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Autore: Yuki Delleran    27/01/2013    1 recensioni
"«Quando soffia il Vento Fantasma è bene non uscire mai di casa. Non si sa cosa possa succedere. Si tratta di un particolare vento che soffia da sud in questo periodo dell’anno e trasporta con sé i primi pollini del Fiore di Luna. »"
[Gederbend solo nei personaggi secondari: fem!Prussia, fem!Italia, fem!Germania]
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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Titolo: Il Fiore di Luna e il Vento Fantasma
Fandom: Axis Powers Hetalia
Rating: verde
Personaggi: Arthur (Inghilterra), Alfred (America), Julchen (fem!Prussia), comparse: Alice (fem!Italia), Luise (fem!Germania), Feliciano (Italia)
Pairings: America/Inghilterra
Riassunto: "«Quando soffia il Vento Fantasma è bene non uscire mai di casa. Non si sa cosa possa succedere. Si tratta di un particolare vento che soffia da sud in questo periodo dell’anno e trasporta con sé i primi pollini del Fiore di Luna. »"
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
Note: Fantasy!verse ambientato in un futuro di stampo medievale/magico dove Arthur è un mago appartenente ad un gruppo di ribelli e Alfred fa parte di una sorta di "prescelti" ibernati ai giorni nostri e risvegliatisi nel futuro dopo una catastrofe che ha scovolto il pianeta. L'idea del Vento Fantasma viene dai romanzi di Darkover di Marion Zimmer Bradley, chi li ha letti sa di certo di cosa parlo. Inoltre buona parte dell'ispirazione è arrivata da questa immagine.
Beta:  MystOfTheStars
Word count: 4029 (fdp)

La sera era già calata da qualche ora e fuori dalla sala comune del villaggio ululava un vento minaccioso e inquietante. Il fuoco scoppiettava nell’ampio camino proiettando ombre aranciate sulle pareti ma non riuscendo a riscaldare completamente l’intero ambiente. Vicino erano radunate le sei persone presenti, nella speranza di poter catturare un po’ di calore mentre ascoltavano le parole di uno di loro.
«Quando soffia il Vento Fantasma, » stava dicendo Arthur. «È bene non uscire mai di casa. Non si sa cosa possa succedere. Si tratta di un particolare vento che soffia da sud in questo periodo dell’anno e trasporta con sé i primi pollini del Fiore di Luna. »
«E che cos’è il Fiore di Luna? »
La voce curiosa che lo interruppe gli fece esalare l’ennesimo sospiro di esasperazione: a volte aveva davvero l’impressione di parlare a dei bambini. Se il capo villaggio non gli avesse esplicitamente chiesto di tenere lezioni sulle loro usanze agli stranieri da poco giunti a Woundtia, non si sarebbe mai nemmeno sognato di intraprendere tutta quella pagliacciata. Non era neanche del tutto sicuro che i suoi “studenti” fossero davvero chi dicevano di essere. Del resto era complicato credere che quegli squinternati fossero davvero gli eroi di cui parlavano le leggende di tutto il Paese. Arthur le conosceva a memoria, avendole studiate durante il suo apprendistato da mago, ma si era sempre figurato i Prescelti come degli antichi guerrieri. Quelli che si erano trovati davanti invece erano un imbranato mangiatore di pasta, la sua degna sorella cuoca… e Alfred. Tra tutti, quest’ultimo era quello che più si avvicinava all’idea originaria di Arthur, dopotutto aveva detto di essere stato un soldato nella sua epoca, se non fosse stato per la spaventosa ingenuità di certi suoi ragionamenti. A parte questo però non aveva di che lamentarsi per il fatto che la sorte glielo avesse fatto incontrare, alle due sorelle Luise e Julchen era andata peggio visto che ora si trovavano a fare da balia a due individui dalla dubbia utilità e senza spina dorsale. Senza contare che Alfred era… sì, insomma, aveva… beh, un discreto fascino.
«Il Fiore di Luna è una rara pianta che fiorisce all’inizio della primavera. » spiegò Arthur sforzandosi di non mostrarsi troppo seccato per l’ennesima interruzione. «Cresce solo allo stato selvatico, ogni tentativo di coltivazione è fallito, ed è un gran peccato perché ogni sua parte ha diverse proprietà medicinali. Però, come dicevo, il suo polline portato dal vento può essere pericoloso, toglie ogni freno inibitore e porta a compiere ogni genere di azione scellerata. »
Con suo immenso disappunto sentì Julchen ridacchiare in risposta a quella spiegazione, mentre la sorella Luise l’ammoniva con un’occhiataccia.
«I bambini nati fuori dal matrimonio vengono chiamati “figli della Luna” e si dice che siano stati concepiti sotto l’influsso del polline! » esclamò l’albina. «Bella scusa!»
«Non è solo questo, il problema. » continuò Luise, l’espressione che mostrava chiaramente quanto disapprovasse l’ironia della sorella davanti ai tre stranieri. «Si sono verificati anche diversi episodi di violenza ingiustificata da parte di chi aveva respirato quel polline. È molto più grave scoprire di essere un assassino che di aver messo al mondo una nuova vita. »
Arthur annuì per l’assennatezza di quelle parole.
«Quindi, in conclusione, quando soffia il Vento Fantasma non uscite per nessun motivo. » terminò, sperando di essere stato sufficientemente chiaro.
Al termine della “lezione” Alice e Feliciano lasciarono la sala comune al seguito rispettivamente di Julchen e Luise, e dalle loro espressioni era abbastanza certo che gli avrebbero dato ascolto.
Chi lo preoccupava era Alfred.
Una volta rimasti soli, il giovane guerriero lo invitò a raggiungerlo accanto al fuoco e quando si sedette gli circondò le spalle con un braccio, attirandoselo vicino. Arthur non era ancora del tutto abituato a quell’atteggiamento espansivo ed era grato ad Alfred di mostrarlo solo quando non c’erano altri testimoni. Dopotutto era stato complicato per lui accettare il fatto di provare qualcosa per quello straniero confusionario. Arthur era sempre stato solo, sia durante la sua infanzia, quando per i genitori rappresentava solo uno strumento per cercare vantaggiose alleanze, sia quando era andato contro il parere della famiglia ed aveva abbandonato la casata per dedicarsi alla sua vocazione e allo studio della magia. Dopo lo scoppio della ribellione quella situazione era, se possibile, addirittura peggiorata, visto il ruolo di spia dei ribelli che si era ritrovato a ricoprire quasi suo malgrado. A causa di quel compito infelice non godeva della fiducia di nessuna delle due fazioni e l’unica compagnia che gli era rimasta era quella del suo famiglio Mint, uno spirito dell’aria dalle sembianze di coniglio verde alato. Questo almeno finché un giovanotto bizzarro, che sosteneva di provenire da un’epoca remota, non era piombato nella sua vita, tra l’altro pretendendo di salvarlo da una bestia della foresta e finendo per costringere Arthur ad usare i suoi poteri per mettere in salvo entrambi. Era stato un incontro-scontro ma, più si occupava di lui, più Arthur capiva che Alfred non era altro che quella metà che gli era sempre mancata. Certo, era arduo ammetterlo a sé stesso, ancora più arduo considerando che si trattava di un uomo, praticamente impossibile rivelarlo all’interessato, ma… era la verità.
Aveva quindi abbassato la guardia, morbidamente appoggiato alla spalla di Alfred, quando giunse la domanda.
«Dunque, se non ho capito male, questo Fiore di Luna è qualcosa che tutti i maghi desidererebbero?»
«In effetti sì. » rispose Arthur con un sospiro. «Ha tantissime proprietà per essere impiegato sia in medicina che in campo magico. Credo sia un po’ il sogno nel cassetto di ogni studioso. »
«Quindi anche il tuo? » chiese ancora Alfred accarezzandogli i capelli in un modo che, ahilui, lo faceva sempre rilassare troppo.
«Non lo nego. Alfred… hai capito bene quello che ho spiegato poco fa? »
«Ma certo, certo, non sono uno stupido! »
E su quell’esclamazione allegra, che a suo modo voleva essere rassicurante, la discussione sul fantomatico Fiore di Luna per quella volta si chiuse.

L’occasione per risollevare l’argomento capitò poche settimane più tardi. L’aria si era notevolmente riscaldata, segno che la primavera era imminente, i prati e la foresta che circondavano il villaggio erano tornati a verdeggiare. Arthur, dalla piccola finestra della propria capanna sopraelevata, fissava le cime degli alberi. Il vento aveva imperversato per tutta la notte e ora il silenzio regnava sulla Foresta delle Ombre. La sera prima il giovane mago aveva fatto appena in tempo a raggiungere il villaggio prima che la campana d’allarme imponesse a tutti di non lasciare le proprie abitazioni, accadeva così ogni volta che soffiava il Vento Fantasma e fino a cessato pericolo era vietato qualsiasi spostamento. Per questo motivo Arthur non aveva ancora incontrato né il capo villaggio a cui aveva delle notizie da riferire, né nessuno dei compagni. Si lasciò sfuggire uno sbadiglio e stava per rientrare a prepararsi quando un grido improvviso lacerò l’aria silenziosa, facendolo sobbalzare. Impiegò alcuni istanti per realizzare che le esclamazioni che ne seguirono appartenevano a Julchen e Alice, rispettivamente di rabbia e di paura. Il fatto che fossero anche corredate da un chiaro clangore di armi allarmò Arthur a tal punto da indurlo ad uscire in camicia, così com’era, e a precipitarsi verso la piazzetta del villaggio.
Quello che vide lo lasciò basito: Julchen stava combattendo a colpi di spada nientemeno che con Alfred, che brandiva a sua volta un lungo pugnale da caccia. In un angolo Alice li osservava atterrita, premendosi le mani sulla bocca per non urlare e rabbrividendo ad ogni colpo sferrato. A giudicare dall’atmosfera non si trattava affatto di un semplice allenamento mattutino.
«Che diavolo sta succedendo?! » esclamò Arthur rivolto alla giovane straniera.
Aveva un pessimo presentimento (oltre che una discreta ansia nel vedere Julchen che attaccava Alfred così seriamente).
«Non lo so! » rispose Alice terrorizzata. «Eravamo appena uscite per fare un po’ di esercizio quando abbiamo visto Alfred venirci incontro e attaccarci. Non l’ho mai visto in questo stato! Arthur, cosa può essergli successo? »
Le tremava la voce e il mago provò compassione per lei: quella ragazza non era fatta per vivere tra continue battaglie, sarebbe stata molto più felice se non avesse conosciuto la realtà della ribellione. In ogni caso il problema più urgente era un altro.
«Ehi, voi due, fatela finita! » provò a richiamare i contendenti. «Avete intenzione di svegliare tutto il villaggio?! »
Julchen si voltò brevemente verso di lui, rivolgendogli una smorfia prima di parare un fendente che mirava alla sua gola. Era una fortuna che fosse avvantaggiata dalla lunghezza della propria lama.
«Dillo al tuo amichetto, qui! » sbottò. «Dev’essergli dato di volta il cervello! »
Quelle parole fecero scattare qualcosa nella mente di Arthur: quella notte aveva soffiato il Vento Fantasma e ora Alfred era in quello stato…
«Alfred! Sei uscito stanotte? » esclamò avvicinandosi, nella speranza che la propria presenza servisse a calmare l’americano. «Ti avevo detto chiaramente di non farlo! »
Per tutta risposta quello distolse la propria attenzione da Julchen e la rivolse, insieme alla propria lama, verso di lui. Arthur fece un passo indietro, turbato: la luce che vedeva negli occhi del giovane era completamente diversa da quella che aveva imparato a conoscere, sapeva di follia e di intenti omicidi.
«Taci! » gli ringhiò contro. «I nemici degli Stati Uniti d’America devono essere distrutti! »
Senza dare il tempo né ad Arthur di lanciare un incantesimo protettivo, né a Julchen di intervenire, si lanciò in avanti brandendo il coltello. Uno scarto improvviso impedì al mago di restare ferito gravemente, ma la stoffa della camicia si lacerò ugualmente all’altezza del petto, imbrattandosi ben presto di sangue.
Arthur rimase per un attimo immobile ad osservare la macchia che si allargava. Non poteva essere lo stesso Alfred, non quello che aveva affrontato un mostro ridendo, che aveva illuminato le sue giornate facendo a poco a poco breccia nel suo cuore, che a volte sapeva mostrare, dietro quel sorriso, un’inaspettata sensibilità. Quell’Alfred non gli avrebbe mai fatto del male.
«Arthur! »
La voce sferzante di Julchen lo riscosse, mentre la ragazza lo spintonava bruscamente di lato.
«Datti una svegliata! Se il tuo amichetto dovesse fare del male ad Alice, non ti perdonerò! »
Le lame s’incrociarono di nuovo e l’albina fece in modo di allontanare il più possibile l’aggressore dalla giovane straniera, che nel frattempo continuava a fissarli terrorizzata.
Arthur non riusciva a pensare: l’idea di usare la magia contro Alfred lo ripugnava ma, allo stesso tempo, non riusciva a vedere nessun’altra possibile soluzione. Se non l’avesse fermato in qualche modo avrebbe finito per fare del male a Julchen e dopo di lei ad altri innocenti. Se la situazione era quella che era, la responsabilità era solo sua quindi era bene che vi ponesse rimedio al più presto.
«Jul, appena puoi, spostati! » esclamò, poi accostò le mani tra loro ed iniziò a pronunciare la formula di un incantesimo.
Avrebbe potuto stordire Alfred e lasciare che trascorresse privo di sensi il tempo necessario a smaltire gli effetti del polline, ma non voleva colpirlo, voleva che la magia avesse meno ripercussioni possibili su di lui.
Quando la formula fu completa, attese solo il momento in cui Julchen fosse stata fuori portata e aprì le mani, liberando i raggi dorati finora trattenuti tra le dita. Questi si avvolsero attorno al corpo di Alfred come se fossero stati delle strette funi, immobilizzandolo e strappandogli un ringhio rabbioso.
«Come osi farmi questo?! » gli gridò contro. «I nemici degli Stati Uniti sono i nemici della libertà e come tali meritano di pagare con la morte! »
Arthur era sotto shock: ritrovare la persona a lui tanto cara in quel folle esaltato gli era impossibile e sentiva il petto dolere come colpito da una stilettata ad ogni parola che gli veniva scagliata contro. Fu proprio per questo che, alla fine, compì a sua volta un gesto del tutto insensato e, scansando Julchen, gli gettò le braccia al collo.
«Tranquillo. Stai tranquillo, Al, va tutto bene. » mormorò al suo orecchio con voce leggermente tremante.
Per tutta risposta Alfred riuscì a muovere il polso a sufficienza per sollevare ancora la lama del coltello e avrebbe rischiato di ferire di nuovo Arthur se Julchen non gli fosse arrivata alle spalle e non lo avesse stordito con un colpo alla nuca ben assestato. Il giovane guerriero crollò tra le braccia del mago che, senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò seduto nella polvere.
«Alfred! » esclamò allarmato, prima di capire che aveva solo perso i sensi.
«Non mi ringraziare. » sentì pavoneggiarsi Julchen. «Ti ho solo salvato la vita, niente di speciale. »
Già, probabilmente gli aveva salvato la vita sul serio e, solo ora che la tensione era bruscamente calata, Arthur si rese conto di quanto impulsivo e irrazionale fosse stato. Aveva perso tempo preoccupandosi di non fare del male ad Alfred, senza capire che in quel momento la priorità era la sicurezza degli abitanti del villaggio. Era stato accecato da un sentimento della cui entità non era a conoscenza nemmeno lui e la cosa lo turbava.
Impiegò alcuni istanti a recuperare sufficiente padronanza di sé per rendersi conto che attorno a loro si era radunata una piccola folla e che Julchen non lo stava più calcolando, maggiormente interessata a rassicurare Alice sullo scampato pericolo. Fu Luise a farsi avanti per prima, lasciando Feliciano con le due ragazze.
«Arthur, non credo sia il caso di rimanere qui in mezzo alla strada. » disse con un tono bonario che raramente il mago le aveva sentito utilizzare.
E doveva convenire che aveva ragione, solo non riusciva a risolversi ad alzarsi, non se significava allontanarsi ad Alfred. Tuttavia non fu necessario decidere visto che ci pensò la stessa Luise a scegliere la soluzione ottimale.
«Julchen! » esclamò richiamando all’ordine la sorella e praticamente sottraendola a forza alle braccia di Alice. «Aiutami a trasportare Alfred fino all’alloggio di Arthur. Ha bisogno di cure e chi meglio del nostro mago può fornirgliele? »
L’albina sbuffò per sottolineare il proprio scetticismo, ma alla fine si risolse ad aiutare la sorella e ad Arthur non rimase altro da fare che seguire le due ragazze e osservarle mentre issavano, non senza un certo sforzo, il corpo dello straniero fino al suo alloggio sull’albero. Se fosse stato più lucido di certo avrebbe usato un incantesimo per facilitare loro il lavoro, ma nello stato in cui si trovava era già tanto se riusciva a seguirle in silenzio. Dopo che ebbero depositato Alfred nel suo letto, prese una sedia e si sistemò al suo fianco, pronto a vegliarlo.
«Per smaltire gli effetti del Vento Fantasma ci vorrà un po’ di tempo. » disse tentando di recuperare un contegno dignitoso. «Me ne occuperò io. »
«Oh, certo! » celiò Julchen con espressione maliziosa. «Allora noi andiamo e ti lasciamo alle tue dolci incombenze. »
Arthur arrossì leggermente ma Luise non gli diede il tempo di rispondere, sollecitando la sorella a seguirla.
«Andiamo, Jul, non abbiamo tempo da perdere. Gli scarafaggi giganti hanno danneggiato la palizzata del confine nord, come ogni volta. Dobbiamo ripararla prima che ne tornino altri. »
Arthur le fu grato, soprattutto perché l’altra ragazza la seguì senza aggiungere altro, come se la prospettiva di incontrare degli scarafaggi giganti della Foresta delle Ombre fosse più interessante che prenderlo in giro.
Rimasto solo, il mago accostò le rudimentali persiane e tirò le tende, prima di recuperare il proprio posto sulla sedia accanto al letto. Anche alla debole luce che filtrava dalla finestra, Alfred sembrava più pallido del solito, adagiato sulle lenzuola. Non appariva affatto come una situazione adatta a lui, che anche nel sonno spesso si agitava. Vederlo così innaturalmente immobile lo preoccupava e si chiedeva se stesse soffrendo. Di certo il suo fisico stava combattendo contro gli effetti negativi del polline del Fiore di Luna e Arthur si sentiva impotente nella consapevolezza di non poter fare nulla per aiutarlo.
In un gesto istintivo, si chinò in avanti e gli prese una mano quasi stupendosi di trovarla tiepida e non fredda come si aspettava. Se la portò alle labbra e rimase in quella posizione per un po’, socchiudendo gli occhi.
«Ma quanto sei stupido? » iniziò a mormorare dopo alcuni istanti. «Ti avevo detto chiaramente che uscire con il Vento Fantasma è pericoloso, perché fai sempre di testa tua? »
Sospirò. Non sapeva se stava parlando ad Alfred o semplicemente al nulla, ma in ogni caso non aveva importanza.
«Dovrei picchiarti per questo, anzi, quando ti sveglierai lo farò. Mettere in pericolo te stesso e tutti gli altri per un motivo tanto stupido! Credi che non l’abbia capito? Io non merito così tanto. »
La ferita riportata poco prima bruciava e il sangue gli macchiava ancora i vestiti, ma non era per il dolore che Arthur si sentiva salire le lacrime agli occhi. Quello compiuto da Alfred era stato un gesto folle e avrebbe voluto attribuirne l’origine solo all’incoscienza del giovane, ma nel profondo del cuore sapeva che non era così. Alfred lo aveva fatto perché lui aveva detto di desiderare quel fiore, lo aveva fatto per lui, ed era la prima volta nella sua vita solitaria che riceveva un gesto del genere. Sarebbe stato facile dare tutta la colpa allo straniero ma la verità era che la responsabilità era interamente sua. Avrebbe dovuto prevederlo ma era stato incapace di farlo, paralizzato dall’impossibilità di credere in un sentimento così grande da spingerlo a tanto.
Ed ora si trovava lì, a stringere una mano tiepida, lacerato tra il rendere grazie e il chiedere scusa, terrorizzato all’idea di quanto avrebbe potuto perdere se le cose fossero andate anche solo un poco diversamente. Alla fine le uniche parole che uscirono dalle sue labbra furono: «Ti amo…»

Quando Alfred aprì gli occhi, non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato, né dove si trovasse o cosa fosse successo esattamente. La persistente penombra della stanza gli impediva anche di capire che ora del giorno fosse. Sentiva il corpo pesante e la mente intorpidita, quindi impiegò alcuni minuti a riprendere lucidità e gliene occorsero ancora un paio per rendersi conto che Arthur dormiva con la testa appoggiata alle braccia incrociate sul materasso. Sul comodino riposavano una teiera e una tazza di infuso ormai vuota. Lentamente alcune immagini nella sua testa cominciarono a prendere forma, parti di un puzzle che dubitava di riuscire a ricostruire completamente. Ricordava le parole di Arthur su quel fiore particolare, sulla pericolosità del suo polline e sulle sue proprietà, ma più di ogni altra cosa ricordava la luce nei suoi occhi mentre ne parlava e il desiderio di vederla accendersi ancora, per lui. Quello che era accaduto in seguito era avvolto nella nebbia.
Si portò una mano alla fronte e si stropicciò gli occhi, nel tentativo di schiarirsi le idee, ma bastò quel semplice gesto per destare Arthur accanto a lui.
«Alfred! » esclamò il mago alzando di scatto la testa, la vista ancora appannata dal sonno. « Sei sveglio? Come ti senti? Stai bene? »
L’americano lo fissò per un attimo, stupito da quell’agitazione, poi le sue labbra si distesero in un sorriso.
«Sto benone, sono solo un po’ confuso, ma…»
La sua espressione si gelò non appena gli occhi azzurri si posarono sulla camicia di Arthur, macchiata di sangue.
«Cosa ti è successo? » chiese pressante, notando che il mago sviava lo sguardo. «Arthur! Dimmelo!»
«È solo un graffio, niente di grave…» fu il tentativo di tergiversare, ma Alfred non intendeva sentire ragioni, il pessimo presentimento che sentiva era troppo forte.
«C’è stato uno scontro. » capitolò infine Arthur. «Avresti potuto fare del male a Julchen… o lei farne a te. Non volevo che si ferisse nessuno. »
Lo confessò ad occhi bassi, come e fosse la più orribile delle colpe, ma a sconvolgere Alfred fu ben altro: com’era possibile che fosse successo? Aveva ferito la persona che amava? Aveva rischiato anche di fare del male ad altri?
«Sono stato… io? » trovò la forza di chiedere, allungando una mano per sfiorare la stoffa resa rigida dal sangue rappreso.
Arthur non rispose, ma il suo silenzio era una conferma sufficiente. Alfred si sentiva male, e questa volta non aveva niente a che fare con il polline di strani fiori: l’istinto gli diceva che, se non era in grado di controllare certi impulsi, era meglio che si allontanasse prima di fare danni irreparabili. Questo era quello che gli avevano insegnato anni di addestramento nell’esercito, e l’avrebbe messo in pratica se le mani del mago non si fossero chiuse sulla sua, ancora posata sulla camicia.
«Non eri in te. Eri convinto di difendere la tua patria… credo…»
La sua patria? A tal punto era giunto il suo condizionamento? A fargli aggredire senza scrupoli persone innocenti a lui care?
«Mi dispiace…» mormorò con voce spezzata. «Non averi mai voluto che succedesse questo. Io volevo…»
«Lo so. »
La stretta di Arthur sulle sue dita si accentuò.
«Lo so e sei stato uno stupido a non darmi ascolto! Mi hai spaventato a morte! Se penso che ho rischiato di perderti per una cosa così…»
A capo chino, la frangia che gli copriva gli occhi e le spalle che tremavano leggermente, Arthur prese un espiro tremulo.
«Non farlo mai più o ti ammazzo con le mie mani. »
Quelle parole dette per mascherare una debolezza quando era chiaro che avrebbe voluto esprimere solo preoccupazione, strapparono ad Alfred un mezzo sorriso.
«Saresti l’unico da cui lo accetterei visto che sei la persona che amo. »
Ebbe la soddisfazione di vedere le guance di Arthur arrossire e i suoi occhi verdi ancora lucidi di lacrime trattenute spalancarsi, prima di abbassarsi di nuovo repentinamente.
Alfred sapeva che il mago era una persona sensibile nonostante facesse sempre di tutto per mostrarsi freddo e distaccato, come se da questo dipendesse la sua forza. Averlo ferito in quel modo lo faceva star male, ancora di più per il fatto che Arthur non lo avrebbe mai accusato sul serio. Aveva voluto fare qualcosa per lui ma era consapevole di aver agito in modo sbagliato: questa volta la sua incoscienza aveva rischiato di portare a conseguenze davvero gravi ed era terribilmente mortificato. Voleva rimediare, ma non aveva la più pallida idea di come se non allontanandosi per non rischiare di metterlo in pericolo di nuovo, e sapeva che un gesto del genere avrebbe solo fatto del male ad Arthur.
«Posso fare qualcosa per te? » chiese. «Ti prego, qualunque cosa! »
Il mago alzò la testa e lo guardò stranito.
«Al…»
«Permettimi almeno di curarti! Sono abbastanza bravo nel pronto soccorso! »
«Ma non è neces…»
«Arthur, davvero! Mi sento così in colpa! »
Fu il suo turno di restare stupito quando Arthur tornò a fissarlo con la massima serietà.
«Allora dammi il Fiore di Luna che hai raccolto. »
In effetti era vero, alla fine era riuscito a procurarselo, anche se ormai non pensava che potesse servire a qualcosa.
Lì per lì fu tentato di rispondere che non l’aveva raccolto, che non aveva importanza, perché quello stupido fiore non aveva portato alto che guai. Oppure di farlo a pezzi con le sue mani, per dimostrargli che l’oggetto in sé stesso non aveva valore, che era lui ad essere più importante e che non avrebbe mai più compiuto gesti tanto insensati che potessero ferirlo. Se poi avesse significato distruggere l’unico motivo per cui tutto ciò era successo, beh, gli andava bene anche fare la figura dello stupido. Arthur però lo stava fissando con un’intensità tale che non ammetteva scappatoie di questo tipo. Dalla serietà della sua espressione poteva capire che lui sapeva, e i suoi occhi verdi brillavano di aspettativa anche nella penombra della stanza. Non poteva tergiversare.
Frugò freneticamente nelle tasche e ne estrasse infine un fiorellino azzurro mezzo avvizzito, per porgerlo infine al suo mago con espressione desolata. Il volto di Arthur invece s’illuminò di un sorriso gentile quando lo accettò, e le sue guance si colorarono di rosa.
«Grazie. » mormorò emozionato, come se avesse appena ricevuto il dono più prezioso esistente. «Sai, prima che la sua raccolta venisse proibita per ovvie ragioni, il Fiore di Luna era considerato il più prezioso pegno d’amore che i giovani uomini potessero portare alle loro promesse spose. Se la ragazza in questione lo accettava, significava che accettava anche la proposta e i sentimenti del giovane. »
A sentire quelle parole, il cuore di Alfred accelerò i battiti. Significava che finalmente accettava e ricambiava i suoi sentimenti? Nonostante si fosse comportato da stupido e lo avesse ferito?
«Vuoi dire che…? »
«Sì, sì, voglio dire proprio quello. » borbottò il mago, arrossendo sempre di più e distogliendo lo sguardo.
Alfred non attese un secondo di più e, dal letto dov’era ancora seduto, gli gettò le braccia al collo, spinto da un moto d’improvviso entusiasmo.
«I love you too, my darling! »
   
 
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