Weeee know. Scusate il ritardo.
Ormai è diventata una costante 'sto ritardo. AHAHA
Vabbè, in ogni caso non sarà più un
problema d'ora in poi.
Grazie mille per averci seguite in quest'ultima storia.
Ci sentiamo in fondo!
un bacio,
Cloe&Fio
- Pov Kristen
- “No.”
- Non poteva farlo
davvero. Donna non poteva pensare davvero che separare una bambina dai
suoi
genitori fosse la cosa migliore per tutti.
- Per tutti?
- Non era la cosa
migliore per nessuno.
- Condannava tutti
noi
ad una vita piena solo di sofferenza e dolore. Se non pensava a me e a
Rob
avrebbe potuto almeno pensare a Hope. Una bimba di quattro anni non
avrebbe mai
potuto capire il motivo per cui i suoi genitori l’avevano
abbandonata con una sconosciuta!
Si sarebbe sentita tradita per tutta la sua intera esistenza e la cosa
l’avrebbe distrutta.
- L’avrebbe
cambiata per
sempre.
- “No”
la voce mi si
spezzò in gola ma, anche se rotta, conteneva una
determinazione che non avevo
mai avuto in tutta la mia vita. “Non possiamo lasciarglielo
fare. No. Costi
quel che costi.”
- Alzai il viso e
i miei
occhi incrociarono quelli di Rob; c’era stato un tempo in cui
lui era stata la
persona razionale, un tempo in cui io stavo per fare una follia e lui
mi aveva
fermato in tempo. E col senno di poi ero stata la prima ad ammettere
che
prendere una bambina trovata su una spiaggia non era un mio diritto;
non era un
diritto di nessuno al mondo.
- Poi,
però, quella
bambina era diventata la mia
bambina.
Avevamo lottato per averla, avevamo fatto tutto quello che potevamo,
l’avevamo
curata ed amata.
- E nel mio cuore
sapevo… sapevo che se lasciarla a Donna fosse stata la
scelta migliore, allora
lo avrei fatto. A costo di morire di dolore, lo avrei fatto.
- Ma
questa… questa non
era la cosa giusta. Come poteva esserlo?
- Donna non era la
sua
famiglia. Il sangue non ti rendeva tale, non faceva sì che
un legame fatale si
creasse all’improvviso.
- Io, Rob e
Hope… noi
tre insieme eravamo una famiglia.
- Per cui avrei
lottato,
anche se fosse stata l’ultima cosa che avessi fatto.
- Gli occhi di Rob
rispecchiavano la mia stessa decisione. Non era più
l’uomo razionale che
conoscevo. Ora era un padre che, come me, rivoleva la sua bambina nel
luogo in
cui apparteneva.
- Mi
afferrò la mano e
in modo combattivo mi trascinò in cucina.
- Immediatamente
Donna
si immobilizzò, le mani ancora strette al bordo del tavolo
com’erano state
prima che facessimo irruzione. Come avevo pensato, in cucina non
c’era nessuno
eccetto lei.
- Ci fissammo per
un
interminabile istante; sembrava stanca e triste ma negli occhi aveva
anche
un’aria decisa e determinata. L’aria di qualcuno
che aveva preso una decisione
irremovibile.
- “Dobbiamo
parlare.”
- Quelle due
parole
furono tutto ciò che disse e bastarono per farmi provare una
rabbia che non avevo
mai sentito prima dentro di me. Per la prima volta nella mia vita seppi
esattamente cosa provava una persona quando voleva fare fisicamente
male ad
un’altra, quando era così disperata che nessuna
azione poteva definirsi non
accettabile.
- “Abbiamo
sentito
quello che stavi dicendo. Il discorsetto che ti stavi
preparando” Rob aveva una
voce carica di un odio che non gli avevo mai sentito.
“E davvero non ho idea di come tu possa
anche
solo pensare di farlo. Come puoi? Sei la persona più
orribile che io abbia mai
conosciuto.”
- “Come
ti permetti tu?”
sbottò lei. Il volto una maschera di disprezzo “Tu
non mi conosci. Non sai
niente di quello che ho passato negli ultimi cinque anni della mia
vita! Ho
provato più dolore di voi due messi assieme, ho sofferto, mi
sono ritrovata
sola e...”
- Una singola
lacrima,
non seppi se di rabbia o sofferenza, le scivolò lungo il
viso.
- Le parole mi
uscirono
senza che potessi fermarle o anche solo pensarle.
- “Se
hai sofferto così
tanto, come puoi, adesso, infliggere tanta sofferenza tu stessa ad
altre
persone? Se sai che cosa vuol dire perdere la persona che ami di
più al mondo
perché tu lo stai facendo a noi?”
- Deglutii le
emozioni
che tentavano di sopraffarmi. “Perché è
esattamente quello che stai facendo. Dal
primo momento in cui l’ho presa in braccio su quella
spiaggia. Lo sai come l’ho
trovata? Era bagnata, infreddolita, febbricitante e per un orrendo
momento ho
creduto che magari fosse perfino morta. Ma non lo era. Lei era la cosa
più
perfetta che avessi mai visto. Lei era un miracolo, l’ho
sempre pensato e lo
penso ancora. Siamo una famiglia perché eravamo destinati ad
esserlo. Ma non lo
capisci?”
- Mi sarei
aspettata una
risposta piccata, una sceneggiata, qualunque cosa tranne la singola
sillaba che
le uscì dalle labbra.
- “Sì.”
- “Come?”
Rob sembrava
più scioccato di me.
- “Sì,
lo capisco”
rispose piano come se ogni parola le costasse un dolore
incommensurabile. “Ed è
per questo che la decisione che ho preso è che…
che lei starà meglio a casa
sua. E casa sua
siete voi.”
- Rob mi
afferrò la
mano. Tremava, o forse a tremare ero io. Non lo sapevo, ma sapevo che
le sue
parole erano state come una bomba su un terreno totalmente impreparato
a
riceverle.
- “Ma
hai detto… prima
stavi dicendo che avevi preso una decisione” balbettai
“Hai detto che...”
- “E la
mia decisione è
che lei deve stare con voi” mormorò, affranta.
- Le sue guance
erano
rigate di lacrime che non sembrava in grado di contenere e, anche se il
mio
cuore sembrava svolazzarmi nel petto per la gioia, non potei fare a
meno di
pormi una fondamentale domanda.
- Perché?
- Perché,
se aveva la
legge dalla sua parte, ci stava lasciando Hope?
- Si era forse
stufata?
Aveva capito che crescere una figlia non era una passeggiata e che non
ce
l’avrebbe fatta? Ma se questi erano i motivi allora
perché era così devastata?
- “Perché?”
Rob mi battè
sul tempo a parlare.
- Lo sguardo di
Donna
alternò me e Rob prima di posarsi su un punto fuori dalla
finestra al suo
fianco che dava sull’oscurità del giardino.
- “Perché
lei non è
Meredith” sussurrò piano “Ho passato gli
ultimi anni della mia vita a fingere
di non essere sola. A viaggiare in capo al mondo cercando di aiutare
gli altri
nel disperato tentativo di trovare qualcuno, di trovare un posto a cui
appartenere. O che almeno mi ricordasse il modo in cui appartenevo a
mia sorella.
Ma non ci sono mai riuscita, finché...”
- “Finchè
non è arrivata
Hope” conclusi per lei.
- Donna
annuì con uno
scatto del capo. “Mi sembrò un miracolo, quello
che stavo cercando. Un ultimo
legame con mia sorella. Una persona che ci avrebbe legate per sempre
ancora una
volta. Avrei amato quella bambina, l’avrei trattata come mia
ma più la vedo con
voi più capisco che anche se io appartengo a lei,
forse… forse lei non
appartiene a me. Lei non è Meredith. E non è
neanche Sophie. Lei è Hope e la
sua casa siete voi.”
- Si
pulì il viso dalle
lacrime residue.
- “Perciò
firmerò tutto
quello che devo e poi penso che potrete portarla a casa con voi.
Dovreste
andare a darle la bella notizia… penso sia di
sopra.”
- Rob non perse
tempo a
correre su per le scale. Un soffio d’aria ed era sparito dal
mio fianco.
- Feci per
seguirlo ma
quando i miei occhi si posarono sul viso distrutto di Donna sentii una
strana
fitta di compassione che non avrei voluto provare alla bocca dello
stomaco.
- “Per
quello che vale…”
- “No”
mi bloccò con un
gesto della mano “Non essere gentile con me adesso o penso
che crollerò in un
milione di pezzi. Per cui.. .no, non dire niente.”
- Annuii solo ma
non
potei fermarmi da aggiungere qualcosa che avevo pensato sin dal primo
istante
in cui avevo preso Hope tra le braccia, una neonata portata dal mare.
- “Non
so se credo in
Dio o no. Ma sappi che non credo neppure nelle coincidenze
e… e sono sicura che
sia stato qualcuno a mandarla da me. Forse Meredith, chissà?
E giuro che la
fiducia di chiunque sia stato ad avermi mandato Hope, non è
stata riposta in
vano.”
- Non aspettai una
risposta che sapevo non sarebbe arrivata. Invece corsi su per le scale
e mi
bloccai accanto al corpo di Rob, fermo in piedi davanti alla porta
della camera
di Hope.
- Una camera in
cui non
c’era traccia di mia figlia.
- “E’
lì?”
- Quasi strillai
dentro
l’apparecchio, il cuore che mi batteva a mille e il respiro
affannato. Io e Rob
ci eravamo divisi per cercarla mentre Donna era rimasta a casa
nell’eventualità
che Hope tornasse lì o che qualcuno la trovasse e ci
telefonasse.
- Ma fino ad ora
niente.
- Erano passate
due ore
da quando era sparita dalla casa di Donna. Mezzanotte si avvicinava
inesorabilmente, i minuti scorrevano pesanti come piombo dentro di me e
mille
immagini mi bombardavano la mente facendomi impazzire.
- Fuori faceva
freddo,
era buio, era tardi e lei era sola ed era… era
così piccola. Le sarebbe potuta
accadere qualsiasi cosa e le eventualità erano alte; e se
fosse scivolata? Se
fosse andata in spiaggia e fosse…
- Un suono
strozzato mi
uscì dalla gola senza che potessi trattenerlo. Per un
minuscolo istante sperai,
sperai con tutto il mio cuore che Rob l’avesse trovata ma il
suo respiro
sconsolato dall’altra parte del telefono distrusse ogni
speranza.
- “Qui a
casa non c’è”
mormorò “L’ho cercata dappertutto, ho
setacciato tutte le stradine vicino, ho
parlato con i vicini. Niente.”
- “Nemmeno
io” gemetti
“Sono venuta in spiaggia, ho chiesto in giro ma sembra che
nessuno l’abbia
vista. Ma com’è possibile, Rob? È
un’isola minuscola in cui abitano quattro pensionati!
Insomma, nessuno si è preso la briga di porsi qualche
domanda nel vedere una
bimba in giro da sola?”
- Rob rimase
silenzioso
per due lunghi secondi e quando parlò sembrò
più sconsolato di me.
- “Continuavo
a pensare che
sarebbe venuta qui a casa. È il solo posto in cui sapeva
arrivare a piedi. Il
posto in cui siamo stati felici tante volte. Non riesco a pensare a
nessun
altro posto importante o speciale o…”
- Tutto a un
tratto mi
immobilizzai. “Cosa hai detto?”
- “Quando?”
- “Adesso.
Un secondo
fa, cosa hai detto?”
- “Che
non riesco a
pensare a un altro posto speciale o…”
- “Il
posto speciale,
Rob!” esclamai, iniziando a correre ancora prima di
accorgermi che lo stavo
razionalmente facendo “Il nostro scoglio, il nostro posto
speciale! Gliene
abbiamo parlato, l’abbiamo portata lì e ricordi
che cosa le abbiamo detto?”
- La risposta di
Rob
aveva un tono speranzoso per la prima volta da ore.
- “Le
abbiamo detto che
poteva diventare anche il suo posto speciale! Che se si fosse sentita
triste o
sola poteva sempre venire lì e guardare il cielo!”
- “Esatto!”
- “Sono
a cinque minuti
da lì. Faccio una corsa subito.”
- Riagganciò
senza darmi
il tempo di rispondere e, esattamente come stava facendo Rob a qualche
chilometro da lì, anche io mi misi a correre.
- E come in un
film mi
sembrò di essere catapultata indietro a quella notte di
cinque anni prima in
cui la mia vita era stata sconvolta inevitabilmente. Ma, al contrario
di quella
notte in cui la mia disperazione era dovuta al non avere più
nulla da perdere,
ora avevo tutto da perdere. Proprio adesso che l’incubo di
vedermela strappare
via dalle braccia era sparito non potevo neppure tollerare
l’idea che le
capitasse qualcosa. Corsi e, per la prima volta da mesi, pregai; pregai
perché
fosse al sicuro, perché nessuno le avesse fatto del male e,
soprattutto, giurai
che se avessi potuto stringerla di nuovo a me non l’avrei mai
più abbandonata.
- Mai
più…
- Quando raggiunsi
il
punto che dalla sabbia permetteva di arrampicarsi sugli scogli avevo il
fiato
spezzato e i polmoni doloranti a causa della fatica e
dell’aria gelida che mi
era penetrata fin dentro le ossa. L’aria salmastra arrivava
dal mare poco
distante portando con sé anche un umidità
fortissima.
- E Hope non aveva
neppure preso una giacca…
- Col terrore nel
cuore
alzai lo sguardo e per un orribile istante vidi solo la forma
accucciata di Rob
che sembrava seduto sconsolato in cima allo scoglio.
- Non
l’aveva trovata. Non era nemmeno lì. Non era
lì.
- Poi,
però, si spostò
una frazione di centimetro, quel tanto per farmi capire che stava
tenendo qualcosa
fra le braccia.
- O meglio,
qualcuno.
- Spinta da una
forza
che neppure sapevo di avere, corsi verso di loro e solo quando sentii
il loro
calore contro il mio corpo freddo seppi che davvero era finita. Tutto
il
dolore, tutta la sofferenza dei mesi passati non avrebbero
più potuto farci
nulla.
- Mi sfilai il
cappotto
e lo avvolsi attorno a Hope nel tentativo di scaldarla.
- “Non
piangele mamma!”
esclamò lei, sembrando di nuovo la mia bambina e non
più la creaturina tradita
che mi aveva urlato contro in casa, ferita e arrabbiata
“Papà dice che posso
stale pre sempresemprissimo con voi adesso!”
- Ebbi solo la
forza di
annuire aggrappandomi ancora di più a lei. Sentii le labbra
di Rob posarmi un
bacio leggero sulla fronte.
- “E’
finita. È tutto
finito”
- Ancora una volta
i
suoi pensieri sembravano essere perfettamente in sincrono con i miei,
le nostre
emozioni una cosa sola.
- “Guadda
mami, una
stella cadente!”
- Hope
puntò il dito
verso il cielo e serrò gli occhi in modo strettissimo,
facendomi capire che
aveva appena espresso il suo desiderio.
- “Mamma
tu lo hai
esplesso i desidelio?”
- Scossi il capo.
“Sì. E
sai, penso che questo desiderio si avvererà
proprio.”
- “E
come lo sai?”
- Sorrisi a Rob e
seppi
che lui stava pensando alla stessa cosa.
- Perché
è un desiderio
che vale triplo.
- Perché
ero certa che
tutti e tre avessimo desiderato la stessa cosa.
- Restare insieme,
per sempre.
- Accarezzai la
guancia
morbida di Hope, così uguale e così diversa dalla
bambina che il destino mi
aveva posato davanti in modo inaspettato.
- “Perché
ho fede.
Perché ho Speranza.” risposi.
“Perché neppure per un minuto ho smesso di
credere”
- Presi un lungo
respiro
di aria pulita.
- “Perché
la speranza
non ti lascia mai se ci credi davvero.”
- E lì,
stretta alla
persona più importante che avessi mai amato, seppi che era
vero.
- Ed era proprio
il caso
di dirlo.
- Hope never leaves.
- 31
Dicembre 2021
- “Toooom,
passa il
sale!”
- “E tu
la birra!”
- “Ma
chi ha messo
questa canzone?”
- “Mammaaaa,
ancolaaaaa!”
- “Avete
già chiamato
mamma e papà?”
- “Il
tacchino era
davvero delizioso, Kristen!”
- Le voci nella
sala da
pranzo continuavano ad affollarsi l’una sull’altra,
come sempre in fondo. Si
sarebbe potuto pensare che dopo anni in cui avevamo tenuto la cena di
fine anno
a casa nostra, sull’isola di Wight, mi fossi abituata al caos
continuo e frenetico
che aleggiava in casa già dalle sette di sera e, in alcuni
casi, dal giorno
prima. Invece no.
- Ogni anno era
sempre
un qualcosa che mi stupiva e mi travolgeva come un’onda
riportandomi, per un
momento, indietro al tempo in cui non avrei mai creduto possibile di
essere
così felice; un tempo in cui avevo quasi perso ogni speranza.
- Il periodo di
Natale
era sempre stato speciale, in qualche modo.
- Da anni ormai
non
aveva fatto altro che portare speranza e buone notizie: sarebbe stato
ridicolo
negare che fosse il periodo dell’anno che preferivo.
- E ogni anno mi
rendevo
conto sempre di più che lo adoravo: adoravo il casino,
adoravo le urla, adoravo
avere bambini che correvano per casa. Adoravo quella ventata di vita
assoluta
che si abbatteva su noi e sulla casa durante le feste.
- Eppure, per
quanto
amassi tutto ciò che comportava, non potevo fare a meno di
allontanarmi e
ritagliarmi un piccolo, anche minuscolo, momento per me ogni volta.
- Era una specie
di rito
ormai. Dovevo semplicemente trovarmi in una stanza da sola per
realizzare e
ringraziare di quello che avevo avuto dalla vita.
- Quest’anno
mi ero
ritrovata in cucina senza nemmeno rifletterci. Ero semplicemente
entrata per
prendere tovaglioli puliti e invece mi ero trovata a fissare la luna,
incantata.
- E i soliti
pensieri si
fecero presto largo in me; erano sempre lì, in effetti, ma
nessun periodo mi
portava a rifletterci quanto questo periodo preciso. Non potevo farci
nulla.
- Semplicemente
non
riuscivo a non pensare a quello che era stata e a quanto il destino,
che un
tempo sembrava prendersi beffa di noi, avesse poi deciso di voltarsi di
nuovo e
non darci più le spalle.
- Ero davvero
fortunata,
pensai nel momento esatto in cui sentii due braccia avvolgermi la vita
da
dietro.
- Non ebbi,
ovviamente,
bisogno di guardare per sapere chi fosse. E non necessariamente
perché poteva
essere solo Rob ad abbracciarmi, ma perché solo lui era
capace di abbracciarmi
così, riuscendo a farmi sentire nel posto più
sicuro al mondo in un solo
secondo.
- Chiusi gli occhi
e
poggiai il mio capo al suo che si era chinato per baciare
l’incavo del mio
collo.
- Non mi chiese a
cosa
pensassi. Non me lo aveva mai chiesto sebbene quello fosse un rito
anche per
lui: vedermi assorta nei miei pensieri, lasciarmi due minuti da sola
prima di
venire a riportarmi dolcemente alla realtà.
- “Donna
è pronta” disse lui,
dopo qualche minuto.
- E io annuii,
quasi
emozionata. “Credi che le piacerà?”
- Lui non
sembrò del
tutto sicuro mentre rispondeva. “Non so. Forse non lo
capirà ancora bene, ma un
giorno lo farà. È giusto che sappia da dove
viene…”
- Annuii ancora e
mi
voltai per dargli un bacio a fior di labbra prima di abbracciarmi
stretta a
lui.
- La sala era
immersa
nel caos più assoluto. Fortunatamente era abbastanza grande
da ospitare un
tavolo per venti persone, un camino, e un albero di Natale; ma niente
la
rendeva piena quanto i bambini.
- Le bambine
ballavano
attorno all’albero di Natale, mentre i maschi giocavano a
rincorrersi per tutta
la casa con le nuove pistole giocattolo che avevano ricevuto per
Natale.
- A volte perdevo
anche
il conto di quanti ne fossero.
- Tom si era
così
impuntato sull’idea di avere un maschio dopo Marlowe, che
nemmeno la nascita di
Jamie lo fermò dal tentare un’altra volta. La
terza fu quella buona, grazie al
cielo perché non volevo immaginare quante femmine avrebbe
avuto intenzione di
lasciar sfornare a Sienna prima di avere un Daniel.
- Vic e Mark, da
canto
loro invece, si erano trovati con due maschi in un giro solo e la terza
era
stata semplicemente inaspettata.
- Lizzie invece ci
era
andata con molta calma e aveva realizzato i suoi piano perfettamente.
Prima un
maschio e poi una femmina.
- Il tutto per un
totale
di dieci bambini, tra i nove anni e i sei mesi, che urlavano,
correvano,
ballavano, scherzavano, giocavano e sì, magari a volte
diventava leggermente
pesante averne tanti insieme in una volta sola, ma non avrei scambiato
posto
con nessuno e per nulla al mondo.
- Quando
ritornammo in
sala da pranzo quasi nessuno badò a noi, tranne Hope che
ballava con Sophie su
una vecchissima canzone dei The Lumineers che la radio stava
riproponendo da
giorni, tra i successi del decennio precedente.
- Ci
guardò non appena
entrammo, come se i nostri occhi fossero magneti e non potessero fare a
meno di
attrarsi a meno di 100 metri gli uni dagli altri.
- Ci
regalò un sorriso entusiasta
e io colsi l’occasione per ricambiare e farle segno con la
mano di
raggiungerci.
- Non ci
pensò due volte
a correre da noi, seguita a ruota da Sophie che non perdeva occasione
di fare
tutto ciò che faceva la sorella, sebbene non con la stessa
velocità.
- Hope si
gettò tre le
braccia di Rob mentre io presi Sophie al volo e le schioccai un sonoro
bacio
sulla guancia.
- Andammo in
salone e ci
sedemmo sui divani.
- “Che
succede?” chiese
Hope, quasi preoccupata, quando vide Donna appoggiarsi allo stipite
della porta
che separava il salone dalla sala da pranzo.
- Sebbene avesse
imparato a volerle bene, credo che ancora covasse una qualche forma di
risentimento nei suoi confronti, o forse era solo paura che un giorno
la
portasse via di nuovo.
- “Niente,
tesoro. Va
tutto bene” la tranquillizzò subito Rob.
- “Donna
è qui per darti
una cosa. Un regalo.”
- “Davvero?
Ma Natale è
passato.”
- Sì,
Natale era passato
ma lei non era riuscita a passarlo con noi per cui il suo regalo aveva
dovuto
aspettare un po’.
- “Lo
so” aggiunse
Donna, unendosi a noi sul divano e reggendo un pacchetto tra le mani.
“Ma
volevo dartelo comunque. Spero che ti piacerà e ti
aiuterà a capire meglio la
tua vita quando sarai più grande.”
- Era chiaro che
Hope
fosse più che confusa dalle parole di Donna, ed era
totalmente normale e
comprensibile.
- Non a caso, non
aprì
subito il regalo, ma lo tenne tra le mani per una manciata di secondi,
intatto,
aspettando probabilmente che qualcuno di noi le spiegasse qualcosa o
che la
tranquillizzasse.
- Quando
capì che
nessuno avrebbe detto niente, le feci un cenno con il capo per
invogliarla.
- Strinse un
labbro tra
i denti – un’abitudine che aveva decisamente preso
da me – e si fece coraggio.
Sembrava quasi spaventata all’idea di ciò che ne
sarebbe uscito, per cui sembrò
quasi sollevata e possibilmente più confusa di prima quando
si trovò un diario
di pelle tra le mani.
- Lo
ispezionò per bene
prima di commentare. “Ah… wow.
Grazie…”
- Non
sfuggì a nessuno
la leggera ironia della sua voce e io non potei trattenere un sorriso
prima di
renderle le cose più facili. Passai Sophie nelle braccia di
Rob e avvicinai
Hope a me, facendo in modo che si incastrasse tre le mie gambe.
- “Questo
diario
apparteneva a tua madre” sussurrai, con voce più
grave di quanto mi aspettassi
da me stessa. Hope alzò lo sguardo di scatto e mi
sembrò di vederci un lampo di
rabbia o rancore o… non seppi bene come definirlo, ma
riuscivo a capirlo.
- Non aveva
più voluto
sentire quella storia dopo quel Natale di due anni prima. Una sera
aveva
semplicemente detto “Basta con questa storia. Non mi
piace” e noi avevamo
capito che aveva capito cosa significasse effettivamente.
- Non avevamo
forzato la
mano, soprattutto dato l’episodio che avevamo da poco
vissuto, né io avevo una
particolare voglia di ricordare a lei e a me stessa che non ero la sua
madre
biologica, ma sapevo che un giorno sarebbe arrivato il momento in cui
sia io
che lei avremmo dovuto affrontare il passato, e accettarlo finalmente.
- “Mia
madre è qui. Non
ho altre madri” commentò con un tono saggio che
non si addiceva per nulla ai
suoi sei anni.
- “Sì,
invece. Ne hai
un’altra in cielo, ed è giusto che tu la conosca e
sappia di lei… e di tuo
padre.”
- “Mamma…”
- “Sì,
amore. Io sono la
tua mamma. Lo sarò sempre, lo sai. E questa cosa fa male
anche a me. Lo so come
ti senti, okay? Lo so… Ma la vita non è solo
presente e futuro, e tu devi
sapere da dove vieni e quale è stato il passato che ti ha
portata a noi.”
- E se per un
momento
pensai che non avrebbe mai accettato quella realtà, un
istante dopo una lacrima
calda le calò sul viso per incontrare la mia mano e capii
che lei aveva capito,
già da molto tempo. Lei aveva capito tutto e la faceva stare
male.
- E non era altro
che un
ulteriore motivo per affrontare questa cosa, insieme.
- “E
poi, amore, guarda
che non è mica male avere due mamme e due papà.
Loro ti amavano proprio come ti
amiamo noi, ti proteggono da lassù e quando vuoi stare sola
col cielo puoi
parlargli quanto vuoi” tentò Rob.
- “Ma
non li conosco
nemmeno…” mormorò con la voce
più spezzata che le avessi mai sentito.
- “Ed
è per questo che
abbiamo deciso che fosse giusto che questo lo avessi tu.”
- Continuò
Donna,
toccando il diario tra le mani di Hope.
- La mia bambina
non
sembrò totalmente convinta, eppure annuì e
aprì la prima pagina del diario.
- Donna aveva
fatto un
ottimo lavoro, ricercando vecchie fotografie e allegandole alle pagine
con
delle graffette nel caso in cui avessero avuto un qualche collegamento
con
quanto vi era scritto.
- “Ci
metterò un po’ a
leggerlo tutto…” commentò Hope,
stringendo gli occhi e cercando di decifrare la
prima pagina di scrittura.
- “Tranquilla,
puoi
farlo quando vuoi. E io posso aiutarti se vuoi” si
offrì Donna.
- “Grazie…”
rispose
Hope, gentile, ma in cuor mio sapevo che era una cosa che avrebbe
dovuto fare
da sola, magari anche più in là nel tempo.
- Al momento
avrebbe
potuto limitarsi a guardare le foto se le risultava più
facile da affrontare.
Difatti era quello che stava facendo, passando tra decina di foto tra
una
pagina e l’altra – foto della vita di Meredith
– quando qualcosa catturò la sua
attenzione particolarmente.
- “Disneyland
Paris…”
sussurrò Hope e io allungai il collo per vedere meglio la
foto che ritraeva una
Meredith e una Donna, bambine, strette tra Minnie e Topolino, con
Disneyland
come sfondo.
- Conoscevo bene
quella
foto e quello che avrebbe significato per Hope nel giro di qualche
minuto.
- “Oh,
questa è una
delle mie preferite!” osservò Donna mentre Hope
sfiorava il viso di quella
donna, probabilmente rendendosi conto di quanto le somigliasse.
Effettivamente
Hope era la copia di Meredith. Capelli rossi, occhi blu, labbra
sottili,
lentiggini. Tutto di lei era ricordava Meredith e viceversa e, sebbene
la cosa
mi facesse un po’ male, guardai Donna per rendermi conto del
dolore che lei
stessa doveva provare nel vedere tale somiglianza.
- “Meredith
aveva
pregato per quel viaggio e lo aveva amato, anche se si può
dire che fosse un
po’ cresciuta. Non lo era, in realtà. È
stata una bambina per molto tempo.
Disneyland Paris era uno dei suoi desideri. Il primo posto che le
veniva in mente
quando le chiedevano dove volesse essere…”
- “Anche
il mio…”
sussurrò Hope, sorridendo sinceramente per la prima volta da
quando aveva preso
il diario.
- Io e Rob ci
scambiammo
un’occhiata, sorridendo. “Davvero,
tesoro?” disse lui, fingendo di non sapere quanto
nostra figlia ci avesse fatto più volte presente il suo
desiderio.
- “Siiii,
lo sai, papà!
Te lo dico sempre che voglio andarci e sei sempre troppo
impegnato!”
- “Lo
so, amore. Ma ti
prometto che ci andremo presto.”
- “Davvero?
Me lo
prometti? Quanto presto?”
- “Tipo,
domani? Va
bene?”
- Hope la prese
come uno
scherzo, ovviamente, e stette a quello che credeva fosse un gioco.
- “Va
bene, andiamo a
preparare la valigia!” disse e fece per andare su per le
scale, ma si bloccò
quando mi vide alzarmi e darle fin troppa corda per essere un gioco.
- “Dai,
andiamo!”
- Si
pietrificò e mi
guardò incredula.
- “Andiamo?”
- “Sì,
andiamo! Domani.
Partiamo nel pomeriggio!”
- “State
scherzando?”
- “No,
non stiamo
scherzando!” disse Rob e bastò perché
Hope scoppiasse in lacrime lentamente.
- Io, Donna e Rob
ci
scambiammo uno sguardo incredulo, divertito e quasi leggermente
colpevole,
sebbene fossero lacrime di felicità.
- Mi si sciolse il
cuore
e la strinsi a me.
- “Tesoro,
perché stai
piangendo?” le chiesi, senza riuscire a trattenere un sorriso
infinito.
- “Per…
perché… Perché
sono felice…” riuscì a dire tra un
singhiozzo e un altro e ci vollero un paio
di minuti per farla calmare.
- Il paradosso per
eccellenza: esaudire il suo desiderio e farla piangere.
- “Dai!
Basta lacrime!
Fammi un balletto felice!”
- Si
staccò e ci guardò
per un paio di secondi prima di abbozzare una danza sconnessa, e tutti
scoppiammo a ridere. “Ora calmati e vai a giocare,
su!”
- “Okay!
Grazie grazie
grazie! Vi voglio bene!”
- “Anche
noi te ne
vogliamo, amore!”
- Senza preavviso,
prese
Sophie dalle braccia di Rob. “Hai sentito, Sophie?? Andiamo a
Disneyland
domaniiii!” saltellò un po’ sul posto
facendo ridere la sorellina, prima di
metterla a terra e ballare con lei. Poi la lasciò e
saltellò sul posto da sola.
- Era
letteralmente impazzita.
Prese il diario e corse via per poi tornare trenta secondi dopo e
posarmelo
sulle ginocchia. “Me lo conservi tu, mami? Poi lo leggiamo
insieme!”
- Annuii e le
carezzai i
capelli lisci prima di lasciarla andare.
- Sophie, nel suo
vestitino bianco e rosso, aveva osservato tutta la scena seduta sul
tappeto per
terra, e stavolta le era stato impossibile stare dietro alla sorella;
così si
era limitata a guardarla e sorridere, divertita dalla sua euforia,
prima di
alzarsi, camminare verso di noi e buttarsi sulle mie gambe.
- La presi senza
nessuno
sforzo e Rob, accanto a me, le fece una pernacchio sul collo, facendola
ridere
come sempre.
- Poche risate
riuscivano a riscaldarmi il cuore, ma la sua lo faceva in un modo
totale e
particolare. Probabilmente perché era il motivo per cui
ancora credevo nei
miracoli.
- Avevo passato la
notte intera a rigirarmi nel letto, cercando
di trovare un giusto equilibrio tra la miriade di sensazioni che
stavano
invadendo il mio corpo: paura, terrore, emozione, confusione, amore,
gioia,
incredulità…
- Ma forse quella
che aveva la meglio era proprio la paura.
- Con il caos del
mese precedente, mi ero accorta solo a metà
Gennaio che il mio ciclo aveva saltato il mese di Dicembre. Non avevo
detto
nulla a Rob per non preoccuparlo inutilmente e perché mi ero
convinta che
probabilmente era la mia stessa condizione ad aver influenzato il
ciclo.
Tuttavia quando anche Gennaio era passato senza una minuscola macchia
rossa,
decisi che era il caso di fissare un appuntamento con la ginecologa.
- Inutile dire che
ormai avevo persino smesso di comprare test
di gravidanza tanta era la delusione di vederli negativi ogni volta,
per cui
quando quello che credevo fosse un follicolo scoppiato si
trasformò in un
embrione, non riuscii a contenere le lacrime.
- Lacrime
di… qualsiasi cosa possibile e immaginabile, ma la
paura aveva la meglio.
- Paura che fosse
un sogno, paura che fosse un altro scherzo
del destino, paura che l’ecografia fosse sbagliata, paura che
il macchinario
non stesse funzionando correttamente, paura che fosse andato tutto
male, ancora
una volta.
- Ma quel fagiolo
era lì già da due mesi e mezzo e, senza che
nemmeno lo sapessi, non gli era successo niente.
- Non eravamo mai
arrivati tanto lontani; anzi, non eravamo mai
arrivati a nessun mese. Ed ora ne erano già più
di due!
- Sapevo che mai
più in vita mia avrei potuto dare a Rob una
notizia del genere, perciò non fui semplicemente capace di
dirglielo sulla
porta di casa appena rientrò quella sera.
- Non ci riuscii.
Non sapevo perché, semplicemente le parole
non erano venute fuori, così come non vennero fuori la
mattina dopo.
- Mi ero alzata
presto, incapace di stare un altro solo secondo
a rigirarmi nel letto.
- Mi ero messa ai
fornelli e avevo preparato la colazione. Solo
quando fu completa, mi resi conto di quello che il mio subconscio aveva
elaborato componendo, su un paio di pancakes, la scritta SONO INCINTA
con… gli
M&Ms.
- Cosa diavolo mi
era saltato in mente?
- Non potevo
dirglielo in quel modo. Gli sarebbe venuto un
infarto senza dubbio!
- Stavo per
scomporre tutto quando sentii i passi di Rob sulle
scale e poi nella cucina e mi pietrificai.
- Beh, era
evidente che era destino che lo sapesse così, pensai
tra me e me.
- Così,
quando si avvicinò per darmi un bacio, pensai che fosse
la volta buona, che avrebbe chinato lo sguardo e trovato quella
realtà scritta
sotto i suoi occhi, ma niente.
- L’idiota
aveva ancora gli occhi mezzi chiusi mentre si
versava un bicchiere di succo di arancia e si sedeva
all’isola della cucina,
proprio di fronte a me.
- Idiota.
- Mi trovai a
sorridere tra me e me e lui mi guardò confuso.
- “Cosa…?
I capelli…?”
- Scossi il capo e
continuai a fissarlo sorridendo.
- “Ho…
ho qualcosa tra i denti?” disse e subito vi passò
la
lingua sopra.
- Risi e scossi il
capo ancora.
- “Allora
cosa? Ah, vuoi giocare al cuoco e alla cameriera, eh?”
alzò un sopracciglio come se sapesse il fatto suo e io risi
ancora perché non
aveva capito un bel niente.
- Scossi il capo
ancora e lui iniziò a preoccuparsi.
- “Allora…
cosa? Tutto bene, Kristen?”
- Annuii,
immaginando quanto questo mio comunicare in silenzio
dovesse snervarlo, ma non riuscivo a trovare le parole. Dopotutto gli
M&Ms
potevano parlare per me.
- Presi un lungo
respiro, afferrai il piatto e glielo misi
davanti.
- Lui
chinò il viso. “Sono
incinta…” sussurrò, non capendo.
“Guarda, qualcuno ha scritto Sono Incinta sui pancakes. Ma
cos-”
- Idiota. Lo avevo
già detto che era un idiota?
- Anche se non
potevo biasimarlo.
- Alzò
lo sguardo e incontrò il mio, senza dubbio lucido delle
lacrime che non riuscivo più a trattenere.
- “Tu…?
Sei…? Sei…? Io? Noi? Siamo…?”
- E riuscii solo
ad annuire prima di trovarmi tra le sue
braccia.
- Era proprio
vero, in
fondo, che le cose migliori arrivano quando meno si aspettano, proprio
come
lei. E insieme al ricordo, non potevo non pensare alle mille
preoccupazioni,
alle visite, alle attenzioni, a fare in modo che niente e nessuno
potesse
mettere in pericolo quella vita che finalmente cresceva dentro di me,
proprio
quando in lei ci avevo perso totalmente le speranze.
- “È
un vero miracolo…”
aveva commentato ogni persona che fosse al corrente della mia
condizione.
- Già,
un vero miracolo
che ora era lì, sotto i nostri occhi, viva e vegeta e sana e
bellissima. La
nostra piccola che, eravamo stati entrambi d’accordo di
chiamare Sophie per
onorare la memoria dei genitori naturali di Hope e di quello che era il
suo
nome, sebbene non potesse essere più diversa dalla sorella.
- Hope aveva
capelli
lisci, rossi e occhi blu.
- Sophie aveva i
capelli
ricci, di un biondo cenere, e gli occhi verdi.
- Non potevano
essere
più diverse eppure sembrare più uguali ai miei
occhi. Entrambe frutto di un
amore decisamente più forte di una semplice combinazione di
geni.
- Hope impazziva
per
Sophie, e Sophie vedeva solo Hope.
- Erano una cosa
sola,
entrambe accumunate da un destino strano che alla fine le aveva portate
a noi.
- Ripensai al
Natale di
sei anni prima, e a come ero passata da non avere nemmeno la
più lontana
possibilità di un figlio, ad avere due bellissime bambine,
venute da chissà
dove.
- Perso
com’ero nei miei
pensieri non mi ero nemmeno resa conto che mancavano pochi minuti alla
mezzanotte. Sophie aveva richiamato la mia attenzione giocando con i
miei
capelli.
- “Sei
di nuovo tra
noi?” sussurrò Rob, qualche secondo prima che
iniziasse il conto alla rovescia.
- “Sì…”
sorrisi e chinai
il viso per lasciarmi baciare la fronte.
- Anche gli ultimi
trenta secondi di questo anno passarono troppo veloci ma mi trovai
ugualmente a
fare un resoconto veloce di quello che era stato: i primi passi di
Sophie, il
primo giorno di scuola di Hope, le prime parole lette e scritte, i
primi suoni
sconnessi di Sophie prima di arrivare a dire mamma
e papà, e il nuoto,
il calcio, la danza, il pianoforte, ogni cosa possibile e immaginabile
che Hope
aveva voluto provare, e i viaggi, i nostri genitori, i nonni, i nuovi
arrivi, i
cugini, gli amici…
- La mia vita
ruotava
intorno alle mie figlie e a ciò che di diverso avevano
portato alla mia vita, e
non avrei potuto chiedere trenta ultimi secondi migliori di quelli in
cui ogni
migliore immagine ti scorre davanti e tu puoi solo stare a guardarla e
sorridere.
- “Buon
anno, amore…”
- “Buon
anno a te. Ti
amo…”
- Ci godemmo lo
spettacolo dei fuochi d’artificio dalla terrazza al piano
superiore ma Rob
trascinò me e le bambine via, prima che finissero.
- Ci trovammo per
strada.
- Hope saltellava
avanti
e indietro mentre Rob reggeva una Sophie ancora vispa e teneva me per
una mano.
- Era
l’una e sapevamo
che ormai a quell’ora sull’isola non
c’era nessun pericolo; ciò non impedì a
Rob di richiamare Hope e fare in modo che camminasse vicino a noi.
- “Ma
dove andiamo,
Papi?”
- “Papi
papi papi” ripeté
Sophie, facendo da eco alla sorella.
- “Vorrei
saperlo anche
io…” mi aggiunsi.
- “Sssh,
state zitte
tutte e tre.”
- E
così facemmo. Mi
fidavo di Rob, ovviamente. Era la curiosità che mi stava
uccidendo, soprattutto
quando mi resi conto che avevamo solo fatto il giro
dell’isolato ed eravamo
tornati quasi al punto di partenza.
- “Stai
cercando di
confondermi le idee o cosa?”
- “O
cosa” rispose,
divertito.
- “Sai,
a mosca cieca si
gioca bendati.”
- “Puoi
stare un po’
zitta?”
- “Uffa!
Sono curiosa,
dai!”
- “Mamma,
dai! Abbi un
po’ di pazienza!”
- “E
smettila tu di
imitare tuo padre!” schernii Hope, stringendo la sua mano
nella mia.
- “Ci
siamo quasi…”
- E lo disse nel
momento
in cui ci approcciamo alla spiaggia e al nostro posto speciale.
- C’era
troppo fumo
nell’aria per vedere le stelle ma non importava. Ormai
eravamo così esperti di
quel posto da essere capaci di arrampicarci anche al buio.
- “Hey,
cucciola! Vieni
in braccio a papà!” disse Rob a Hope, prima di
passarmi Sophie tutta accucciata
nella sua tuta-piumino.
- “Okay,
e ora?”
- “Ora
aspettiamo…”
diede un veloce sguardo al suo orologio. “Due minuti
esatti.”
- E furono i due
minuti
più lunghi della mia vita a causa della curiosità
che mi divorava da dentro.
- Stavo per
esplodere
quando qualcos’altro esplose nel cielo, perfettamente di
fronte a noi.
- Furono una
quindicina
di botti uno dopo l’altro, o forse tutti insieme, non ne ero
sicura, ma non
aveva importanza perché quando si assestarono e vidi la
scritta HOPE NEVER
LEAVES sullo sfondo nero del cielo, nulla ebbe più
importanza.
- Nessun dramma,
nessun
problema, nessuna tragedia…
- Sentii un groppo alla
gola, gli occhi di Rob su di me e mi strinsi a lui mentre sentivo
nascere sulle
mie labbra il sorriso più grato che avessi mai avuto sapendo
che quella era
l’unica verità.
- _______________________
- Niente da dire lol No, okay. Qualcosa c'è.
- Grazie davvero mille per averci seguite, prima e ora, fino a qui. Per averci sempre fatto sentire apprezzate e per averci permesso di conoscere delle persone favolose. Come qualcuno magari avrà capito, il nostro periodo di scrittura di FF ormai è passato. E' giunto al termine, in fondo. Abbiamo avuto più di quanto potevamo mai sperare con quel primo capitolo di "Qui dove batte il cuore" ed è arrivato il momento di andare avanti. E non perchè non amiamo più Rob e Kristen o perchè non speriamo con tutto il cuore che sfornino un bimbo subito (jamm bell! u.u), ma semplicemente perchè è giusto così. C'è un tempo adatto per ogni cosa, no? Ecco, noi abbiamo scritto di loro (o anche di Edward e Bella) durante il loro momento, durante il momento adatto; ma il momento è passato e noi andiamo avanti. :)
- Non vogliamo farlo suonare come un addio, perchè questo provocherebbe più lacrime a noi che a voi (ebbene sì, anche noi abbiamo un cuore in fondo haha) ma visto che non pensiamo ci saranno altre fan fiction in futuro, volevamo solo dirvi quanto voi siate state speciali ed importanti per noi. Insomma, con alcune di voi sono nate amicizie vere e proprie, per non parlare degli scleri, delle petizioni, dei conti alla rovescia, dei... (okay, avevamo detto di non piangere ç_ç)... Ma insomma, qualunque cosa accada nelle nostre e nelle vostre vite, di certo non dimenticheremo mai questi "anni di scleri" con voi.
- E' qualcosa con cui siamo anche un pò cresciute quindi qualcosa che ci porteremo dentro sempre. Magari tra qualche anno guarderemo indietro e penseremo "Oddio, che idiote eravamo..." però magari rileggeremo questa piccola nota finale e ci ricorderemo che se qualcosa ti rende felice mentre la fai, allora non è tanto da idioti, dopo tutto, no?
- Okay, stop. Bando ai discorsi tristi! Vogliamo solo dirvi che vi vogliamo bene e che le recensioni, gli scleri, le nottate insieme e tutto il resto sono state le ricompense più belle per le ore passate a scrivere. Vi vogliamo un mondo di bene e... siamo davvero il fandom più speciale del mondo! :')
- Un abbraccio!
- Cloe&Fio xx