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Autore: Will P    20/08/2007    11 recensioni
SPOILER DI DEATHLY HALLOWS!!
Dicono di solito di lasciare che i morti riposino in pace. Una patina di polvere si posa sui ricordi e tutto viene inghiottito dal tempo. Ma la polvere si può sempre sollevare con un semplice soffio, che genera una soffice nube.
Il problema è, ne vale davvero la pena?
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Teddy Lupin, Victorie Weasley | Coppie: Remus/Ninfadora, Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Ragazzi, siete incappati in una fanfiction piena di SPOILER

Ragazzi,

siete incappati in

una fanfiction piena di

SPOILER!!

Lettore avvisato… U_U

 

 

Poking around into dusty memories

 

 

So I'll spend my time with strangers
A condition that is terminal
In this water-cooler romance
And it’s coming to a close

 

Sometimes I think I'll die alone

live and breathe and die alone

I think I’d love to die alone...

Cubicles - My Chemical Romance

 

 

La casa in cima alla collina lo occhieggiava sardonica.

 

In effetti, non era nemmeno una casa: era un cottage, minuto, e benché non dimostrasse la sua vera età aveva comunque un’aria vissuta, data in parte all’incolto giardino circostante e da qualche crepa sulla facciata.

Ad esser precisi, nemmeno quel vago pendio si poteva definire “collina”, ma così faceva più poetico.

E Ted Lupin era una persona molto precisa e poetica.

 

Lo zio Harry glielo diceva sempre che gli ricordava suo padre in maniera impressionante: non tanto nei lineamenti -sarebbe stato sciocco cercare delle somiglianze in un Metamorfomagus- quanto negli atteggiamenti e nelle piccole manie, come quella di tenere tutti i libri divisi per argomento e in ordine alfabetico, a casa.

Anche nonna Andromeda era solita fare paragoni. Diceva che per quanto somigliasse a suo padre, in certi momenti era la copia precisa di sua madre… come quando, finito di mettere a posto tutti i libri, inciampava sulla poltrona e rovinava contro la libreria.

 

Ha un che di bizzarro crescere sentendosi paragonare di continuo ai propri defunti genitori. Lo zio Harry sembrava capirlo, perché ogni volta che Ted gli faceva notare la cosa, lui aveva un guizzo negli occhi dietro le spesse lenti, e nascondendo a mala pena un ghigno gli scompigliava i capelli con affetto. Oh, non sai con chi ne stai parlando… diceva.

 

La cosa più strana era che non sapeva come reagire quando qualcuno gli diceva, ad esempio, che aveva l’abitudine di passarsi una mano sul collo proprio come sua madre quando era imbarazzata. Insomma, lui i suoi genitori non li aveva mai visti, non sapeva nemmeno se ci avesse trascorso insieme almeno qualche settimana.

Era sicuro che fossero stati delle persone fantastiche, tutti li ricordavano con affetto, ma… che cosa stupida da dire, ma se a lui non fossero piaciuti? Se fossero stati deludenti, come genitori?

Di solito queste elucubrazioni si concludevano con una scrollata di spalle, con cui si ricordava che tanto non sarebbe cambiato nulla e che i suoi genitori erano dei veri eroi.

 

Comunque, che male c’era a cercare un po’ di notizie? Dopo tante insistenze, nonna Andromeda si era finalmente convinta che gli avrebbe fatto bene scoprire qualcosa di prima persona e gli aveva raccontato della loro vecchia casetta. Ted, fuori di sé dalla gioia, aveva insistito per farsi dire per filo e per segno dove potesse trovarla, e si era persino scarabocchiato una mappa: delle righe nette per la strada che doveva seguire, quella curva sbilenca era la collina dove era costruita la casa e i ghirigori lì dietro stavano ad indicare un boschetto.

 

Adesso il bosco si estendeva in tutta la sua maestosa non-ghirigorosità sotto di lui, e il cottage sembrava una candelina su un’immensa torta verde. Si chiese distrattamente perché i suoi avessero scelto di abitare in un posto così isolato, nel mezzo della brumosa campagna inglese, e altrettanto distrattamente si rispose che il suo papà era un mannaro. Come in parte lo era anche lui, e per questo riusciva a capire quella decisione.

 

« Ooh, è davvero carina! Che peccato che sia stata lasciata così… » disse Victoire mentre si avvicinava a Ted per ammirare la casa, i capelli biondi ramati di rosso che le volavano in faccia per il vento. Ted le passò un braccio intorno alle spalle per scaldarla - cosa avrebbe fatto senza quella ragazza? Gli era stata vicino, l’aveva sostenuto nella decisione di visitare il luogo, si era offerta d’accompagnarlo…

 

Salirono il vialetto d’ingresso, che ormai si vedeva a stento sotto le erbacce e la terra smossa, e arrivarono alla porta: era in legno di ciliegio, e all’altezza del naso di Ted era stato inciso un piccolo bassorilievo. Avvicinandosi ad osservare con attenzione, rovinato dal vento e dalla pioggia si poteva distinguere l’abbozzo di una falce di luna con una zampata a fianco, chiaramente di lupo. Ted sollevò una mano guantata e seguì il contorno dell’incisione coi polpastrelli; nel farlo, la porta si aprì un poco con un alto cigolio, e bastò una spinta poco più forte per farla spalancare del tutto.

I cardini gemettero mentre se la richiudevano alle spalle, cadendo in una semi oscurità che rendeva spettrali i contorni dei mobili e di quelle che sembravano scale. Ted iniziò a tastare il muro direttamente a destra della porta.

 

« Teddy che stai facendo? » chiese Victoire, stringendosi alla manica del giaccone del ragazzo.

 

« Cerco un interruttore. »

 

« Un che? »

 

« Un aggeggio babbano, ce l’ha in casa anche zio Harry. Se lo trovo… ah, eccolo! » Con un piccolo click, una lampada appesa al centro della stanza tornò alla vita con qualche flash prima di stabilizzarsi su una calda luce aranciastra. La stanza in cui si trovavano assunse così un’aria molto più confortevole, sebbene sporca e impolverata.

 

Era un soggiorno piccolo, una porta sull parete dirimpetto ai due che doveva condurre ad un’altrettanto piccola cucina, e le scale alla loro destra. A sinistra, davanti ad un annerito camino a muro, stavano un tavolinetto, un divano e una poltrona. A muro c’erano due librerie cariche di antichi volumi e una lampada da salotto. Vicino alla porta c’erano un elaborato appendiabiti, una cassettiera con sopra un vaso vuoto e uno specchio.

Avanzarono al centro della stanza, sollevando nuvolette dal tappeto consunto, e appoggiarono le giacche sul divano dopo che Victoire con un gesto della bacchetta ebbe fatto sparire un po’ di sporco.

 

Ted si guardò intorno rapito, quella casa era esattamente come l’aveva immaginata: piccola, calda, confortevole. I libri erano proprio quelli che credeva di trovare, anche se non poteva dirlo con sicurezza da lontano gli pareva di riconoscere dei volumi sulla difesa dalla arti oscure e sulla licantropia. Gli parve di vedere dei ricordi prendere forma, due genitori felici che cullavano il loro bambino, quel bambino che muoveva i primi passi, feste di compleanno, serate passate a bere cioccolata calda davanti al camino… Poi si riscosse, e quelle immagini scomparvero. Lui, in quella casa, ci aveva vissuto meno di un mese.

 

« Io- vado a vedere cosa c’è di sopra, se trovo qualcosa di interessante. » Si avviò su per le scale, anch’esse cigolanti, e si ritrovò ad un piano superiore piccolo quanto quello inferiore: un corridoio che dava su tre porte, una aperta a lasciar intravedere il bagno, due chiuse, anche se su quella di destra spiccava una targhetta dorata, “Teddy R. Lupin”.

Ted aprì la porta a sinistra, la camera dei suoi, e andò dritto verso il grande comò nell’angolo in cerca di foto o quant’altro, registrando solo vagamente quanto quella parte della casa fosse decisamente più fredda rispetto al soggiorno o al corridoio. Forzando un po’ un cassetto riuscì ad aprirlo e a rovistarci dentro, ma vi trovò solo vecchi vestiti, un calzino spaiato e una federa sgualcita. Provò nel cassetto sottostante che si rivelò ben più incastrato e combattivo, ma dopo qualche imprecazione anche quello si arrese e mostrò il suo contenuto, ossia una pila di asciugamani sulla cui cima svettava pomposa una scatola rosso scuro. L’estrasse e se la rigirò tra le mani, per poi appoggiarla sul ripiano della cassettiera a togliere il coperchio: ai suoi occhi si presentò un album in pelle, quadrato, in ottimo stato (di sicuro grazie ad un incantesimo).

 

Se lo mise sotto braccio, quindi uscì dalla stanza chiudendosi con cura la porta alle spalle e raggiunse Victoire al piano di sotto. La trovò in piedi davanti alla libreria, con la testa piegata di lato e i boccoli ad incorniciarle il viso, intenta a leggere i titoli sul dorso dei vari volumi. Si voltò e gli rivolse uno sguardo interrogativo, al quale lui rispose sventolando il tesoro appena trovato. Gli occhi di lei si illuminarono mentre si affrettava a raggiungerlo sul divano.

 

« Che cos’è? Dove l’hai trovato? » chiese, passando rapita le mani sui bordi del librone.

 

« Credo sia… un album di foto. Era nascosto dentro il cassetto degli asciugamani, di sopra. » Ted fissò la copertina in cuoio, per la prima volta seriamente convinto che tutta quella storia fosse un errore madornale. Oh cavolo, aveva paura di un album -sbrindellato, per giunta. Comunque, non se la sentiva di aprirlo. Gli sembrava qualcosa di… sbagliato, ecco. Come intromettersi nella vita di qualcun altro.

Dannazione, adesso straparlava anche? Ma che qualcun altro e qualcun altro!

 

Victoire gli posò una mano sul braccio, e finalmente Ted si decise ad aprire il libro. La copertina fu sollevata in un’apoteosi di polvere, e solo dopo qualche attimo in cui starnuti e colpi di tosse la fecero da padroni i ragazzi furono in grado di sbirciare la prima pagina. Sulla filigrana giallognola spiccava, anonima, una scritta tutta ghirigori - Ricordi -, e nell’angolo in basso a destra si poteva leggere in una calligrafia stretta e severa una dedica. “Nella speranza che la vostra vita sia sempre piena di preziosi, luminosi ricordi. Minerva McGranitt”

 

La carta scricchiolò mentre la pagina veniva voltata, e in quella seguente campeggiava un’unica foto di gruppo. Una ventina di persone sorridevano e salutavano, stringendosi il più possibile per far entrare tutti; Ted riconobbe immediatamente Harry, in prima fila tra un uomo alto dai capelli neri e un altro che capì essere suo padre, viste le sottili cicatrici sul volto e l’aria stanca. Stavano sorridendo tutti e tre, benché non ci fosse molto da sorridere, e l’uomo dai capelli neri continuava a scompigliare i capelli di Harry come per tenerli persino più disordinati del normale. Vicino a sua padre stava una ragazza, giovane, il viso raggiante di gioia e i capelli rosa shocking legati in due codini; sua madre teneva una mano sulla spalla di un uomo dall’aria scocciata che aveva il viso sfigurato e un occhio blu elettrico molto più grande dell’altro, piccolo e nero.

 

« Guarda, c’è anche il mio papà! » esclamò Victoire puntando una figura in seconda fila. Le persone in prima fila si abbassarono un poco per lasciar spazio e Bill Weasley, a quei tempi ancora un bel ragazzo dai lineamenti decisi. « E qui i nonni, e gli zii! Così questo era l’Ordine della Fenice…» mormorò la ragazza in un misto di devozione e malinconia, seguendo con le dita la scritta a mano che fungeva da didascalia. Ordine della Fenice, Agosto 1995.

 

Nella pagina successiva c’erano due foto: nella prima, sua madre rideva, i capelli questa volta lunghi e azzurri le ricadevano scomposti ai lati del viso, e teneva per mano la persona che stava scattando la foto. Sembrava che stesse cercando di trascinarla nell’inquadratura benché quest’ultima fosse visibilmente restia. Nella seconda foto sua madre era riuscita a cogliere di sorpresa suo padre: Remus era seduto ad un’ingombra scrivania e stava scrivendo su un quaderno, profondamente preso. Ogni tanto alzava gli occhi verso Tonks, irritato, e smetteva di scrivere; dopo qualche attimo, magari raddolcito da qualcosa che sua madre aveva detto, le lanciava un’ultima occhiata in tralice e riprendeva la sua occupazione.

 

Un’altra pagina, questa con un’unica immagine. Datata 3 luglio 1997, era una foto del matrimonio dei suoi genitori. Sua madre era semplicemente bella nell’abito da cerimonia bianco, i capelli di un sobrio castano chiaro con un ciuffetto ribelle fucsia, gli occhi verdi brillanti come quelli di una bambina; stringeva il braccio del neo-marito che la guardava con un sorriso imperscrutabile. Anche lui sembrava in qualche modo diverso, quasi spensierato nonostante le innumerevoli sofferenze che gli si leggevano in volto. Dietro i due sposi novelli stavano Andromeda e Ted Tonks, e quando gli sposi si baciarono Andromeda scoppiò in singhiozzi; suo marito le dava delle pacche sul braccio, osservando Remus con lo sguardo diffidente che avrebbe qualsiasi padre al matrimonio della figlia. Non che quello fosse stato un matrimonio tanto classico, poi.

 

« Mio Dio, sono così dolci! Tua madre è… »

 

« Bellissima. » completò Ted con un groppo in gola. Tentò di schiarirsi la voce con scarsi risultati, e per evitare gli occhi preoccupati di Victoire che si sentiva puntati addosso si chinò sull’album. Registrava solo vagamente alcuni dei particolari della scena (il ciondolo a forma di stella che sua madre portava al collo, le occhiaie sul viso di suo padre o sua nonna Andromeda che stava stringendo la mano al marito tanto da fargli sbiancare la punta delle dita), mentre il suo cervello riusciva a focalizzarsi solo sull’atmosfera complessiva dell’immagine. Erano felici, dai loro sorrisi traspariva una gioia che -dopo tutti i racconti dello zio Harry- non credeva possibile durante il periodo di Voldemort. Si raddrizzò cercando di non farsi vedere mentre si asciugava gli occhi e voltò pagina.

 

Seguivano altre quattro foto, scattate probabilmente tra novembre e dicembre. In una sua madre stava comodamente seduta in poltrona e sfogliava pigramente un libro; mentre passava di pagina in pagina si sfiorava il grembo, quasi senza rendersene conto, in un gesto che poteva significare solo una cosa. Nella foto seguente, sempre sua madre si avvicinava al fotografo brandendo un rametto di vischio con un sorriso furbo; nella terza suo padre, inerpicato su una scaletta dall’aria fragile, si stava spenzolando per arrivare a mettere una stella sulla cima dell’albero di Natale che era stato piazzato in un angolo di quello stesso salotto. Nell’ultima foto Ted Tonks sembrava intento a spiegare al genero il modo migliore con cui tagliare l’arrosto, mentre seduta al suo fianco la figlia dai capelli rosso fuoco rideva di gusto.

 

« Ma cosa…? »

 

Quello che trovarono dopo furono delle pagine bruciate: alcune si erano semplicemente annerite e le foto che ospitavano si erano scollate, mentre di altre restava solo un bordo carbonizzato.

 

« Deve essere successo durante una fuga… » mormorò Ted, poi spiegò a Victoire che lo guardava perplessa « Gli zii mi hanno raccontato che in quel periodo tutti erano sempre in fuga: alcuni erano braccati, mio nonno si era dato alla macchia, e nessuno poteva ritenersi al sicuro se restava nello stesso posto per più di due settimane. Magari i miei erano stati scoperti, e la mamma non aveva voluto abbandonare l'album… nella fretta si sarà bruciato, o l’avranno colpito con un incantesimo… » Scacciò l’immagine che gli era appena venuta in mente dei suoi genitori inseguiti da un gruppo di assassini, girando la pagina con un gesto brusco.

 

Si ritrovò a fissare negli occhi un sé stesso molto, molto più piccolo. Mentre Victoire si lasciava andare ad un gridolino deliziato lui combatteva con un sorriso che non voleva saperne di andarsene dalle sue labbra. Era con sua madre, tutto infagottato, e tentava di acciuffare una verdissima ciocca dei capelli di Ninphadora con le manine paffute. Sua madre, l’immagine della serenità, sorrideva senza preoccuparsi di mettere i capelli fuori portata del bambino. Nella pagina a fianco era invece con suo padre e sua nonna: Remus, ridendo come un ragazzino, lo teneva saldamente sollevato sopra la testa in una sorta di aeroplanino; seduta sul bordo del divano dietro i due, Andromeda fissava immobile e con gli occhi sbarrati, ma senza dire una parola, quel degenerato del genero che trattava il figlio come un sacco di patate.

 

Poi, pagine bianche.

 

« Sono davvero poche foto, ma non credo avessero avuto tempo di farne tante… » disse Victoire dopo un momento di silenzio, tornando a guardare la foto di Remus e Ted. « Siete proprio buffi insieme! »

 

Ted ridacchiò e appoggiò il capo sulla spalla della ragazza, chiudendo gli occhi e godendosi i piccoli attimi che aveva appena rubato da un passato in parte anche suo. I suoi erano una coppia strana, punto. Sua madre era così vivace e appariscente, sembrava possedere vitalità a sufficienza anche per suo padre, che era sempre così composto e posato. Era qualcosa di profondamente diverso dall’ascoltare i racconti di parenti o vecchi amici sui suoi genitori, era come squarciare per un secondo la realtà e trovarsi a sbirciare dentro una vita che non gli apparteneva, una vita felice…

 

« Scusami un minuto, vorrei andare un attimo di sopra. » disse a Victoire posando l’album sul basso tavolino. La ragazza lo salutò con un bacio sulla guancia, e mentre saliva le scale la vide alzarsi ed avvicinarsi di nuovo alla libreria nell’angolo.

 

*

 

Cinque secondi dopo stava infilando il naso nello spiraglio di porta aperta per sbirciare quella che sarebbe dovuta essere la sua camera. Sgusciò dentro come se temesse vedere qualcuno sbucare fuori dal nulla  gridando “Fuori da camera mia!” e socchiuse le palpebre per abituarsi all’improvvisa quantità di luce naturale che entrava dalla finestra. Una delle tendine aveva ceduto e ora giaceva malamente spiegazzata a terra, esattamente ai piedi di una lettino minuscolo, in legno chiaro, con sopra un solitario cagnolino di peluche scolorito dal tempo. Per il resto, nella piccola stanza c’erano soltanto una libreria ovviamente vuota (sicuramente era stato suo padre a volerla) e un tavolino con una seggiolina. Ted si sedette proprio su quella seggiolina, che scricchiolò rumorosamente in protesta, e si perse in contemplazione della stanza. Della mia stanza…

Gli piaceva, nel complesso. Le pareti erano di un conciliante celeste, il panorama che si scorgeva dalla finestra era incantevole, le cime degli alberi indorate dal sole calante e il riflesso irrequieto di quello che, molto lontano, doveva essere un lago, e-

 

Nel mezzo delle elucubrazioni, la sedia decise di protestare in maniera più decisa spezzandosi del tutto. Ted si trovò dolorosamente a contatto con lo sporco pavimento, con una delle gambe dello sgabello che gli premeva contro il polpaccio le sue schegge aguzze, e un gomito indolenzito dalla botta data contro quello che, più che parquet, sembrava duro marmo. Ma il tutto passò in secondo piano non appena si rese conto di un particolare.

 

Tunk.

 

Tastò il pavimento, prudentemente, e dopo qualche minuto iniziò a picchiettare le assi su cui era caduto. Niente. Niente. Niente. Tunk.

 

Decisamente, c’era qualcosa di strano. Spazzolò alla buona il punto in questione e si mise a seguire attentamente i bordi dell’asse con le dita. La sua espressione si fece concentrata quando trovò un lato più smussato - quasi… Riuscì ad infilarci le dita e, senza che se ne rendesse conto, si ritrovò la tavola in mano come se fosse stata spinta da una molla. Tossendo violentemente, cercò di identificare cosa si trovasse dentro la nicchia nascosta immersa nel polverone.

 

Quello che si presentò sotto i suoi occhi dilatati dallo stupore fu un quaderno. Vecchio, nero, anonimo. Lo sollevò deluso, scrollandolo per pulirlo un po’, e fece così cadere un mucchio di fogli che si sparpagliarono disordinatamente in terra. Le raccolse in fretta e furia, ma si distrasse notando un plico di fogli che sembravano molto più vecchi del quaderno stesso ed erano tenuti insieme da un nastro dorato. Posò alla sua destra il quaderno e i vari foglietti che aveva riordinato e prese il plico, scrutandolo con un misto di curiosità e senso di colpa. C’erano delle foto, dei piccoli ritagli di giornale e un paio di fogli ripiegati, constatò mentre le sue dita giocavano distrattamente con nastrino. Il fiocco si sciolse da solo (circa) e non poté fare a meno di prendere in mano la prima foto.

 

Quattro ragazzi, in riva ad un lago, con le divise disinvoltamente slacciate sotto il sole rovente e dei sorrisi furbi che conferivano loro l’aspetto di una piccola banda di teppisti. Avranno avuto all’incirca quindici, sedici anni. Il più a destra dei quattro sembrava Harry, ma Ted capì subito che non poteva essere lui -lineamenti troppo marcati, occhi di tutt’altro colore… Così quello era James Potter. Allora gli altri dovevano essere i celebri Marauders. Minus, il ragazzino biondiccio e paffuto a cui James Potter stava scompigliando i capelli, poi Remus, giovane e spensierato, pallido ma in forma, e infine un bel ragazzo moro con un braccio posato intorno alle spalle di Remus, una strafottente eleganza tutta sua mentre lanciava ghigni cospiratori in direzione di James. Doveva essere quel Sirius Black.

 

La foto successiva era stata chiaramente scattata di nascosto, come dimostravano le reazioni infuriate degli abitanti dell’immagine. Era comprensibile in fondo che James si arrabbiasse dopo esser stato immortalato in un momento di privacy con la sua ragazza, che stava intanto sfoderando la bacchetta in direzione dei paparazzi, gli occhi verdi che brillavano di divertimento e imbarazzo…

 

Quello che ora si stava rigirando tra le mani era un biglietto. Di compleanno, per la precisione, per il diciassettesimo compleanno di Remus.

 

Auguri vecchio Moony!!! Finalmente maggiorenne!!

La cosa bella non è che potrai finalmente bere, fumare o corrompere giovani fanciulle

uscire dalla scuola quando vuoi, ma che potrai farlo LEGALMENTE! :D

Tre urrà! da

Prongs & Wormtail

mentre quel demente di Pad ti starà già saltando sul letto

 

Ted ridacchiò mettendo da parte bigliettino, e intanto cercava di immaginarsi suo padre a fumare e “corrompere giovani fanciulle” - suonava strano persino a lui, che non lo aveva mai visto. Sorridendo cominciò a leggere il documento seguente, una lettera, con un’ultima risatina che gli morì pian piano sulle labbra.

 

Caro Moony,

   qui da James è un delirio. Sto scoprendo quanto Lily possa essere terrificante - e sono costretto ad ammettere che le donne incinte sono pericolose. Molto pericolose, sai, ormoni e tutto il resto. James vorrebbe chiamare il marmocchio James Jr, e questo fa irritare ancora di più la sua già-sufficientemente-deliziosa mogliettina. Ma le do ragione, James Jr fa davvero schifo. (meglio Giovane Sirius, non trovi?)

   Domani torno a casa mia. Ah, no, cambio casa di nuovo. Posso farti sapere che non mi allontano troppo dall’ultima, ma questa sarà decisamente più protetta. E sporca, probabilmente.

   Odio questa situazione. Odio non poterti dire nulla, odio non vederti e non avere nemmeno la certezza che questa lettera ti arriverà mai. Sono cinque maledette settimane che non ti vedo, cazzo, mi manchi Moony. Mi mancano le colazioni insieme, i pomeriggi passati a sentirti leggere libri che non mi interessano minimamente e mi manchi la notte, Moony. (andiamo, non fare quella faccia, sai cosa intendo) Il letto è freddo, io ho freddo, e non dormo, perché senza di te che russi non posso nemmeno pensare di poter dormire.

   Basta, fai finta di non aver letto quest’ultimo paragrafo. Dobbiamo essere allegri, Moony! Cerca di esserlo almeno tu per me. E cerca di non morire di nostalgia, ché per me si sta dimostrando molto difficile.

   Ti amo, lupastro

Pad

 

 

Allegata alla lettera c’era una foto, con Sirius -uno sguardo languido da farti stringere lo stomaco, ma che allo stesso tempo sembrava bruciare la pellicola- che salutava in camera e James sullo sfondo che discuteva animatamente con Lily.

 

Ted continuò a far scorrere lo sguardo a vuoto sulla lettera. Era… come dire, bizzarro? Inaspettato? Fottutamente sconvolgente, vederti sbattuto in faccia l’amore omosessuale di tuo padre che non hai mai conosciuto e che credevi felice con la tua giovane ed amorevole madre?

 

Non registrò completamente i ritagli di giornale che gli passarono sotto gli occhi, il necrologio di una coppia e un articolo di cronaca nera che parlava di una strage di Babbani, entrambi ingialliti e macchiati come se qualcuno ci avesse pianto sopra, né notò i soggetti abbracciati della foto strappata e poi malamente riattaccata con lo scotch magico che seguiva.

 

Non notò la foto di Black, quarantenne, emaciato, nudo, che dormiva rannicchiato su un letto matrimoniale dalle lenzuola sfatte, in quella che sembrava la stanza di un’antica casa vittoriana. Men che meno fece caso alla manciata di bigliettini, alcuni scribacchiati in fretta in una calligrafia piccola e nervosa e altri in una molto più precisa e tondeggiante, bigliettini di quelli che le famiglie normali appendono al frigo per un saluto o promemoria, che era caduta a terra mentre si era lasciato scivolare di mano tutte quelle vecchie scartoffie.

 

No, non notò nulla. Restò semplicemente a fissare il muro spoglio davanti ai suoi occhi, a cercare di districare la matassa di emozioni che gli stavano stringendo un groppo in gola, o a cercare di non guardare, no, mai più, i fogliacci sparpagliati ai suoi piedi che sembravano ridere di lui. Restò a fissare il muro spoglio finché il celeste dell’intonaco non divenne di un violento porpora e lui si accorse del tramonto morente, fuori dalla finestra, oltre il bosco.

 

Si alzò spazzolandosi i pantaloni in gesti automatici, e gli cadde l’occhio sullo sgualcito quaderno nero che aveva contenuto per tanto tempo tutti quei ricordi, indisturbato. A guardarlo bene, lo riconosceva: non era forse quello su cui stava lavorando suo padre in una delle foto dell’album che aveva trovato? Non voleva aprirlo. Non aveva alcuna intenzione di aprirlo, leggerlo o sbirciarci dentro; l’unica cosa che riusciva a fare era fissarlo con uno sguardo carico di rabbia che non riusciva però a celare del tutto la paura. Lo calciò contro il muro, con uno scatto improvviso, poi tornò calmo, immobile nella luce scarlatta. E dalle scale giunse attutita una voce.

 

« Teddy? Teddy, tutto bene? »

 

Si riscosse ricordandosi di non essere solo in quella casa, e di aver passato probabilmente tantissimo tempo in quella stanzetta opprimente facendo aspettare la sua ragazza. Si guardò intorno, e nonostante i buoni propositi tornò a fissare lettere e fotografie sparse fra la polvere. Rimase altri cinque minuti buoni in vacua contemplazione, poi raccolse in fretta tutti i fogli e il quaderno scagliato lontano, sistemandoli alla meno peggio e nascondendoli sotto il largo maglione che portava.

 

E finalmente, uscì dalla sua camera per imboccare le scale.

 

*

 

Dopo un paio di settimane, Ted Lupin si trovava seduto sotto una quercia in riva al lago di Hogwarts, in apparenza intento a scrutare le acque torbide, magari in cerca della famigerata piovra gigante. Quel mattino aveva preso l’Espresso per Hogwarts come molte altre volte, nonostante avesse finito gli studi già da due anni. Si era recato al Binario 9 ¾, aveva salutato calorosamente Victoire ed era riuscito anche a scambiare un saluto veloce anche con lo zio Harry e i cuginetti, per poi andare ad appisolarsi in una delle carrozze di testa, relativamente più calme delle altre.

 

E ora si stava stiracchiando, mentre il sole scompariva pigramente oltre le montagne, si era alzato e si stava dirigendo verso un angolo riparato di prato al limitare della Foresta Proibita, non lontano dal Platano Picchiatore.

 

Camminò con calma tra le varie lapidi, adocchiando qua o là nomi conosciuti come Weasley o Piton, e infine giunse alle tombe in fondo all’appezzamento di terra, due semplici steli gemelle in liscia pietra bianca. Ninphadora C. Tonks & Remus J. Lupin.

 

Si mise le mani in tasca, pensieroso, mentre -di nuovo- il sole tingeva di rosso il castello e il parco sottostante, e un raggio sanguigno cadeva sopra la lapide di Remus J. Lupin.

 

« Beh papà… credo che questo sia tuo. »

 

Estrasse da una tasca interna del cappotto un quaderno nero, vecchio e voluminoso, e lo depositò lentamente davanti alla pietra tombale. Posò una mano sul bordo della lapide, titubante, come sul punto di domandare qualcosa.

 

Ma a chi, poi?

 

Non fece nessuna domanda, non disse nulla. Semplicemente, voltò le spalle alle due tombe e se ne andò, in silenzio, inghiottito dalla notte e dalla pallida luce della luna piena che si stava alzando placida sopra il castello.

 

 

---

Guh.

 

Allora, piaciuta? *grin*

Mi stupisce molto che nessuno abbia ancora scritto nulla post-DH su Remus e Sirius - amici shippers, non vi sarete mica arresi al canon?!

Questa fic è stata un discreto parto, e non sono così soddisfatta del risultato finale. Considerando che ci sono volute due dannatissime settimane di doglie per scrivere ’ste sei paginette in Word, la cosa migliore da fare sarebbe tirarmi una martellata su una mano - tanto per gradire.

 

Quasi dimenticavo, la citazione iniziale appartiene alla canzone Cubicles dei My Chemical Romance (sentitela! è.é), pertanto non è mia. u_u

 

Will

   
 
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