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Autore: _Mrs Wellsaid_    28/01/2013    7 recensioni
‘Con il tempo migliora’, così dicevano.
Il tempo per lui era sempre stato solo un danno.
[Louis/Harry]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A mia mamma, che mi chiede un giorno sì e l’altro pure di leggere quello che scrivo
e riceve sempre facce stranite e ‘non è il tuo genere, credimi’, come risposta.
Prima o poi ti prometto che… Vabbè, hai capito.
A mio padre, che vorrei conoscere di più e che cerca in tutti i modi di trovare il mio account Efp. 
Non ci provare, carino.
 
 
A me, a tutto quello che non ho avuto, a quello che non ho, a quello che non avrò.
A chi ha sofferto o soffre.
 
 
 
Tempo.
 

 




 
Le pareti chiare, il letto col piumone blu, tendente all’indaco, sul comodino il solito disordine.
Quasi come se non se ne fosse mai andato.
Eppure si sentiva un estraneo lì, in quella che molti errori prima era stata la sua stanza, a Doncaster.
Molti errori prima.
Un’unità di tempo perfetta per misurare la sua vita.
Non secondi, minuti, ore, giorni.
Solo errori.
Errori che era consapevole di aver fatto.
Eppure continuava a sbagliare, ancora e ancora.
 
 
Quelle mura lo avevano visto crescere, spettatrici silenziose dello scorrere del tempo.
Immaginava quello che avrebbero potuto fare se fossero state vive e gli veniva da ridere.
Cantargli quella canzone che tanto gli piaceva a dieci anni e di cui aveva dimenticato le parole.
Avvertirlo che i calzini che aveva cercato fino a dimenticarli in realtà erano proprio lì, sotto il letto.
Abbracciarlo forte, carezzandogli i capelli, quando da piccolo si rifugiava nell’anta dell’armadio,
piangendo per le urla e il rumore di stoviglie che si infrangevano sul pavimento provenienti dal piano inferiore.
Tutti gli avevano sempre raccontato che i grandi non litigano, discutono.
La differenza non gli era mai stata granché chiara.
Per cosa si litiga? un gioco? un capriccio?
Se la maturità era legata all’età allora sì, i suoi discutevano.
Ma Louis non la vedeva negli occhi di suo padre, nelle sue mani che buttavano per terra ogni oggetto fragile che vi si trovasse vicino.
Anche il suo cuore, che, caduto più volte, era ammaccato in vari punti.
Continuava a battere, a fatica.
Resisteva, contro ogni pronostico o previsione.
 
 
E tutte quelle parole che si susseguivano veloci, una dopo l’altra, uscite dalle sue labbra e da quelle di Harry,
fiumi in piena che avevano superato l’argine, lui non sapeva come classificarle.
Poteva chiamarlo ‘discutere’?
Del resto proprio quel giorno, il ventiquattro dicembre, gli ricordava del tempo che stava passando.
Ventun’anni.
Una quantità di ore, minuti, secondi difficile da calcolare.
Forse le grida disperate e i lamenti che lo sconvolgevano fin dentro erano proprio un ‘litigare’, infantili come lui.
Lo sarebbero stati per sempre.
E l’aveva detto una volta al riccio, che magari era solo colpa sua, che era un immaturo, proprio come suo padre.
Lui non aveva risposto.
L’aveva abbracciato, stringendolo forte sul petto. Louis aveva continuato a parlare, gli aveva mormorato che sarebbero finiti come i suoi genitori,
sfiniti dalla vita, poi altre parole non udibili, cancellate dalla bocca di Harry sul suo collo e da un sonoro ‘shhhh’.
Non avevano più affrontato quell’argomento.
 
Come sei diventato alto, questo gli aveva detto sua madre appena arrivato a casa, proprio mentre poggiava le valige sul mogano scuro del pavimento.
E lui ne era rimasto sorpreso, senza parole.
Perché per Harry lui era un piccolo elfo, che non riusciva a toccare con i piedi per terra se non di punta, quando in concerto cantava seduto su una cassa,
e che gli arrivava alle spalle, nonostante fosse più grande del riccio di due anni.
Era troppo alto per potersi ancora nascondere nell’anta dell’armadio e sprofondare nelle lenzuola che profumavano di pulito e di mamma.
Non lo era abbastanza per essere considerato un adulto.
Semplicemente non era abbastanza, proprio come suo padre.
 
 
 
Una volta Harry l’aveva chiamato ‘ragazzo occhi cielo’.
Perché i tuoi occhi sono il mio, di cielo, gli aveva raccontato con fare quasi distratto, mentre osservava le loro mani intrecciate.
Quando si guardavano, in quel momento l’azzurro incontrava il verde.
Il cielo incontrava il mare.
E Louis ci si specchiava, nell’acqua di quei occhi.
Si aggrappava al suo respiro, per continuare a vivere, a quel piccolo uomo da cui dipendeva senza riserva alcuna.
Non c’era niente che lo facesse stare bene come le sue dita affusolate sul collo, le sue labbra nell’incavo fra la mascella e l’orecchio.
Niente che lo facesse sentire completo come lui.
Vivo.
 
Ma qualcosa stava cambiando.
Lo si intuiva dalle parole sempre più spesso non dette, nascoste, che rimanevano in gola e bruciavano come fiamme,
confessioni silenziose di un amore ormai in pezzi.
 
 
Qualche giorno prima Louis era in giardino.
Le sue sorelle stavano addobbando l’albero di Natale, come ogni anno.
Le vedeva dalla finestra bisticciare per chissà quale motivo, con palline blu e argento fra le mani.
Lui sbuffava, col telefono all’orecchio.
 Nuvolette chiare di condensa si formavano davanti al naso e alla bocca, catturando la sua attenzione.
Le osservava dissolversi nell’aria, con occhi bambini.
 
Quando faceva freddo Harry lo fissava e poi sghignazzava, prendendolo in giro perché parlava per il solo gusto di guardarle fluttuare intorno a lui,
o perché proprio in quel momento piccoli fiocchi candidi cadevano dal cielo e Louis tirava subito fuori la lingua,
ripetendo per l’ennesima volta che dopo tutti quegli anni non aveva ancora capito che sapore avesse la neve.
 
 
Stavolta era diverso.
Harry non era lì, né tantomeno all’altro capo del telefono,
a raccontargli con una risata argentina il film più stupido di sempre e non riuscendo a trattenersi dal svelargli anche il finale.
Non rispondeva alle chiamate, non si faceva sentire, era sparito.
La mente di Louis cercava mille scuse, giustificava in ogni modo le mancanze del riccio, perché sì, era giusto che lo facesse soffrire, sentire vuoto, scomparire.
Perché l’amore è questo, il cuore che potrebbe scoppiare da un momento all’altro, un attimo prima dalla felicità, quello dopo dal senso d’incompletezza che pervade ogni fibra, ogni cellula.
Ma c’era una piccola parte di lui che da dentro urlava ‘Dannazione, aiutami, sto sprofondando’, una richiesta silenziosa ed incessante.
Nessuno rispondeva.
Nessuno gli allungava la mano per tirarlo fuori dal burrone in cui era caduto.
Chiunque sputava sentenze, tutti lo manovravano muovendo i fili della sua vita, ma nessuno poteva controllare lo squarcio sempre più grande nel suo petto.
 
 
‘Con il tempo migliora’, così dicevano.
Il tempo per lui era sempre stato solo un danno.
I secondi scorrevano veloci, avrebbe voluto riavvolgere il nastro, tornare indietro e fare tutto meglio, gustarsi ogni singolo attimo.
E quando invece il tempo sembrava non passare mai e lui poteva sentire il ticchettio delle lancette nella sua mente, allora desiderava avere un telecomando,
per poter premere su un tasto che lo portasse avanti il più velocemente possibile, nel futuro, in qualsiasi posto nel mondo, ma con Harry.
 
Lì, nella sua stanza, il ventiquattro dicembre, davanti alle pareti chiare, al letto col piumone blu, tendente all’indaco,  al comodino disordinato,
Louis sentiva il peso dei pochi anni vissuti, il rumore di tutti i propri passi, il profumo di tutti i propri errori.
Stava sprofondando e sapeva che solo una persona avrebbe potuto salvarlo dal tempo, dal passato, dal presente, dal futuro, imminente e non.
Non si era nemmeno reso conto del Black Berry nelle proprie mani, delle dita che scorrevano sulla tastiera,
del suono acuto e regolare che segnava l’inizio della conversazione.
Non controllava la propria voce che, sovrastando un roco  ‘pronto’ proveniente dall’altro capo del telefono , chissà dove, diceva ‘ho bisogno di te’.
Perché il futuro, Louis lo sapeva, era lui, Harry.
E quel ‘Aspettami, sto arrivando’ voleva dire molto di più.
Era una promessa. Sto arrivando a salvarti. Non importa dove sono, cosa sto facendo, chi lascerò da solo con sé stesso, io sto arrivando.
Per te.
Per noi.
Aspettami lì, il tempo, il futuro, il mondo lo affronteremo insieme.
Io e te.
 
 
 
 
 
 
 
Buonaseeeeera,
 
Ebbene sì, ho pubblicato c: *applausi di incitamento*
Mi fa strano pubblicare questa one-shot, in realtà l’ho scritta proprio il ventiquattro dicembre, ma,
un po’ per timore, un po’ perché mi mancava il finale, l’ho pubblicata solo oggi.
Lo chiamavano parto (spingi, spingiiiiiiii ahahahah) :’)
Ci tengo a specificare che in realtà in questa storia si parla un po’ anche di me, della mia infanzia e blablabla, perciò è stato alquanto terapeutico completarla.
Scrivere fa bene, sempre (:
Si, è breve, ma DOVEEEVO, dovevo pubblicarla.
Lasciamo da paaaarte la depressione *yeeeeeah*
Allora, ringrazio tutti i ragazzi del ‘Larry Stylinson is the way’ per il supporto e soprattutto perché fate finta di ascoltarmi quando espongo le mie teorie,
anche quelle più improbabili AHAHAHAH
Perciò grazie alla Vero, alla Vale, a Winnie, alla Cangialla Boo (mia, miaaaa! Se non la pianti di chiamarmi Boobie ti ho avvertito, il nick ‘Dick’ sarà irreversibile #muchlove)
e a tutti gli altri, ma proprio tutti, un ENORME grazie, non sapete quanto mi fate bene.
La Well non è tutta unicorni e arcobaleni come sembra, sappiatelo!
Quindi, A MASSIVE THANK YOOOOU.
Poi ringrazio la Mel, la Pein e tutte le ragazze twitteriane di Pistoia (siete solo gelose del mio culo, skst c:)
Più che un ringraziamento invece ci vuole la proscinesi (e non esagero) per quel mostro di bravura, nonchè dea della scrittura angst, che è Mirokia.
Lo sai che ti adoro. Sembro anche un po' una stalker, scuuusa.
Aaaah, e ringrazio anche l’Alice che, nonostante abbia tutt’altri gusti, ha letto le mie storie e le ha apprezzate (:
In realtà sono infiniti i ringraziamenti che dovrei fare, perciò la faccio breve e dico GRAZIE A TUTTI.
Perché sì.
Ah e Geigei, giusto a titolo informativo, è questa la storia di cui ti parlavo ;)
Enjoy!
Se vi fa schifo, la trovate decente o che so io, beh, fatemelo sapere con una bella recensione, le opinioni per me sono importantissime.
Basta, ho sonno, vado a nanna.
Buenasnoche a todos.
 
Well.
  
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