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Autore: WakeMeUp    29/01/2013    3 recensioni
Ero un bambino, ne ero consapevole, ma non me ne vergognavo, non me ne facevo un problema, anzi, ero un fiero bambino con la fobia di crescere e il coraggio di sognare.
[...]
Per me la vita è quella che si porta dietro emozioni [...]
Ed io mi sentivo vivo solo con l'arte; musica e teatro mi regalavano le emozioni più forti, la spensieratezza, la serenità, solo dando spazio alla mia voce su una base o alle mie mosse su un palco riuscivo a sentirmi veramente vivo.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dieci Gennaio Duemiladieci.


«Sei solo un bambino, Louis!» diceva mia madre. 
«Quando ti renderai conto che questa non è una delle tue favole ma la realtà?» continuava mio padre, mentre io con il capo chino li ascoltavo, non dando realmente peso alle loro parole, tutto quello che volevo era andare via da lì e commettere l'errore che commettevo ogni pomeriggio e che contro le mie volontà avrei continuato a commettere.
Quel discorso lo avevo ascoltato così tante volte che avrei potuto recitarlo meglio della parte che mi avevano assegnato a scuola per lo spettacolo di fine anno, eppure continuavo a non fare niente per evitarlo. 
«Quando capirai che il mondo del lavoro è complicato e l'unica via d'uscita è la scuola?» continuava mamma. 
«Devi studiare o non troverai mai un lavoro e non credere che noi saremo qui a mantenerti. Devi imparare ad essere indipendente, hai diciotto anni, è l'ultimo anno di liceo, diamine cresci!» ancora una volta quelle parole arrivarono alle mie orecchie ed ancora una volta le ignorai. Io sapevo benissimo cosa avrei fatto e sapevo altrettanto che la scuola prescindeva del tutto da esso, ma loro sembravano non volerlo capire. 
Erano anni ormai che facevo teatro e prendevo lezioni di canto, sapevo che quello era il mio destino, la mia strada, motivo per cui decisi che quell'estate avrei fatto l'audizione ad XFactor. 
Quando il loro stupido discorso finì, alzai la testa e li guardai. 
«Avete ragione. Mi impegnerò. Posso andare?» chiesi educatamente per non alimentare la loro furia, attesi un cenno e scappai via in camera mia. 
Ero un bambino, ne ero consapevole, ma non me ne vergognavo, non me ne facevo un problema, anzi, ero un fiero bambino con la fobia di crescere e il coraggio di sognare. 
Non mi erano mai piaciute le regole, gli obblighi, l'idea della gente di considerare vita un buon voto preso a scuola o un grave problema un insufficienza. Per me la vita è quella che si porta dietro emozioni, è vita quando ti senti vivo, quando senti una felicità e una serenità tale da poter toccare il cielo con un dito, è vita quando soffri, è vita quando sorridi, quanto ti innamori, quando piangi. Non è vita quando prendi un buon voto a scuola o fai la miglior ricetta del pollo. 
Ed io mi sentivo vivo solo con l'arte; musica e teatro mi regalavano le emozioni più forti, la spensieratezza, la serenità, solo dando spazio alla mia voce su una base o alle mie mosse su un palco riuscivo a sentirmi veramente vivo. 

Dieci Novembre Duemiladodici.
 

«Ehi amore, sei pronto? Tra poco abbiamo l'intervista!» la voce bassa e roca del mio fidanzato mi riscosse dai miei pensieri e alzai la testa per guardarlo, trovandolo come sempre bellissimo, con i suoi occhietti vispi e i suoi ricci fonati, ma comunque maledettamente belli. 
«Sì, sì.» annuii, sorridendogli appena. Lui si avvicinò a me poco convinto e mi si sedette accanto, sul divanetto di quel camerino in cui ero rimasto da solo per pensare un po', guardandomi con sguardo indagatore e preoccupato. 
«Dimmi la verità, a che stavi pensando?» chiese e mi venne da ridere per l'espressione impagabilmente corrucciata del suo viso. 
«A niente, sul serio, sono solo stanco.» affermai, sporgendomi per lasciargli un bacio sulle labbra. 
«Mh, va bene.» mi concesse, aprendosi in uno dei suoi sorrisi più belli, prima di lasciarmi un altro bacio a fior di labbra, alzarsi dal divano, prendermi per mano e trascinarmi fuori da lì. 
Percorremmo velocemente i corridoi di quegli studi televisivi e riuscimmo ad arrivare in tempo per bere un po' d'acqua e cominciare l'intervista.
Le domande scorrevano veloci e tranquille, nessuna domanda su Danielle, nessuna domanda sul Larry, nessun problema, quando ad un tratto la donna mi guardò con sguardo intenerito e chiese: «Louis, il Peter Pan della band. Spiegaci questa cosa, come mai ti chiamano così?» chiese e la domanda apparve un po' stupida, ma sorrisi sornione e lanciai uno sguardo al mio riccio che sorrideva altrettanto, per poi tornare a prestare attenzione alla conduttrice. 
«Beh, fin da quando ero un ragazzino mi sono sempre divertito parecchio, ho fatto tante cose stupide e ho vissuto, ho così tanti bei ricordi da bambino che crescendo ho coltivato questa fobia del crescere.» iniziai. «Sono un eterno bambino, e non mi dispiace affatto.» conclusi sorridendo. La donna annuì sorridente e passò a chiedere qualcosa a Zayn di cui non capii niente, rapito da un sussurro del mio fidanzato seguito da un suo enorme sorriso che mi estraniò dal mondo. 
«Un bambino che ha avuto il coraggio di sognare.» Quel sussurro però non sfuggì a nessuno di fatto i tre ragazzi si voltarono verso di lui seguiti dalla conduttrice. 
«Che hai detto, Harry?» chiese quest'ultima. Harry sorrise ancora e alzò la testa per guardarla. 
«Che lo ringrazio per esser stato un bambino con il coraggio di sognare.» rispose, poi si voltò verso di me e quando i suoi occhi incontrarono i miei rabbrividii ma cercai di non darlo a vedere. Sorrisi e lasciai che il resto del mondo sparisse oltre ai miei occhi incastrati tra i suoi. 
Ero un bambino, ma quel bambino mi aveva permesso di conoscere lui e quegli altri tre ragazzi di cui non sarei più riuscito a fare a meno, e sarebbe stata sempre la parte più bella di me.











Piccolo angolo di una ragazza in crisi con la scrittura.

Hi everyone!
Sono tornata con qualcosa di molto random, mentre dovrei aggiornare la Larry o anche la raccolta, ma prometto che arriveranno anche quelle.
Qui è Louis che parla, ma in realtà in questo Louis mi nascondo del tutto io. Lui sa che la scuola non è il suo futuro, a lui non piace considerare la scuola uno degli scopi della vita, lui pensa che tutto ciò che non riguardi le emozioni non sia vita davvero.
E beh, dietro di lui mi nascondo io che la penso esattamente così. La scuola è solo uno dei tanti fattori e il fatto che Louis non si impegni a scuola perché non gli piace beh, è sbagliato ma quella sicurezza che ha, di quello che farà in futuro, lo lascia tranquillo, in attesa che quel momento arrivi.
Louis è un bambino, sogna di potersi realizzare nel mondo artistico, con il canto o con la recitazione, e coltiva i suoi sogni per far sì che si avverino. Sa che quella è la sua strada e la percorre.
Dopo due anni, Louis si trova a ripensare a quello che gli dicevano i genitori e prendeva consapevolezza del fatto che avessero ragione, era un bambino, lo era sempre stato e sempre lo sarebbe stato. Ma si ritrova a sorridere, perché lui ha solo da ringraziare quel bambino, così come lo ringrazia Harry, per aver avuto il coraggio di non prendere la via più semplice ma di aver avuto il coraggio di sognare ed aver realizzato il suo sogno. 
Non ho altro da dire, solo che vi consiglio di sognare, restando con i piedi per terra e senza esagerare, ma fatelo, se avete un sogno, non lasciatelo andare...coltivatelo.
See you next time.
WakeMeUp. Xx

   
 
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