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Autore: marrymezayn    29/01/2013    19 recensioni
Tratto dal primo capitolo: "Si tolsero dalla presa delle due dita, poi Harry le tirò una treccia. «la smetti? Mi innervosisci, stupido!» sbottò la bionda, guardandolo male. «continuo perché ora sei mia sorella. E io a mia sorella tiro i capelli, e non si è mai lamentata!» sussurrò, alzando il nasino con fare saccente. Lee lo guardò male, per poi saltargli addosso, per picchiarlo. La risata dolce di Harry invase il parco innevato, mentre si rotolava nella neve con la sua nuova sorella. Quando finirono di rotolarsi giù dalla discesa, rimasero abbracciati in quell’abbraccio fraterno. Harry prese a giocare con i capelli biondi della sua amica, che si accoccolò tra le sue braccia.
«non mi lascerai mai, vero Lee?» «mai.»"
Genere: Azione, Commedia, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Harry Styles, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Due anni dopo - New York

Rumore di fogli, rumori di una penna che scivolava sulla carta ruvida di un foglio. Quel rumore che, quando sei sotto accusa, ti rimarrà per il resto dei tuoi giorni nella mente. Anche chi non era accusato avrebbe ricordato quel rumore, ma come una salvezza. L’aula era strapiena di gente, di giornalisti in cerca di informazioni. Quella storia aveva fatto il giro del mondo in un modo o nell’altro.
«Come si ritiene l’imputato?»
«Non colpevole.»
La risposta tanto ovvia quanto dolorosa. Harry guardò con occhi assassini l’uomo che si era alzato per rispondere a quella domanda, sentendo Lee irrigidirsi sotto il suo braccio con cui l’abbracciava.
Un mormorio partì per tutta l’aula facendo esasperare il giudice che guardava l’uomo con occhi serissimo. Sbatté il martelletto sulla piastra, richiamando il silenzio e la calma della gente che assisteva ad uno dei processi più lunghi del secolo.  
«Non colpevole? Ce ne vuole di coraggio per dire di non essere colpevole.»
«Non ho fatto nulla, Signor Giudice. Ho trovato quella bambina e l’ho portata con me.»
Il giudice neanche rispose a quella frase, tornando a guardare i fogli sotto di lui. Per fortuna avevano trovato un giudice con tanta cattiveria da far passare a quello stronzo il resto dei suoi anni in carcere. Ed era proprio ciò che voleva Harry per tornare a dormire sogni tranquilli.
Con un sospiro il giudice si girò verso la corte, scrutando quelle ventotto persone che avrebbero scelto, insieme a lui, la sorte di quel bastardo che a parer suo doveva bruciare all’inferno. Prima di dare la parola al capo della corte si girò a guardare la prima fila del pubblico. Lì, seduti uno al fianco dell’altra c’era la famiglia della ragazza, la ragazza stessa che se ne stava in silenzio e ad occhi bassi e il suo ragazzo. C’erano persone che avevano paura di dire la verità, ma quel ragazzo aveva lottato con denti e artigli per la giustizia.
Un sorriso debole e tornò a guardare la corte. «Il verdetto?»
Un uomo sulla cinquantina si alzò e dopo aver guardato i suoi colleghi che annuirono, aprì un foglio. «La corte ritiene Richard Manson colpevole di rapimento di minore, stupro e schiavismo.»
«Quanti anni di aria vogliamo dargli?»
«Trent’anni.»

L’uomo annuì, girandosi di nuovo a guardare l’aula di tribunale piena zeppa. «La sentenza è stata decisa. Richard Manson è dichiarato colpevole e per questo passerà trenta anni in carcere, con impossibilità di chiedere un rinvio. La seduta è sciolta.»
Il chiacchiericcio si formò subito appena il martelletto del giudice batté sulla base, concludendo lì la sentenza. L’uomo venne portato via, mentre sbraitava che non aveva fatto niente di tutto quello. Harry passò lo sguardo dall’uomo al giudice, ancora seduto al suo posto a guardarlo. Un senso di leggerezza lo invase, mentre si girava verso Lee che veniva abbracciata dai suoi reali genitori. Piangeva la sua ragazza, piangeva felice che tutto fosse finito. Che quel bastardo fosse finalmente chiuso in carcere per il resto della sua vita.
Appena Lee si liberò dell’abbraccio di suo padre che piangeva insieme a Patty, si buttò su di lui. «Grazie.. Grazie amore mio!» le sorrise e posando i pollici sulle sue guance cancellò le sue lacrime. «Non devi ringraziarmi. E’ tutto finito amore mio!» Lee gli si buttò sopra baciandolo con tutto l’amore che possedeva.
Giustizia era stata fatta, ma non era ancora terminata lì la storia. Avevano un’altra battaglia da vincere ed era sicuro che l’avrebbero vinta.
 
Tre mesi dopo la prima udienza – Londra.
 
«Prego Signorina. Può incominciare a raccontare!» gli occhi bicolore della ragazza si alzarono dalle sue mani che si torturavano a vicenda, cercando un altro paio di occhi. Occhi color smeraldo che era sicura la stessero guardando. E lo trovò a guardarla, con un sorriso dolce e di incitamento disegnato sulle labbra da urlo. Lo vide annuire per incitarla.
Prese un profondo respiro e iniziò: «Quando il mio finto padre arrivò al suolo senza neanche più un centesimo, per settimane non si fece vedere a casa. Non me ne preoccupai più di tanto. Era solito fare viaggi ma mi domandai come potesse viaggiare se non avesse più un soldo. Ritornò a casa una settimana dopo, con un uomo. Lo conobbi come amico di mio padre, ma si rivelò il mio pappone in un futuro. Mi fidai, come una stupida, del mio finto padre e di quell’uomo. Richard mi disse che potevo fidarmi, che mi mandava a Londra con lui per non farmi rimanere lì dove non avevamo un soldo, non avevo possibilità di studiare. Così feci le valige e partì per Londra. Ero contenta, perché credevo veramente che la mia vita stesse per cambiare.
Ma quando arrivai nella capitale inglese, l’uomo cambiò totalmente. Nei giorni successivi fu..»
le parole le morirono in gola. Non voleva più parlare, raccontare e ricordare quel periodo. Ora che aveva la felicità perché doveva per forza ritornare a quel periodo? Il silenzio crollò nell’aula, mentre tutti aspettavano una qualsiasi parola da parte della ragazza.
Alzò di nuovo lo sguardo, guardò l’imputato e vedendo il suo sguardo serio le passò un brivido per tutta la schiena. Cazzo. Quell’uomo se non avesse perso, come minimo l’ammazzava. Lo stava mettendo nei casini ed era certa che in un modo o nell’altro l’avrebbe fatta ammazzare. In quel silenzio percepì il suo nome e, guardò gli occhi di chi l’aveva richiamata. Lo vide scuotere la testa, sorridere e farle un occhiolino.
«Non mollare» lo vide mimare con le labbra, come ad incitarla. Lo guardò ancora, ansiosa. Stavano facendo la cosa giusta? E se avesse pagato qualcuno per uccidere lei o Harry? Come avrebbero fatto? Si girò a guardare il giudice che, vedendola così bianca, le sorrise.
In quella udienza il giudice sembrava molto più tranquillo dell’altro. Lì si stava parlando di prostituzione, ed era illegale. Non era la prima a salire lì e raccontare la sua storia da schiava del sesso. Ma tutto era partito da lei, quindi come minimo l’avrebbero ammazzata.
«Si sente bene? Vuole tornare al banco?»
Tornò a guardare Harry, poi scosse la testa e deglutì. «No. Vorrei terminare.» E sorrise. Sorrise orgoglioso di lei, come sapeva fare solo il suo Harry.
«Prego..» Le fece segno che poteva continuare, ma prima di riprendere a parlare vide una guardia riempire il bicchiere pieno di acqua. Il giudice glielo indicò e lei prese un goccio di acqua ghiacciata, posando poi il bicchiere sul bancone. Chiuse gli occhi, si abbandonò sulla poltrona e lasciò andare i ricordi.
«Nei giorni successivi fu l’inferno. Non che la mia vita prima fosse perfetta, ma non mi sarei mai immaginata di arrivare tanto in basso. Venni messa a lavorare in un street club. Lavoravo per tutta la notte. Prima come ballerina, poi come prostituta. Tutto ciò che mi chiedevano io dovevo farlo. Se il cliente era insoddisfatto, oltre a prenderci le botte, venivo rinchiusa in una stanza per un giorno senza cibo ne acqua. L’unica cosa che mi impediva di ammazzarmi era l’idea che più in basso di così non si poteva arrivare. Poi ho incontrato Harry Styles, che come scritto nella mia dichiarazione alla polizia, mi aiutò. Mi aiutò, dandomi una mano e facendomi vedere che in fondo la vita poteva essere bella. Poi venni a scoprire che non ero chi credevo di essere. Anche quello scritto nel mio fascicolo. Mi nascosi da Harry, per paura, perché volevo cambiare vita. Volevo essere come le tante ragazze che vedevo in giro per Londra. Mi trovarono poco dopo. Una schiava non si nasconde, si trova in un modo o nell’altro. Dopo avermi trovato e dopo una punizione con i fiocchi venni rinchiusa per due settimane in quella stanza. Mai ci ero stata così tanto in tutti i miei due anni di schiavismo. Mi passavano a volte un po’ di acqua e un po’ di pane.»
Il chiacchiericcio si formò nell’aula, questa volta occupata solo dal pubblico. Non c’erano giornalisti in quell’aula. Attendevano fuori in attesa del verdetto.
«Silenzio in aula, per favore! Continui, Signorina!»
«Con me, in quello scantinato vi erano altre dieci ragazze. Di tutte le nazionalità. E come me, venivano vendute ogni sera a dei sconosciuti..»
«L’uomo.. ecco.. il suo.. mhm.. padrone, è in questa aula?»
Tornò a guardare il giudice e lo vide preoccupato. Forse si sentiva uno schifo nel chiamarlo padrone. Annuì.
«Può per favore indicarlo?» Si scambiarono uno sguardo complice, poi con un sospiro, senza nemmeno guardare dove stesse indicando, puntò il dito verso Samuel.
«L’imputato è il suo.. padrone?»
«Si!»

Lo vide sorridere, dolcemente. «La ringrazio signorina!» fece un sorriso a labbra strette e spostando la sedia scese dal piedistallo. Passò al fianco del tavolo dove sedeva Samuel e lo guardò. Lui la guardò con odio, poi tornò a guardare il giudice che batteva il martello sul ripiano, chiamando un’altra testimonianza. Una della altre dieci ragazze che dormivano con lei in quello scantinato. Passò nella parte del pubblico dove Harry si era alzato e l’aspettava alla fine della panca, proprio in mezzo alla navata. Le porse la mano e con un sorriso la prese, stringendola forte. Harry le passò un braccio sulle spalle e dandole un bacio tra i capelli cominciò a camminare.
«Brava amore mio! Torniamo a casa.» Casa. Che bella parola.
 
 
«’Dio, ma cosa ci hai messo in questo scatolone?»
«Libri. Sai cosa sono?»
«Quanto sei simpatica! Potresti fare la comica, sai?»
Disse guardandola di traverso, mentre camminava al suo fianco tenendo ben saldo l’ultimo scatolone che avevano scaricato dalla macchina, dirigendosi verso casa. Due mesi prima si erano promessi una cosa. Se avessero vinto quelle due cause, sarebbero andati a vivere insieme. Lui e lei, da soli. Senza nessun’altro tra i piedi. Avevano da recuperare ben undici anni e non volevano perdere tempo prezioso. Lee aprì la porta della piccola casetta in zona tre a Londra. Sorpassandola entrò nel salone e posò lo scatolone senza troppe cerimonie sul divano, facendola gemere.
«Ehi, quei libri costano più di te. Vedi di trattarli decentemente, riccio!»
«’Frega cazzi! Pesavano e mi stavano facendo indolenzire le braccia.»
«Quanto sei macho, riccio!»
lo sfotté posando le chiavi sul tavolo da pranzo e rimanendo in silenzio. Entrambi si guardarono negli occhi, sorridendo.
«Lo senti anche tu?» Chiese il riccio, guardando la sua ragazza. E lei non fece altro che annuire, in silenzio.
Silenzio.
Dentro quella casa c’era il silenzio totale. Non un rumore, non Niall che urlava che aveva fame. Non Zayn che blaterava ai quattro venti, non Louis che piagnucolava che non trovava le sue magliette a righe, non Liam che sbraitava che quella casa era un porcile. Zero, nein, nothing. Soli, con quel silenzio.
Harry si avvicinò alla bionda – ormai tornata bionda dopo tante litigate – e la guardò, abbracciandola.
«Come si dice?»
«Casa dolce casa!»
«No!»
Rispose prontamente il riccio facendosi guardare dalla ragazza con stranezza.
«E come?»
«Donna vai in cucina e preparami un panino!!»
Lee lo guardò incredula, per poi riempirlo di schiaffi sul petto, scatenando le risa del ricciolino che le passò le braccia ai fianchi e se la strinse addosso.
Si piegò a darle un bacio a fior di labbra, guardandola con i suoi occhioni color smeraldo.
Le fece lo sgambetto e tenendola la fece adagiare per terra, stendendosi su di lei.
«Cosa vuoi, mhm?»
«Niente. Non posso stare steso con la mia ragazza sul pavimento della nostra casa?»
chiese tirandole una ciocca di capelli e facendosi guardare ancora male dalla bionda.
«Non tirarmi i capelli, Harry! Lo sai che lo odio!»
«Si, lo so! Ma sei così adorabile con quel cipiglio incazzoso!»
«Vuoi vedere come sono adorabile appena ti massacro di botte?»
«Non oseresti tanto. Tu mi ami!»
«No. Io ti odio!»
«L’odio è un sentimento potente, forte! Mi piace!»
E sorrisero entrambi. La bionda affondò le mani nei suoi ricci e lo avvicinò al suo viso.
«Sta zitto e baciami!» Non se lo fece ripetere tre volte, il bel ragazzo. Appoggiò quelle labbra che sapevano di miele su quelle della sua ragazza, chiedendole l’accesso e ricevendolo subito dopo. Accarezzò la sua lingua, il suo palato e accarezzò avidamente il suo corpo. Era sua, e nessuno gliel’avrebbe più portata via. Nessuno si poteva permettere, senza che lui lo volesse, di portargli via ciò che voleva da sempre. Ci erano riusciti una volta, ma non sarebbe più capitato.
Il peggio era passato e come si dice, quando si sta in fondo non si può far altro che salire. E loro stavano salendo, pian piano. Ma la cosa bella era che salivano si, ma insieme. Mano per la mano, uno affianco all’altra, come doveva essere dall’inizio.
Avevano preso in affitto casa, avevano trovato lavoro insieme anche se in due posti separati, pagavano le bollette insieme, avevano trovato due università a Londra (lei Giurisprudenza e Harry un'università di spettacolo) e, la cosa più importante, avrebbero camminato insieme per il loro futuro. Quello stesso futuro che Harry Styles aveva già ideato quando era piccolo e non avrebbe permesso a nessun’altro di non darsi quel futuro. La voleva, proprio come quando era bambino. E l’idea era sempre la stessa. La voleva sposare. Certo, non adesso, non lì su quel pavimento. Ma l’avrebbe fatto.
Fanculo l’essere giovane, fanculo chi gliel’aveva portata via, fanculo a quei due stronzi, fanculo al mondo di merda, fanculo a quei undici anni senza di lei, fanculo al pensiero che era morta, fanculo alla certezza che era morta, fanculo al fatto che si era innamorato di una puttana, fanculo al fatto che quella puttana era la sua, innegabilmente, Lee. Era sua. E l’avrebbe sposata.
Tra cinque, dieci o venti anni, l’avrebbe portata all’altare. E già la vedeva vestita di color perla, con il velo calato su quel viso truccato ma non troppo. In mano un bouquet di rose bianche e rosse.
Quando si staccò dalle sue labbra, lei riaprì gli occhi che brillavano di una luce viva, felice.
«Benvenuta a casa!»
«Benvenuto a casa anche a te!»
si sorrisero dolcemente, Si alzò e porgendole la mano la fece rialzare, per poi dirigersi verso la loro camera da letto. E fanculo anche gli scatoloni ancora intatti.



Spazio dell'autrice:  Si, è passato un fottio di tempo da quando ho aggiornato. Lo so, mea culpa. Ma anche se questa storia era già studiata nella mia mente, scriverla è stato davvero un parto. Non è uscita come volevo e questo mi dispiace ma.. Ormai i dadi sono stati tirati, il gioco è fatto. E anche finito. Eh già bellezze, questo è l'ultimo capitolo
Ringrazio chi ha seguito la storia, chi pazientemente ha atteso i miei aggiornamenti lunghi anni e anni, chi si è commosso, chi ha pianto, chi ha riso, chi.. tutti! Tutte quelle persone che hanno seguito la storia. Non posso far altro che dirvi un grosso, grande, grandissimo G R A Z I E!
Spero che anche questo capitolo vi piaccia. E se non vi piace, amen! Mi dispiace, ma è ciò che sono riuscita a fare. Forse ora capirete quanto io sia impedita con i finali felici. Non sono proprio brava a scriverli, notate? ahahaha. 
Davvero, grazie a tutte quelle persone che hanno seguito questa storia e aspettato pazientemente un mio aggiornamento. Vi amo, non posso far altro che amarvi per tutta la pazienza che avete avuto. 
See you later, ragazze. E grazie, ancora.
   
 
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