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Autore: Fiorels    27/01/2013    18 recensioni
Si dice che in ogni vita ci sia un punto di svolta. Un momento così chiaro e definito da farti sentire come se fossi stato colpito al petto, non potessi più respirare e il tuo cuore sappia, semplicemente sappia, senza la più piccola ombra di dubbio, che la tua vita non sarà mai più la stessa.
Per me, Kristen Stewart, quel momento fu quando per la prima volta posai gli occhi su di lei.
Nulla fu più come prima.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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HNL - cap 1

Weeee know. Scusate il ritardo. Ormai è diventata una costante 'sto ritardo. AHAHA
Vabbè, in ogni caso non sarà più un problema d'ora in poi.
Grazie mille per averci seguite in quest'ultima storia.
Ci sentiamo in fondo!

un bacio,
Cloe&Fio



 
Pov Kristen
“No.”
Non poteva farlo davvero. Donna non poteva pensare davvero che separare una bambina dai suoi genitori fosse la cosa migliore per tutti.
Per tutti?
Non era la cosa migliore per nessuno.
Condannava tutti noi ad una vita piena solo di sofferenza e dolore. Se non pensava a me e a Rob avrebbe potuto almeno pensare a Hope. Una bimba di quattro anni non avrebbe mai potuto capire il motivo per cui i suoi genitori l’avevano abbandonata con una sconosciuta! Si sarebbe sentita tradita per tutta la sua intera esistenza e la cosa l’avrebbe distrutta.
L’avrebbe cambiata per sempre.
“No” la voce mi si spezzò in gola ma, anche se rotta, conteneva una determinazione che non avevo mai avuto in tutta la mia vita. “Non possiamo lasciarglielo fare. No. Costi quel che costi.”
Alzai il viso e i miei occhi incrociarono quelli di Rob; c’era stato un tempo in cui lui era stata la persona razionale, un tempo in cui io stavo per fare una follia e lui mi aveva fermato in tempo. E col senno di poi ero stata la prima ad ammettere che prendere una bambina trovata su una spiaggia non era un mio diritto; non era un diritto di nessuno al mondo.
Poi, però, quella bambina era diventata la mia bambina. Avevamo lottato per averla, avevamo fatto tutto quello che potevamo, l’avevamo curata ed amata.
E nel mio cuore sapevo… sapevo che se lasciarla a Donna fosse stata la scelta migliore, allora lo avrei fatto. A costo di morire di dolore, lo avrei fatto.
Ma questa… questa non era la cosa giusta. Come poteva esserlo?
Donna non era la sua famiglia. Il sangue non ti rendeva tale, non faceva sì che un legame fatale si creasse all’improvviso.
Io, Rob e Hope… noi tre insieme eravamo una famiglia.
Per cui avrei lottato, anche se fosse stata l’ultima cosa che avessi fatto.
Gli occhi di Rob rispecchiavano la mia stessa decisione. Non era più l’uomo razionale che conoscevo. Ora era un padre che, come me, rivoleva la sua bambina nel luogo in cui apparteneva.
Mi afferrò la mano e in modo combattivo mi trascinò in cucina.
Immediatamente Donna si immobilizzò, le mani ancora strette al bordo del tavolo com’erano state prima che facessimo irruzione. Come avevo pensato, in cucina non c’era nessuno eccetto lei.
Ci fissammo per un interminabile istante; sembrava stanca e triste ma negli occhi aveva anche un’aria decisa e determinata. L’aria di qualcuno che aveva preso una decisione irremovibile.
“Dobbiamo parlare.”
Quelle due parole furono tutto ciò che disse e bastarono per farmi provare una rabbia che non avevo mai sentito prima dentro di me. Per la prima volta nella mia vita seppi esattamente cosa provava una persona quando voleva fare fisicamente male ad un’altra, quando era così disperata che nessuna azione poteva definirsi non accettabile.
“Abbiamo sentito quello che stavi dicendo. Il discorsetto che ti stavi preparando” Rob aveva una voce carica di un odio che non gli avevo mai sentito.  “E davvero non ho idea di come tu possa anche solo pensare di farlo. Come puoi? Sei la persona più orribile che io abbia mai conosciuto.”
“Come ti permetti tu?” sbottò lei. Il volto una maschera di disprezzo “Tu non mi conosci. Non sai niente di quello che ho passato negli ultimi cinque anni della mia vita! Ho provato più dolore di voi due messi assieme, ho sofferto, mi sono ritrovata sola e...”
Una singola lacrima, non seppi se di rabbia o sofferenza, le scivolò lungo il viso.
Le parole mi uscirono senza che potessi fermarle o anche solo pensarle.
“Se hai sofferto così tanto, come puoi, adesso, infliggere tanta sofferenza tu stessa ad altre persone? Se sai che cosa vuol dire perdere la persona che ami di più al mondo perché tu lo stai facendo a noi?”
Deglutii le emozioni che tentavano di sopraffarmi. “Perché è esattamente quello che stai facendo. Dal primo momento in cui l’ho presa in braccio su quella spiaggia. Lo sai come l’ho trovata? Era bagnata, infreddolita, febbricitante e per un orrendo momento ho creduto che magari fosse perfino morta. Ma non lo era. Lei era la cosa più perfetta che avessi mai visto. Lei era un miracolo, l’ho sempre pensato e lo penso ancora. Siamo una famiglia perché eravamo destinati ad esserlo. Ma non lo capisci?”
Mi sarei aspettata una risposta piccata, una sceneggiata, qualunque cosa tranne la singola sillaba che le uscì dalle labbra.
“Sì.”
“Come?” Rob sembrava più scioccato di me.
“Sì, lo capisco” rispose piano come se ogni parola le costasse un dolore incommensurabile. “Ed è per questo che la decisione che ho preso è che… che lei starà meglio a casa sua.  E casa sua siete voi.”
Rob mi afferrò la mano. Tremava, o forse a tremare ero io. Non lo sapevo, ma sapevo che le sue parole erano state come una bomba su un terreno totalmente impreparato a riceverle.
“Ma hai detto… prima stavi dicendo che avevi preso una decisione” balbettai “Hai detto che...”
“E la mia decisione è che lei deve stare con voi” mormorò, affranta.
Le sue guance erano rigate di lacrime che non sembrava in grado di contenere e, anche se il mio cuore sembrava svolazzarmi nel petto per la gioia, non potei fare a meno di pormi una fondamentale domanda.
Perché?
Perché, se aveva la legge dalla sua parte, ci stava lasciando Hope?
Si era forse stufata? Aveva capito che crescere una figlia non era una passeggiata e che non ce l’avrebbe fatta? Ma se questi erano i motivi allora perché era così devastata?
“Perché?” Rob mi battè sul tempo a parlare.
Lo sguardo di Donna alternò me e Rob prima di posarsi su un punto fuori dalla finestra al suo fianco che dava sull’oscurità del giardino.
“Perché lei non è Meredith” sussurrò piano “Ho passato gli ultimi anni della mia vita a fingere di non essere sola. A viaggiare in capo al mondo cercando di aiutare gli altri nel disperato tentativo di trovare qualcuno, di trovare un posto a cui appartenere. O che almeno mi ricordasse il modo in cui appartenevo a mia sorella. Ma non ci sono mai riuscita, finché...”
“Finchè non è arrivata Hope” conclusi per lei.
Donna annuì con uno scatto del capo. “Mi sembrò un miracolo, quello che stavo cercando. Un ultimo legame con mia sorella. Una persona che ci avrebbe legate per sempre ancora una volta. Avrei amato quella bambina, l’avrei trattata come mia ma più la vedo con voi più capisco che anche se io appartengo a lei, forse… forse lei non appartiene a me. Lei non è Meredith. E non è neanche Sophie. Lei è Hope e la sua casa siete voi.”
Si pulì il viso dalle lacrime residue.
“Perciò firmerò tutto quello che devo e poi penso che potrete portarla a casa con voi. Dovreste andare a darle la bella notizia… penso sia di sopra.”
Rob non perse tempo a correre su per le scale. Un soffio d’aria ed era sparito dal mio fianco.
Feci per seguirlo ma quando i miei occhi si posarono sul viso distrutto di Donna sentii una strana fitta di compassione che non avrei voluto provare alla bocca dello stomaco.
“Per quello che vale…”
“No” mi bloccò con un gesto della mano “Non essere gentile con me adesso o penso che crollerò in un milione di pezzi. Per cui.. .no, non dire niente.”
Annuii solo ma non potei fermarmi da aggiungere qualcosa che avevo pensato sin dal primo istante in cui avevo preso Hope tra le braccia, una neonata portata dal mare.
“Non so se credo in Dio o no. Ma sappi che non credo neppure nelle coincidenze e… e sono sicura che sia stato qualcuno a mandarla da me. Forse Meredith, chissà? E giuro che la fiducia di chiunque sia stato ad avermi mandato Hope, non è stata riposta in vano.”
Non aspettai una risposta che sapevo non sarebbe arrivata. Invece corsi su per le scale e mi bloccai accanto al corpo di Rob, fermo in piedi davanti alla porta della camera di Hope.
Una camera in cui non c’era traccia di mia figlia.
 
 
“E’ lì?”
Quasi strillai dentro l’apparecchio, il cuore che mi batteva a mille e il respiro affannato. Io e Rob ci eravamo divisi per cercarla mentre Donna era rimasta a casa nell’eventualità che Hope tornasse lì o che qualcuno la trovasse e ci telefonasse.
Ma fino ad ora niente.
Erano passate due ore da quando era sparita dalla casa di Donna. Mezzanotte si avvicinava inesorabilmente, i minuti scorrevano pesanti come piombo dentro di me e mille immagini mi bombardavano la mente facendomi impazzire.
Fuori faceva freddo, era buio, era tardi e lei era sola ed era… era così piccola. Le sarebbe potuta accadere qualsiasi cosa e le eventualità erano alte; e se fosse scivolata? Se fosse andata in spiaggia e fosse…
Un suono strozzato mi uscì dalla gola senza che potessi trattenerlo. Per un minuscolo istante sperai, sperai con tutto il mio cuore che Rob l’avesse trovata ma il suo respiro sconsolato dall’altra parte del telefono distrusse ogni speranza.
“Qui a casa non c’è” mormorò “L’ho cercata dappertutto, ho setacciato tutte le stradine vicino, ho parlato con i vicini. Niente.”
“Nemmeno io” gemetti “Sono venuta in spiaggia, ho chiesto in giro ma sembra che nessuno l’abbia vista. Ma com’è possibile, Rob? È un’isola minuscola in cui abitano quattro pensionati! Insomma, nessuno si è preso la briga di porsi qualche domanda nel vedere una bimba in giro da sola?”
Rob rimase silenzioso per due lunghi secondi e quando parlò sembrò più sconsolato di me.
“Continuavo a pensare che sarebbe venuta qui a casa. È il solo posto in cui sapeva arrivare a piedi. Il posto in cui siamo stati felici tante volte. Non riesco a pensare a nessun altro posto importante o speciale o…”
Tutto a un tratto mi immobilizzai. “Cosa hai detto?”
“Quando?”
“Adesso. Un secondo fa, cosa hai detto?”
“Che non riesco a pensare a un altro posto speciale o…”
“Il posto speciale, Rob!” esclamai, iniziando a correre ancora prima di accorgermi che lo stavo razionalmente facendo “Il nostro scoglio, il nostro posto speciale! Gliene abbiamo parlato, l’abbiamo portata lì e ricordi che cosa le abbiamo detto?”
La risposta di Rob aveva un tono speranzoso per la prima volta da ore.
“Le abbiamo detto che poteva diventare anche il suo posto speciale! Che se si fosse sentita triste o sola poteva sempre venire lì e guardare il cielo!”
“Esatto!”
“Sono a cinque minuti da lì. Faccio una corsa subito.”
Riagganciò senza darmi il tempo di rispondere e, esattamente come stava facendo Rob a qualche chilometro da lì, anche io mi misi a correre.
E come in un film mi sembrò di essere catapultata indietro a quella notte di cinque anni prima in cui la mia vita era stata sconvolta inevitabilmente. Ma, al contrario di quella notte in cui la mia disperazione era dovuta al non avere più nulla da perdere, ora avevo tutto da perdere. Proprio adesso che l’incubo di vedermela strappare via dalle braccia era sparito non potevo neppure tollerare l’idea che le capitasse qualcosa. Corsi e, per la prima volta da mesi, pregai; pregai perché fosse al sicuro, perché nessuno le avesse fatto del male e, soprattutto, giurai che se avessi potuto stringerla di nuovo a me non l’avrei mai più abbandonata.
Mai più…
Quando raggiunsi il punto che dalla sabbia permetteva di arrampicarsi sugli scogli avevo il fiato spezzato e i polmoni doloranti a causa della fatica e dell’aria gelida che mi era penetrata fin dentro le ossa. L’aria salmastra arrivava dal mare poco distante portando con sé anche un umidità fortissima.
E Hope non aveva neppure preso una giacca…
Col terrore nel cuore alzai lo sguardo e per un orribile istante vidi solo la forma accucciata di Rob che sembrava seduto sconsolato in cima allo scoglio.
Non l’aveva trovata. Non era nemmeno lì. Non era lì.
Poi, però, si spostò una frazione di centimetro, quel tanto per farmi capire che stava tenendo qualcosa fra le braccia.
O meglio, qualcuno.
Spinta da una forza che neppure sapevo di avere, corsi verso di loro e solo quando sentii il loro calore contro il mio corpo freddo seppi che davvero era finita. Tutto il dolore, tutta la sofferenza dei mesi passati non avrebbero più potuto farci nulla.
Mi sfilai il cappotto e lo avvolsi attorno a Hope nel tentativo di scaldarla.
“Non piangele mamma!” esclamò lei, sembrando di nuovo la mia bambina e non più la creaturina tradita che mi aveva urlato contro in casa, ferita e arrabbiata “Papà dice che posso stale pre sempresemprissimo con voi adesso!”
Ebbi solo la forza di annuire aggrappandomi ancora di più a lei. Sentii le labbra di Rob posarmi un bacio leggero sulla fronte.
“E’ finita. È tutto finito”
Ancora una volta i suoi pensieri sembravano essere perfettamente in sincrono con i miei, le nostre emozioni una cosa sola.
“Guadda mami, una stella cadente!”
Hope puntò il dito verso il cielo e serrò gli occhi in modo strettissimo, facendomi capire che aveva appena espresso il suo desiderio.
“Mamma tu lo hai esplesso i desidelio?”
Scossi il capo. “Sì. E sai, penso che questo desiderio si avvererà proprio.”
“E come lo sai?”
Sorrisi a Rob e seppi che lui stava pensando alla stessa cosa.
Perché è un desiderio che vale triplo.
Perché ero certa che tutti e tre avessimo desiderato la stessa cosa.
Restare insieme, per sempre.
Accarezzai la guancia morbida di Hope, così uguale e così diversa dalla bambina che il destino mi aveva posato davanti in modo inaspettato.
“Perché ho fede. Perché ho Speranza.” risposi. “Perché neppure per un minuto ho smesso di credere”
Presi un lungo respiro di aria pulita.
“Perché la speranza non ti lascia mai se ci credi davvero.”
E lì, stretta alla persona più importante che avessi mai amato, seppi che era vero.
Ed era proprio il caso di dirlo.
Hope never leaves.
31 Dicembre 2021
 
 
“Toooom, passa il sale!”
“E tu la birra!”
“Ma chi ha messo questa canzone?”
“Mammaaaa, ancolaaaaa!”
“Avete già chiamato mamma e papà?”
“Il tacchino era davvero delizioso, Kristen!”
Le voci nella sala da pranzo continuavano ad affollarsi l’una sull’altra, come sempre in fondo. Si sarebbe potuto pensare che dopo anni in cui avevamo tenuto la cena di fine anno a casa nostra, sull’isola di Wight, mi fossi abituata al caos continuo e frenetico che aleggiava in casa già dalle sette di sera e, in alcuni casi, dal giorno prima. Invece no.
Ogni anno era sempre un qualcosa che mi stupiva e mi travolgeva come un’onda riportandomi, per un momento, indietro al tempo in cui non avrei mai creduto possibile di essere così felice; un tempo in cui avevo quasi perso ogni speranza.
Il periodo di Natale era sempre stato speciale, in qualche modo.
Da anni ormai non aveva fatto altro che portare speranza e buone notizie: sarebbe stato ridicolo negare che fosse il periodo dell’anno che preferivo.
E ogni anno mi rendevo conto sempre di più che lo adoravo: adoravo il casino, adoravo le urla, adoravo avere bambini che correvano per casa. Adoravo quella ventata di vita assoluta che si abbatteva su noi e sulla casa durante le feste.
Eppure, per quanto amassi tutto ciò che comportava, non potevo fare a meno di allontanarmi e ritagliarmi un piccolo, anche minuscolo, momento per me ogni volta.
Era una specie di rito ormai. Dovevo semplicemente trovarmi in una stanza da sola per realizzare e ringraziare di quello che avevo avuto dalla vita.
Quest’anno mi ero ritrovata in cucina senza nemmeno rifletterci. Ero semplicemente entrata per prendere tovaglioli puliti e invece mi ero trovata a fissare la luna, incantata.
E i soliti pensieri si fecero presto largo in me; erano sempre lì, in effetti, ma nessun periodo mi portava a rifletterci quanto questo periodo preciso. Non potevo farci nulla.
Semplicemente non riuscivo a non pensare a quello che era stata e a quanto il destino, che un tempo sembrava prendersi beffa di noi, avesse poi deciso di voltarsi di nuovo e non darci più le spalle.
Ero davvero fortunata, pensai nel momento esatto in cui sentii due braccia avvolgermi la vita da dietro.
Non ebbi, ovviamente, bisogno di guardare per sapere chi fosse. E non necessariamente perché poteva essere solo Rob ad abbracciarmi, ma perché solo lui era capace di abbracciarmi così, riuscendo a farmi sentire nel posto più sicuro al mondo in un solo secondo.
Chiusi gli occhi e poggiai il mio capo al suo che si era chinato per baciare l’incavo del mio collo.
Non mi chiese a cosa pensassi. Non me lo aveva mai chiesto sebbene quello fosse un rito anche per lui: vedermi assorta nei miei pensieri, lasciarmi due minuti da sola prima di venire a riportarmi dolcemente alla realtà.
“Donna è pronta” disse lui, dopo qualche minuto.
E io annuii, quasi emozionata. “Credi che le piacerà?”
Lui non sembrò del tutto sicuro mentre rispondeva. “Non so. Forse non lo capirà ancora bene, ma un giorno lo farà. È giusto che sappia da dove viene…”
Annuii ancora e mi voltai per dargli un bacio a fior di labbra prima di abbracciarmi stretta a lui.
La sala era immersa nel caos più assoluto. Fortunatamente era abbastanza grande da ospitare un tavolo per venti persone, un camino, e un albero di Natale; ma niente la rendeva piena quanto i bambini.
Le bambine ballavano attorno all’albero di Natale, mentre i maschi giocavano a rincorrersi per tutta la casa con le nuove pistole giocattolo che avevano ricevuto per Natale.
A volte perdevo anche il conto di quanti ne fossero.
Tom si era così impuntato sull’idea di avere un maschio dopo Marlowe, che nemmeno la nascita di Jamie lo fermò dal tentare un’altra volta. La terza fu quella buona, grazie al cielo perché non volevo immaginare quante femmine avrebbe avuto intenzione di lasciar sfornare a Sienna prima di avere un Daniel.
Vic e Mark, da canto loro invece, si erano trovati con due maschi in un giro solo e la terza era stata semplicemente inaspettata.
Lizzie invece ci era andata con molta calma e aveva realizzato i suoi piano perfettamente. Prima un maschio e poi una femmina.
Il tutto per un totale di dieci bambini, tra i nove anni e i sei mesi, che urlavano, correvano, ballavano, scherzavano, giocavano e sì, magari a volte diventava leggermente pesante averne tanti insieme in una volta sola, ma non avrei scambiato posto con nessuno e per nulla al mondo.
Quando ritornammo in sala da pranzo quasi nessuno badò a noi, tranne Hope che ballava con Sophie su una vecchissima canzone dei The Lumineers che la radio stava riproponendo da giorni, tra i successi del decennio precedente.
Ci guardò non appena entrammo, come se i nostri occhi fossero magneti e non potessero fare a meno di attrarsi a meno di 100 metri gli uni dagli altri.
Ci regalò un sorriso entusiasta e io colsi l’occasione per ricambiare e farle segno con la mano di raggiungerci.
Non ci pensò due volte a correre da noi, seguita a ruota da Sophie che non perdeva occasione di fare tutto ciò che faceva la sorella, sebbene non con la stessa velocità.
Hope si gettò tre le braccia di Rob mentre io presi Sophie al volo e le schioccai un sonoro bacio sulla guancia.
Andammo in salone e ci sedemmo sui divani.
“Che succede?” chiese Hope, quasi preoccupata, quando vide Donna appoggiarsi allo stipite della porta che separava il salone dalla sala da pranzo.
Sebbene avesse imparato a volerle bene, credo che ancora covasse una qualche forma di risentimento nei suoi confronti, o forse era solo paura che un giorno la portasse via di nuovo.
“Niente, tesoro. Va tutto bene” la tranquillizzò subito Rob.
“Donna è qui per darti una cosa. Un regalo.”
“Davvero? Ma Natale è passato.”
Sì, Natale era passato ma lei non era riuscita a passarlo con noi per cui il suo regalo aveva dovuto aspettare un po’.
“Lo so” aggiunse Donna, unendosi a noi sul divano e reggendo un pacchetto tra le mani. “Ma volevo dartelo comunque. Spero che ti piacerà e ti aiuterà a capire meglio la tua vita quando sarai più grande.”
Era chiaro che Hope fosse più che confusa dalle parole di Donna, ed era totalmente normale e comprensibile.
Non a caso, non aprì subito il regalo, ma lo tenne tra le mani per una manciata di secondi, intatto, aspettando probabilmente che qualcuno di noi le spiegasse qualcosa o che la tranquillizzasse.
Quando capì che nessuno avrebbe detto niente, le feci un cenno con il capo per invogliarla.
Strinse un labbro tra i denti – un’abitudine che aveva decisamente preso da me – e si fece coraggio. Sembrava quasi spaventata all’idea di ciò che ne sarebbe uscito, per cui sembrò quasi sollevata e possibilmente più confusa di prima quando si trovò un diario di pelle tra le mani.
Lo ispezionò per bene prima di commentare. “Ah… wow. Grazie…”
Non sfuggì a nessuno la leggera ironia della sua voce e io non potei trattenere un sorriso prima di renderle le cose più facili. Passai Sophie nelle braccia di Rob e avvicinai Hope a me, facendo in modo che si incastrasse tre le mie gambe.
“Questo diario apparteneva a tua madre” sussurrai, con voce più grave di quanto mi aspettassi da me stessa. Hope alzò lo sguardo di scatto e mi sembrò di vederci un lampo di rabbia o rancore o… non seppi bene come definirlo, ma riuscivo a capirlo.
Non aveva più voluto sentire quella storia dopo quel Natale di due anni prima. Una sera aveva semplicemente detto “Basta con questa storia. Non mi piace” e noi avevamo capito che aveva capito cosa significasse effettivamente.
Non avevamo forzato la mano, soprattutto dato l’episodio che avevamo da poco vissuto, né io avevo una particolare voglia di ricordare a lei e a me stessa che non ero la sua madre biologica, ma sapevo che un giorno sarebbe arrivato il momento in cui sia io che lei avremmo dovuto affrontare il passato, e accettarlo finalmente.
“Mia madre è qui. Non ho altre madri” commentò con un tono saggio che non si addiceva per nulla ai suoi sei anni.
“Sì, invece. Ne hai un’altra in cielo, ed è giusto che tu la conosca e sappia di lei… e di tuo padre.”
“Mamma…”
“Sì, amore. Io sono la tua mamma. Lo sarò sempre, lo sai. E questa cosa fa male anche a me. Lo so come ti senti, okay? Lo so… Ma la vita non è solo presente e futuro, e tu devi sapere da dove vieni e quale è stato il passato che ti ha portata a noi.”
E se per un momento pensai che non avrebbe mai accettato quella realtà, un istante dopo una lacrima calda le calò sul viso per incontrare la mia mano e capii che lei aveva capito, già da molto tempo. Lei aveva capito tutto e la faceva stare male.
E non era altro che un ulteriore motivo per affrontare questa cosa, insieme.
“E poi, amore, guarda che non è mica male avere due mamme e due papà. Loro ti amavano proprio come ti amiamo noi, ti proteggono da lassù e quando vuoi stare sola col cielo puoi parlargli quanto vuoi” tentò Rob.
“Ma non li conosco nemmeno…” mormorò con la voce più spezzata che le avessi mai sentito.
“Ed è per questo che abbiamo deciso che fosse giusto che questo lo avessi tu.”
Continuò Donna, toccando il diario tra le mani di Hope.
La mia bambina non sembrò totalmente convinta, eppure annuì e aprì la prima pagina del diario.
Donna aveva fatto un ottimo lavoro, ricercando vecchie fotografie e allegandole alle pagine con delle graffette nel caso in cui avessero avuto un qualche collegamento con quanto vi era scritto.
“Ci metterò un po’ a leggerlo tutto…” commentò Hope, stringendo gli occhi e cercando di decifrare la prima pagina di scrittura.
“Tranquilla, puoi farlo quando vuoi. E io posso aiutarti se vuoi” si offrì Donna.
“Grazie…” rispose Hope, gentile, ma in cuor mio sapevo che era una cosa che avrebbe dovuto fare da sola, magari anche più in là nel tempo.
Al momento avrebbe potuto limitarsi a guardare le foto se le risultava più facile da affrontare. Difatti era quello che stava facendo, passando tra decina di foto tra una pagina e l’altra – foto della vita di Meredith – quando qualcosa catturò la sua attenzione particolarmente.
“Disneyland Paris…” sussurrò Hope e io allungai il collo per vedere meglio la foto che ritraeva una Meredith e una Donna, bambine, strette tra Minnie e Topolino, con Disneyland come sfondo.
Conoscevo bene quella foto e quello che avrebbe significato per Hope nel giro di qualche minuto.
“Oh, questa è una delle mie preferite!” osservò Donna mentre Hope sfiorava il viso di quella donna, probabilmente rendendosi conto di quanto le somigliasse. Effettivamente Hope era la copia di Meredith. Capelli rossi, occhi blu, labbra sottili, lentiggini. Tutto di lei era ricordava Meredith e viceversa e, sebbene la cosa mi facesse un po’ male, guardai Donna per rendermi conto del dolore che lei stessa doveva provare nel vedere tale somiglianza.
“Meredith aveva pregato per quel viaggio e lo aveva amato, anche se si può dire che fosse un po’ cresciuta. Non lo era, in realtà. È stata una bambina per molto tempo. Disneyland Paris era uno dei suoi desideri. Il primo posto che le veniva in mente quando le chiedevano dove volesse essere…”
“Anche il mio…” sussurrò Hope, sorridendo sinceramente per la prima volta da quando aveva preso il diario.
Io e Rob ci scambiammo un’occhiata, sorridendo. “Davvero, tesoro?” disse lui, fingendo di non sapere quanto nostra figlia ci avesse fatto più volte presente il suo desiderio.
“Siiii, lo sai, papà! Te lo dico sempre che voglio andarci e sei sempre troppo impegnato!”
“Lo so, amore. Ma ti prometto che ci andremo presto.”
“Davvero? Me lo prometti? Quanto presto?”
“Tipo, domani? Va bene?”
Hope la prese come uno scherzo, ovviamente, e stette a quello che credeva fosse un gioco.
“Va bene, andiamo a preparare la valigia!” disse e fece per andare su per le scale, ma si bloccò quando mi vide alzarmi e darle fin troppa corda per essere un gioco.
“Dai, andiamo!”
Si pietrificò e mi guardò incredula.
“Andiamo?”
“Sì, andiamo! Domani. Partiamo nel pomeriggio!”
“State scherzando?”
“No, non stiamo scherzando!” disse Rob e bastò perché Hope scoppiasse in lacrime lentamente.
Io, Donna e Rob ci scambiammo uno sguardo incredulo, divertito e quasi leggermente colpevole, sebbene fossero lacrime di felicità.
Mi si sciolse il cuore e la strinsi a me.
“Tesoro, perché stai piangendo?” le chiesi, senza riuscire a trattenere un sorriso infinito.
“Per… perché… Perché sono felice…” riuscì a dire tra un singhiozzo e un altro e ci vollero un paio di minuti per farla calmare.
Il paradosso per eccellenza: esaudire il suo desiderio e farla piangere.
“Dai! Basta lacrime! Fammi un balletto felice!”
Si staccò e ci guardò per un paio di secondi prima di abbozzare una danza sconnessa, e tutti scoppiammo a ridere. “Ora calmati e vai a giocare, su!”
“Okay! Grazie grazie grazie! Vi voglio bene!”
“Anche noi te ne vogliamo, amore!”
Senza preavviso, prese Sophie dalle braccia di Rob. “Hai sentito, Sophie?? Andiamo a Disneyland domaniiii!” saltellò un po’ sul posto facendo ridere la sorellina, prima di metterla a terra e ballare con lei. Poi la lasciò e saltellò sul posto da sola.
Era letteralmente impazzita. Prese il diario e corse via per poi tornare trenta secondi dopo e posarmelo sulle ginocchia. “Me lo conservi tu, mami? Poi lo leggiamo insieme!”
Annuii e le carezzai i capelli lisci prima di lasciarla andare.
Sophie, nel suo vestitino bianco e rosso, aveva osservato tutta la scena seduta sul tappeto per terra, e stavolta le era stato impossibile stare dietro alla sorella; così si era limitata a guardarla e sorridere, divertita dalla sua euforia, prima di alzarsi, camminare verso di noi e buttarsi sulle mie gambe.
La presi senza nessuno sforzo e Rob, accanto a me, le fece una pernacchio sul collo, facendola ridere come sempre.
Poche risate riuscivano a riscaldarmi il cuore, ma la sua lo faceva in un modo totale e particolare. Probabilmente perché era il motivo per cui ancora credevo nei miracoli.
 
 
Avevo passato la notte intera a rigirarmi nel letto, cercando di trovare un giusto equilibrio tra la miriade di sensazioni che stavano invadendo il mio corpo: paura, terrore, emozione, confusione, amore, gioia, incredulità…
Ma forse quella che aveva la meglio era proprio la paura.
Con il caos del mese precedente, mi ero accorta solo a metà Gennaio che il mio ciclo aveva saltato il mese di Dicembre. Non avevo detto nulla a Rob per non preoccuparlo inutilmente e perché mi ero convinta che probabilmente era la mia stessa condizione ad aver influenzato il ciclo. Tuttavia quando anche Gennaio era passato senza una minuscola macchia rossa, decisi che era il caso di fissare un appuntamento con la ginecologa.
Inutile dire che ormai avevo persino smesso di comprare test di gravidanza tanta era la delusione di vederli negativi ogni volta, per cui quando quello che credevo fosse un follicolo scoppiato si trasformò in un embrione, non riuscii a contenere le lacrime.
Lacrime di… qualsiasi cosa possibile e immaginabile, ma la paura aveva la meglio.
Paura che fosse un sogno, paura che fosse un altro scherzo del destino, paura che l’ecografia fosse sbagliata, paura che il macchinario non stesse funzionando correttamente, paura che fosse andato tutto male, ancora una volta.
Ma quel fagiolo era lì già da due mesi e mezzo e, senza che nemmeno lo sapessi, non gli era successo niente.
Non eravamo mai arrivati tanto lontani; anzi, non eravamo mai arrivati a nessun mese. Ed ora ne erano già più di due!
Sapevo che mai più in vita mia avrei potuto dare a Rob una notizia del genere, perciò non fui semplicemente capace di dirglielo sulla porta di casa appena rientrò quella sera.
Non ci riuscii. Non sapevo perché, semplicemente le parole non erano venute fuori, così come non vennero fuori la mattina dopo.
Mi ero alzata presto, incapace di stare un altro solo secondo a rigirarmi nel letto.
Mi ero messa ai fornelli e avevo preparato la colazione. Solo quando fu completa, mi resi conto di quello che il mio subconscio aveva elaborato componendo, su un paio di pancakes, la scritta SONO INCINTA con… gli M&Ms.
Cosa diavolo mi era saltato in mente?
Non potevo dirglielo in quel modo. Gli sarebbe venuto un infarto senza dubbio!
Stavo per scomporre tutto quando sentii i passi di Rob sulle scale e poi nella cucina e mi pietrificai.
Beh, era evidente che era destino che lo sapesse così, pensai tra me e me.
Così, quando si avvicinò per darmi un bacio, pensai che fosse la volta buona, che avrebbe chinato lo sguardo e trovato quella realtà scritta sotto i suoi occhi, ma niente.
L’idiota aveva ancora gli occhi mezzi chiusi mentre si versava un bicchiere di succo di arancia e si sedeva all’isola della cucina, proprio di fronte a me.
Idiota.
Mi trovai a sorridere tra me e me e lui mi guardò confuso.
“Cosa…? I capelli…?”
Scossi il capo e continuai a fissarlo sorridendo.
“Ho… ho qualcosa tra i denti?” disse e subito vi passò la lingua sopra.
Risi e scossi il capo ancora.
“Allora cosa? Ah, vuoi giocare al cuoco e alla cameriera, eh?” alzò un sopracciglio come se sapesse il fatto suo e io risi ancora perché non aveva capito un bel niente.
Scossi il capo ancora e lui iniziò a preoccuparsi.
“Allora… cosa? Tutto bene, Kristen?”
Annuii, immaginando quanto questo mio comunicare in silenzio dovesse snervarlo, ma non riuscivo a trovare le parole. Dopotutto gli M&Ms potevano parlare per me.
Presi un lungo respiro, afferrai il piatto e glielo misi davanti.
Lui chinò il viso. “Sono incinta…” sussurrò, non capendo. “Guarda, qualcuno ha scritto Sono Incinta sui pancakes. Ma cos-”
Idiota. Lo avevo già detto che era un idiota?
Anche se non potevo biasimarlo.
Alzò lo sguardo e incontrò il mio, senza dubbio lucido delle lacrime che non riuscivo più a trattenere.
“Tu…? Sei…? Sei…? Io? Noi? Siamo…?”
E riuscii solo ad annuire prima di trovarmi tra le sue braccia.
 
 
Era proprio vero, in fondo, che le cose migliori arrivano quando meno si aspettano, proprio come lei. E insieme al ricordo, non potevo non pensare alle mille preoccupazioni, alle visite, alle attenzioni, a fare in modo che niente e nessuno potesse mettere in pericolo quella vita che finalmente cresceva dentro di me, proprio quando in lei ci avevo perso totalmente le speranze.
“È un vero miracolo…” aveva commentato ogni persona che fosse al corrente della mia condizione.
Già, un vero miracolo che ora era lì, sotto i nostri occhi, viva e vegeta e sana e bellissima. La nostra piccola che, eravamo stati entrambi d’accordo di chiamare Sophie per onorare la memoria dei genitori naturali di Hope e di quello che era il suo nome, sebbene non potesse essere più diversa dalla sorella.
Hope aveva capelli lisci, rossi e occhi blu.
Sophie aveva i capelli ricci, di un biondo cenere, e gli occhi verdi.
Non potevano essere più diverse eppure sembrare più uguali ai miei occhi. Entrambe frutto di un amore decisamente più forte di una semplice combinazione di geni.
Hope impazziva per Sophie, e Sophie vedeva solo Hope.
Erano una cosa sola, entrambe accumunate da un destino strano che alla fine le aveva portate a noi.
Ripensai al Natale di sei anni prima, e a come ero passata da non avere nemmeno la più lontana possibilità di un figlio, ad avere due bellissime bambine, venute da chissà dove.
Perso com’ero nei miei pensieri non mi ero nemmeno resa conto che mancavano pochi minuti alla mezzanotte. Sophie aveva richiamato la mia attenzione giocando con i miei capelli.
“Sei di nuovo tra noi?” sussurrò Rob, qualche secondo prima che iniziasse il conto alla rovescia.
“Sì…” sorrisi e chinai il viso per lasciarmi baciare la fronte.
Anche gli ultimi trenta secondi di questo anno passarono troppo veloci ma mi trovai ugualmente a fare un resoconto veloce di quello che era stato: i primi passi di Sophie, il primo giorno di scuola di Hope, le prime parole lette e scritte, i primi suoni sconnessi di Sophie prima di arrivare a dire mamma e papà, e il nuoto, il calcio, la danza, il pianoforte, ogni cosa possibile e immaginabile che Hope aveva voluto provare, e i viaggi, i nostri genitori, i nonni, i nuovi arrivi, i cugini, gli amici…
La mia vita ruotava intorno alle mie figlie e a ciò che di diverso avevano portato alla mia vita, e non avrei potuto chiedere trenta ultimi secondi migliori di quelli in cui ogni migliore immagine ti scorre davanti e tu puoi solo stare a guardarla e sorridere.
“Buon anno, amore…”
“Buon anno a te. Ti amo…”
Ci godemmo lo spettacolo dei fuochi d’artificio dalla terrazza al piano superiore ma Rob trascinò me e le bambine via, prima che finissero.
Ci trovammo per strada.
Hope saltellava avanti e indietro mentre Rob reggeva una Sophie ancora vispa e teneva me per una mano.
Era l’una e sapevamo che ormai a quell’ora sull’isola non c’era nessun pericolo; ciò non impedì a Rob di richiamare Hope e fare in modo che camminasse vicino a noi.
“Ma dove andiamo, Papi?”
“Papi papi papi” ripeté Sophie, facendo da eco alla sorella.
“Vorrei saperlo anche io…” mi aggiunsi.
“Sssh, state zitte tutte e tre.”
E così facemmo. Mi fidavo di Rob, ovviamente. Era la curiosità che mi stava uccidendo, soprattutto quando mi resi conto che avevamo solo fatto il giro dell’isolato ed eravamo tornati quasi al punto di partenza.
“Stai cercando di confondermi le idee o cosa?”
“O cosa” rispose, divertito.
“Sai, a mosca cieca si gioca bendati.”
“Puoi stare un po’ zitta?”
“Uffa! Sono curiosa, dai!”
“Mamma, dai! Abbi un po’ di pazienza!”
“E smettila tu di imitare tuo padre!” schernii Hope, stringendo la sua mano nella mia.
“Ci siamo quasi…”
E lo disse nel momento in cui ci approcciamo alla spiaggia e al nostro posto speciale.
C’era troppo fumo nell’aria per vedere le stelle ma non importava. Ormai eravamo così esperti di quel posto da essere capaci di arrampicarci anche al buio.
“Hey, cucciola! Vieni in braccio a papà!” disse Rob a Hope, prima di passarmi Sophie tutta accucciata nella sua tuta-piumino.
 “Okay, e ora?”
“Ora aspettiamo…” diede un veloce sguardo al suo orologio. “Due minuti esatti.”
E furono i due minuti più lunghi della mia vita a causa della curiosità che mi divorava da dentro.
Stavo per esplodere quando qualcos’altro esplose nel cielo, perfettamente di fronte a noi.
Furono una quindicina di botti uno dopo l’altro, o forse tutti insieme, non ne ero sicura, ma non aveva importanza perché quando si assestarono e vidi la scritta HOPE NEVER LEAVES sullo sfondo nero del cielo, nulla ebbe più importanza.
Nessun dramma, nessun problema, nessuna tragedia…
Sentii un groppo alla gola, gli occhi di Rob su di me e mi strinsi a lui mentre sentivo nascere sulle mie labbra il sorriso più grato che avessi mai avuto sapendo che quella era l’unica verità.

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Niente da dire lol No, okay. Qualcosa c'è. 
Grazie davvero mille per averci seguite, prima e ora, fino a qui. Per averci sempre fatto sentire apprezzate e per averci permesso di conoscere delle persone favolose. Come qualcuno magari avrà capito, il nostro periodo di scrittura di FF ormai è passato. E' giunto al termine, in fondo. Abbiamo avuto più di quanto potevamo mai sperare con quel primo capitolo di "Qui dove batte il cuore" ed è arrivato il momento di andare avanti. E non perchè non amiamo più Rob e Kristen o perchè non speriamo con tutto il cuore che sfornino un bimbo subito (jamm bell! u.u), ma semplicemente perchè è giusto così. C'è un tempo adatto per ogni cosa, no? Ecco, noi abbiamo scritto di loro (o anche di Edward e Bella) durante il loro momento, durante il momento adatto; ma il momento è passato e noi andiamo avanti. :)
Non vogliamo farlo suonare come un addio, perchè questo provocherebbe più lacrime a noi che a voi (ebbene sì, anche noi abbiamo un cuore in fondo haha) ma visto che non pensiamo ci saranno altre fan fiction in futuro, volevamo solo dirvi quanto voi siate state speciali ed importanti per noi. Insomma, con alcune di voi sono nate amicizie vere e proprie, per non parlare degli scleri, delle petizioni, dei conti alla rovescia, dei... (okay, avevamo detto di non piangere ç_ç)... Ma insomma, qualunque cosa accada nelle nostre e nelle vostre vite, di certo non dimenticheremo mai questi "anni di scleri" con voi. 
E' qualcosa con cui siamo anche un pò cresciute quindi qualcosa che ci porteremo dentro sempre. Magari tra qualche anno guarderemo indietro e penseremo "Oddio, che idiote eravamo..." però magari rileggeremo questa piccola nota finale e ci ricorderemo che se qualcosa ti rende felice mentre la fai, allora non è tanto da idioti, dopo tutto, no? 
Okay, stop. Bando ai discorsi tristi!  Vogliamo solo dirvi  che vi vogliamo bene e che le recensioni, gli scleri, le nottate insieme e tutto il resto sono state le ricompense  più belle per le ore passate a scrivere. Vi vogliamo un mondo di bene e... siamo davvero il fandom più speciale del mondo! :')  
Un abbraccio!
Cloe&Fio xx


   
 
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