.










   
 
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