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Autore: Gaia Bessie    31/01/2013    1 recensioni
Forse non te ne sei mai accorta, ma io piangevo quando piangevi tu, ridevo quando tu ridevi. Anche se non ne avevo voglia, anche se volevo morire. Anche quando l’unico suono che percepivo erano i singhiozzi ovattati che risuonavano nel petto. Sempre, senza eccezione né regola, senza trasgredire a quella promessa che mi ero autoimposta.
Non ero malata, Lex, te lo giuro. Non ero malata.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Attenzione: presenza di tematiche delicate quali depressione, malattie, morte e idee che io non condivido per niente sugli orientamenti sessuali. Lettore avvisato.


Non sono malata



Mi hai guardata per così tanto tempo che ormai sono scolorita in uno sfondo sempre uguale, un dettagli di infima fattura  che potevi anche fingere di non vedere, un brutto accessorio che dovevi sopportare, la tua pena per una colpa non commessa. Non te ne sei mai accorta.
Mi hai disprezzata, guardata e forse anche temuta, ma non ti sei mai accorta di niente. Eppure era qualcosa di così facilmente intuibile da sconfinare nel monotono e nel banale, ma tu eri troppo felice per farci caso. Sorridevi e non ti voltavi indietro, per guardare me. Io rimanevo sempre relegata sullo sfondo, cercando di posare i piedi sulle tue impronte e tu non te ne accorgevi mai.
 

Forse non te ne sei mai accorta, ma io piangevo quando piangevi tu, ridevo quando tu ridevi. Anche se non ne avevo voglia, anche se volevo morire. Anche quando l’unico suono che percepivo erano i singhiozzi ovattati che risuonavano nel petto. Sempre, senza eccezione né regola, senza trasgredire a quella promessa che mi ero autoimposta.
Ma tu non te ne accorgevi.
 

Forse me ne andrò. Un giorno sparirò e non mi vedrai più, ma non te ne accorgerai: lo so. Non sono l’unica che stringe promesse impossibili, che poi si costringe a mantenerle. Barare è più difficile che vincere.
Me ne andrò in silenzio, perché solo in silenzio so stare: parlo solo quando parli tu, anche se non te ne accorgi mai.
Forse me ne andrò presto e tu non farai mai niente per impedirlo, in fondo lo so anche io, magari non te ne accorgerai nemmeno.
 

***
 

Non ho mai pianto senza di te. Nemmeno quando da sola, davanti allo specchio, strattonavo ciocche di capelli castani – spenti, opachi come lo ero io. Come lo sono ancora, anche se tu non te ne accorgi mai – e la maggior parte mi rimanevano fra le mani, lasciando un vuoto incolmabile nella mia testa. Li stringevo fra le mani in una morsa che non potevo sperare di sciogliere. Non avevo altro.
 

Casa mia era sempre vuota, ma questo non lo sai. Evitavo accuratamente gli orari in cui sapevo che avrei trovato qualcuno a casa e mi cullavo in quel vuoto che avevo scelto, che sopportavo con esasperazione: non volevo un’altra scelta, non sarei mai riuscita a compiere il sacrificio giusto. Così avevo scelto l’apatia, per non dover uccidere, per non dover uccidere te.

 
Casa mia era piena di specchi, specchi in cui potevo osservarmi per intero, osservare quella bellezza – io non l’avevo mai vista – che si cancellava con la facilità con cui doveva essere sbocciata. Guardati bene, Eva, imparati a memoria. Un pensiero mi scuoteva e mi annebbiava con ampie volute di veleno argentato. Non ti vedrai mai più.

 
Una mattina sono tornata a casa e mi sono guardata allo specchio. Linee deformata di mostro, niente di Eva, niente di Lexie che non ti guarda mai. Niente. Con una mano armata di forbici, sfiorai la mia testa. Li perderai presto, Eva, i tuoi capelli.
Il bagliore metallico mi aveva illuminato il volto di una luce debole. Odiavo pensare quell’altra parola, ma era la più adatta.
Malata.
 

Quel giorno i capelli mi rimasero tutti in mano.
 

***

 
Lo specchio non mente mai, non mentono gli sguardi di chi si accorge di me. L’hanno capito tutti, ormai, cosa sta succedendo. Hanno scoperto quell’immenso tabù che mi scorre nel sangue, che divora ogni mia energia. L’hanno capito tutti, tranne te.
Tu mi hai guardata distrattamente e sei scivolata oltre il taglio scaleno e le ombre scure sotto gli occhi e i lividi su una pelle troppo bianca. Io ti ho sorriso, tu sorridevi già.
Non ti accorgi mai di niente, Lexie.
 

Ho una tua foto, sotto il cuscino. Ma questo non lo sai.
Ogni notte prego che tu ti accorga di me, del fatto che rido e piango quando tu ridi e piangi. Prego che tu non la consideri una cosa sciocca e ulteriormente malata. Sono già malata, lo sai?
Ma non te ne sei accorta.
 

I capelli non riesco più a toccarli. Ho paura di non vederli più, un giorno. Tu non te ne accorgeresti, se sparissero, non è vero?
 

Non ho mai baciato nessuno, Lex, lo sai?
Lo sai il perché?
 

***

 
C’è una parola particolare per descriverla, la mia malattia. Come tutte le malattie suona male, suona come la morte: leucemia.
Mamma non vuole sentirla. Ha scucito tutti i suoi ricami. Sai che dicevano?
 

Tu non te ne sei accorta. Sei rimasta ferma sulle tue convinzioni mentre io sfiorivo.
 

Sei la mia luce.Ma la parola “Luce” non è più contemplata nel nostro vocabolario.
 

***

 
Odio gli aghi. Ma la loro è una fitta debole, simile a quella impercettibile del pizzicore lanuginoso delle lenzuola. Non ci faccio più caso: ho  imparato in due giorni.
 

In ospedale c’è il silenzio. Un silenzio malato e pregno di sfumature difficili da interpretare. Una sola tento di mandar via e quella puntualmente torna indietro per prendermi fra le sue spire.
 

Non verrai a trovarmi.
 

Non mi smentisco. Non ci sono specchi, qui dentro. Non voglio vedermi mentre muoio.
 

Forse non lo sai, ma dicono tutti che morirò qui. Io li sento.
 

***

 
L’unica cosa che non muore è l’anima. E il dolore.
 

***

 
La vedo, una bara così piccola che potrebbe appartenere a una bambina. Ma è mia, lo so, ne sono certa. I singhiozzi disperati dei miei parenti non li sento nemmeno. Mi guardo attorno. Tu non ci sei.
 

Ti ho vista alla fine, in un angolo. Non piangi. Non te ne sei accorta. Meglio così, Lexie: avresti pensato che fossi malata di una malattia ben peggiore.
 

Adesso sei scossa da singhiozzi. Te ne sei accorta, Lexie?
 

Stringi il vuoto fra le mani, senza accorgerti che le mie dita fantasma stringono le tue.
 

***

 
Non ero malata, Lex, te lo giuro. Non ero malata.
   
 
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