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Autore: Aphasia_    28/01/2013    0 recensioni
Una raccolta di storielle scritte tanto, tantissimo tempo fa, senza nessuna pretesa, senza nessuna esperienza, ma solo in occasioni di piccoli drammi quotidiani, incubi ricorrenti e delusioni più che comuni a qualunque essere umano.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Non capivo ancora quale fosse questa pena. La pena è solo il prezzo, giusto o sbagliato che sia, da pagare quando si fa un errore. Ma quelle persone, cosa avevano fatto, per meritare quella punizione? Ma soprattutto..quale era questa punizione? Per come li vedevo io erano solo buio. Non parlavano, non sentivano, non vedevano, perché non erano. Ma ora che si parlava di pena, quel mondo, ora, era forse veramente un inferno? Difficile da dire. L’inferno è un mondo fatto di peccatori, persone che hanno errato, anche solo senza volerlo, anime condannate in eterno per ciò che li opprimeva, ciò che li aveva resi dipendenti, le voglie, gli amori.. ma ancora non capivo il motivo per cui lei era li. Quale era la sua pena? La soppressione del suo sorriso era già una punizione, per me. Cosa aveva fatto di tanto male? Di certo era un peccato molto piccolo, perché ci sono pene che nemmeno l’eternità riesce e punire, nessun limite di tempo riesce a lenire il disgusto della trasgressione. Nel tempo c’erano stati omicidi, violenza, cattiveria, gelosia, insensibilità, ma lei..lei non poteva rientrarvi. Forse, infrangere uno dei 10 comandamenti era la sua pena, come la vedevo io. Dopotutto, chi non ha mai desiderato qualcosa di non nostro? O altro. Tutti sbagliamo. Ma se dovessero tutti essere puniti, nel mondo, tutti morirebbero della loro stessa correttezza, cercando di non infrangere nessuna regola, e vivrebbero con il terrore di perdere l’anima e ospitare un dolore eterno nel proprio cuore. Errare è umano, dicevano, c’è chi pecca volontariamente e chi no, ma quelli che lo fanno senza volerlo non meritano punizioni, non meritano il dolore, perché il loro cuore è puro, è il bianco e il peccato che hanno compiuto non è altro che una macchiolina nera. Ma in fondo…cosa è la pena? È sempre giusto il prezzo da pagare? A volte ci sentiamo dire, chi rompe paga… ma se la cosa che fosse stata rotta non fosse un vaso, se fosse invece…la nostra intera vita? Se dovessimo pagare con la vita un errore, la pena sarebbe ancora valida? Il giusto e lo sbagliato NON esistono, perché ciascuno di questi può essere scambiato per il suo opposto, e allora, quando ci sarebbe da decidere la pena, nessuno potrebbe mai giudicarci, non esisterebbe nessuno al mondo da essere tanto equo da poterci condurre alla porta dell’inferno, nessuno. Nemmeno un giudice, che studia anni di legge, nemmeno uno dei più grandi filosofi riportati in vita o indietro nel tempo con una macchina del tempo lo potrebbe dire, non esiste equità, non esiste il giusto né lo sbagliato. Nemmeno noi lo possiamo stabilire, perché non tutti sceglierebbero o semplicemente ammetterebbero di aver fatto qualcosa di sbagliato, perché non conoscono, non hanno mai conosciuto e non conosceranno mai il giusto. Nessuno ci può giudicare, nessuno, divino o umano può selezionarci, dividere i buoni dai cattivi, angeli e demoni, perché siamo tutti umani, e siamo buoni e cattivi allo stesso tempo. Esiste solo un modo: perdonare. Il perdono è l’unico mezzo, non distingue nessuno, non individua una persona buona o una cattiva, perdona chiunque senza distinzioni, accetta gli errori, ma non ti punisce, perché punirti vorrebbe dire distinguerti, vorrebbe dire elencarti in una categoria di persone cattive, la punizione non è umana. Il perdono soprattutto da fiducia, l’unica cosa che è infrangibile nel tempo, l’unica cosa, l’unica barriera che ci permette di fermarci e di pensare, l’unica cosa che ci ferma, proprio nel momento prima di farci compiere l’errore.
“quale pena?” chiesi subito, cercando di distinguere uno a uno quei corpi aggrovigliati.
“loro…hanno avuto paura.” Rispose Melody, era seria quasi non volesse nemmeno darmi il tempo di rispondere scettico.
“la paura è umana…tutti abbiamo paura” dissi io.
“non in questo mondo….” Rispose lei
“ma non ha senso! Se tutti dovessimo essere puniti per aver avuto paura saremmo tutti qui a ques’ora!” continua alzando la voce per lo stupore.
“perché continui a sottovalutare questo mondo? La paura NON è uno scherzo!” anche lei alzò la voce.
“si..lo so. Ma non è nemmeno una punizione. È una cosa naturale, tutti hanno paura, non si può evitare!” non osavo crederci. Tutti i bambini al mondo almeno una volta hanno avuto paura del buio, o dell’uomo nero, o dei mostri sotto il letto. La paura viveva con noi, non doveva morire con noi.
“NON in questo mondo, ripeto” rispose lei, calma, arrendendosi.
“perché non me lo vuoi spiegare? Io da qui non me ne vado…” dissi, ma era una nota di bugia, perché volevo restare, ma speravo anche tra me di svegliarmi dal coma, o dal quel mondo non me ne sarei andato mai più. e in questo caso,…quale sarebbe stata la MIA pena?
“beh..su questo non ci conterei, prima o poi ti sveglierai..e dimenticherai tutto, perciò vale la pena rischiare..vedi…questo mondo, è un universo parallelo, ma è un mondo che non potrà mai appartenere alla realtà, è un po come un inferno dantesco di un'altra dimensione. Devi sapere che secondo una leggenda quando venne creato il mondo e l’universo, Gaia, la dea Terra, non era soddisfatta del nostro mondo, così decise di creare milioni di piccoli universi paralleli, ma lo fece con una controindicazione: gli umani potevano entrarci solo nei sogni o nell’incoscienza. Gli umani che lo avevano scoperto, cercarono in tutti i modi di entrarci, ubriacandosi, assumendo droghe, o prendendo sonniferi, ma nessuno di loro ci riuscì, perché il sonno doveva essere sincero come il sogno, così come l’incoscienza, doveva essere data da un punto vicino alla morte. Gaia lo venne a sapere e si infuriò. Così per punire gli umani che avevano tentato di entrarvi con la forza, decise che chiunque, se nella sua intera vita, avesse avuto almeno una volta una paura, sarebbe andato in uno di quegli universi, da lei stabilito, e avrebbe pagato la sua pena eternamente. Da allora, tutti gli uomini, terrorizzati, cercavano di non avere mai paura, si addentravano nel bosco da soli, combattevano i mostri, andavano in guerra, ma Gaia non venne mai fregata, e finirono tutti li, a soffrire.” Concluse Melody, la voce da perfetta narratrice.
“ma..quale era questa pena? Chiesi subito, ansioso di conquistare un altro pezzettino del Puzzle sulla vita di Melody.
“tutti quanti….si trasformavano, nella loro,…paura, e soffrivano il doppio, perché temevano addirittura essi stessi” disse lei tetra, funzionava, ero immobile.
“è s-solo una leggenda..” balbettai, ma in cuor mio sapevo con ogni cellula del mio corpo che era tutto vero, non nella realtà in cui io vivevo, ma in quei piccoli universi era tutto vero, la pena che quelle persone pativano, essere la loro stessa paura, era vera, il terrore eterno non era scontare la pena, ma piuttosto morire, e ritrovarsi mutato in qualcosa da cui non si sarebbe mai e poi potuto scappare, ma piuttosto la consapevolezza di aver sofferto per quella paura nella vita, e ora..anche nella morte. Perché una pena simile? La paura è un immagine creata da noi stessi, perché dovremmo pagare? L’uomo nasce cresce e muore nella paura, ma la sua umanità non deve essere punita, non lo merita, perché la paura è la testimonianza più vivida di ciò che siamo, di ciò che diventeremo da grandi di ciò che potremo diventare, la paura non è solo il demone delle infanzie, che si nutre di insicurezza, è il fuoco che forgia ciò noi siamo, è l’elemento principale che costituisce il nostro carattere. Non ci sono eroi senza paura, né la paura senza gli eroi, perché ella colpisce tutti, cresce tutti come una dolce balia, ma questa non è una punizione, non deve. Perché mai una persona ha voluto questo? L’orgoglio di una dea, quello che prova nel vedere la sua creazione, fiera, con la testa alta nel vedere i suoi innumerevoli regni invalicabili, perché ha punito così severamente gli umani? Loro avevano la colpa di essere curiosi, affabili sognatori, avventurieri in terre note, questa è la loro colpa, la brama di conquistare anche quei mondi. Ma la dea non lo accettò e li punì, e di questo non si pentì, soprattutto perché lei immortale e senza paura, in quel posto non ci sarebbe mai andata, e si sarebbe goduta lo spettacolo del dolore di quegli umani troppo curiosi, avrebbe riso fino a star male, eternamente, di quegli umani che volevano anche solo sognare di entrare in quel posto così bello, anche se letale, oltre l’universo, in cui la novità li avrebbe abbracciati calorosamente nei loro ultimi sospiri.
“leggenda? Dimmi…credi nell’aldilà, Josh? “ chiese lei sinceramente colpita dalla mia osservazione, e , prima che potessi rispondere, camminò lenta intorno a me, quasi volesse imitare il vortice che quelle persone componeva in quel buio assurdo.
“credo nella giustizia, melody. Siamo noi la giustizia, e non esiste giudice, né umano né divino che ci può dire dove andare. Dopo la morte, siamo nient’altro che polvere e siamo liberi di viaggiare ovunque, per sempre.” Dissi io, ma stavolta non avevo paura, perché sapevo che era così, era quella la verità, era quello il senso di tutto, li, invece, era tutto completamente sbagliato.
“cos’è la polvere se non lo spazio tra un sospiro e l’altro? “recitò lei, ma non era una replica, era una precisazione. Era d’accordo con me.
Prima che potessi rispondere si fermò e mi guardò intensamente, gli occhi le si illuminarono ancora di più.
“credi che sia giustizia questa? Noi avremmo potuto scegliere, avremmo potuto dire “io sono nel giusto” avremmo potuto opporci, dire “la paura è umana”, ma a quest’ora non saremmo tutti qui, non ti pare? Forse…non saremmo dovuto morire, non avremmo dovuto avere paura…” disse continuando, era pensierosa… il suo sguardo si abbassò come se cercasse le sue mille risposte nel suolo.
“no..non dire così. La morte dovrebbe essere la pace dell’anima, per tutti, i cattivi capiscono i loro errori, i buoni li aiutano, è così che funziona. Umano per gli umani. Non..non devi sentirti in colpa, per quello che ti è successo, nessuno ha colpa di morire, nemmeno il destino c’entra, e neanche la paura, voi siete qui per l’errore di qualcun altro, che non ha capito l’umanità, semplicemente perché non gli apparteneva….La morte non è scritta, è l’anima che si libera, e decide lei, quando vuole andare in pace…” dissi io e non mi accorsi nemmeno che le avevo messo una mano sulla spalla. Avvampai.
“quindi…anche se non è colpa mia, devo sopportare tutto questo Josh, lo capisci? Non serve a niente non sentirmi in colpa, non serve incolpare, non qui, perché noi, tutti noi, apparterremo a questo mondo per sempre, non c’è insulto, o bestemmia , o protesta che regga all’eternità che ci aspetta…” disse amaramente lei
“ma è proprio questo il punto, Melody! Anche se non potrai mai uscire da qui, anche se sai che non esiste alcun modo, la consapevolezza di avere una morte pulita, di non avere colpe, paura o non paura, tu saprai sempre che TU sei giusta, che questa morte non è l’amaro veleno che devi deglutire eternamente, Melody, alleggerirai la tua pena, e nemmeno la paura potrà spaventarti!” dissi, quasi trionfante. Lo sapevo, ne ero sicuro, era l’unico modo per condurre un eternità dignitosa, anche se in mezzo all’eterno, era una via.
“è questo il punto…ciò che..sono diventata, ciò che devo fare…io..io..non posso..sopportare!! “ strinse forte i denti per la rabbia e il dolore repressi, e seppi che se lo avessi fatto io, probabilmente mi sarei rotta la mascella.
Anche stavolta non mi accorsi, che ero tra le sue braccia, a consolarla. Era ancora più fredda, e la stretta dei suoi denti più ferrea, riuscivo sentirne la tensione, a percepirne la rabbia che se ne impadroniva.
Stavo per chiederle cosa..era diventata, anche perché era una delle domande più importanti che mi ero promesso di chiederle, ma lei lo aveva intuito…la sua presa su di me fu più forte, ferrea, non riuscivo a muovermi. Non ebbi nemmeno la forza di spingerla via, gelato dalla sua stretta e dalla paura. Strinse ancora più forte e la sentii ansimare, il suo respiro troppo freddo mi ustionava, all’altezza del collo.. respirò una boccata d’aria nel mio collo,assaggiando il mio odore, e percepii, come non avevo mai fatto da quando l’avevo incontrata, che Melody, ora, non c’era più, e che in lei, la creatura che l’aveva dannata per sempre stava prendendo il suo posto….ma non l’avevo nemmeno sentita andare via, lei Melody, non mi aveva nemmeno detto torno presto , e questo mi faceva male, era andata via completamente soffiata come polvere, da quella sua parte così sbagliata e odiata, che l’aveva sostituita e che ora mi annusava con brama. Sentivo perfino l’istinto all’interno del suo corpo, che usciva ruvido, un ringhio da leonessa, tra le sue labbra, ma non lo seppi rinoscere, era..una voglia accecante, incontrollabile, qualcosa per la quale non si sarebbe potuto nemmeno pensare, ma solo agire, ferocemente e senza pietà. Il suo respiro freddo cambiò in una frazione di secondo, e si trasformò in qualcosa di altrettanto freddo, e …affilato, che si posò delicatamente nel collo. Era come una lama sottile che accarezzava il collo, per levigarne la carne e sentirne la morbidezza. Non seppi dire per quanto stetti immobile, non sentivo più nessun arto, e quelle lame andava ancora su è giù nel mio collo, ipnotizzandomi, era piacevole..più o meno, sembrava una ninna nanna mortale, che vacillava tra la buonanotte di un sogno e quella della morte. E poi, sempre in un secondo, cessò tutto, e Melody, chissà come, forse vincendo una durissima battaglia con la sua parte che l’aveva condannata, tornò, davanti a me. Ansimava ancora, più forte di prima, per lo sforzo di quella battaglia, che l’aveva riportata al controllo di se stessa, era una guerriera, ma la soddisfazione della vittoria non c’era nel suo volto. C’era ancora rabbia, preoccupazione, ma soprattutto…disgusto e tanto, tantissimo, dolore.
Mi guardò, per un lunghissimo istante, e capii che la sua paura, che l’aveva portata in quel mondo, non era una piccola paura, come quella del buio o dei fantasmi, lei aveva la FOBIA. L’avevo capito dal suo volto, non più rilassato, ma tormentato e in preda al terrore, al panico e al folle disgusto di se stessa, la disperazione del voler fuggire da quel corpo, e la rabbia per la sua forza che si sbriciolava a ogni tentativo davanti all’inevitabilità della sua pena. Potevo sentirle, tutte le sue emozioni, ma il problema era che su di me, erano triplicate.
Mi guardava ancora. Voleva aiuto. E io…..l’avrei aiutata. Questo , lo sapevo, e anche se tutto questo fosse stato un sogno, lo avrei fatto, ci avrei provato, l’avrei portata via da quel destino così crudele… 
Come avrei fatto? Esisteva forse un modo per scappare…dai sogni?l’amara verità era che il mondo dei sogni era totalmente invalicabile, coperto da strati e strati di muri di cemento armato, la nostra immaginazione…non sarebbe mai stato possibile salvarla, lei…era morta, ormai. Ma forse una speranza di salvarla c’era. Forse non sarei riuscita a salvarla dalla sua morte ormai irrecuperabile, ma almeno, avrei potuto liberarla dalla sua pena, le avrei dato una possibilità, unica ma la più grande di tutte: sarebbe vissuta eternamente, in pace, le avrei dato la possibilità di riposare in pace, libera da tutte le paure, in tutti i sensi.. non avevo idea di come fare, davanti a quel tribunale divino che aveva deciso tutto quello, quel tribunale troppo potente, e prepotente, che diceva di sapere cosa fosse giusto, ma che invece non sapevano nemmeno cosa era il bene e cosa il male, loro, gli dei, che imitavano tanto gli umani, ma che di umano, nei loro animi immortali, non avevano nulla. Dovevo trovare il mondo per gridare , in quel buio, per oppormi a quella scelta, antica e inviolabile, non potevo trovarmi indietro e non avrei mai e poi mai perso l’occasione di poter dire “state sbagliando”, avrei trovato un modo, chissà come per liberare quelle anime, tutto…attraverso lei, come si dice “salvane uno, e li salvi tutti”. Si lei sarebbe stata la passaporta verso la libertà, lei era sempre la passaporta, quella dei mie sogni, l’elemento che collegava la mia e la sua realtà, lei..era domanda..e risposta…di tutto. E ora, ora che sapevo cosa era, cosa era diventata, cosa avrebbe dovuto sopportare, la forza era sempre più grande, ogni suo gemito di paura, ogni barlume di buio che si presentava nella luce luminosissima dei suoi occhi era una fiamma che accendeva la mia volontà, la mi voglia di salvarla e di andare contro ogni legge, contro ogni mondo, reale o non, di andare contro tutto, anche contro qualcosa di non umano. La SUA paura era la mia forza. Ora, ero capace di identificarla, e avevo connesso tutti i miei pezzi, più o meno, quelli del mio puzzle, il puzzle della sua vita, quello stavo ricostruendo. Ora conoscevo quella dopo la morte, mi restava solola sua vita,o almeno, quello che era stata.
 
  
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