Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: FRC Coazze    31/01/2013    1 recensioni
Il preside è tornato. Ma c'è ancora qualcuno da affrontare nel castello, qualcuno che lui ha lasciato da solo in quei lunghi mesi, che ha abbandonato. Come Harry.
Storia scritta per il Gioco Creativo n°13 "Un anno di sorrisi per Severus" del forum "Il Calderone di Severus".
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Un altro sorriso per Severus ^^

Questa storia è stata scritta per il
Gioco Creativo n°13 "Un anno di sorrisi per Severus" del forum "Il Calderone di Severus". Spero la gradiate.

Buona lettura!





 

Tu hai una famiglia, Severus




Albus Silente si faceva strada lentamente nei corridoi vuoti del castello. Gli studenti erano a lezione, e lui in ogni caso non era dell’umore adatto ad intessere rapporti sociali in quel momento, sia con i suoi insegnanti che con i ragazzi. Passava in silenzio, come se fosse sempre stato lì. Come uno spettro che ritorna in una casa che non ha mai realmente lasciato. Quel vecchio spettro in quel momento voleva soltanto raggiungere il suo ufficio, in alto, in cima alla torre, e godersi un po’ del calore che le fiamme del caminetto potevano donargli.

Era stato lontano da quelle mura di pietra per pochi mesi, eppure era sembrato un’eternità. Era come se gli avessero strappato via il calore dal corpo. Quella era la sua casa, la sua famiglia. I suoi studenti, i suoi ragazzi. Li aveva abbandonati, in un qual senso. Se n’era andato per proteggerli, ma andandosene li aveva abbandonati. Il suo calore, e il calore di quei volti, di quel chiacchiericcio continuo, delle risate dei ragazzi, era rimasto lì, ed a lui non era rimasto altro che il freddo mentre da lontano osservava in silenzio.

Uno spettatore pensieroso. Non uno spettatore indifferente, questo no di certo, ma nondimeno uno silenzioso; un fantasma, un ricordo. Una figura che veglia dall’alto e non si mostra, come un dio altero e distaccato. Quello era stato per i suoi ragazzi ed i suoi insegnanti. Aveva lasciato loro solo la loro stessa fiducia in lui e nient’altro. Li aveva abbandonati, senza che loro sapessero se sarebbe tornato, se li avrebbe aiutati, quando sarebbe tornato... semplicemente, ciò che aveva chiesto loro era sperare e credere in lui e loro l’avevano fatto. Come sempre.

Il grande gargoyle di pietra lo osservò un istante, prima di balzare di lato, ma Silente quasi non se ne accorse, troppo preso da i suoi pensieri per vedersi liberata la via. I suoi piedi si posarono sul primo scalino che colsero della lunga scala a chiocciola, che si trascinava lenta verso l’alto, poi su un secondo e un terzo, un quarto, un quinto. Scivolò lungo la spirale di pietra, si lasciò accompagnare oltre l’angolo - che angolo in realtà non era - precludendosi la vista dell’ingresso alla scala. E allora, si fermò per un istante, senza rendersi conto che la scala, raccolta e devota perpetua di pietra, lo aveva accompagnato anche in quel gesto.

Albus passò con ossequia una mano rugosa sulle pietre altrettanto rugose del castello. La carezza di un vecchio a qualcuno ancora più vecchio e venerabile, eppure bisognoso come un bambino.

Sospirò profondamente, appoggiandosi a quelle pietre con tutto il suo peso. Un appoggiarsi reciproco di due vecchi, così, improvvisamente svuotati di ogni forza. In quei mesi, il preside aveva condiviso le emozioni della sua scuola. Come il castello era rimasto in silenzio ad osservare, senza osare intervenire. E aveva capito, allora, che certe cose è meglio lasciarle fare ai castelli millenari. Albus Silente doveva occuparsi dei suoi ragazzi. Non doveva abbandonarli così. Aveva lasciato Harry da solo quell’anno. Credeva di proteggerlo, questo certo, ma aveva fatto più danno che se non gli fosse stato vicino ad incoraggiarlo. Si era professato come guida a quel ragazzo e poi lo aveva allontanato come fosse un malato, aveva fuggito il suo sguardo e lo aveva lasciato solo, quando sapeva che Harry aveva bisogno di lui.

Aveva lasciato la scuola per lo stesso motivo: per proteggere il ragazzo. E per proteggere un ragazzo aveva lasciato da soli tutti gli altri. Aveva lasciato la scuola nelle mani di un lupo travestito da donna. Aveva lasciato i suoi insegnanti senza una guida. E con che risultati? Harry aveva rischiato di morire, Minerva era finita al San Mungo e Severus era rimasto da solo a dover tenere le redini dei suoi intrighi. Suoi. Di Albus Silente. Severus era rimasto da solo con tutta la scuola contro, ad eccezione dei suoi Serpeverde. E non solo la scuola.

Si grattò appena la fronte corrugata con un gesto stanco. Non aveva affatto pensato a Severus quando se n’era andato. Non aveva pensato che il peso sarebbe passato tutto sulle spalle del ragazzo. Nella foga del momento la sua mente era focalizzata su un’unica cosa: proteggere Harry. Severus era finito in secondo piano, come accadeva fin troppo spesso. Avrebbe dovuto considerare Severus. Avrebbe dovuto considerare che avrebbe lasciato il ragazzo senza un punto di riferimento a scuola. E poi, dopo che Minerva era stata ferita...

«Pensieri profondi, Preside?»

Albus si voltò di scatto. La sua mano scivolò lentamente lungo il freddo muro di pietra, come in un leggero congedo, mentre i suoi occhi scintillavano nel cogliere la sagoma scura dell’insegnante di Pozioni in piedi alcuni scalini sotto di lui. Perdinci, era così concentrato sui suoi pensieri vagabondi che non si era nemmeno accorto che la vecchia guardia, laggiù in fondo alla scala, aveva lasciato passare qualcun altro. E quel qualcun altro era la persona che meno era preparato ad affrontare.

Silente gli sorrise dolcemente. «Ah, Severus, ragazzo mio», fece un profondo respiro, «stavo semplicemente riprendendo fiato. Vieni, aiuta questo povero vecchio a raggiungere il suo ufficio, così può offrirti un tè e scambiare quattro chiacchiere con te».

Tese appena il braccio verso di lui, ma con sua sorpresa, Severus rimase fermo in fondo alle scale ad osservarlo con espressione cupa.

«Il Ministro si è convinto, alla fine», affermò Severus. Era salito dai sotterranei semplicemente per controllare che il Preside avesse già ripreso possesso del suo legittimo soglio. Non aveva nemmeno la più pallida idea di cosa dirgli, era semplicemente salito per vederlo e non si aspettava certo di trovarselo davanti a metà strada.

Albus lo scrutò per un istante in silenzio, quindi annuì fermamente col capo e disse: «Sì. Grazie a Tom stesso. E indirettamente anche grazie ad Harry».
«Ha rischiato molto quest’anno, Preside. Ha giocato d’azzardo fino all’ultimo momento. Le cose qui a scuola cominciavano a sfuggirmi di mano. Si renderà conto che mi ha lasciato qui a dover aver a che fare da solo con l’Oscuro Signore e quella specie di donna confetto mentre dovevo tenere d’occhio i balletti di Potter. E mi permetta di dire che l’idiozia finale di Black è stata proprio la ciliegina di cui avevo bisogno», disse Severus, sollevando un sopracciglio. Stava tirando fuori parole a caso, e lo sapeva, ma non riusciva in quel momento a riordinare appieno i suoi pensieri. Quei pochi che erano ancora in riga avevano preso a correre avanti e indietro appena la figura del vecchio preside gli si era parata davanti.

Anche le sopracciglia folte di Silente si alzarono, mentre abbassava appena il capo per sbirciare verso Severus da sopra gli occhiali a mezzaluna.

«Severus, forse non te n’eri accorto, ma stiano parlando su per una scala a chiocciola» disse sorridendo, «vieni, saliamo. Comincia a fare freddo e non mi sembra il luogo adatto a questo genere di discorsi. Vieni», soggiunse subito dopo, ma ancora una volta, Severus non diede cenno di voler raggiungerlo.

«Mi scuserà, Preside, ma ho del lavoro da sbrigare», disse Piton.

«E bentornato, Preside», aggiunse subito con voce atona, come se quelle parole non avessero in sé alcun significato, fossero soltanto un rumore stridente di sottofondo.

Silente comprese il vuoto di quelle parole. Non poteva sfuggirvi: poteva solo lasciare che si posassero su di lui senza farsi percepire, senza lasciare calore, né gelo. Nulla. Vuoto. E solitudine.

Albus vide Severus accennare un movimento. Non voleva che se andasse. Voleva parlare con lui, ora, visto che ormai avrebbe dovuto fargli fronte comunque. Lo trattenne appena prima che Severus gli voltasse completamente le spalle ammantate di nero.

«Severus...» fece con dolcezza, cercando di attirare a sé il giovane che aveva lasciato da solo per mesi, che aveva abbandonato, come un figlio lasciato senza guida. Severus si fermò, ma il suo sguardo non tornò al preside.

Gli occhi di Silente si fece cupo. «Mi dispiace di averti lasciato da solo, Severus. Speravo, credevo di fare la cosa giusta andandomene».

«Beh, a quanto pare si è sbagliato, Preside», ribatté Severus duramente voltandosi verso di lui, senza lasciare ad Albus il tempo di riprendere il respiro.
Albus annuì grevemente col capo, abbassando lo sguardo nel gesto. «Sì, Severus. Ho sbagliato. Volevo solo proteggere Harry. Non volevo finisse nei guai a causa mia. A causa della fiducia che lui ha in me», disse quasi in un sussurro, alzando di nuovo gli occhi verso Piton.

L’espressione di questi, per un attimo, parve ammorbidirsi, ma non sotto i lievi massaggi della soddisfazione, bensì di una tristezza che parve sbirciare per un attimo attraverso quegli occhi neri carbone.

«Potter non è l’unico ad avere fiducia in te», disse Severus grevemente. «Lealtà per amore. Peccato che questa cosa funzioni solo per pochi eletti», disse poi aspramente.

Gli occhi di Silente si addolcirono a quelle parole, ma quella dolcezza non servì ad allontanare la tristezza e la colpa che provava. L’amaro inquinava anche lo zucchero in quel momento. Guardò Severus con attenzione, sapendo molto bene ciò che il ragazzo stava dicendogli nascosto tra al tono astioso di quelle parole.

Silente lo guardò tristemente, ponderando quelle parole scagliate contro di lui come aculei avvelenati. Accuse che facevano male. Perché non aveva difesa e non poteva negarle.

«Severus, il mio amore per Harry non è un premio per la sua lealtà. Io voglio bene a quel ragazzo per quello che è. Vedi, Severus, si è amati per ciò che si è, non per ciò che si dà», disse, costringendo un debole sorriso a salire sul suo volto; l’unico abbastanza debole da potersi piegare alla sua volontà. Vide il petto di Severus sollevarsi ed abbassarsi in un sospiro, prima che il professore posasse il piede sullo scalino successivo e prendesse a salire verso di lui.

«Chiaro», disse quasi tristemente Severus quando fu ad uno scalino di distanza dal vecchio preside. «Avevo proprio bisogno di un’altra delle tue perle di saggezza, Preside».

Silente puntò i suoi occhi azzurri in quelli neri che lo scrutavano, affrontandone il buio e il dolore che vedeva chiaramente galleggiare strascicato su quelle acque oscure.

«Non intendevo quello che tu credi intendessi con quelle parole», gli disse Albus tranquillamente, «intendevo l’esatto contrario, vedi».

«Severus, da parte mia hai amore e rispetto», gli disse dolcemente. Il gelo nello sguardo del giovane parve sciogliersi un poco, in gocce pesanti di rugiada, quando il calore di quelle parole raggiunse quelle notti oscure come i primi raggi timidi e generosi dell’alba. «Qualunque cosa succeda. Sarò anche un vecchio rimbambito, ma non abbandonerò mai né te né Harry», soggiunse Silente.

Gli occhi di Severus si fecero di nuovo cupi. «Sai, per una qualche ragione, questa tua ultima affermazione suona davvero tanto ipocrita, Silente», disse il professore aspramente.

Silente non poté far altro che annuire di fronte alla costatazione. Fece una lieve smorfia con la bocca, quindi rispose: «Anche fosse, questo non vuol dire che io non lo creda davvero. O che io non desideri che si avveri».

Severus tacque. Allontanò lo sguardo dal Preside lasciando che i suoi occhi vagassero sulle pietre grigie della scala.

«Severus...» fece Silente dolcemente, cercando di riportare l’attenzione del giovane su di sé. «Tu ed Harry... voglio bene ad entrambi, indistintamente e in ugual misura, per i ragazzi meritevoli che siete, non per quello che fate per me», gli disse facendo un breve passo verso il giovane vestito di nero il cui sguardo ancora vagava sul muro che abbracciava la scala di pietra.

«Severus?», tentò nuovamente Albus, questa volta Piton si voltò lentamente verso di lui, lo sguardo nuovamente duro come silice.

«Davvero?», domandò tagliente.

Silente corrugò la fronte, la sua espressione si fece più severa. «Non pensare così bassamente di me, Severus. Certo che è vero», gli disse.

«Non so che farmene del tuo “voler bene”, Albus», gli rispose Severus, «non ho mai saputo che farmene del “voler bene” della gente. L’unica cosa che ho sempre capito, è che quelle parole sono sempre una menzogna. Sono quel genere di parole dietro cui la gente si nasconde, la scusa per qualunque crudeltà o abbandono. Per cui, non dirmi “ti voglio bene”».

Silente lo guardò in silenzio mentre Severus diceva quelle parole, e vedeva nei suoi occhi i riflessi di ricordi e di esperienze passate che indugiavano nelle iridi neri come spettri irridenti, cicatrici di ferite mai guarite.

«Puoi propinare queste tue mielose menzogne a Potter, ma non a me», continuò Severus. «Ingozza il tuo pollo con queste smancerie: è un ragazzino ingenuo che si beve qualunque cosa purché gli sia dia l’illusione di aver trovato una famiglia. Dalle a Potter: avrà bisogno di addolcirsi ora che ha perso il suo adoratissimo padrino pulcioso. Ma non credere di poter ancora illudere me con queste stupidaggini».

E con quelle parole, Severus si voltò e scese di nuovo in fretta lungo la spirale della scala di pietra e sparì dalla vista del preside.

Silente rimase qualche istante ancora in piedi sulla scala, in silenzio e pensieroso.

«Che cosa stai cercando di dirmi, Severus?», chiese in un sussurro che solo le pietre della scala poterono udire.

Il ragazzo era ovviamente irritato per essere stato lasciato da solo, ed aveva ragione di esserlo. Albus non avrebbe mai voluto costringerlo a controllare tutti i fili del complicato intreccio che si era andato a creare in quell’anno scolastico. Severus aveva dovuto giocare la sua parte di fronte a tanti spettatori, ognuno chiedeva una rappresentazione diversa e lui aveva dovuto accondiscendere li, in silenzio, indossando ogni volta una maschera differente. Un variare di personaggio così veloce da essere ostico anche per un attore consumato come Severus. Ma non era quello il punto. Non era la difficoltà nello svolgere il suo compito che aveva ferito profondamente Severus: era stato lui.

Quell’allusione alla famiglia non era la solita presa in giro nei confronti di Harry. Forse neanche Severus lo sapeva, ma era qualcosa di più profondo. Qualcosa che scendeva a fondo nel cuore del professore di Pozioni e ne risaliva insieme con un atavico desiderio che era lo stesso di Harry.

La famiglia era un’illusione, Albus questo lo sapeva, ma era una bella illusione nonostante tutto, in un mondo in cui gli uomini sono soli. Alcuni avevano la fortuna di vivere sempre quella illusione, altri venivano gettati nella realtà della vita con ben poco riguardo.

Sospirò grevemente per l’ennesima volta, riscuotendosi. Sei ancora in piedi su una scala a chiocciola, Albus. E cominciano a gelarti i piedi. Anche le dita, in effetti.

Silente ridacchiò sommessamente mentre si voltava e la scala, cogliendo il suo desiderio di salire verso l’ufficiò, nuovamente lo assecondò accompagnandolo lentamente verso l’alto. Silente lasciò che quegli scalini di pietra lo portassero di fronte alla porta del suo ufficio senza fatica. Gli era appena venuta in mente un’idea. Una di quelle che Severus mostrava di non gradire, ma non per questo non erano d’aiuto. Doveva comunque farsi perdonare in qualche modo. Dopo tutto quel richiudersi in sé stesso per lunghi mesi, il ragazzo aveva bisogno di qualcosa che gli aprisse un po’ il cuore.

 

*********


Severus rientrò nel suo ufficio chiudendosi la porta alle spalle con ben poco garbo. Non aveva mentito a Silente: aveva davvero del lavoro da sbrigare, solo, non era così urgente e ora che il preside era finalmente tornato al suo posto poteva riprendere il suo lavoro con più calma. Finalmente. Tutto era tornato alla normalità, al tran-tran quotidiano della scuola, anche se per pochi giorni ancora. Poi sarebbe venuta l’estate e per lo meno allora non avrebbe più dovuto avere a che fare con Potter. E quello, per lo meno, era un bel pensiero.

Si avvicinò a grandi passi alla scrivania scura. Aveva solo bisogno di un po’ di tempo per sé, nient’altro. Era stato un anno... particolare. Senza dubbio. No, ecco una cosa interessante di quell’anno: togliersi finalmente dai piedi Potter, Weasley e Neville Paciock. Inutile dire che sicuramente non avevano ottenuto Eccezionale ai G.U.F.O.

Severus ghignò. Quel pensiero era riuscito ad allontanare dalla sua mente anche l’incontro con il preside di poco prima.

Fece il giro della scrivania togliendosi nel mentre il lungo mantello nero e poggiandolo allo schienale della sedia in noce prima di sedervisi pesantemente. Si chinò di lato per aprire il primo cassetto alla sua destra. Ne estrasse un grosso faldone di pergamene tenute assieme da una fascetta di carta. Le prove di Pozioni dei G.U.F.O. Nessun passatempo migliore che leggere le idiozie degli studenti, ma soprattutto incidere le pergamene dei Grifondoro con delle lettere... ignominiose.

Tolse con eleganza la fascetta ed ebbe appena il tempo di leggere il nome sulla prima pergamena che il caminetto tossì una fiammata verde. Una fiammata verde inusuale, perché non accompagnava nessuno nel suo divampare. Non qualcuno, in effetti, ma qualcosa.

Severus osservò stupito quello che sembrava essere una busta o un pezzo di pergamena volteggiare per qualche istante, ancora lambito da piccole lingue di fumo. Lo osservò fare un’ultima piroetta nell’aria prima di adagiarsi con grazia sul tappeto.

Si alzò, allora, facendo quei due passi che lo separavano da qualunque cosa fosse appena uscita dal camino e si chinò su di essa.

Era una foto.

Una vecchia foto magica tutta smangiucchiata ai lati.

Severus la prese tra le dita con cautela, analizzandola. Era una vecchia foto, di qualche anno prima, di lui, Minerva e Albus. Minerva stava in mezzo a loro due, sorridendo, e anche Albus sorrideva, gli occhi azzurri scintillanti anche nel bianco e nero. Inutile dire che sul volto del Severus della foto non c’era alcun sorriso, o forse quello che poteva sembrare un tentativo mal riuscito di sorridere.

Ma non furono le persone della foto a cogliere più di tanto l’attenzione del vero Severus, ora in piedi di fianco alla scrivania con la foto tra le mani, ma una scritta. Due frasi scritte in fretta sulla fotografia in una scrittura sbieca che conosceva molto bene, non c’era nemmeno bisogno di leggere il nome nella firma:

“Tu hai una famiglia, Severus. Non dimenticarlo.
Albus.”


Ma tu guarda quel vecchio pazzo...?

Severus non riuscì in quel momento a farsi altre domande, e sì che ve n’erano molte che turbinavano nella sua mente, ma erano come inafferrabili, bloccate da quelle parole scritte di fretta su una fotografia inviata altrettanto di fretta.

E, se il giovane Severus nella foto non riusciva a sorridere, il vero Severus ne prese in consegna l’incombenza. Sì, incombenza, perché in quel momento Severus non poté e non volle evitare di sorridere. Doveva sentire le sue labbra incurvarsi in qualcosa di diverso che una semplice e sgradevole smorfia. Doveva sorridere. Sorridere e basta.

Eh sì, il preside era davvero tornato.



 
 

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: FRC Coazze